BONSI, Piero
Figlio di Francesco e di Cristina Riari, nacque a Firenze il 15 aprile del 1631.
Il B. apparteneva a famiglia nobile (il padre era membro del Senato toscano) che aveva acquistato notevole influenza per i suoi rapporti di vecchia data con la corte francese, una concessione della quale riservava ai Bonsi, sin dal 1576, il vescovato di Béziers. Questa tradizione familiare ebbe un gran peso sulle fortune politiche ed ecclesiastiche del Bonsi. Recatosi assai giovane in Francia, chiamatovi dallo zio paterno Clemente, appunto con la prospettiva di affiancarlo e poi di succedergli nel vescovato di Béziers, le vie della politica e della diplomazia gli apparvero ben presto assai più congeniali che non quelle alle quali era destinato dalle tradizioni familiari. Dopo aver partecipato all'assemblea del clero del 1656, nel 1659 successe secondo le previsioni allo zio; ma già dal marzo 1656 i suoi compiti principali erano tutti politici, essendo stato designato ambasciatore del granduca di Toscana Ferdinando II presso la corte di Parigi. In questa qualità il B. prese parte nel 1659 alla conferenza franco-spagnola di Saint-Jean-de-Luz e di Fuentarrabia.
Di notevole interesse sono i dispacci che il B. inviò alla corte granducale da Parigi, nella fase immediatamente precedente le trattative, e poi dalle sedi delle discussioni diplomatiche. Da questa corrispondenza, custodita nell'Archivio di Stato di Firenze e studiata dal Cialdea, emerge nettamente il ruolo personale esercitato dal Mazzarino, con esclusione degli stessi ministri francesi, durante i primi contatti con gli Spagnoli. Il B. ebbe un ruolo del tutto secondario nelle trattative, così come richiedevano gli scarsissimi interessi della sua corte che si limitavano alla menzione tra gli Stati firmatari del trattato, per una mera questione di prestigio. Nonostante la modestia di questi compiti, il B. ottenne dal Mazzarino, a differenza degli altri diplomatici stranieri, di partecipare alla delegazione ai Pirenei, non in forma ufficiale, tuttavia, ma "come suo amico et servitore particolare senza che si sapesse che me l'havesse detto", come scriveva lui stesso al granduca (Cialdea, p. 266). Il che non impedì che il B. approfittasse per quanto poté della fortunata circostanza per guadagnare al proprio sovrano quel riconoscimento formale nella gerarchia degli Stati europei, al quale tanta importanza si attribuiva a Firenze.
Ma con la conclusione della pace dei Pirenei il B. era ormai decisamente inclinato a passare al servizio del Mazzarino: il cardinale infatti aveva potuto apprezzare l'istinto diplomatico, la tenacia, le sottili astuzie poste dal vescovo di Béziers al servizio del granduca e non era certamente uomo da lasciarsi sfuggire un valido collaboratore. Tuttavia il B. rimase ancora per due anni in una posizione ambigua tra il servizio toscano e quello francese. in virtù delle trattative tra le due corti per il matrimonio tra Cosimo de' Medici e la figlia di Gastone d'Orléans, del quale progetto egli già aveva sapientemente usato durante le trattative dei Pirenei per far propendere la corte francese a un più vantaggioso riconoscimento dell'importanza del granducato nei riguardi degli altri Stati minori. Così il B. fu incaricato di presentare a nome del granduca la domanda ufficiale di matrimonio alla corte francese e fu poi investito da questa del compito di accompagnare la principessa a Firenze.
Dopo questa missione il B. passò definitivamente al servizio francese e nonostante la morte del suo protettore Mazzarino, nel 1661, ottenne subito, con istruzioni datate 30 ag. 1662, l'importante carica di ambasciatore a Venezia.
