PALMERINI, Pierantonio
PALMERINI, Pierantonio. – Nacque quasi certamente a Urbino verso l’anno 1500 da Battista di Palmerino di Matteo e da una donna di nome Mita, della quale non si conosce il casato.
La data di nascita non è precisabile ad anno, essendo andate perdute le registrazioni dei battesimi urbinati anteriori al Concilio di Trento, ma secondo lo storiografo locale Luigi Pungileoni (1835, pp. 73 s.) quando Palmerini morì nel 1538 era ancora «in fresca età», e inoltre suo padre gli sopravvisse di almeno un decennio. Ancor più a lungo gli sopravvisse lo zio paterno Ludovico, che svolse il ruolo di «portero» (corriere) per conto della duchessa Eleonora Gonzaga, moglie di Francesco Maria I Della Rovere, garantendo alla famiglia Palmerini saldi legami con la corte, dai quali anche il pittore trasse vantaggio.
Allievo di Timoteo Viti e di Girolamo Genga (Nesi, 2004, pp. 25-40), Palmerini verosimilmente seguì il secondo a Roma all’inizio degli anni Venti del Cinquecento, studiandovi in modo approfondito le opere di Raffaello e di Michelangelo, delle quali inserì citazioni in alcuni dipinti eseguiti dopo il rientro nelle Marche. Stabilitosi in seguito a Pesaro si mise in società con un altro artista, Giacomo di Marco da Firenze, iniziando a ricevere committenze di rilievo da maggiorenti legati alla corte roveresca. Il 4 febbraio 1524 il mercante Lorenzo Fronzi allogò loro una pala con la Madonna col Bambino, i ss. Lorenzo e Vincenzo Ferrer e angeli, per il proprio altare nella chiesa di S. Domenico, e il 7 febbraio tre ricchi mercanti membri consiglieri della Confraternita di S. Andrea (Silvestro Marini, Vincenzo Buratelli e Andrea Pacetta) ne richiesero un’altra con la Madonna col Bambino, i ss. Andrea e Marco, e angeli, per l’oratorio della compagnia.
Le due tavole furono inviate a Milano alla fine del Settecento in seguito alle soppressioni napoleoniche, ma la prima scomparve, per riapparire all’inizio del Novecento in collezione Cook a Monserrate (Portogallo), ed è oggi nuovamente dispersa. La seconda invece, collocata inizialmente nella chiesa di Cusano sul Seveso, nei dintorni di Milano, fu poi depositata nel 1956 dalla Pinacoteca di Brera nella Pinacoteca civica di Fano, dove si trova tuttora. I due dipinti, insieme a una coeva pala con la Maddalena tra i ss. Sebastiano e Rocco conservata nell’Archivio storico diocesano di Pesaro, ma dalla provenienza originaria imprecisabile, sintetizzano al meglio gli effetti dell’apprendistato del Palmerini presso Viti e Genga, alternando le ampie superfici cromatiche chiare e scabre tipiche del primo al chiaroscuro più netto e plastico peculiare del secondo. A conferma degli studi compiuti a Roma, la Pala Fronzi mostra inoltre citazioni da due Ignudi michelangioleschi della Sistina nelle figure degli angeli (Nesi, 2004, p. 29).
Dopo l’esecuzione di un disperso altare del Crocifisso per la Confraternita dei battuti di Monteciccardo (presso Pesaro), finito di pagare nel giugno 1525, Palmerini e Giacomo di Marco si trasferirono a Ragusa (Dubrovnik), dove risultano documentati per l’affitto di una casa il 16 aprile 1526 (Fisković, 1956, p. 151). Molto probabilmente i due furono espressamente convocati dal Senato della Repubblica ragusea in seguito alla scomparsa dei tre maggiori pittori locali (Mihajlo Hamzić, Nikola Bozidarević e Viko Lovrin) avvenuta pochi anni prima, ma di Giacomo di Marco si perdono subito le tracce, poiché egli verosimilmente morì in un’epidemia di peste. Palmerini invece si trattenne a Dubrovnik fino al 1530, dipingendovi una grande pala con l’Ascensione per la chiesa votiva del Salvatore (Sveti Spas), proprio su committenza del Senato della Repubblica, e un polittico-armadio per reliquie per l’altare del patrizio Luca Bunić nella chiesa di S. Francesco (Samostan Male Braće).
