CHIARA, Piero
Nacque il 23 marzo 1913 a Luino, sulla sponda lombarda del Lago Maggiore. Figlio unico di Eugenio, doganiere, nato nel 1867 a Resuttano, nel cuore della Sicilia, e di Virginia Maffei, originaria del Vergante, che a Luino gestiva con il fratello Pietro un negozio di cesti e ombrelli, venne battezzato Pierino Angelo Carmelo.
Trascorse l’infanzia in una casa situata nei pressi del porto di Luino. In ambito scolastico manifestò presto gravi difficoltà, che in terza elementare si tradussero in una bocciatura, dovuta all’abitudine di evadere l’obbligo per bighellonare in campagna, sulle rive del lago o tra i banchi dell’animato mercato locale. L’anno successivo ottenne la promozione a patto che si ritirasse dalla scuola pubblica. Nell’autunno del 1923 entrò dunque nel severo collegio salesiano S. Luigi di Intra, dove resistette sino alla quinta, quando i genitori lo trasferirono al collegio De Filippi di Arona. Di nuovo respinto in seconda ginnasio, si impiegò come apprendista nella bottega di un fotografo luinese. Fallito quest’ultimo, si iscrisse all’istituto Omar di Novara, per diplomarsi perito meccanico. Abbandonò tuttavia il proposito e fece ritorno al paese natale, dove preparò da privatista gli esami per la licenza complementare, che ottenne nel giugno 1929. Maturava intanto un’avida passione per la letteratura, che lo portava ad alternare le biblioteche alle palestre, dove praticava pugilato e lotta per tonificare il fisico minuto.
Dopo aver soggiornato a Roma e a Napoli, ancora minorenne decise di emigrare in Francia. Abitò a Nizza e poi a Parigi, esercitando svariati mestieri. Rientrato nel 1931 a Luino, fu esentato dal servizio militare a causa della forte miopia. Si diede a una vita scioperata, fra carte e biliardo, con lunghi soggiorni a Milano, dove – oltre ai caffè – era solito frequentare le sale di lettura dell’Ambrosiana e di Brera.
Vinto un concorso nell’amministrazione della Giustizia per un posto di aiutante di cancelleria, nell’ottobre 1932 venne assegnato alla pretura di Pontebba; subito spostato ad Aidùssina, al confine iugoslavo, vi trascorse un duro inverno. Nell’aprile 1933 fu trasferito a Cividale del Friuli, dove trovò un ambiente stimolante, che lo spinse a ragionare criticamente sui precetti fascisti assimilati in precedenza. Sorpreso in piacevole compagnia sul luogo di lavoro, se la cavò con un periodo di aspettativa per motivi di salute, cui fece seguito nella primavera del 1934 la destinazione alla pretura di Varese.
In questa fase irrobustì con l’entusiasmo dell’autodidatta la sua preparazione culturale. Lesse Charles Baudelaire, Paul Verlaine, Arthur Rimbaud, i romanzieri francesi e russi dell’Ottocento, ma anche Boccaccio e il Lazarillo de Tormes. Favorito dal tempo libero a disposizione, avviò qualche collaborazione con periodici locali, scrivendo soprattutto di arte.
Collezionò intanto avventure sentimentali, fino a che si invaghì, corrisposto, della giovanissima Jula Scherb, figlia di un illustre medico zurighese. La coppia regolarizzò la propria unione il 20 ottobre 1936 nella basilica di S. Ambrogio, a Milano, e si stabilì a Varese. Presto montò un crescendo di incomprensioni reciproche, che neppure la nascita del figlio Marco, nel luglio 1937, riuscì a interrompere. Chiara auspicava un radicale cambiamento di vita, che parve prender forma nell’estate del 1939, quando – ottenuto un visto per la Bolivia – si apprestò alla partenza per il Sudamerica. Ma lo scoppio della guerra lo costrinse a rinunciare al viaggio.