La designazione del B. avveniva dopo due anni di vacanza all'ambasciata francese a Venezia, essendone partito nel settembre del 1660 l'arcivescovo d'Embrun Georges d'Aubusson de la Feuillade. Con essa Luigi XIV, agli inizi del proprio effettivo governo, mirava a stabilire un andamento più regolare alle relazioni con la Serenissima, nel quadro del nuovo impulso che egli pretendeva di dare alla politica estera francese. In realtà il B. non aveva compiti di maggior rilievo di quelli esercitati nei due anni di vacanza dal segretario dell'ambasciata Paolo Vedoa. Egli doveva rinnovare al Senato le assicurazioni di amicizia del sovrano e doveva ribadire l'intenzione francese di partecipare a una eventuale lega contro i Turchi. In particolare doveva informare la Repubblica della richiesta della corte di Parigi a quella di Roma di assegnare a Venezia il legato di 200.000 scudi lasciato dal cardinale Mazzarino per la lotta contro i Turchi, con la clausola che l'utilizzazione dovesse essere decisa dal pontefice. Le istruzioni raccomandavano anche al nuovo ambasciatore di stabilire assidui contatti con il rappresentante francese a Costantinopoli e di preoccuparsi di garantire, per quello che gli competeva, la regolarità del servizio di corrieri tra quella corte e Parigi. Aggiungevano particolari raccomandazioni sul cerimoniale cui il B. avrebbe dovuto attenersi nel suo passaggio alle corti di Torino, Mantova, Parma e Modena. Raccomandavano inoltre che, nell'eventualità di un passaggio per Venezia dell'arciduca Ferdinando Carlo d'Asburgo, il B. gli precisasse le modalità dei versamenti francesi in ottemperanza a quanto stabilito per la cessione dell'Alsazia dal trattato di Münster.
Il B. si attenne scrupolosamente e intelligentemente a queste istruzioni; del resto non gli si presentarono imprevisti e circostanze particolarmente impegnative. Cessò da questo incarico, evidentemente assolto con piena soddisfazione della corte francese, al principio del 1665, allorché fu incaricato di una ben più importante missione alla corte di Polonia.
Fu questa la sua più rilevante incombenza diplomatica, quella almeno in cui la situazione politica che si trovò ad affrontare gli permise di mettere maggiormente in evidenza le sue doti di diplomatico educato alla grande scuola del Mazzarino, la sua spregiudicatezza di fiorentino erede di una grande tradizione politica, la sua astuzia prelatizia e la capacità di elaborare grandi disegni che la potenza del suo governo ampiamente autorizzava. La stessa scelta del B. per la rappresentanza francese a Varsavia mostra in quanta considerazione si tenesse da Luigi XIV e dal Lionne il vescovo di Béziers: verso la Polonia si orientavano infatti in quel momento le mire più ambiziose della corte parigina, che si riassumevano nella pretesa di portare sul trono dei Vasa un principe francese, rinnovando le glorie del regno polacco di Enrico III.
L'ambizioso progetto, che secondo l'espressione di Luigi XIV avrebbe messo l'Impero "au même état d'être enclavé entre la France et la Pologne, comme nous l'étions auparavant entre ce meme Empire et l'Espagne" (Gasztowtt, p. 14), riposava sull'intenzione, più volte manifestata da Giovanni Casimiro Vasa, di abdicare e sul fatto che egli mancava di eredi diretti, e trovava particolare incoraggiamento nei disegni della regina, la principessa francese Maria Luisa di Gonzaga Nevers, la quale riteneva che con un successore francese, designato per di più con il proprio contributo, la sua influenza alla corte avrebbe potuto essere integralmente conservata. Le più grandi difficoltà a un simile progetto venivano da parte della nobiltà polacca, che vi vedeva un attentato alla propria autonomia e ai propri antichi privilegi: già nel 1661 e nel 1662 la dieta aveva respinto la proposta presentata da Giovanni Casimiro di designare un successore; ora poi, mentre il B. si accingeva a mettersi in viaggio verso la sua lontana sede sulla Vistola, l'ostilità dei magnati polacchi alla politica filofrancese dei sovrani era esplosa in aperta rivolta e andava sempre più polarizzandosi intorno al maggior suo rappresentante, Giorgio Lubomirski, il quale, deposto da Giovanni Casimiro dalla carica di gran maresciallo e condannato a morte, andava raccogliendo le forze per un'offensiva che restituisse alla nobiltà palatina tutta la sua determinante influenza sul trono. E, naturalmente, contro il progetto francese si schierava la corte imperiale, la quale da una parte presentava un proprio candidato alla successione polacca nel principe Carlo di Lorena, dall'altra era prodiga di promesse al Lubomirski. Né mancavano pretese da parte degli altri potenti vicini della Polonia, gli Svedesi e i Moscoviti, i quali proponevano rispettivamente alla successione il duca di Neuburg e lo zarevic Alessio.
