FORNASETTI, Piero
Nacque a Milano il 10 nov. 1913 da Pietro, industriale manifatturiero, e da Marta Munch. I genitori l'avrebbero voluto avviare agli studi di ragioneria per fargli proseguire l'attività paterna, ma una precoce attitudine al disegno lo condusse ad iscriversi al liceo artistico dell'Accademia di Brera. Frequentò per due anni scolastici, dal 1930 al 1932, e subito dopo si iscrisse alla scuola serale dello stesso istituto; i suoi professori (tra cui C. Zocchi, A. Maiocchi e C. De Amicis) vi insegnavano la pittura del ritorno all'ordine, rigidamente novecentista, contraria ai residui della scapigliatura, del liberty e dell'eclettismo storicista. Seguì quindi i corsi speciali di arte applicata e di pittura al Castello Sforzesco; suo maestro fu G. Usellini, che praticava una pittura metafisica, neoquattrocentesca, fortemente ironica e antiretorica.
Un disegno di esame del 1937 (Mauriès, 1991, ripr. p. 17), controfirmato dall'Usellini, fa capire quanto l'influenza di quest'ultimo sia stata decisiva per la formazione del F., che ebbe l'opportunità di incontrare anche C. Carrà, M. Sironi e A. Soffici, allora già maestri riconosciuti del Novecento.
Nel 1933 il F. partecipò ad una mostra di studenti universitari allestita a Milano, nel palazzo dei Sindacati, e nello stesso anno, nell'ambito dei concorsi indetti dalla Triennale di Milano, presentò alcuni foulards stampati, che, rifiutati perché considerati troppo moderni, dimostrano come fosse impegnato nell'elaborazione di quei procedimenti di stampa che perfezionerà in seguito e che saranno la chiave del suo successo. Nel 1936 prese parte alla VI Triennale di Milano con una stele in bronzo commemorativa della campagna d'Abissinia (La partenza del soldato) e con un fregio in ceramica (Presepe): in queste opere, entrambe andate distrutte (Mauriès, 1991, ripr. p. 42), si nota la stretta osservanza dello stile novecentista in un misto di primitivismo e neoclassicismo, un passaggio dovuto, omaggio ai suoi maestri e allo stile della sua epoca.
Da quel momento il F. elaborò il suo stile originale coniugando l'invenzione fantastica e l'invenzione tecnica. Uno stile eclettico e gioioso che utilizza tutti i filoni della cultura artistica sua contemporanea e li mescola con disinvolta trasgressività: surrealismo, metafisica, ritorno all'ordine, classicismo, primitivismo e razionalismo. Lo "stile Fornasetti" nacque anche grazie alle collezioni di oggetti che l'artista accumulò nella sua casa: negli anni Cinquanta si contavano già circa 7.000 pezzi, tra cui carte geografiche, cataloghi, militaria, album di sarte e sellai, nastri, pizzi, insegne di osterie, scatole di fiammiferi, vetri, francobolli, carte da gioco, giochi.
Nel 1938 si aggiudicò il premio Margherita Sarfatti, indetto dalla Cassa di risparmio delle province lombarde per incoraggiare giovani artisti; grazie al denaro vinto intraprese un viaggio attraverso l'Italia meridionale e l'Africa mediterranea, cercando ispirazione dalla natura e dalle forme dell'artigianato popolare.
Dal 1939, e sino agli anni Sessanta, le opere del F. trovarono spazio e recensioni sulle pagine della rivista Domus, diretta da G. Ponti, per la quale disegnò diverse copertine negli anni 1939-40. Ebbe così inizio l'intensa collaborazione tra il F. e il Ponti: li univa la passione per le arti applicate che consideravano alla stessa stregua della pittura e della scultura; entrambi avevano a cuore e ricercavano l'italianità, intesa come "stile italiano" piuttosto che come adesione alla cultura fascista del regime. Con la VII Triennale di Milano del 1940 il F. si impose con il suo gusto, il suo stile e le sue idee: espose fazzoletti, disegni per ricami e per vasi in vetro, eseguiti dalla ditta Salir di Murano, piani in marmo e in scagliola intarsiati e un armadio disegnato da Ponti, rivestito con materiale da lui stampato e decorato, destinato ad essere il capostipite di una lunga serie di mobili realizzati a quattro mani.