Nell’aprile 1940 venne richiamato alle armi e comandato al 67° fanteria, di stanza a Como. Qui abbozzò la prima prova narrativa di un certo respiro: Monte Solitario, un racconto fiabesco sulle peripezie di due fratellini orfani (pubbl. Verbania 2006). Assegnato come scritturale al distretto di Varese, ai primi di agosto fu congedato e poté tornare in cancelleria. Vicino ad ambienti antifascisti, venne accusato d’essere un 'mormoratore', deferito alla commissione per il confino ed espulso dal Partito nazionale fascista. Ebbe la sua rivincita il 26 luglio 1943, quando staccò dai muri del tribunale di Varese i ritratti del duce e li radunò nella gabbia degli imputati, esponendoli al ludibrio.
Dopo l’8 settembre a trattenerlo dall’espatrio agì il timore di lasciare soli gli anziani genitori. Dovette tuttavia risolversi nell’inverno, quando il tribunale speciale provinciale fascista spiccò un mandato di cattura nei suoi confronti. Il 23 gennaio 1944 passò il confine nei pressi di Luino e iniziò un lungo pellegrinaggio nei campi di raccolta elvetici. Nel frattempo fu condannato in contumacia a 15 anni di reclusione e all’interdizione dai pubblici uffici. Da Büsserach, nel cantone di Solothurn, venne inviato a Tramelan, nel Giura bernese, e di qui – accusato di aver fomentato un ammutinamento – finì al campo disciplinare di Crête-Longue, nel Vallese, accanto a disertori e delinquenti comuni. Rimesso in libertà nell’agosto, fu destinato alle mansioni di bibliotecario nel Canton Ticino, dove collaborò con lo spionaggio americano.
Nel febbraio 1945 l’istituto Montana di Zugerberg lo chiamò alla cattedra di italiano, storia e filosofia grazie a Giancarlo Vigorelli, che lo segnalò inoltre a don Felice Menghini, sacerdote ed editore poschiavino. A lui Chiara affidò Incantavi, una plaquette poetica andata in stampa il fatidico 25 aprile 1945.
Rientrato in Italia il 23 luglio, nell’immediato dopoguerra tentò numerosi traffici, spostandosi lungo la penisola in cerca di compravendite vantaggiose. A Varese, insieme con il gruppo riunito attorno alla libreria Il Portico (ne fecero parte tra gli altri Dante Isella, Guido Morselli, d’Arco Silvio Avalle), organizzò importanti mostre di scultura all’aperto presso la Villa Mirabello. Attivo come mercante d’arte, nel ramo incisioni, instaurò uno stretto sodalizio con l’artista pisano Giuseppe Viviani, di cui nel 1953 predispose una mostra al Kunsthaus di Zurigo. Nel 1956 fu tra i fautori del progetto Arcumeggia, grazie al quale i muri del borgo vennero decorati da Aligi Sassu, Giuseppe Migneco, Achille Funi e altri pittori di vaglia.
L’ecletticità della preparazione, insieme con un’inconsueta abilità nel porgere, faceva di lui un conferenziere coinvolgente e richiesto. Naturale fu l’approdo ai microfoni della Radio svizzera italiana. Giornalista pubblicista, collaborò con La Prealpina, Stagione, Costellazione, Ausonia e vari periodici di matrice cattolica, tra cui L’Italia. Alle edizioni del Giornale del popolo, dove teneva una rubrica di recensioni a firma Carapace, destinò un volumetto composto da nove prose incentrate sul periodo dell’internamento (Itinerario svizzero, prefaz. di F. Chiesa, Lugano 1950). Poco dopo, dall’amicizia con Luciano Erba nacque l’idea di un’antologia in cui selezionare il meglio della giovane poesia italiana: allestita sotto la regia di Luciano Anceschi, Quarta generazione vide la luce nel 1954 nelle edizioni Magenta di Varese.
Allontanatosi dalla fede, intensificò la militanza nel Partito liberale italiano; faceva inoltre parte di una loggia massonica. Alla metà degli anni Cinquanta incontrò Mimma Buzzetti, con la quale intraprese una serena convivenza.
Ottenuto il pensionamento, decise di volgersi alla scrittura narrativa, raccogliendo in memoria della madre, da poco scomparsa, una serie di elzeviri e racconti pubblicati nel decennio precedente, così da regolare i conti con un periodo che sentiva ormai concluso (Dolore del tempo, Padova 1959).
