GUICCIARDINI, Piero
Nacque a Firenze nel 1560 da Agnolo di Girolamo e da Contessina di Lorenzo Ridolfi.
Nulla si sa dell'educazione e della giovinezza del G., almeno fino al 1587, quando fu mandato da Ferdinando I de' Medici a Napoli, Sicilia e Malta per partecipare la morte del granduca Francesco. Dall'ottobre 1595 al 1596 soggiornò a lungo in Spagna, probabilmente per semplice diporto, senza assolvere ad alcuna missione o incarico. Negli anni 1602, 1608, 1610 fu tra gli ufficiali delle Stinche. Nel 1609 raggiunse la corte di Francia per comunicare ancora la morte di un granduca, stavolta Ferdinando I. Nel maggio 1611, subentrando a Giovanni Niccolini, fu eletto da Cosimo II ambasciatore ordinario alla corte di Roma, dove rimase per ben dieci anni, fino al 1621. Nella sua missione ebbe come segretari Orazio Della Rena, ereditato dalla precedente legazione, e Francesco Niccolini, che gli successe. Come evidente ricompensa dei suoi servigi, nel gennaio 1621 Cosimo II lo investì del titolo di marchese di Campiglia d'Orcia, Comunità appartenente allo Stato nuovo di Siena.
Il consistente carteggio diplomatico del G. copre tutto il lungo pontificato di Paolo V e quasi per intero il granducato di Cosimo II: si tratta di una documentazione di grande interesse per il contenuto e il tono usati. Ampio spazio hanno naturalmente le questioni inerenti all'assegnazione dei benefici ecclesiastici toscani. In contatto di preferenza con il segretario del granduca Curzio Picchena - ma anche con i segretari Andrea Cioli e Donato Dell'Antella, oltre che, ovviamente, con Cosimo II - il G. lo informò nel febbraio del 1614 della morte e delle disposizioni testamentarie di Giovambattista Raimondi, l'orientalista che larga parte aveva avuto nel progetto della Stamperia medicea e che negli ultimi anni di vita era entrato in familiarità con Galileo. Nel 1615 il G. dedicò la sua attenzione all'acquisto di Scansano, venduto dal duca Alessandro Sforza conte di Santa Fiora a Cosimo II per 215.000 scudi.
Un momento di particolare interesse nella corrispondenza del G. è rappresentato dal resoconto del viaggio di G. Galilei a Roma, sotto la protezione di Cosimo II, nel dicembre 1615, per difendere le sue teorie sul moto dei corpi celesti. Lo scienziato arrivò accompagnato dalle richieste del granduca che chiedeva che gli si mettessero a disposizione due stanze di villa Medici a Trinità dei Monti, avendo bisogno di fare vita ritirata per motivi di salute. In realtà, il soggiorno di Galilei, durante il governo di Annibale Primi, risultò onerosissimo dal punto di vista economico, come rivelano le rimostranze del G., cui spettava di sovvenzionare questa residenza e ogni desiderio che lo scienziato esprimesse. Ma al di là di queste proteste relative agli aspetti materiali del soggiorno, il G. ripeteva con lucidità che era assolutamente inopportuna la presenza di Galilei a Roma, sia per la sua persona, sia per i principi suoi protettori. Egli si accanisce infatti nella difesa delle sue teorie: "s'infuoca nelle sue openioni, ci ha estrema passione dentro, et poca fortezze et prudenza a saperle vincere: tal che se li rende molto pericoloso questo cielo di Roma, massime in questo secolo, nel quale il principe di qua aborrisce belle lettere et questi ingegni, non può sentire queste novità né queste sottigliezze, et ogn'uno cerca di accomodare il cervello et la natura a quella del signore" (Le opere di Galileo Galilei, XII, Carteggio, pp. 241-243). A fronte delle appassionate convinzioni dello scienziato, il diplomatico ne palesa una più meditata, e cioè che occorre soprattutto dissimulare le proprie opinioni: "questo non è paese da venire a disputare della luna, né da volere nel secolo che corre, sostenere né portarci dottrine nuove" (ibid., p. 207) scorgendo le pericolose potenzialità che la residenza di Galilei potrebbe avere anche per il granduca suo protettore.
