DALLAMANO, Piero
Figlio di Ettore e di Matilde Bertolini, nacque a Mantova il 3 giugno 1911. Particolarmente versato negli studi letterari, cui si applicò seriamente fin dall'adolescenza, poté ben presto porre le basi di una notevole cultura umanistica che caratterizzò la sua futura attività di critico letterario e musicale, sollecitato anche dall'ambiente familiare aperto alle più varie manifestazioni del pensiero umano. Dopo aver studiato privatamente violino e pianoforte, terminò gli studi liceali a Modena; sollecitato a seguire la tradizione di famiglia - il padre e il nonno erano notai -, si laureò in giurisprudenza. Ma poi, proprio per evitare una professione che non gli era congeniale, si laureò in lettere a Bologna ed intraprese la carriera di insegnante presso il liceo classico "Virgilio" di Mantova.
Dopo aver partecipato alla Resistenza, nella primavera del 1945 entrò a far parte, per conto del Comitato di liberazione nazionale, della direzione di Mantova libera, insieme con Vittorio Chesi, Bruno Vivenza, Emilio Faccioli e Guglielmo Magnani. Nel 1946, abbandonato l'insegnamento per dedicarsi esclusivamente al giornalismo, divenne vicedirettore, e successivamente direttore fino al 1948, della Gazzetta di Mantova. Fu uno dei firmatari dell'atto costitutivo della C.I.T.E.M., la cooperativa editoriale che ereditò la Gazzetta di Mantova. Trasferitosi a Roma, partecipò alla nascita di Paese sera (15dic. 1949) come critico letterario prima e critico musicale poi. Su questo giornale fu uno dei realizzatori del "Supplemento libri", l'inserto settimanale del venerdì, sorto nel novembre 1960, al quale collaborò fino alla fine dei suoi giorni.
Dopo il collocamento in pensione continuò a reggere, come collaboratore, la rubrica di critica musicale. Morì in un incidente automobilistico avvenuto sulla superstrada Firenze-Siena, il 26 ag. 1979. Fu sepolto nella tomba di famiglia del cimitero di Borgo Angeli a Mantova.
Uomo di vasta e profonda cultura, il D. non limitò alla musica i suoi interessi. Provetto alpinista - era socio accademico del Club alpino italiano -, eccellente fotografo, ha lasciato numerose e notevoli testimonianze pittoriche, campo in cui era abilissimo nelle incisioni (acqueforti e acquetinte).
L'ecletticità e la serietà del suo sapere, la semplicità e la sincerità dei modi lo portarono a frequentare l'"aristocrazia" della cultura: E. Morante, A. Moravia, E. Montale, C. Zavattini, M. Bellonci, F. Ruberti, F. Bolognesi, G. Petrassi, R. Vlad, M. Bortolotto, G. Lanza Tomasi, L. Dallapiccola, erano tutti suoi amici personali. La larghezza dei suoi interessi e la sua eccezionale voracità di lettore sempre curioso, si accompagnavano d'altronde ad una sorta di pigrizia che gli vietò di intraprendere lavori di più ampio respiro che non fossero recensioni o servizi giornalistici. In realtà volle sempre essere libero nel suo lavoro, essendogli estranea se non fastidiosa l'idea di accettare impegni programmati. Per questo rifiutò anche inviti allettanti, che sicuramente lo avrebbero portato a risultati cospicui, anche di natura economica; volle costantemente essere fedele a se stesso e al suo concetto di uomo libero nel senso più completo. Questa sua libertà riversava nella sincerità dei suoi giudizi, apprezzati ma anche da tutti temuti. "Del critico non aveva la pretesa di dettare le leggi, di fissare i confini, di assegnare i premi e le punizioni. Alla musica e al teatro musicale si accostava con la stessa freschezza con cui si accostava alla vita, con l'intuito sicuro... che permette di distinguere l'evento vitale da quello nato morto" (B. Cagli, in Paese sera, 27ag. 1979).
Il giudizio critico del D., al di là della scontata preparazione e serietà professionale, acquistava importanza perché nasceva spontaneo e tale restava in sede di stampa. Sono rimaste famose nell'ambiente alcune sue taglienti recensioni. A proposito della prima di un lavoro di un giovane compositore, così terminava: "Gli spettatori, liberati dalla noia, tornarono a sorridere". Con la sua spontaneità e la caratteristica "bonaria ironia" riusciva in maniera quasi unica, attraverso immagini rapide e semplicissime, a rappresentare l'impressione determinata da un brano o da un avvenimento musicale. La sua critica, frutto della sua onestà intellettuale, fu immune dalle deviazioni apportate dalle mode, dai dogmatismi, dalle ideologie. Non fu mai uomo di corte: i suoi giudizi contavano perché erano integri e sinceri. La sua scrittura impeccabile, pronta, elegante, gli permetteva di preparare sempre un testo limpido, armonioso e persuasivo.
La sua sensibilità alla musica era di altissimo livello e il disinteresse per il fattore tecnico era solo apparente: la sua preparazione musicale era tale che alcuni musicisti sottoponevano al suo giudizio le loro partiture prima di pubblicarle. "Dallamano entrava nella sala da concerto con un bagaglio umano e culturale di primissimo piano che sposava poi alla conoscenza dei repertorio musicale. La sensibilità per il fatto teatrale era in lui semplicemente prodigiosa. La reattività era quella dei melomane, la categoria a cui appartennero i grandi scrittori di cose musicali, da Stendhal in giù. Per questo raggiungeva il vertice anche dal lato opposto, quando si trattava di colpire i sottoprodotti del mercatello culturale e fustigare, con la dovuta ironia, i tentativi di gabbare lo spettatore" (B. Cagli, in Paese sera, 28ag. 1979).
Fonti e Bibl.: Necrologi, in Gazz. di Mantova, 28 e 29 ag. 1979; Paese sera, 27 ag. 1979; Nuova Riv. musicale ital., XIV (1980), 1, pp. 149 s.; testimonianze di B. Cagli, G. Corsini in Paese sera, 27 ag. 1979; interventi di G. Corsini, I. Calvino, F. Coen, B. Cagli, V. Pratolini, ibid., 28 ag. 1979; A. Chiesa, ibid., 31ag. 1979; D. Del Giudice, ibid., 26 ag. 1980.