Proseguì nel frattempo l’attività editoriale e giornalistica. In Svizzera avviò su Cenobio una rubrica di curiosità e aneddoti, «Il divano occidentale». In Italia agì come consulente di Vanni Scheiwiller e di Luciano Ferriani, per il quale diresse la «Collana dell’Alzabecco», riservata a rarità d’argomento galante, giocoso, ma anche drammatico, come i Sonetti funebri di Luis de Góngora.
Nel 1960 conseguì a Pisa il premio Rustichello, per un elzeviro dedicato a Viviani uscito nel Gazzettino sera. Nell’estate mandò reportage dalla Spagna al Giornale del popolo e a La Prealpina ma quell’anno fu dedicato soprattutto al lavoro intorno al romanzo che aveva deciso di comporre, su impulso di Vittorio Sereni. Una sera dell’inverno 1957-58, infatti, in occasione di una cena a Milano, aveva sfoderato storie di gioco e passioni vissute nella sua gioventù verbanese. Tra i presenti, incantati, si contava Sereni, amico di vecchia data anch’egli legatissimo a Luino, che gli chiese di mettere per iscritto quei racconti. Chiara lo fece, in una lettera che Sereni girò a Giambattista Vicari, affinché la pubblicasse sul Caffè, dove uscì nel numero del settembre 1958, seguita un anno più tardi da una seconda missiva. A partire da questi materiali Chiara compose Il piatto piange, che uscì a Milano nella primavera del 1962 nella collana del «Tornasole», appena avviata da Sereni insieme a Niccolò Gallo presso Mondadori, da allora editore di riferimento di Chiara. Il successo sorprendente del romanzo unì pubblico e critici, conquistati dall’abilità nel restituire abitudini e mentalità del Ventennio, colto dalla prospettiva defilata di un paese di confine, affacciato sul lago. Proprio a Luino però il romanzo venne focosamente discusso, e agli entusiasmi si mescolarono le proteste di quanti – a torto o a ragione – vi si riconobbero in una cattiva luce.
Iniziò una stagione di riconoscimenti appaganti: al premio Internazionale Silver Caffè, che una giuria presieduta da Giovanni Comisso aveva conferito al Piatto piange, seguì nel 1964 il premio Alpi Apuane, vinto dal secondo romanzo, La spartizione, pubblicato in primavera sempre nel «Tornasole». La narrazione dei curiosi rapporti tra Emerenziano Paronzini e le tre sorelle Tettamanzi entrò inoltre nella cinquina del Campiello e si guadagnò numerose ristampe. Nello stesso 1964 Chiara si aggiudicò il concorso indetto dall’Accademia del Ceppo di Pistoia, grazie a Il povero Turati. Un altro racconto, I ladri di Milano, accompagnato da sei acqueforti di Mario Marioni, uscì presso Bolaffio, dando inizio a una serie di opere condotte in collaborazione con artisti (si ricordi almeno Il povero Turati, con due acqueforti di Renato Guttuso, Verona 1966).
A consolidare la fama di Chiara come maestro della misura breve provvide «Mi fo coragio da me» (Milano 1963), una strenna stampata da Scheiwiller in cui riunì alcuni racconti ispirati dalla figura del padre, morto nel maggio a 96 anni. Nel 1961 aveva deciso di rivedere, dopo decenni, volti e luoghi della Sicilia che aveva conosciuto da ragazzo, nel corso di lunghi soggiorni estivi. Ne uscì un resoconto amaro, Con la faccia per terra (Firenze 1965), con cui vinse il premio Veillon. Nell'isola fece ritorno nel 1968 per documentare in una serie di articoli usciti su Epoca i danni del terremoto nel Belice e i ritardi nella ricostruzione.