A partire da questo anno iniziò a realizzare libri in proprio, per la maggior parte edizioni limitate, che spediva ad amici e clienti (nel 1940 e nel 1941, ad esempio, pubblicò i volumi All'insegna delle dodici mani e 12 mesi, 12 volti, con scritti e poesie di P. Gadda Conti e nel 1942 il Lunario del sole con testo del pittore F. Clerici). Nel 1942 partecipò, sotto la direzione del Ponti, alla ristrutturazione dell'università di Padova, nell'antico Palazzo Bo, e affrescò la galleria del Rettorato, utilizzando le antiche piante delle città italiane; l'opera, interrotta a causa degli eventi bellici, fu ultimata nel 1956.
Chiamato alle armi, svolse il servizio sempre a Milano fino a quando fu catturato dai Tedeschi e incarcerato. Nel 1945 riuscì a fuggire in Svizzera e a Ginevra, nello stesso anno, disegnò il manifesto, le locandine e il programma della tragedia di A. Camus Caligula, messa in scena da G. Strehler.
Alla Triennale milanese del 1947 espose 24 piatti, con semplici disegni in bianco, nero e oro; il successo fu tale che il F. iniziò a stampare e produrre in proprio oggetti di porcellana (le sue ceramiche sono solitamente firmate e possono recare il nome delle serie, alcune volte anche un numero progressivo). Nello stesso periodo iniziò la produzione di paraventi che, con i piatti e i vassoi stampati, gli procureranno una fama internazionale.
Nell'atmosfera libera e piena di speranze del dopoguerra la creatività del F. esplose in una miriade di invenzioni e di idee. Egli perfezionò un metodo originale che gli consentì di stampare i suoi disegni, per lo più in bianco e nero, su qualsiasi materiale, dalla ceramica al legno, dal metallo al vetro. Gli anni della ricostruzione furono caratterizzati dal lavoro in comune di diversi artisti e videro nascere a Milano ambienti pensati e decorati a più mani, molto spesso oggi noti solo attraverso riproduzioni fotografiche.
Per il cinema Arlecchino, degli architetti R. Menghi e M. Righini, aperto nel marzo del 1948 (Domus, 1948, n. 231, pp. 18-21), L. Fontana realizzò i fregi in ceramica e l'illuminazione mentre il F. eseguì i pannelli stampati con scene di vita di Arlecchino; l'albergo Duomo, inaugurato nel 1950 e realizzato dagli architetti M. Bega e A. Avati (ibid., 1950, n. 250, p. 2), fu ideato insieme a un gruppo di artisti quali F. Melotti e L. Minguzzi, il ceramista P. Melandri e il F.; per il transatlantico "Conte Grande", del 1949 (ibid., 1950, n. 244, pp. 14-20), G. Ponti e N. Zoncada progettarono l'arredamento delle sale da pranzo, sale di scrittura, il bar e le gallerie, con decorazioni e opere di artisti e artisti-artigiani, tra i massimi di quel periodo: oltre al F., a Melotti e a Fontana, E. Altara, P. Venini, Leoncillo, G. Gambone.
Si situa nei primi anni Cinquanta il momento aureo della collaborazione tra Ponti e Fornasetti. I trumeauxArchitettura, alti e stretti, decorati in bianco e nero con prospettive architettoniche (alcuni esemplari sono conservati al Victoria and Albert Museum di Londra), vennero presentati alla Triennale di Milano del 1951 insieme con una camera da letto in giallo e nero, con stampe astratte su stoffe e su pareti che esaltano la linea già aerodinamica dei mobili. È del 1950 l'arredo del negozio Dulciora a Milano e del casinò di Sanremo, con il tema delle carte da gioco sulle stoffe, sulle pareti, sui soffitti e sulle poltrone in flexan (materiale plastico) disegnate dal Ponti. Anche l'arredamento degli uffici Vembi-Burroughs a Torino e a Genova venne decorato con motivi di penne, matite, fogli e calcolatori stampati sulle allora nuovissime materie plastiche. La casa Lucano a Milano (1951) è il lavoro dove lo stile dei due artisti è più intrecciato: l'uno si riflette nell'altro in un interrotta specchiatura di prospettive e di illusioni ottiche. Mobili disegnati dal Ponti e decorati dal F. arredavano anche gli appartamenti di prima classe del transatlantico "Andrea Doria" (1953).