Da altri momenti, sia precedenti sia successivi, appare invece chiaro che i rapporti tra lo scienziato e il G. furono buoni e che tra i due esisteva una certa dimestichezza. Nel 1621 il G. fece da tramite tra intellettuali romani e Galilei, in particolare per fargli recapitare un libro (il De immortalitate animorum ex Aristotelis sententia libri III, Romae 1621) di G.C. La Galla, lettore di logica alla Sapienza di Roma. Nel 1614, La Galla aveva richiesto, invano, l'aiuto di Galilei per un posto di lettere umane allo Studio di Pisa vacato per la morte di Flaminio Papazzoni e nell'occasione, oltre a essere raccomandato dal principe Federico Cesi, aveva chiamato a proprio garante lo stesso ambasciatore Guicciardini.
Nel dicembre 1615 aveva ricevuto la nomina cardinalizia il principe Carlo de' Medici, fratello del granduca, e nel marzo 1616 spettò al G. organizzare il soggiorno romano del porporato, che arrivò nell'Urbe in aprile. Il G. si interessò in particolare alle forniture di tessuti adatti ai paggi del seguito e a quelli dei familiari in genere, nonché a provvedere alle masserizie necessarie, facendo arrivare per mare dalla Toscana le più ingombranti; per la familia, oltre a dare disposizioni a Firenze, contribuì anche a reclutare in loco il personale necessario. Nel marzo il G., coniugando il ruolo di organizzatore con quello di consigliere, aveva dato alla corte di Firenze minuziose informazioni di come Carlo dovesse comportarsi nel cerimoniale e in privato, in particolare nella vestizione della propria persona, prendendo in questo a modello il cardinale Odoardo Farnese.
Il cardinale arrivò infine a Caprarola il 14 aprile e a Roma il 16, incontrato dal cardinale Alessandro Orsini e da altri 17 porporati; altri sei porporati lo aspettavano invece insieme con il G. nella sua casa a Roma, probabilmente la villa di Trinità dei Monti. Durante il soggiorno, il G. informò minuziosamente Cosimo II e i suoi segretari delle visite fatte a Carlo dai cardinali, nonché dai dignitari e diplomatici residenti nella corte di Roma.
Nel 1617 il carteggio del G. offre notizie preziose in merito alla volontà dei granduchi di popolare la Maremma toscana con il trasferimento di 800 coloni macedoni. Il tentativo era quello di rendere produttive quelle terre, che in Toscana erano detenute dagli ecclesiastici, il cui inadeguato sfruttamento agricolo si accompagnava anche a un decremento della densità demografica. A questo scopo, nell'estate del 1617, fu chiamato in causa il G., considerato a Firenze uomo di tanta accortezza da poter avanzare, e fare accettare a Roma, la proposta che gli ecclesiastici vendessero le proprietà di cui non erano in grado di garantire un buon utilizzo e con il ricavato fondassero dei depositi, su un Monte da erigersi, da cui ricavare il 4 - 4,25%. Rispondendo a Niccolò Dell'Antella, che si era fatto portavoce di questa richiesta, il G. non poté tuttavia che raffreddare le speranze che il pontefice desse il placet a un progetto che avrebbe lasciato alla discrezionalità dei principi laici il pagamento degli interessi delle entrate dei luoghi pii ed enti ecclesiastici, i quali, di contro, avrebbero dovuto pagare ai sudditi del principe i generi necessari al loro mantenimento.
Talvolta, più che quella di informatore la sua funzione è spiccatamente quella di uomo di fiducia di Cosimo II, come nell'agosto 1619, quando il granduca invitò di persona il G. a chiedere udienza al papa. La questione sul tappeto era quella della pratica di annullamento del matrimonio portato avanti dall'amante di don Giovanni de' Medici, Livia Del Vernazza, sposata a tal Battista Granara materassaio della città di Genova, allo scopo di sposare don Giovanni. Il G. avrebbe dovuto chiedere al pontefice come il granduca si dovesse governare in un caso estremamente delicato per la dignità della famiglia.