In quel decennio la firma di Chiara comparve su numerose testate, tra cui la Gazzetta del popolo, Momento sera, Il Gazzettino, Il Giorno, Il Resto del Carlino, dove fu chiamato da Giovanni Spadolini, che nel 1969 lo volle al Corriere della sera. Sul quotidiano milanese Chiara si specializzò nell’arte dell’elzeviro, inviando a cadenza regolare divagazioni, bozzetti, recensioni, poi confluiti in 40 storie di Piero Chiara negli elzeviri del «Corriere» (Milano 1983) e in varie raccolte di raccolti, a cominciare da L’uovo al cianuro (ibid. 1969). Intanto completò la traduzione del Satiricon di Petronio, coadiuvato da Federico Roncoroni, da allora amico e collaboratore insostituibile.
Il terzo romanzo, Il Balordo, un grottesco conte philosophique, era uscito nella primavera del 1967 (ibid.), suscitando reazioni discordanti, compensate dalla vittoria al premio Bagutta e dal grande successo cui andò incontro Il piatto piange nel 1968, quando fu riproposto negli «Oscar».
Nella medesima sede stampò nel 1970 I giovedì della signora Giulia (ibid.), in corrispondenza con l’adattamento televisivo in onda sulla RAI. Spacciato come presceneggiatura, si trattava in realtà della revisione di un giallo a puntate pubblicato nel 1962 con lo pseudonimo di Nik Inghirami nel Corriere del Ticino. Sulle colonne del quotidiano svizzero Chiara tornò stabilmente alla fine del 1970, quando avviò una rubrica che ebbe duratura fortuna, «Sale & Tabacchi».
In quei mesi giunse nelle sale cinematografiche Venga a prendere il caffè... da noi, il film con Ugo Tognazzi che Alberto Lattuada aveva ricavato da La spartizione (Chiara ne trasse pure una riduzione per il teatro, Il Trigamo, scritta con Aldo Trionfo e portata in scena dalla compagnia Moriconi-Carraro). Il successo della pellicola favorì negli anni successivi il pullulare di trasposizioni, nelle quali sovente Chiara contribuiva alla sceneggiatura, cercando di evitare forzature in direzione triviale. Per parte sua, pose mano a una versione ironica e disinibita dei Promessi sposi, rimasta incompiuta.
Nel 1973 il nuovo romanzo, Il pretore di Cuvio (ibid.) venne sconfitto contro le previsioni al premio Strega. Balzò tuttavia ai vertici delle classifiche di vendita, come accadde a La stanza del Vescovo (ibid. 1976), premio Napoli. Chiara scrisse per Dino Risi soggetto e sceneggiatura del film tratto dal romanzo, interpretato da Ornella Muti e Ugo Tognazzi. Non trascurava nel frattempo il versante dei racconti: nel 1974 (anno in cui sposò Mimma nel municipio di Luino) raccolse tre pezzi lunghi in Sotto la Sua mano (ibid.); nel 1977 Le corna del diavolo (ibid.) valse a ribadire quanto il genere gli fosse congeniale.
Nello stesso 1977 mise insieme, per Mursia, nel Vero Casanova (ibid.) il meglio dei saggi sull’avventuriero veneziano, che gli avevano garantito l’ingresso nella Fondazione francese di Studi storici in Venezia e la nomina a ufficiale delle Palmes académiques. Alle opere di Casanova riservò inoltre numerose curatele: a cominciare da un’edizione della Storia della mia vita (ibid. 1964) fittamente postillata. Negli anni Settanta, tuttavia, le sue energie furono assorbite dalla figura di Gabriele D’Annunzio, intorno al quale condusse insieme a Roncoroni una minuziosa ricerca biografica, sfociata in unaVita di Gabriele D’Annunzio (ibid. 1978), che in pochi mesi vendette oltre 100.000 copie.
Ancora migliori furono gli esiti ottenuti dai romanzi coevi: Il cappotto di astrakan (ibid. 1978), di ambientazione parigina; Una spina nel cuore (ibid. 1979), che torna ai consueti scenari luinesi, ancora una volta senza concessioni all’idillio nostalgico; Vedrò Singapore? (ibid. 1981), teso a riformulare gli eventi vissuti ai confini orientali in gioventù.