Il contratto per l’Ascensione è datato 25 agosto 1527 e prevede l’esecuzione di un modelletto preparatorio, che è stato rintracciato da Benedetta Montevecchi (2001, p. 141) nella Biblioteca civica Passionei a Fossombrone (Pesaro), ma la pala fu collocata sul suo altare solo il 30 marzo 1530, al termine della costruzione della chiesa. Il Polittico Bunić, oggi nella sacrestia di San Francesco, raffigura all’esterno la Resurrezione, l’Annunciazione, S. Michele Arcangelo e S. Luca, mentre negli sportelli laterali interni vi sono S. Biagio, patrono di Dubrovnik, e S. Girolamo. Queste opere mostrano un’assoluta unitarietà di stile con quelle pesaresi, tanto che risulta difficile precisare quale possa essere stato in esse l’apporto di Giacomo di Marco, del quale non si conoscono lavori autonomi, utili a definirne lo stile. Nel S. Michele Arcangelo del polittico Palmerini riprese un disegno di Raffaello oggi a Oslo, noto anche tramite incisioni di Agostino Veneziano e Marco Dente, ed è la prima di una serie di citazioni dal repertorio del suo grande conterraneo riscontrabili nei suoi dipinti o ricordate dalla storiografia urbinate, che spesso considerò Pierantonio una sorta di copista di Raffaello (Pungileoni, 1835, p. 73; Calzini, 1912, pp. 146 s.). Si ha infatti notizia dell’esistenza di repliche (oggi disperse) che il Palmerini trasse dalla Madonna dei candelabri e dalla Madonna Aldobrandini, mentre un S. Girolamo penitente conservato nella Walters Art Gallery di Baltimora riprende un dettaglio di un affresco della Loggia di Psiche alla Farnesina (Ceriana - Montevecchi, 1992, p. 174), e un tondo già nell’oratorio di S. Andrea a Urbino riprende la composizione della Madonna di Francesco del Louvre (Calzini, 1912, pp. 146-148).
Il 12 agosto 1530 Palmerini risulta rientrato a Urbino (Nesi, 2004, p. 13). Pochi mesi prima si era aperto a Pesaro il cantiere decorativo della Villa Imperiale, dove la duchessa Eleonora aveva chiamato a lavorare, sotto la direzione di Genga, Raffaellino del Colle, Agnolo Bronzino, Francesco Menzocchi, Dosso e Battista Dossi e il paesaggista mantovano Camillo Capelli. Un’analisi della poca documentazione superstite sul complesso, e nuovi riscontri d’archivio sulle vicende dei singoli artisti, hanno permesso di circoscrivere al 1530-35 l’esecuzione degli affreschi e oli su muro delle otto sale al piano nobile del nucleo più antico dell’edificio, mentre la lettura stilistica delle pitture, pur in alcune parti abbondantemente rifatte, consente di individuarvi anche l’apporto di Palmerini, che era diventato pittore di spicco ad Urbino dopo la morte di Viti (1523) e la decisione di Genga di dedicarsi prevalentemente all’architettura. Egli fu comunque convocato certamente anche in seguito ai brillanti risultati ottenuti a Dubrovnik, e grazie ai legami familiari con i Della Rovere e alla passata formazione con lo stesso Genga. Il suo apporto è stato riscontrato nelle lunette della cosiddetta Sala dei semibusti e più diffusamente nella Sala degli amorini (Nesi, 2004, pp. 65-104, 163-165, 171-174) e il restauro conservativo cui sono state sottoposte le pitture dell’Imperiale tra il 2004 e il 2006 sotto la sorveglianza della Soprintendenza di Urbino ha confermato la possibilità di riferirgli queste parti del ciclo.
Le quattordici lunette della Sala dei semibusti raffigurano appunto dei finti busti scultorei di personaggi maschili e femminili abbigliati all’antica, inseriti entro nicchie a conchiglia, mentre il resto delle pitture murali spetta al Bronzino, Raffaellino del Colle e Camillo Mantovano. Nella Sala degli Amorini sembra invece spettare a Palmerini l’intera sequenza decorativa delle pareti, composta da quattordici lunette con Amorini guerrieri, da sei finte statue di divinità entro nicchie, da tre vedute di paesaggio e da un ricco apparato vegetale su fondo bianco.
Il contatto con gli altri artisti attivi nella villa, e soprattutto con Raffaellino del Colle, portò Palmerini a un significativo rinnovamento stilistico, evidente a partire da un Battesimo di Cristo conservato nella chiesa di S. Giovanni Battista a Macerata e culminato nella grande Pala di S. Antonio abate, commissionatagli il 3 luglio 1532 dall’omonima confraternita urbinate (oggi nel locale Museo diocesano Albani), che rimane la sua opera senz’altro più nota.
