CAMPANA, Pier Tommaso
Nacque a Venezia il 21 dic. 1693 da Giambattista e da Domenica Picenni in una famiglia di negozianti originaria della Val Camonica. Iniziò gli studi a Venezia, ma poi la famiglia rientrò nel Bresciano ed egli si recò a studiare retorica a Breno, sotto la guida del Bonioli. Nel 1709 entrò nel seminario episcopale di Brescia, dove, dopo la morte del padre avvenuta a Venezia il 15 febbr. 1711, poté mantenersi grazie agli aiuti dello zio Olderico. Seguì con profitto i corsi di filosofia e teologia e, in seguito, conseguì anche la laurea in teologia all'università di Bologna. Tuttavia l'applicazione allo studio non poteva soddisfare il suo temperamento eminentemmte attivo: si diede quindi all'insegnamento e, sentendosi portato in particolar modo per la predicazione, entrò nell'Ordine domenicano. Vestì l'abito a Faenza l'11 sett. 1716, assumendo, accanto a quello di Piero, il nome di Tommaso.
Seguì un nuovo periodo di studi, a Bologna, al termine dei quali, il 20 febbr. 1720, fu nominato lettore di filosofia. Esercitò tale attività in vari conventi domenicani, fra cui Forlì e Vigevano, ma per poco tempo, poiché il p. Vincenzio Gotti lo convinse a ritornare alla predicazione, nella quale fu molto applaudito per quasi tutta l'Italia, da Napoli a Genova, a Roma, a Bologna, a Torino, e anche all'estero. Fu infatti a Vienna nel 1738, ricevendo grandi dimostrazioni di stima dall'imperatore Carlo VI: in questa occasione ebbe la possibilità di conoscere il Metastasio. Nello stesso periodo ricoprì alcune cariche ecclesiastiche: fu eletto vicario generale del S. Offizio di Milano nel convento di S. Maria delle Grazie e inquisitore generale della città e diocesi di Crema. Durante la predicazione della quaresima del 1750, a Piacenza, mentre celebrava la messa fu colto da un colpo di apoplessia. Morì pochi giorni dopo, il 26 marzo 1750.
L'elogio funebre fu recitato dal p. Vincenzio Elena, priore di S. Giovanni in Canale di Piacenza. Gli arcadi della Colonia Trebbiense, alla quale era affiliato, ne onorarono la memoria con vari coniponimenti poetici. Il C. era iscritto anche ad altre accademie: all'Arcadia di Roma, col nome pastorale di Britide Eaceo, e ai Filodossi di Milano, fondati da Remigio Fuentes. Fu uomo di costumi illibati e irreprensibili: il Metastasio, ricordando il suo incontro in una lettera a Francesco D'Aguirre, lo paragona a "un'ostrica, tanto molle al di dentro quanto pareva duro al di fuori" (p. 169) In realtà, una visione monolitica della vita (subordinata ad un'arcigna difesa del cattolicesimo postridentino nei suoi aspetti più repressivi) si può ricavare dalla lettura delle sue opere, tra le quali la più interessante è la Storia di s. Pietro Martire di Verona (Milano 1741), in cui il C. mostra una notevole probità storiografica, esaminando criticamente le fonti cui attinge. Egli si sentiva vicino questo santo che aveva il suo nome, era della sua terra, ma soprattutto era stato come lui predicatore ed inquisitore; dalla sua biografia quindi il C. traeva lo spunto per una convinta difesa dell'Inquisizione, polemizzando a questo proposito col Giannone, il quale, "esaggerandoil soverchio rigore dell'Inquisitori, si studia di rendere il tribunale dell'Inquisizione odioso, ed orribile ai popoli" (p. 121); in un altro passo, riprendendo le tesi esposte dal Bossuet nella Storia delle variazioni delle Chiese protestanti, afferma che "...ne' moderni pretesi Riformatori è trasfuso tutto lo spirito degli antichi Eresiarchi, spirito di ribellione, e di calunnia...".
Questo legame con l'attualità e la cultura del tempo, derivante da intenti apologetici, non si ritrova nelle altre vite di santi che il C. scrisse: quella di un altro famoso predicatore, la Vita prodigiosa di s. Vincenzo Ferrerio (Parma 1737); la Vita del sommo pontefice b. Benedetto XI (Milano 1736); le Orazioni panegiriche in lode di s. Petronio (Bologna 1742). Il C. si cimentò anche nella poesia, per altro con risultati di minore interesse. Col nome arcadico pubblicò una Corona di sonetti (Venezia 1723) nel complesso assai macchinosi e aderenti ai canoni accademici, in cui si lamenta la partenza del cardinal Francesco Barbarigo dal vescovado di Brescia, concludendo con l'augurio che il personaggio celebrato possa raggiungere il trono papale. Per l'elenco completo delle opere rimandiamo al Mazzuchelli (ff. 393v-394r).
Fonti e Bibl.: Bibl. Apost. Vaticana, Vat. lat. 9263: G. M. Mazzuchelli, ff. 391-394; P. Metastasio, Opere (ed. naz.), III, Lettere, pp. 169, 1202; A. Scoti, Mem. del B. Benedetto XI, Trevigi 1737, p. 175; Novelle della Repubblica letteraria (Venezia), XX (1748), p. 348; V. Peroni, Biblioteca bresciana, I, Brescia 1818, pp. 226 s.