PIERLEONI
– Il capostipite di questo importante lignaggio romano fu Leone di Benedetto Cristiano, vir magnificus e laudabilis negotiator, figlio di un ebreo romano che aveva preso il nome di Benedetto Cristiano dopo essersi convertito (ante 1051).
Leone fu l’iniziatore della formidabile fortuna dei Pierleoni, basata sin da allora sugli stretti rapporti instaurati con il Papato e sulla pratica di attività mercantili e usurario-creditizie di ampia portata. Ricchissimo, dotato di forte liquidità, fortemente coinvolto nella vita pubblica romana, Leone si schierò apertamente e con enorme dispendio di denaro a sostegno della causa dei papi riformatori e del loro partito; in particolare ebbe stretti rapporti con l’arcidiacono Ildebrando, il futuro Gregorio VII. Fu anche uomo d’arme: guidò le milizie fedeli ad Alessandro II contro l’antipapa Onorio II in uno scontro durissimo, che lasciò sul campo molti caduti (14 apr. 1062). Morì probabilmente prima del 1072.
L’unico noto tra i suoi figli è Pietro, dal quale derivò il nome del casato (Petrileonis), stabilizzatosi in maniera definitiva, tuttavia, solamente nella seconda metà del XII secolo. Pietro, nobilisissimus consul Romanorum, morto tra il 1124 e il 1130, fu per ricchezza e prestigio uno dei più potenti romani del suo tempo; Eadmero di Canterbury (Eademerus, Historia, p. 295) lo definisce: «preclarissimus ac potentissimus princeps Romanorum». Nel 1098, con il suo consistente seguito militare personale, occupò Castel Sant’Angelo per conto di Urbano II, e nel 1099 ospitò il pontefice nelle sue case, situate tra il teatro di Marcello, la chiesa di S. Nicola in Carcere (forse la chiesa familiare) e l’isola Tiberina; un’area allora di grande importanza economica e commerciale, dove si stavano stanziando varie famiglie della nuova aristocrazia cittadina.
Il successore di Urbano II, Pasquale II, fu eletto grazie al contributo determinante di Pietro, che lo sostenne di fronte all’imperatore, con il quale trattò in sua vece arrivando a offrire al sovrano alcuni membri della sua famiglia in ostaggio. Dovendo lasciare Roma nel 1108, il pontefice affidò a lui e a Leone Frangipane la reggenza della città.
Nella generazione successiva (post 1111) i rapporti di Pasquale II con i Pierleoni si fecero ancora più stretti e intensi. Nel 1113 uno degli almeno dieci figli di Pietro (otto maschi e due femmine), quello che portava il suo stesso nome, fu creato cardinale diacono del titolo dei Ss. Cosma e Damiano al Foro, quale prova indiscutibile della riconoscenza del pontefice nei confronti del casato. Pietro (II) fu poi promosso da Callisto II cardinale prete del titolo di S. Maria in Trastevere (1120).
Negli ultimi decenni dell’XI secolo e nei tormentati anni del pontificato di Pasquale II, particolarmente difficili per la storia municipale romana, si era affermato il dominio delle casate dei Pierleoni e dei Frangipani, che polarizzarono il gioco politico cittadino in due principali fazioni (in particolare al momento dell’elezione papale).
Alla morte di Callisto II alla fine del 1124, i Frangipane riuscirono a imporre al soglio papale il loro candidato, Lamberto vescovo di Ostia, che prese il nome di Onorio II (1124-30), ma a quanto pare per ottenere l’approvazione anche del cardinale Pietro Pierleoni fu concessa a quest’ultimo la città di Terracina: un porto che poteva rivestire per i Pierleoni una notevole importanza in funzione delle loro attività commerciali e mercantili.
Durante il pontificato di Onorio II crebbe notevolmente la forza del partito dei Pierleoni, capeggiato dal potentissimo cardinale Pietro (II), il quale, alla morte del papa fu imposto dai suoi congiunti e dai loro alleati come nuovo pontefice con il nome di Anacleto II, in opposizione al candidato dei Frangipane, Innocenzo, che fu costretto a lasciare Roma per rientravi solo dopo la morte di Anacleto II (1138).
Nel 1134 la famiglia Pierleoni ottenne un cospicuo donativo da Ruggero II, che pochi anni prima (1130) era stato incoronato re di Sicilia da Anacleto II; il sovrano assegnò ai figli di Pietro di Leone e fratelli del papa (Giovanni, Leone, Ruggero, Giordano, Guido) e ai loro nipoti Uguccione e Graziano una rendita annua di duecentoquaranta once d’oro in cambio della loro fidelitas.
Un tratto costante della politica dei Pierleoni lungo i successivi decenni fu l’opzione per le carriere ecclesiastiche. Anche se certo non mantennero una posizione di prestigio solo per questo, essi ottennero la promozione cardinalizia per più di un loro esponente. Oltre a Pietro/Anacleto II, abbracciò la carriera ecclesiastica innanzitutto suo nipote Ugo di Uguccione, eletto vescovo di Piacenza nel 1155.