Al principio degli anni Ottanta la popolarità di Chiara toccò l’apice. I suoi libri, tradotti in tutto il mondo, avevano venduto complessivamente oltre 4 milioni di copie. Tuttavia, al crescere del successo aveva corrisposto un affievolimento del consenso critico, fatta salva la stima di intellettuali del calibro di Leonardo Sciascia, Giuseppe Prezzolini, Carlo Bo, Mario Pomilio, Carlo Carena, Luigi Baldacci, che ne ammiravano le doti di narratore di costume. Nuove soddisfazioni gli vennero dal settore della narrativa per ragazzi: nelle Avventure di Pierino al mercato di Luino (ibid. 1980) dimostrò mano felice, confermata nella riscrittura di dieci novelle del Decameron (ibid. 1984). Riunì intanto ritratti, ricordi e racconti elvetici in Helvetia, salve! (Bellinzona 1981) e una manciata di nuovi racconti in Viva Migliavacca! (Milano 1982).
Tra il 1982 e il 1983 conseguì diversi riconoscimenti, tra cui il premio Boccaccio per la narrativa, la nomina a cavaliere di Gran Croce e una laurea honoris causa presso l’Università di Catania. Assiduo collaboratore del Corriere della sera, firmò inoltre volumi fotografici, edizioni d’arte, e numerosi articoli per il mensile Qui Touring, che diresse senza risparmiare strali alla speculazione edilizia. Nella primavera del 1984 venne nominato vicesegretario nazionale del Partito liberale. Contravvenendo alle sue abitudini accettò di candidarsi alle elezioni per il Parlamento europeo, ma senza successo.
Mentre licenziava un’inchiesta sulle vicende che avevano portato alle dimissioni il presidente della Repubblica Giovanni Leone (Una storia italiana. Il caso Leone, Milano 1985), gli venne diagnosticato un tumore, che lo costrinse a un’operazione rivelatasi inutile. Pur indebolito, riuscì a scrivere parte dei racconti del Capostazione di Casalino (ibid. 1986). Fu insignito a Milano con il premio Giannino, a Pescara con il Flaiano. Nell’autunno del 1986 rifinì l’ultimo romanzo, Saluti notturni dal Passo della Cisa, uscito postumo (ibid. 1987).
Morì a Varese il 31 dicembre 1986.
Tutti i romanzi e i racconti di Chiara sono raccolti nei «Meridiani», a cura di M. Novelli, I-II, Milano 2006-07. Postumi sono stati pubblicati, inoltre: Pierino non farne più! , Milano 1987; Gli anni e i giorni , Pordenone 1988; Di casa in casa, la vita. 30 racconti , Milano 1988; Sale & Tabacchi , ibid. 1989; Tre racconti , Mondovì 1989; I miei amici artisti , Varese 1994; I luoghi , Pordenone 1995; I bei cornuti d’antan e altri scritti del «Caffè», Luino 1996; I Promessi sposi di P. C., Milano 1996; Un bel viaggio, Cava de' Tirreni 1997; Monte Solitario, Verbania 2006; Proverbi erotici lombardi, Milano 2006; Il rispetto della legge e altri racconti, ibid. 2007; Il verde della tua veste e altri racconti , ibid. 2008; Quaderno di un tempo felice, Torino 2009; Il divano occidentale, Lugano 2011.
I più importanti fondi riguardanti Chiara sono conservati presso il Comune di Varese, il Comune di Luino, l’archivio privato di Federico Roncoroni (Como) e l’archivio della Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori (Milano).
Utile la cartella speciale fuori commercio approntata da Mondadori in occasione del settantesimo compleanno dello scrittore (Milano 1983); così come il catalogo P. C.: 1986-2006 (a cura di F. Boldrini Cattaneo et al., Germignaga 2006), dove confluiscono materiali esposti in due mostre organizzate rispettivamente dal Comune di Luino e dalla Biblioteca cantonale di Lugano in occasione del ventennale dalla scomparsa.