Cionondimeno alla corte francese si era più che mai decisi a ottenere quanto ci si proponeva, senza badare alle enormi spese che l'attuazione del progetto prevedibilmente comportava. Al momento della designazione del B. il progetto, quale era stato accuratamente preparato dal Mazzarino e, dopo la morte di lui, nel 1661, ripreso e sviluppato da Luigi XIV e dal Lionne, prevedeva l'adozione da parte di Giovanni Casimiro - e conseguentemente la designazione alla successione - di Henri-Jules de Bourbon, duca d'Enghien, figlio del principe di Condé. Questa scelta aveva subito incontrato l'approvazione di Maria Luisa di Gonzaga-Nevers, la quale contava anche sulla giovane età del candidato per continuare a esercitare con lui quel ruolo dominante che le era stato consentito dai suoi due matrimoni con i re polacchi, Ladislao e Giovanni Casimiro. Quest'ultimo poi, completamente dominato dal tanto più forte temperamento della moglie, non aveva avanzato alcuna obiezione. La candidatura del duca d'Enghien si presentava infine con grande autorità per il sostegno che egli avrebbe ricevuto dal Condé, le cui relazioni con l'aristocrazia polacca e il cui prestigio militare sembravano tali da poter fronteggiare l'opposizione del Lubomirski.
Così il B., con le più ampie facoltà e promesse di aiuto per superare le resistenze, nel febbraio del 1665 lasciò l'ambasciata veneziana diretto, attraverso il Friuli e l'Austria, a Varsavia. Già durante il viaggio egli poté avere un primo saggio della complessità della situazione politica e militare polacca, e quindi delle difficoltà che gli sarebbe toccato affrontare: minacciosi spostamenti di truppe imperiali in prossimità dei confini polacchi, visibili successi del Lubomirski nel reclutamento di truppe, voci di massicci aiuti finanziari allo stesso feudatario ribelle da parte della corte di Vienna e dell'elettore di Brandeburgo, sempre maggior favore da parte della nobiltà polacca delle zone di frontiera verso i disegni del gran maresciallo.
L'attenzione dell'ambasciatore comincia ad accentrarsi su questo personaggio fondamentale della situazione, a valutarne la forza effettiva, la capacità di esprimere con la sua azione gli interessi di casta dei magnati. Così, attraversando la regione di Cracovia egli non tarda a rendersi conto con preoccupazione che la maggior parte della nobiltà ha già preso fermamente posizione per il maresciallo ribelle e contro la corte, anche se può cogliere qualche testimonianza che lo induce all'ottimismo: come quella dello starosta di Cracovia, il quale gli assicura che la maggior parte dei nobili della città "sont plus attachés au grand maréchal par peur que par amitié et qu'ils l'abbandoneraient aisément s'ils voyaient la cour plus fort et moins embarassée" (Gasztowtt, p. 18). Quanto al Lubomirski il B. concorda sin dal principio con il giudizio che di lui davano le istruzioni, come di un uomo "couvert et dissimulé", "superbe et naturellement malfaisant", che si guadagnava amicizie solo in virtù delle sue grandi ricchezze e mascherava una spropositata ambizione dietro gli astuti appelli alla "libertà polacca". Che era un modo di sottovalutare nettamente l'avversario, ignorando quelle che erano le sue forze principali: il sincero amore per la terra polacca da cui si sentiva ingiustamente scacciato, il grande prestigio militare acquistato nella lotta per l'integrità nazionale contro gli Svedesi invasori, il carattere cavalleresco e leale che faceva un singolare contrasto con i personaggi intriganti della corte. Queste qualità facevano del Lubomirski l'indiscusso campione della nobiltà contro i sovrani palesemente succubi dell'iniziativa politica e dell'oro stranieri: contro di esse finiranno per spuntarsi l'astuzia raffinata, la spregiudicatezza curialesca del diplomatico fiorentino.