Ugo si mantenne sempre fedele al pontefice Alessandro III, nel lungo scisma che contrappose quest’ultimo a vari antipapi filoimperiali; per tal motivo nel 1161 fu scomunicato dall’antipapa e fu costretto ad abbandonare la sua diocesi. Entrò poi nella comunità dei canonici regolari di St.-Victor di Parigi; fu comunque ampiamente compensato dal legittimo papa che lo nominò (peraltro, pochi mesi prima della morte) cardinale vescovo di Tuscolo nel 1166.
Qualche anno dopo (1173) lo stesso Alessandro III, che molto doveva ai Pierleoni per il loro appoggio, creò cardinale diacono di S. Angelo in Pescheria un altro Ugo Pierleoni (nipote dell’omonimo cardinale morto nel 1166).
Di lui si sa che aveva studiato a Parigi ed era entrato nella medesima comunità religiosa parigina di St.-Victor. Almeno dal 1169 era passato al servizio della Curia papale. Ormai cardinale, tra il 1175 e il 1176, compì una delicata e impegnativa missione legatizia in Inghilterra, conclusasi con un pieno successo. Nel 1178 Alessandro III lo premiò con la promozione al titolo presbiteriale di S. Clemente; l’anno seguente fu inviato dal pontefice a comprare a caro prezzo la fedeltà dei conti di Ceccano, allora signori del castello di Sezze, dove era stato eletto e aveva preso residenza un ennesimo antipapa, Lando di Sezze (antipapa Innocenzo III). Nel 1181 lo ritroviamo come legato papale a Piacenza con il cardinale Giacinto Boboni (futuro papa Celestino III). Morì nel 1182.
Un ruolo cruciale, nella vicenda dei Pierleoni nei decenni centrali del secolo XII, lo svolse Giordano, il minore dei fratelli di Anacleto II. Egli infatti sostenne i moti antipapali del 1143 che portarono alla Renovatio Senatus, divenendo il principale rappresentante del nuovo Comune capitolino, mentre gli altri esponenti del suo casato (con i Frangipane e i più potenti lignaggi dell’aristocrazia romana) rimasero schierati a fianco del papa, osteggiando la nuova istituzione. Le fonti lasciano aperti alcuni interrogativi, ma a Giordano in un primo tempo fu concessa probabilmente la carica senatoriale e successivamente quella di patricius, divenendo di fatto guida del rinnovato Senato ed esercitando un enorme potere. Qualche anno più tardi, nel 1149, ottenne anche il titolo di vexillifer et auditor. Guidato da Giordano, proprio nel 1149 il nuovo Comune capitolino – che cercava di avvicinarsi all’imperatore – cacciò e punì con la confisca dei loro beni i Pierleoni (che allora occupavano tra l’altro una delle più munite piazzeforti romane, Castel Sant’Angelo) insieme ai Frangipane, con l’accusa di aver cospirato contro il sovrano di concerto con il papa e il re di Sicilia Ruggero. Qualche lustro più avanti i rapporti tra Giordano e il suo casato sembrano essersi ristabiliti, forse anche perché nel frattempo la politica comunale capitolina aveva assunto una posizione meno radicale nei confronti del papato.
Secondo Paolo Brezzi (1947, p. 326), con Giordano ebbe fine la fortuna dei Pierleoni e forse una delle motivazioni che condizionarono le scelte di Giordano andrebbe «cercata nel desiderio di riconquistare il terreno perduto ed il favore della cittadinanza». È un giudizio forse troppo severo, anche se effettivamente qualche decennio più tardi il casato iniziò il suo declino, anche per il ramificarsi in varie linee di discendenza, con conseguente mutazione del nome familiare.
A quanto pare, tra gli anni Sessanta e Settanta del XII secolo Giordano attuò una decisa politica di espansione territoriale acquisendo, in tutto o in parte, il possesso di vari castelli situati nel settore meridionale del territorio romano, tra i quali Giulianello, S. Silvestro, Monte Fortino e Patrica (cedutigli almeno in parte dai fratelli Cinzio, Gregorio e Angelo Malabranca). Il dossier documentario che rappresenta la principale fonte al riguardo (ASV, Archivio Borghese, bb. 436, 437) rivela che ancora negli anni Sessanta del Duecento Giordano era ricordato come Iordanus Petri Leonis patricius Romanorum, con riferimento all’alto ufficio che aveva ricoperto nel 1143-44, e indica inoltre come proprio il termine patricius stesse divenendo il nome distintivo di quel ramo della famiglia Pierleoni, tant’è che nel secolo successivo (nel 1228 e 1255) Guido figlio di Giordano di Giordano viene ricordato non già come Guido filius Iordani domini Iordani Petri Leonis, bensì come Guido filius olim domini Iordani de Patritio.