In questi dipinti egli propone figure più monumentali e mosse rispetto alle sue opere precedenti, e con fisionomie facciali derivanti da quelle tipiche dei personaggi di Raffaellino. A questa fase matura appartengono anche un’Incredulità di s. Tommaso di collezione privata, da identificare con il quadro dello stesso soggetto che fino al Settecento si trovava nella cappella dei Della Rovere in S. Francesco a Urbino (Nesi, 2008A, p. 43), e una pala con la Madonna col Bambino, i ss. Luigi di Francia e Rocco, e angeli, già in collezione Harris a Londra e oggi nel Museo de Arte di Ponce (Portorico). Il dipinto proviene però certamente da Pesaro (Id., 2004, pp. 114 s., 184 s.) e alcuni riferimenti simbolici a Francesco Maria I Della Rovere in esso contenuti fanno pensare che possa trattarsi di un’ulteriore committenza della famiglia regnante.
Morì a Urbino il 3 ottobre 1538 e fu sepolto nella chiesa di S. Francesco.
Lasciò la moglie, Camilla di Francesco Spilamberti da Pesaro e tre figli (Giulio Cesare, Virginia e Pierantonio junior) dei quali si prese cura suo padre Battista.
La vicenda critica del pittore urbinate è stata decisamente singolare. La sua figura storica prese infatti corpo soltanto nel 1835 con l’Elogio storico di Timoteo Viti di Luigi Pungileoni, nel quale era citata la documentazione relativa alla Pala di S. Antonio abate, mentre i dipinti di S. Domenico e S. Andrea a Pesaro furono riferiti fino agli anni Ottanta del Novecento a un pittore mai realmente esistito: Pompeo Presciutti da Fano. La difficile reperibilità in Italia delle pubblicazioni riguardanti le opere croate di Palmerini fece si che la critica del nostro paese non le considerasse, cosicché si determinarono due approcci completamente separati alla sua produzione. Con uno studio monografico di Mirjana Gligorijević edito in Dalmazia nel 1971 si ebbe finalmente una panoramica complessiva sulla sua attività, ma fino al saggio dedicato all’artista nel 2001 da Benedetta Montevecchi i dipinti di Dubrovnik non vennero mai riprodotti in pubblicazioni italiane, e vi furono citati soltanto di sfuggita.
Fonti e Bibl.: L. Pungileoni, Elogio storico di Timoteo Viti, Urbino 1835, pp. 71-74; E. Calzini, Pier Antonio P. detto “il Crocchia”, in Rassegna bibliografica dell’arte italiana, XV (1912), pp. 140-149; J. Tadić, Građa o slikarskoj šu Dubrovniku, XIII - XVI v., Beograd 1952, pp. 128-139; C. Fisković, Nekoliko podataka o starim Dubrovaćkim slikarima, in Prilozi Povijesti Umjetnosti u Dalmacij, X (1956), p. 151; V.J. Đurić, Dubrovačka slikarska škola, Beograd 1963, pp. 112, 165-169; M. Gligorijević, P. P., in Zbornik za likovne umjetnosti, VII (1971), pp. 57-81; S. Cuppini Sassi, in Lorenzo Lotto nelle Marche, il suo tempo, il suo influsso, (catal. Ancona), Firenze 1981, pp. 296-298; K. Prijateli, Uz nove restauratorske zahvate u Trogiru i Dubrovniku, in Prilozi Povijesti Umjetnosti u Dalmacij, XXV (1985), pp. 188-192; L. Arcangeli, in La pittura in Italia. Il Cinquecento, Milano 1988, pp. 790 s.; M. Ceriana - B. Montevecchi, in Pinacoteca di Brera. Scuole dell’Italia centrale e meridionale, a cura di F. Zeri, Milano 1992, pp. 172-174; B. Montevecchi, Pietro Antonio P., in Pesaro nell’età dei Della Rovere, III, 2, Venezia-Pesaro 2001, pp. 137-148; A. Nesi, P. P. Cultura figurativa ed esperienze artistiche di un pittore urbinate, prima e durante la decorazione dell’Imperiale di Pesaro, Fermignano 2004; Id., La bottega di Timoteo Viti: il figlio Piervita e P. P., in Timoteo Viti, Atti del convegno… 2007, a cura di B. Cleri, Urbino 2008, pp. 383-425; Id., Precisazioni sulle opere croate di Pierantonio Palmerini, in Accademia Raffaello. Atti e studi, 2008A, n. 2, pp. 39-48; Id., Una Madonna col Bambino e s. Giovannino dal convento urbinate di S. Maria della Torre, in Quaderni dell’accademia fanestre, VII (2008B), pp. 309-317.