Il B. giunge a Varsavia il 3 apr. 1665, quando i partigiani del Lubomirski hanno ormai imposto lo scioglimento della Dieta. La sua azione deve dunque rivolgersi subito alla corte, e soprattutto alla regina, così come prescrivevano le istruzioni. Ma i rapporti con Maria Luisa si rivelano subito assai complessi, per il carattere instabile della regina, per il suo incessante abbandonarsi ai più disparati progetti, per le sue incessanti richieste di denaro, per le sue imprevedibili iniziative che giungono sino ai contatti con il Lubornirski ad insaputa del Bonsi. E il vescovo di Béziers vede sin dal primo incontro che occorrerà presso di lei, così come presso il re ed i principali dignitari di corte, una instancabile opera di convinzione per arrivare a quella che appare al diplomatico fiorentino come l'unica soluzione possibile, dopo il fallimento dei tentativi della Dieta: il ricorso alla forza, la repressione violenta delle resistenze aristocratiche al progetto della successione francese.
Per piegare i sovrani e le numerose fazioni della corte ai suoi progetti, il B. deve mettere in opera tutta la forza di convinzione dei notevoli mezzi finanziari che il governo parigino gli mette a disposizione, tutta la sua raffinata arte dell'intrigo: così, per vincere le oscillazioni della regina, confortata dal parere degli astrologi di corte che prevedono un'annata favorevole al Lubomirski, deve convincere questi influenti personaggi a modificare quanto basti le loro opinioni scientifiche; così, per guadagnarsi i principali esponenti della corte non gli rimase che prodigarsi presso le loro mogli - soprattutto quella del Sobieski e quella del Pac. gran cancelliere di Lituania, ambedue francesi - con una assiduità che fa sorridere Luigi XIV e che lo stesso B. confessa più conveniente "à un ambassadeur qu'à un éveque" (Gasztowtt, pp. 23 s.). Con assai minori scrupoli egli coltivava invece il progetto di far assassinare da un sicario il Lubomirski: e prende accordi in proposito, attraverso il Grémonville, ambasciatore francese a Vienna, con un avventuriero ungherese, tale Visniodi, al quale promette 10.000 scudi.
Del resto il progetto del B., di arrivare all'elezione del successore dopo aver eliminato con la forza - poiché altri mezzi non appaiono efficaci - l'opposizione del Lubomirski, riposa troppo sull'ipotesi di un intervento francese al comando del Condé perché esso non debba provocare molte perplessità tra i ministri polacchi e notevoli difficoltà diplomatiche. E, d'altra parte, l'invio in Polonia di un forte contingente militare francese richiederebbe un accordo con una delle potenze confinanti che appare impossibile: con i Moscoviti, l'imperatore e l'elettore di Brandeburgo, i quali a nessun costo vorrebbero un principe francese sul trono polacco. L'ultima possibilità appare quella di un accordo con la Svezia, i cui buoni rapporti con la Francia sono tuttavia pressoché annullati dall'ostilità dei Polacchi, non dimentichi dell'ultima invasione. È tuttavia in quest'ultima direzione che il governo di Parigi e il B. dirigono tutti i loro sforzi. E nella fiducia di arrivare a una soluzione, il 24 apr. 1665 Luigi XIV autorizzava il B. ad assicurare i sovrani polacchi del prossimo invio di un corpo di quattromila uomini al comando del Condé.
Tuttavia, prima che queste assicurazioni potessero venir concretate, nel luglio di quel medesimo anno, le pressioni del B. decisero finalmente Giovanni Casimiro, a entrare in campagna contro il Lubornirski. Circondato da un nugolo di agenti francesi, il re sembra finalmente animato da una volontà decisa e il B. può prevedere un risultato rapido e fortunato. Ma egli fa troppo affidamento sull'efficienza dell'esercito regio: "un désordre incroyable régne dans l'armée royale", deve scrivere nell'agosto (Gasztowtt, p. 34). Il Sobieski non riesce a far prevalere sugli altri capi militari la proposta di un attacco immediato all'esercito del Lubomirski: così la campagna si conduce con incredibili esitazioni, con interminabili marce di avvicinamento all'esercito confederato che esauriscono i regi e non si concludono mai in un attacco decisivo. Fino a che a Częstochowa, il 4 settembre, il Lubornirski riesce a sorprendere e distruggere un forte contingente di truppe regie separato dal grosso. Dopo di che la campagna di fatto s'interrompe e le trattative tra i confederati e la corte riprendono nelle peggiori condizioni per quest'ultima. È proprio all'energia dell'ambasciatore francese e all'influenza che è riuscito a guadagnarsi su Giovanni Casimiro che i regi debbono se la campagna non si risolve con un disastro, ma con un compromesso onorevole. Mentre infatti si trascinano per mesi a Rava le trattative tra, la corte e i rappresentanti dei confederati, il Lubomirski recluta nuovi contingenti militari nella Grande Polonia, i palatinati di Posnania e di Kalisz insorgono in favore del gran maresciallo e quelli di Cracovia, Siefadz e Sandomir si preparano a schierarsi anch'essi contro Giovanni Casimiro. Il B. riesce allora a indurre il re a uno dei suoi rari momenti di fermezza e di audacia: l'esercito regio marcia contro il Lubomirski e si prepara a uno scontro decisivo. È allora il Lubomirski a ricercare il compromesso e la campagna si conclude con la pace di Paczin il 13 nov. 1665, che garantisce al capo dei confederati la restituzione dei titoli e dei beni a patto che rinunzi alle sue vecchie cariche, attribuite già quasi tutte al Sobieski, ed esca dalla Polonia.
