CANIGIANI, Piero
Nacque intorno all'anno 1300 da Donato (Dato) di Andrea. Fu un noto esponente politico fiorentino di parte guelfa e del partito oligarchico, e uno dei principali bersagli della collera dei Ciompi nel 1378. Fu inoltre un noto mercante, amico di Giovanni Boccaccio, e un fervente sostenitore di s. Caterina da Siena. Il C. trascorse alcuni anni della sua giovinezza a Napoli dove era associato alla famiglia Acciaiuoli e dove fu per un certo tempo tesoriere di Caterina di Valois-Courtenay, l'imperatrice titolare di Costantinopoli. Fu in quel periodo, intorno al quarto decennio del secolo, che conobbe il Boccaccio, dal quale è rappresentato nella novella decima dell'ottava giornata del Decamerone come "l'uomo di grande intelletto e sottile ingegno" al quale Salabaetto si rivolge per consiglio ed aiuto dopo la sua disavventura in Sicilia. La stretta amicizia tra il Boccaccio e il C. è confermata inoltre da un accenno contenuto in una delle prime lettere in dialetto napoletano "e raccomandare, se te chiace, a nuostro compatre Pietro da Lucaniano, ca llu puòzziamo bedere alla buoglia suoia". L'amicizia tra i due continuò anche dopo il loro ritorno a Firenze, dove si stabilirono nella parrocchia di S. Felicita; infatti il C. fu uno degli esecutori testamentari del Boccaccio e tutore dei suoi eredi.
Il C. ritornò a Firenze verso il 1340 e immediatamente divenne uno dei capi della parte guelfa. Nel 1349 fece parte della commissione istituita per esaminare la condizione dei magnati e nel 1357 divenne per la prima volta priore. Nel 1358 si recò a Faenza presso il legato pontificio, il cardinale Egidio Albornoz, con l'incarico di giungere alla costituzione di una lega da opporre alle compagnie di ventura. Il C. rimase per tutta la sua vita un guelfo convinto, benché l'opinione pubblica fiorentina stesse ormai abbandonando l'idea di un'intesa con il pontefice. Nel 1360, ed ancora nel 1364, fu priore, e nel 1362 andò a Peccioli come podestà. Nel 1365 andò a Milano come oratore presso Bernabò Visconti, con l'incarico specifico di congratularsi con Ambrogio Visconti per avere assunto la direzione della Compagnia di S. Giorgio, e di convincerlo a non molestare il territorio fiorentino. L'anno seguente fu podestà di San Gimignano, e nel 1367 andò, per una seconda volta, come ambasciatore presso il card. Albornoz, questa volta per convincerlo a desistere dal distruggere Todi.
Benché il C. avesse ricoperto pochi incarichi pubblici, negli ultimi anni della sua vita continuò, tuttavia, ad essere ancora una figura di rilievo nel mondo politico fiorentino. Un'iscrizione su un pozzo a Colle Val d'Elsa attesta che egli fu capitano della città nel 1372, ma d'altra parte non abbiamo ulteriori prove di sue assenze da Firenze durante questo periodo. Il C. e i suoi figli, Ristoro e Barduccio, entrarono in stretta amicizia con s. Caterina da Siena durante la visita della santa a Firenze, e nel 1378 il C. raccoglieva denaro e materiale per costruire una casa per la santa ai piedi della costa di S. Giorgio. Intanto, durante il tumulto dei Ciompi nel giugno dello stesso anno, la sua proprietà divenne uno dei principali bersagli dell'animosità popolare. Oltre alle sue ben note tendenze guelfe e oligarchiche, ben altro suscitò il risentimento dei suoi concittadini: egli fu sospettato di manipolare le elezioni ai pubblici uffici, e la sua casa in S. Felicita fu bruciata dalle fondamenta. Si disse allora che egli avesse usato il materiale raccolto per la casa di s. Caterina per ricostruire la sua. Dal regime dei Ciompi fu privato del diritto di accedere alle cariche pubbliche e così si ritirò nei suoi possedimenti di San Felice ad Ema. Qui, nel 1379, il C. fu al centro di una congiura guelfa che si proponeva di rovesciare il nuovo regime, con l'aiuto di Carlo di Durazzo. Scoperta la cospirazione, il C. venne condannato a pagare un'ammenda di 2.000 fiorini ed inviato in esilio a Siena.
Morì a Serrazzano nell'agosto del 1381.
Il C. si era sposato almeno tre volte. La sua prima moglie, della quale non conosciamo il nome, morì non più tardi del 1350, e nel 1351 il C. si sposò con Sandra di Ristoro Carini; successivamente, nel 1370, si sposò con Maddalena di Ristoro Barducci. Ebbe sei figli tra i quali Barduccio, segretario di s. Caterina, e Luigi, che fu gonfaloniere di Giustizia nel 1399. Un altro figlio, Ristoro (morto nel 1380), partecipò abbastanza attivamente alla vita politica fiorentina, ma è ricordato principalmente come mediocre imitatore di Dante nel suo poema in terzine Il Ristorato. Nonostante fosse stato un attivo uomo d'affari nel periodo della sua giovinezza, membro delle arti di calimala e del cambio, non sembra che il C. fosse ricco. Fu uno dei mecenati dell'ospedale di S. Gherardo a Firenze, ma non vi sono prove che indichino una grande ricchezza.
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