Tedaldi, Pieraccio
Poeta appartenente a una ricca famiglia di antica nobiltà; nacque a Firenze sul finire del Duecento e morì probabilmente nel 1350 o poco più tardi.
Nel 1315 combatté nelle file dei guelfi fiorentini, come soldato a cavallo del sesto di San Piero Scheraggio, contro i Pisani comandati da Uguccione della Faggiola, e venne fatto prigioniero.Visse a lungo fuori Firenze, a Lucca e in Romagna, specie a Faenza; fra il 1327 e il 1328 fu castellano a Montopoli, per conto di Filippo di Saggineto (Filippo Il), vicario in Firenze del duca Carlo di Calabria; nel 1344 si pose dalla parte dei Bolognesi contro Bertrando del Poggetto, legato di papa Giovanni XXII, e nel 1336 simpatizzò con i componenti della lega contro Martino aI della Scala.
La produzione del T. (40 sonetti) è tramandata dal tardo codice Vaticano lat. 3213, dal Riccardiano 1118, dal Chigiano M VII 142, che si rifanno allo stesso archetipo.
Come poeta il T. segue la linea realistico-burlesca dell'Angiolieri, al quale deve immagini e stile, ma canta anche con bel garbo la natura dell'amore e le bellezze di madonna.
Dalla Romagna, nel 1321, invia ai compagni d'arte un sonetto " pien di doglia iscapigliato " perché piangano nell'ora triste (" gramezza "), se sono dotati delle virtù morali e intellettuali più alte (" conoscenza "), la perdita di D., maestro e altissimo scrittore (" dolce nostro maestro, sommo autore "). Si rivela qui l'opinione comune in quel tempo per cui la Commedia rappresentava una Summa della scienza medievale, nella quale tutto lo scibile era racchiuso e contemplato. La morte è indicata con un eufemismo: " l'ultimo periglio disperato / il quale in sé pietà non ebbe mai ", quasi a indicare che di D. è venuta meno la vita fisica, non la sua vera vita, quella spirituale e artistica.
La lode di D. è inquadrata nei termini della poetica del Medioevo e a suo confronto sono posti Catone, presunto autore dei Disticha Catonis, celebre testo della cultura medievale, Donato, autore di quell'Ars Gramatica che dominò lungamente la cultura dell'età di mezzo, Gualtieri, cioè il libro di Gualtieri o Gualtieri d'Amore, composto da Andrea Cappellano, in cui si teorizza la concezione cortese dell'amore. Pur nella limitatezza della visione culturale, il T., insieme con i rimatori suoi coetanei, avverte come ideale indefinito l'erudizione classica, la grammatica, " altezza solenne inchinata da lontano senza scorgerne le cime " e accomuna al doloroso stupore per una perdita tanto grave (" orribil danno ") la commossa ammirazione per un poeta così grande.
Bibl. - G. Morpurgo, Le rime di P.T., Firenze 1885; N. Sapegno, Il Trecento, Milano 1938, 112-113; B. Croce, Poesia popolare e poesia d'arte, Bari 1952, 136 ss.; M. Marti, Poeti giocosi del tempo di D., Milano 1956, 733; M. Vitale, Rimatori comico-realistici del Due e Trecento, II, Torino 1956, 245 ss.