Così il B. può riprendere a tessere la tela del progetto di successione, in vista della nuova Dieta della nobiltà polacca prevista per il marzo dell'anno successivo. Il progetto di intervento del Condé con un forte contingente di fanteria francese e di cavalleria svedese, con il quale ottenere l'intento quale che fosse l'atteggiamento della Dieta, occupa l'attività del B., anche se egli non dimentica di rafforzare il partito francese ricercando le adesioni dei principali magnati.
Improvvisamente la situazione ha un brusco capovolgimento: la Svezia rifiuta di collaborare all'operazione dell'elezione, rifiuta ogni soccorso alla spedizione del Condé e sancisce il proprio deciso allontanamento dalla politica francese alleandosi con l'Inghilterra nella guerra navale contro l'Olanda. Cade così uno dei presupposti essenziali del programma francese e con la stessa decisione con cui è intervenuto nella questione Luigi XIV è pronto a ritirarsene, ignorando le proteste della regina e degli altri esponenti della fazione francese alla corte polacca, compreso lo stesso B., che, ritenendo esaurita la sua missione, chiede di essere richiamato. Ma non viene accontentato ed è costretto ad assistere alla naturale ripresa del partito del Lubomirski. Nel maggio questi ispira la interruzione della Dieta, dopo aver per l'ennesima volta rifiutato le offerte concilianti di Giovanni Casimiro. Ed è di nuovo la guerra. Tutto quello che il B. riesce ad ottenere da Parigi è l'impegno al finanziamento di una campagna di tre mesi. E questa si conclude, nonostante la superiorità numerica dell'armata regia, ancora con una sconfitta, a Montwy, il 1º luglio 1666, che apre ai confederati la via di Varsavia. Si impone una nuova trattativa, che si conclude con la pace di Legonice, il 31 luglio. Giovanni Casimiro è costretto a promettere, contro i piani del partito filofrancese, "la liberté de l'élection future et le maintien des lois et usages de la Pologne" (Gasztowtt, pp. 46 s.).
Superato il breve periodo di scoraggiamento provocato dalla brusca svolta nella politica polacca di Luigi XIV, il B. non si lascia sfuggire le nuove possibilità che la situazione stabilita a Lęgonice dischiude al progetto di elezione francese. Egli ritiene infatti che il problema si proporrà in ogni caso al momento dell'abdicazione di Giovanni Casimiro, che sembra sempre più probabile, poiché "sa conscience l'oblige à l'abdication, car il faut un roi plus apliqué et plus capable que lui" (Gasztowtt, p. 52); non sarà impossibile allora ottenere dai signori polacchi, con una accorta distribuzione di promesse, di favori e, naturalmente, di danaro francese, quel successo che non si è riusciti ad ottenere con le armi. Ma il B. prevede che quanto maggiore sarà il prestigio del candidato, tanto più probabile ne sarà l'accettazione: perciò rivolge i suoi pensieri direttamente al Condé, il quale per proprio conto garantisce un contributo anche finanziario che può essere decisivo. Questo progetto sembra accettabile al governo francese, che ritiene così di liberarsi delle difficoltà diplomatiche provocate dal piano di intervento armato. Falliscono i primi tentativi di accordo col Lubomirski e con la Dieta, nuovamente riunita nel novembre 1666, ma una invasione di Turchi e Cosacchi spintisi sino a Leopoli crea un diversivo di cui il B. è pronto ad approfittare, proponendo ora che il Condé si rechi in Polonia col pretesto di mettersi a capo della resistenza contro gli invasori, con o senza un corpo di spedizione francese. E la morte del Lubomirski, il 31 genn. 1667, sembra autorizzare le migliori speranze, confermate anche, a quanto il B. ha diritto di credere, da un nuovo brusco cambiamento della politica di Luigi XIV, che l'8 aprile del 1667 gli annunzia l'arrivo del Condé in Polonia, al comando di un esercito di diecimila uomini.
