BARSANTI, Pier Vincenzo
Nato a Livomo, visse nella seconda metà del sec. XVIII. Ben poco sappiamo delle sue vicende biografiche; entrato nell'Ordine dei domenicani, si distinse per la perizia negli studi teologici: fu professore di teologia nel seminario vescovile di Cortona e poi priore del convento di S. Caterina a Livorno. Di un notevole interesse sono i tre libri Della futura rinnovazione de' cieli, e della terra e de' suoi abitatori,Firenze 1780, nati dall'ampliamento di una relazione che il B. aveva tenuto, alcuni anni prima, all'Accademia etrusca di Cortona (di cui era membro), che suscitarono vivaci polemiche.
In essi l'autore sosteneva, fra l'altro, che nel mondo felice ed inalterabile che sarebbe seguito al giudizio finale, avrebbero goduto in eterno i bambini morti senza battesimo, pur rimanendo esclusi dalla visione beatifica di Dio, ed affermava, senza esitazioni, che s. Agostino, manifestando nell'ardore della disputa contro Pelagio l'opinione che essi sarebbero stati sottoposti alla pena del fuoco, si era lasciato trasportare ad un opposto eccesso. Tali affermazioni dispiacquero e provocarono i malumori dei giansenisti e dei più rigidi fautori della scuola agostiniana: il p. Natali si lamentava che in tal modo il B. minimizzasse la gravità del peccato originale e prometteva che avrebbe composto una confutazione che però non vide mai la luce (Carteggi, 1,148-149); per lo stesso motivo l'abate Cuccagni non esitava ad accusarlo addirittura di molinismo. L'organo di stampa del partito giansenista, gli Annali ecclesiastici di Firenze, manteneva desta la polemica a distanza di anni: contro l'opera del B., già definita un "Mondo-Nuovo di strampalate idee, e di spropositi", riportava, infatti, il 30 apr. 1784, una lettera in difesa di Giovanni Cadonici, canonico della cattedrale di Cremona e autore delle Vindicìae augustinianae ab imputatione regni millenari,Cremonac 1747; veniva ritorta al B. l'accusa di miilenarismo, che questi aveva mossa al Cadonici. Ma alla base del dissenso vi era una causa ben più attuale: la colpa che l'ignoto estensore della lettera (e di conseguenza gli annalisti) addossava al B. era quella di rifarsi, come a fonte autorevole e a sicuro interprete di s. Agostino, all'autore dei De animabus iustorum in sinu Abraham ante Christi mortem (1763), il domenicano T. M. Mamachi, noto per la sua fiera avversione ai giansenisti. Quanto, in questo periodo, il B. fosse inviso a quest'ultimi per le sue idee teologiche, lo dimostra ancora il sospetto del Natali, che gli attribuiva la paternità di una Lettera,circolante in Toscana contro la sua Epitome celeberrimi operis Francisci Veromi De regula fidei catholicae,Pavia 1780.
Due anni dopo il B. dedicava a Pietro Leopoldo i quattro fibri Della storia del Padre Girolamo Savonarola da Ferrara domenicano della Congregazione di S. Marco di Firenze,Livorno 1782: la dedica e la scelta dei soggetto sono già indicative di una tendenza ben definita: il frate ferrarese, intorno alla cui figura, si ha un rifiorire di interesse nel gruppo giansenista ricciano, diviene il prototipo della vittima delle persecuzioni della curia romana contro i riformatori che vagheggiano un ritomo della Chiesa alla purezza delle origini (lo stesso de Ricci nelle sue Memorie,ricordando la prigionia sofferta nel convento di S. Marco, non mancherà di pa ragonarsi al Savonarola) - Il tono dell'opera del B. è tuttavia alquanto moderato e gli attacchi alla Santa Sede sono molto contenuti, specie in confronto all'ardore dell'altra apologia del frate, pubblicata nello stesso anno da Guglielmo Bartoli: solo qua e là traspare il regalismo dell'autore; più evidente è, invece, la simpatia che il B. dimostra per il rigore morale che accompagna la riforma dei costumi nella repubblica fiorentina: un motivo spiritualistico questo che non poteva non esser gradito ai giansenisti. L'opera ebbe anche una certa importanza nella storiografia su Savonarola; nata con il proposito di difendere il frate dalle accuse rivoltegli dal RastreW, rimaneva per anni la sua più accurata biografia, tanto da poter servire come fonte al De Sismondi per la sua Histoire des républiques italiennes du Moyen Age.Evidentemente l'apologia di un martire di Roma rese il B. più accetto al composito gruppo dei giansenisti italiani, tanto da meritargli la fiducia del Baldovinetti, proposto di Livomo e noto per simpatie ricciane. Nel 1785 essendo stato condannato il canonico Tosi di Livomo, reo di aver diffamato il Convitto ecclesiastico, a fare quindici giomi di esercizi spirituali, il Baldovinetti stabilì che la pena fosse scontata "nel convento dei domenicani sotto la direzione" - scriveva il giansenista bresciano G. Marini al Puiati - "di un certo padre Barsanti, uomo molto dotto e giansenista" (P. Savio, Devozione...,p. 72). Questo mutamento di giudízio nei confronti del B. sta ad indicare il passaggio in secondo piano delle controversie teologiche sopravanzate ormai in importanza da quelle disciplinari e giurisdizionali. Dopo il 1785 la figura del B. toma nell'ombra: ignota è la data della sua morte.
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