Sul finire della missione diplomatica del G., Paolo V morì, e il G. dedicò l'ultima parte del suo carteggio al conclave che avrebbe portato all'elezione di Gregorio XV. Sempre nei primi mesi del 1621 morì anche Cosimo II e la legazione del G. ebbe termine. Sostituito nell'ottobre 1621 dall'abate Francesco Niccolini e rientrato a Firenze, nel 1623 il G. venne nominato maggiordomo maggiore dalla granduchessa coreggente Maria Maddalena d'Austria, vedova di Cosimo II, ruolo che detenne probabilmente fino alla morte e per cui nel 1625 riceveva la cospicua somma di 83 scudi mensili, di gran lunga la più alta tra tutti i salariati della corte, inferiore soltanto a quella di Curzio Picchena (100 scudi).
Il G. morì a Firenze il 13 ott. 1626.
Nel 1604, in età abbastanza avanzata, aveva sposato Simona Machiavelli, dotata di 15.518 scudi. Dal matrimonio non nacquero probabilmente figli; Simona morì settantaquattrenne il 9 apr. 1658. Nel testamento del G., rogato da ser Bernardo Guidarrighi il 4 sett. 1626, il G. dispose che, come per gli antenati, il suo corpo fosse seppellito nella chiesa fiorentina di S. Felicita, dove la cappella maggiore era di patronato della famiglia e dove tra il 1610 e il 1620 aveva fatto fare lavori di ristrutturazione all'altare. Le disposizioni patrimoniali rivelano che disponeva di sostanze cospicue. Lasciò tutti i beni, fatti salvi sostanziosi legati, a un eventuale figlio maschio primogenito che fosse nato da Simona o da altra moglie. In caso contrario, come avvenne, ne avrebbe beneficiato il nipote Agnolo, figlio del fratello senatore Girolamo. Di altri beni fedecommessi dagli antenati, in particolare quelli del padre Agnolo, del valore di 25.000 scudi circa e materialmente inseparabili da altri accumulati personalmente, sarebbero stati beneficiari anche gli altri nipoti Lorenzo e Francesco Maria. Tuttavia, giacché i beni erano stati fedecommessi a comune ed egli non intendeva operare divisioni del patrimonio che contravvenissero alla volontà agnatizia, il G. escogitò di lasciare a Francesco Maria, cavaliere gerosolimitano, e a Lorenzo un assegno annuo vita natural durante: 500 scudi sarebbero andati al primo, mentre a Lorenzo, in possesso forse di minori entrate, ne sarebbero toccati 700. Alle eventuali future figlie, che non sembra vi furono, lasciava la cospicua dote di 15.000 scudi cadauna.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Indice della Segreteria vecchia, Legazione di Roma, 295/XVI; Manoscritti, 321, Cariche d'onore, c. 498; Mediceo del principato, 3326-3327, 3330-3336, 3642, 3644; Miscellanea Medicea, 4/8; 15/1, 15/3; 18/2 (altri documenti sono rintracciabili in Arch. di Stato di Firenze, Arch. Mediceo del principato.Inventario sommario, Roma 1966); Carte Strozziane, s. 1, filza 48; Raccolta genealogica Sebregondi, 2829, Guicciardini; Firenze, Biblioteca nazionale, Carte Passerini, 8, 178, 220; Le opere di Galileo Galilei. Edizione nazionale, XI-XII, XVI, Firenze 1968, ad indices; G. Richa, Notizie storiche delle chiese fiorentine…, IX, 1, Firenze 1761, pp. 297-300; R. Ridolfi, L'Archivio della famiglia Guicciardini, in La Bibliofilia, XXXI (1929), pp. 295-309; A. De Rubertis, La congiura spagnola contro Venezia nel 1618, secondo i documenti dell'Archivio di Stato di Firenze, in Arch. stor. italiano, CV (1947), pp. 28 s.; M. Del Piazzo, Gli ambasciatori toscani del principato (1537-1737), Roma 1953, pp. 16 s., 144; V. Spreti, Enc. storico-nobiliare italiana, III, p. 632.