In effetti il governo di Parigi conduce in questo periodo varie trattative per ottenere il permesso di passaggio del corpo di spedizione dai principati del Reno. Pare peraltro che Luigi XIV non avesse altra intenzione, ostentando un rinnovato interesse per la successione polacca, se non di distogliere la corte imperiale da quello che stava per essere l'effettivo teatro dell'azione francese: le Fiandre e il Reno. E infatti, il 18 luglio 1667, quando il Turenne aveva già scatenato l'offensiva nei Paesi Bassi spagnoli, il re scriveva nuovamente al B. di aver rinunziato alla progettata spedizione. Era la liquidazione di tutto il faticoso lavoro diplomatico svolto dal vescovo di Béziers. Ma Luigi XIV si attendeva ancora molto da lui: il 10 maggio di quel medesimo anno 1667 era morta l'altra grande protagonista della più recente politica polacca, la regina Maria Luisa, anima del partito filofrancese - benché spesso in disaccordo con il B. - e principale sostenitrice del progetto di elezione del duca d'Enghien e poi del Condé. E Luigi XIV subito tentò di mettere a profitto l'avvenimento per i suoi progetti renani. Egli si impegnò infatti con il duca di Neuburg a favorire il matrimonio di una figlia di lui con Giovanni Casimiro, con la prospettiva di facilitare in tal modo la successione dello stesso Neuburg sul trono polacco. Fu più facile però al B. indurre Giovanni Casimiro ad accettare la nuova proposta di successione che quella di un nuovo matrimonio. Il vedovo di Maria Luisa si mostrava troppo entusiasta della riacquistata libertà - il "court maintenant de la grand dame à la servente" scriveva infatti il B. (Gasztowtt, pp. 51 s.) perché il progetto matrimoniale potesse aver corso. Il B. invece seppe approfittare delle nuove amicizie femminili del sovrano per indurlo a trattare, insieme col rappresentante del duca di Neuburg, il barone Gises, i tempi ed i modi dell'abdicazione. Si arrivò in vari incontri dal 4 marzo al 16 giugno 1668 a un impegno formale di rinunzia al trono da parte di Giovanni Casimiro, in cambio delle vistose rendite ecclesiastiche che Luigi XIV gli garantiva.
Così si concludeva la lunga missione diplomatica del B. a Varsavia. In quello stesso anno 1668, subito dopo la stipulazione della pace di Aquisgrana, egli era stato designato a passare all'ambasciata francese di Madrid. Il 4 luglio si mise dunque in viaggio alla volta di Parigi, dopo aver preso congedo da Giovanni Casimiro. Questi mostrò la sua soddisfazione per l'operato del vescovo di Béziers designandolo a Roma come candidato polacco alla prossima elezione cardinalizia.
Non altrettanto apprezzamento il B. lasciò presso la corte e la nobiltà del paese. Troppo oscillante era stato il contegno di Luigi XIV a proposito della successione polacca perché il B., che aveva rappresentato a Varsavia quella mutevolissima politica, non avesse ragione quando scriveva, il 5 ag. 1667, "je m'en vais entre l'opprobre du roi de Pologne et des amis" (Gasztowtt, p. 56). Quanto ai nemici, i gelosissimi campioni dei pacta conventa e del liberum vetum, essi riconobbero naturalmente nel diplomatico fiorentino il loro peggiore avversario, quello che con subdole arti e con aperta prepotenza attentava alle tradizionali libertà dei signori polacchi. Tutta l'azione del B. era stata una flagrante violazione del primo articolo dei pacta conventa, che proprio un re francese, Enrico di Valois, aveva sottoscritto; esso stabiliva infatti che "l'elezione del re rimarrà sempre in potere della repubblica; e il re durante la sua vita, ben lungi dal nominare un successore, non vi contribuirà né direttamente né indirettamente": troppo ovvio dunque che il B. lasciasse un pessimo ricordo di sé presso la nobiltà di Polonia.