Sul finire degli anni Cinquanta, concluso il sodalizio con il Ponti, il F. si dedicò al suo nuovo negozio in via Bigli, n. 24 (dal 1961 trasferito in via Manzoni e quindi, dal 1973, in via Brera). Nella sua abitazione di via Bazzini, n. 14, che fungeva anche da laboratorio e stamperia, e in un altro laboratorio esclusivamente per la ceramica, realizzò ogni tipo di oggetti decorati con motivi che divennero caratteristici della sua produzione: ad esempio i giornali, le mani, il sole, un viso femminile ottocentesco, Arlecchino, le maschere italiane, le carte da gioco. Colto e raffinato, il F., protagonista della vita mondana e culturale milanese, riassunse in sé la figura dell'artista, designer, artigiano, stampatore, imprenditore e operatore commerciale. Nel corso degli anni Sessanta incontrò sempre meno il favore del pubblico: il nuovo design italiano richiedeva ampi spazi vuoti e la nuova moda fece scivolare l'ossessione decorativa del F. verso il cattivo gusto. Negli anni Settanta chiuse il laboratorio e inizò a lavorare per la galleria dei Bibliofili, di via Morone, n. 8, fondata con alcuni amici.
Nel 1980 si aprì a Londra il negozio "Tema e variazioni", titolo di una sua famosa serie di oggetti. Nel mercato antiquario e nelle aste cominciarono a essere valutati i suoi mobili degli anni Cinquanta (Finarte, Milano, 7 maggio 1984, catal., p. 24; Sotheby's, New York, 17 maggio 1985, catal., nn. 520-524; Finarte, Milano, 12 maggio 1988, catal., p. 111). Da questo momento il suo lavoro, ormai storicizzato, venne compreso all'interno del design del Novecento.
Il F. morì a Milano il 9 ott. 1988.
Fonti e Bibl.: G. Pagano, Arte decorativa italiana, Milano 1938, pp. 56, 118 s.; Nello studio di F., in Stile, febbraio 1941, pp. 52-55; F. Buzzi Ceriani - V. Gregotti, Contributo alla storia delle Triennali, in Casabella Continuità, 1957, n. 216, pp. 7-12; P. F. (catal.), a cura di W. Weissbrodt, Karlsruhe 1962; Milano 70/70 (catal.), Milano 1971, II, p. 159; Arti applicate in Italia. 1930-1950 (catal., Galleria Milano), Milano 1974, pp. 8, 17 s.; P. Frattani - R. Badas, 50 anni di arte decorativa e artigianato in Italia. L'E.N.A.P.I dal 1925 al 1975, Roma 1976, p. 265; Il design italiano degli anni '50 (catal.), Milano 1981, pp. 110 s.; S. Wassermann, Intervista: P. F., in The Journal of decorative and propaganda arts, 1987, n. 3, pp. 108-119; G. Ponti - L. Scardino, in FMR, 1987, n. 56, pp. 89-103; P. F., memorie e illusioni (catal., Nuova Galleria del teatro), a cura di C. Del Monte, Parma 1989; F. (catal.), a cura di M. Silvera, Como 1991; The New Look design in the Fifties (catal.), a cura di L. Jackson, London 1991, pp. 95-112, 126, 144; P. Mauriès, F. designer of dreams, London 1991 (con bibl.); Tesori d'arte delle banche lombarde, Milano 1995, p. 404; Dict. internat. des arts appliqués et du design, Paris 1996, p. 215.