Vi sono numerose testimonianze, sintetiche ma esplicite, dello strettissimo rapporto che la gran parte dei Pierleoni mantenne con il papa e con la Curia papale nei decenni centrali del XII secolo, mentre Giordano si orientò diversamente dal punto di vista politico.
Nel 1143 Leone di Pietro fu tra i testimoni a una solenne concessione fatta a titolo personale da Celestino II ai conti di Bertinoro insieme di diversi cardinali e alcuni esponenti dell’aristocrazia romana. Nel 1153 Giovanni di Pietro, Graziano di Obicione di Pietro e Pietro e Obicione di Leone di Pietro presenziarono alla solenne donazione alla Chiesa di Roma da parte dell’abate dell’abbazia del Salvatore sul Monte Amiata di metà del castrum di Radicofani. Nel 1162 Giordano (ormai riconciliatosi con i parenti), Pietro e Graziano erano così potenti e influenti che potevano permettersi di scrivere, anche a nome di tutti i loro congiunti, al re di Francia per convincerlo a sostenere la causa del pontefice Alessandro III. Due anni dopo gli stessi inviavano un’altra lettera al sovrano per raccomandargli il giovane Obicione, studente nello studium parigino.
Altri Pierleoni peraltro, sulle orme di Giordano e nel segno di un’incipiente disgregazione della compattezza del casato, presero posizioni filoimperiali. Al Concilio convocato a Pavia nel 1160 dall’imperatore Federico I con l’intento di far decretare la legittimità del pontefice Vittore IV e la conseguente illegittimità di Alessandro III, intervennero alle sedute vari esponenti dell’aristocrazia romana fedeli al sovrano, tra i quali Guimondo Pierleoni, anch’egli fratello del pontefice Anacleto II. Più tardi, un non meglio identificabile Petrus Leonis partecipò alla terza crociata insieme al gruppo di nobili romani che nel 1189 si distinse combattendo ad Acri contro le truppe di Saladino.
Tra la fine del XII secolo e l’inizio del successivo, i Pierleoni andarono incontro a un innegabile ridimensionamento. Ciononostante alcuni tra di loro emersero ancora sulla scena politica romana e nell’ambito della Curia papale. È il caso di un non meglio identificabile Petrus ser Leonis che nel 1191 fece parte del collegio dei senatores consiliarii capitolini e di Giovanni, nominato senatore unico nel 1196. Nel primo quarto del Duecento, poi, vari altri esponenti del casato rivestirono l’ufficio podestarile in comuni dell’Italia centrale: Uguccione fu podestà di Firenze nel 1213, Arcione podestà di Todi nel 1216, Graziano di Giovanni e Filippo entrambi podestà di Fermo rispettivamente nel 1221 e nel 1224. Molti anni più tardi un altro Pierleoni, Francesco, ebbe un ulteriore incarico podestarile a Foligno nel 1263.
L’ultima personalità veramente di spicco del casato fu, negli anni a cavallo tra il XII e il XIII secolo, Guido. Fornito di una discreta cultura giuridica, fu canonico della Chiesa di Piacenza, alla quale lasciò un ricco donativo in denaro e oggetti preziosi; ebbe poi la nomina a canonico del Capitolo della basilica Vaticana, del quale assunse la guida in qualità di arciprete. Nel 1204 fu creato cardinale diacono del titolo di S. Nicola in Carcere. Fu più volte designato come auditor in processi discussi presso la Curia papale. Nell’ambito dei complessi rapporti tra la Corona inglese e il Papato nei primi anni del Duecento, Guido dovette in qualche modo distinguersi e ottenere la fiducia e la riconoscenza di Giovanni Senzaterra, il quale gli concesse una rendita annua di cinquanta marche. In un mandato del 1214 il sovrano inglese lo definiva suo consanguineo. Nel 1221 fu promosso cardinale vescovo della diocesi di Preneste. Non se ne hanno più notizie dopo il 1228.
Si può ricollegare alla sua figura quella di un nipote, Giovanni, che in età ancor giovanile e ancora impegnato negli studi rivestiva la carica di suddiacono papale e godeva di vari benefici ecclesiastici, nel monastero inglese di St. Alban e, per concessione di Onorio III, nella Chiesa di Padova (1217). In tale anno Giovanni fu eletto vescovo di Piacenza dal clero della cattedrale piacentina, su consiglio dell’arcivescovo di Genova e dell’abate dell’abbazia di Chiaravalle della Colomba. Peraltro, proprio il papa intervenne a osteggiare questa nomina, a quanto pare su pressione del cardinale Guido, desideroso che il nipote completasse gli studi. In ogni caso Giovanni morì poco dopo (è ricordato come defunto il 23 luglio 1220).
Nella seconda metà del XIII e nel XIV secolo l’importanza e l’influenza dei Pierleoni appaiono ancor più drasticamente ridimensionate, anche se alcuni esponenti del casato ricoprirono ancora sporadicamente qualche carica pubblica.
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