Comunque il B. non aveva ancora terminato, come aveva largamente ragione di sperare, con la Polonia. Era appena arrivato a Parigi e si accingeva a recarsi in Spagna, per prendere possesso dell'ambasciata, interinalmente retta dal marchese Pierre de Villars, quando giunse a Parigi la notizia dell'abdicazione di Giovanni Casimiro, avvenuta nel settembre 1668. Fu subito deciso di rinviare il B. a Varsavia, per cercare di influenzare la elezione del nuovo sovrano. Egli partì da Parigi l'8 ottobre, in tempo per riprendere nella Dieta la direzione del partito francese. Ma la nobiltà polacca aveva ormai deciso di rompere con ogni candidatura straniera e, capeggiata dal vescovo Andrea Olszowski, acclamò re, il 19 giugno 1669, il giovane Michele Korybut Wiśniowiecki. Il B. non assistette nemmeno all'elezione del nuovo sovrano, avvenuta il 29 settembre, e il 10 agosto fece ritorno in Francia.
Alla corte francese, in ogni modo, non lo si ritenne responsabile dell'insuccesso: anzi il B. ottenne, subito dopo il ritorno, la promozione alla sede arcivescovile di Tolosa. Non poté però prenderne subito ufficialmente possesso: lo attendeva infatti la sua nuova sede diplomatica di Madrid. Partì da Parigi nel dicembre 1669 (le istruzioni recano la data del 22 settembre) e arrivò a Madrid il 1º marzo successivo, facendovi il rituale ingresso solenne il 29 dello stesso mese.
La situazione spagnola che il B. dovette affrontare era abbastanza confusa. Così come stabiliva il testamento di Filippo IV del 1665, il governo del paese era esercitato dalla regina madre Maria Anna, reggente per il minorenne Carlo II, con l'assistenza di una Junta de gobierno. Contro la reggente era ancora viva l'opposizione facente capo a don Giovanni d'Austria e fu compito del B. destreggiarsi abilmente tra le due fazioni, per non compromettere irreparabilmente i rapporti della Francia con il bastardo di Filippo III, d'altra parte, però, appoggiando nettamente il partito della regina: era infatti interesse della Francia che in caso di morte prematura di Carlo II, della quale già si cominciava a parlare, la questione della successione non fosse definitivamente chiusa dall'elezione di don Giovanni, preferendo Luigi XIV far valere in quella eventualità i diritti acquisiti in seguito al matrimonio con Maria Teresa di Spagna in una contrattazione con Vienna.
Ma soprattutto l'azione diplomatica del B. era dettata dalla nuova situazione europea, conseguente all'accordo franco-spagnolo di Aquisgrana e alla persistenza della lega antifrancese dell'Aia tra la Svezia, l'Olanda e l'Inghilterra. Il B. si preoccupò di convincere la reggente della buona volontà di Luigi XIV di rispettare le clausole del trattato di Aquisgrana, inducendo così gli Spagnoli a una politica di neutralità nel conflitto tra la Francia e la lega. A questo fine ribadì l'intenzione di Luigi XIV di affidare ad un arbitrato la questione delle dipendenze dai territori conquistati, ma avanzò poi anche due proposte nuove: quella di costituire una lega di potenze cattoliche, comprendente la Francia, la Spagna e l'Impero, contro le tre potenze protestanti e quella di scambiare le dipendenze spagnole nelle Fiandre con un appoggio francese alla sottomissione del Portogallo. Le trattative si condussero per un anno intero intorno a questi due progetti, e specialmente al secondo, ma quando il B. fu richiamato e sostituito nuovamente con il Villars nel maggio 1671, non aveva ancora potuto ottenere alcun risultato positivo.