Preziose indicazioni biografiche si ricavano dai diari e dalla corrispondenza: Diario 1940, a cura di E. Ghidetti, in Nuova Antologia, 1981, n. 2139, pp. 25-43; Diario per Marco [1940-41], a cura di F. Roncoroni, Luino 1994; Diario svizzero (1944-1945) e altri scritti sull’internamento, a cura di T. Giudicetti Lovaldi, Bellinzona 2006; Come sarà l’inverno… [1986], introduz. di F. Roncoroni, in il Rondò, 1996, n. 8, pp. 11-19; P. Chiara - V. Sereni, Lettere (1946-1980), a cura di F. Roncoroni, Roma 1993; Il cammino degli anni e delle lettere, a cura di S. Contini, Verbania 2006 (in cui sono raccolti i carteggi tra C. e Sciascia, Spadolini, Comisso, Moretti, Gervaso, Sgorlon, Lajolo); A. Paganini, Lettere sul confine. Scrittori italiani e svizzeri in corrispondenza con Felice Menghini (1940-1947), Novara 2007, pp. 94-175. Si vedano, inoltre: D. Lajolo, Parole con P. C.: conversazione in una stanza chiusa, Milano 1984; P. C. per immagini, a cura di F. Roncoroni - M. Lodi, Roma 1990; F. Roncoroni, P. C.: la vita e le opere, Gavirate 2005; M. Novelli, Cronologia, in P. Chiara, Racconti, cit., pp. XLVII-XCII; Bibliografia, ibid., pp. 1731-1781.
L’interesse della critica nei confronti di C. è sensibilmente cresciuto in anni recenti, come si può notare scorrendo l’elenco delle monografie e delle raccolte di saggi: E. Ghidetti, Invito alla lettura di C., Milano 1977 (II ed., 1983); G. Tesio, P. C., Firenze 1982; W. Leparulo, P. C., saggista e narratore, Tallahasse 1996; G. Sala, P. C. e la sua sentenziosa affabulazione allegorico-picaresca, Poschiavo 1996; Per C., Atti del convegno…, a cura di L. Alfrè, Luino 1997; Dedicato a P. C., in Microprovincia, 1998, n. 36, pp. 1-129; I candidi amici. P. C. e il Grigioni italiano, a cura di T. Giudicetti Lovaldi - G. Sala, Locarno 2006; A P. C. nel ventennale della scomparsa, in il Rondò, 2007, n. 19, pp. 36-97; «Come il maiale». P. C. e il cinema, a cura di F. Roncoroni - M. Gervasini, Venezia 2008; S. Giannini, La musa sotto i portici. Caffè e provincia nella narrativa di P. C. e Lucio Mastronardi, Firenze 2008; P. C. tra esperienza e memoria, Atti della giornata di studi, Varese… 2006, a cura di F. Roncoroni - S. Contini, in Confini. Quaderni del Premio Chiara, 2008, n. 8, pp. 3-178. Altri interventi: M. Forti, Una narrativa in trasformazione, in Aut Aut, IX (1964), 83, pp. 71-77; S. Chiolo, La morale amara e grottesca di P. C., in Uomini e idee, X (1968), n. 13-14, pp. 85-90; G. Dossena, I luoghi letterari, Milano 1972, s. v. Berceto, Luino, Milano; G. Vigorelli, P. C., in Id., Nel sangue lombardo, Samedan 1975, pp. 120-127; R. Fedi, Favola e letteratura nella narrativa di P. C., in Italianistica, V (1976), 3, pp. 374-382; C. Carena, P. C. e il suo lago, Intra 1981; G. Carnazzi, P. C. da Luino a Singapore, in Pubblico 1982, a cura di V. Spinazzola, Milano 1982, pp. 37-55; M.S. Petruzzi, La provincia ambigua di C., in Il successo letterario, a cura di V. Spinazzola, Milano 1985, pp. 171-188; A. Vallone, Il romanzo impiegatizio e P. C., in Nuova Antologia, 1985, n. 2153, pp. 342-356; C. Donatelli Noble, P. C.: a writer not yet discovered in the new world, in World Literature Today, LX (1986), pp. 17-22; G. Lupinu, P. C. e il «Satyricon» di Petronio, in Sandalion, 1990, n. 12-13, pp. 245-260; E.G. Caserta, Aspetti e personaggi in «Saluti notturni dal Passo della Cisa» di P. C., in Rivista di studi italiani, XI (1993), 1, pp. 224-232; R. Castagnola, Un d’après Gadda: «I giovedì della signora Giulia» di P. C., in Cenobio, XLII (1993), 1, pp. 102-114; F. Lanza, P. C. dalla cronaca alla narrativa, in Studi in onore di Antonio Piromalli, a cura di T. Iermano - T. Scappaticci, III, Napoli 1994, pp. 465-477; V. Spinetti, Milano e il Lago Maggiore nella geografia privata di P. C., in Boll. della Soc. geografica italiana, s. 12, II (1997), 3, pp. 383-410; P. Marzano, Il male che coglie Napoli e altre note di onomastica letteraria, Pisa 2003 [ma 2005], pp. 37-105; S. Contini, P. C. e il libro d’artista, Varese 2004; S. Giannini, P. C. e la tradizione, in MLN, CXIX (2004), 1, pp. 174-192; P. Marzano, Il metodo dei racconti di P. C., in Tipologia della narrazione breve, Atti del convegno di studio…, Gardone Riviera… 2003, a cura di N. Merola - G. Rosa, Roma 2004, pp. 183-198; E. Tiozzo, La trama avventurosa nelle autobiografie italiane del Settecento, Roma 2004, pp. 241-286; N. Martirano - M. Gioseffi, Dal “Satyricon” di Fellini al «Satyricon» di P. C.: storia di una traduzione, in Federico Fellini, a cura di R. De Berti, Milano 2006, pp. 129-146; A. Paganini, P. C.: l’esordio e un’inedita amicizia nella «comune vocazione letteraria», in Id., Un’ora d’oro della letteratura italiana in Svizzera, Locarno 2006, pp. 129-146; M. Novelli, Visto da vicino nessuno è normale. Dossier P. C., in Letture, LXII (2007), n. 633, pp. 91-98; A. Brambilla, Genius loci. A proposito delle note finali nei romanzi «luinesi» di C., in Il Rondò, 2008, n. 20, pp. 17-24; D. De Maglie, Tra gioco e amore: l’esperienza di P. C. e alcuni riscontri novecenteschi, in Esperienze novecentesche in Italia, a cura di A. Geiger, Trento 2008, pp. 81-119; M. Novelli, P. C. elzevirista, in L’ora d’oro di Felice Menghini, Atti del convegno… 2007, a cura di A. Paganini, Poschiavo 2009, pp. 135-143; A. Mirabile, Ricordi figurativi ne «La stanza del Vescovo» di P. C., in MLN, CXXIV (2009), 1, pp. 254-268; G. Tesio, «I Promessi Sposi» tra parodia e rimaneggiamento. I casi di Guido da Verona e di P. C., in L’antimanzonismo, a cura di G. Oliva, Milano 2009, pp. 349-360; R. Martinoni, «Spützen», «Stittikon», «Kagenburren»… P. C. e la Svizzera, in Id., L’Italia in Svizzera, Venezia 2010, pp. 245-261; L. Spalanca, Niente di nuovo sul glauco Verbano. La guerra inutile di P. C., in Id., Il martire e il disertore, Lecce 2010, pp. 141-179; P. Montorfani, Introduz. a P. Chiara, Il divano occidentale, cit., pp. IX-XXII.
Un posto importante infine è occupato dalle introduzioni agli «Oscar Mondadori», firmate da M. Bonfantini (Il piatto piange, 1968); L. Baldacci (Il Balordo, 1972; L’uovo al cianuro, 1974); C. Bo (La spartizione, 1973); E. Ghidetti (Il pretore di Cuvio, 1976); G. Vigorelli (La stanza del Vescovo, 1977); G. Pampaloni (Con la faccia per terra, 1978); G. Ferrata (Le corna del diavolo, 1979); C. Marabini (Tre racconti, 1979); M. Forti (Il cappotto di astrakan, 1980); G. Tesio (Vedrò Singapore?, 1983; Il capostazione di Casalino, 1988; Saluti notturni dal Passo della Cisa, 1989; Di casa in casa, la vita, 1990; Sale & Tabacchi, 1991 [postfazione]); G. Amoroso (Viva Migliavacca!, 1984); M. Novelli(I giovedì della signora Giulia, 2008; Il Balordo, 2011).