Al suo ritorno a Parigi il B. fu nominato grande elemosiniere della regina Maria Teresa, il 19 ag. 1671. L'anno successivo fu compreso finalmente da Clemente X, a soddisfazione della richiesta di Giovanni Casimiro, nella promozione cardinalizia del 22 febbraio (ebbe il titolo di S. Onofrio il 19 ott. 1672, cambiato con quello di S. Pietro in Vincoli il 19 ott. 1689, e con quello di S. Eusebio il 28 nov. 1689) e il 28 ott. 1673 ottenne l'arcivescovato di Narbona. Ma per parecchi anni rimase alla corte coltivando, a quanto pare, la speranza di un'investitura ministeriale. Fallita questa attesa per l'ostilità dei ministri in carica, dopo il 1690, si ritirò nella propria arcidiocesi di Narbona, dove esercitò insieme con la carica ecclesiastica anche quella di président-né degli Stati di Linguadoca. In tale qualità non gli mancò la possibilità - sia pure in un ambito del tutto provinciale - di esercitare una parte politica notevole. Egli fu infatti nella Linguadoca il principale strumento dell'assolutismo regio, l'esecutore solerte e scrupoloso della volontà di Luigi XIV: parte, questa, tanto più importante in quanto proprio in quella regione si manifestarono le resistenze più forti contro la politica accentratrice del sovrano. Mostrò, tuttavia, una certa tolleranza verso i riformati, fortissimi ancora nella regione, atteggiamento che sorprendevai contemporanei, data la sua condizione ecclesiastica e la sua origine italiana, e che contrastava anche con le rigide direttive di Luigi XIV. Per questo il B. ebbe anche, a quanto pare, qualche contrasto con la corte: ma era proprio sotto l'aspetto politico che egli giustificava il suo atteggiamento, ritenendo che sarebbe stato un grave errore esasperare le resistenze religiose con una repressione spietata.
L'influenza politica del B. cominciò a decadere quando gli fu affiancato un intendente ambizioso e spregiudicato, il Basville, che mosse all'arcivescovo una guerra senza quartiere, giungendo, per minarne il prestigio, a denunciare la relazione che il B. manteneva con una signora di Montpellier, certa Madame de Ganges, della quale, secondo quanto attesta il Saint-Simon, "le bon cardinal, quoique en âge où les passions sont ordinairement amorties, était éperdument amoureux". Lo scandalo assunse proporzioni preoccupanti e Luigi XIV fu costretto a intervenire inviando a Madame de Ganges una lettre de cachet. Il B., privato così della sua compagna, avvilito nel suo prestigio, come testimonia ancora il Saint-Simon, "tomba peu à peu en vapeurs qui dégénèrent en épilepsie et qui lui attaquèrent la tête. La tristesse l'accabla, la mémoire se confondit, les accès redoublèrent". Dopo un ultimo viaggio alla corte dove tentò invano di riacquistare il proprio credito, morì a Montpellier l'11 luglio 1703.
Fonti e Bibl.: M. Poncet de la Rivière, Oraison funèbre de P. de B., Montpellier 1704; Lettres historiques et galantes de M. me du Noyer, Londres 1739, I, pp. 104 s.; Lettres de M.me de Sévigné, II, Paris 1861, passim; L. de Saint-Simon, Mémoires sur le règne de Louis XIV, a cura di A. de Boislisle, Paris 1879-1909, ad Indicem; E. V. Spanheim, Relation de la cour de France en 1690, a cura di Ch. Schefer, Paris 1882, pp. 127, 260-262; Recueil des instructions données aux ambassadeurs et ministres de France depuis les traités de Westphalie jusqu'à la Révolution francaise, XVI, Pologne, I, a cura di L. Farges, Paris 1888, pp. 51, 100, 105-110, 112; XI, Espagne, a cura di A. Morel Faito, I, ibid. 1894, pp. 233-249; XXVI, Venise, a cura di P. Duparc, ibid. 1958, pp. 39-55; N. A. de Salvandy, Histoire du roi Jean Sobieski et de la Pologne, Paris 1844, passim; K. Waliszewski, Marysienka Marie de la Grange d'Arquien reine de Pologne,femme de Sobieski,1641-1716, Paris 1904, passim; A.M. Gasztowtt, Une mission diplom. en Pologne au XVII siècle,P. de B. à Varsovie, Paris 1916; L. von Pastor, Storia dei papi, XIV, Roma 1932, 1, pp. 659 s.; 2, passim; XV, ibid. 1933, p. 4; L. Bittner-L. Gross, Repertorium der diplomatischen Vertreter aller Under seit dem Westfälischen Frieden, I, pp. 223, 230, 232, 240, 244; R. Ritzler-P. Sefrin, Hierarchia catholica medii et recentioris aevi, V, Patavii 1952, pp. 7, 280, 377; B. Cialdea, Gli Stati italiani e la pace dei Pirenei, Milano 1961, passim.