CAMPI, Pier Maria
Nacque a Piacenza il 19 maggio 1569, in una casa ancora oggi esistente nel vecchio centro della città, da un Gentile appartenente a una distinta famiglia locale di zecchieri. Avviato alla carriera ecclesiastica, sacerdote dal 15 giugno 1593, fu prima mansionario e poi canonico della basilica di S. Antonino di Piacenza. Tale funzione lo pose in contatto diretto con i vescovi della città, che gli affidarono importanti incarichi, come quello di viceministro dell'ospedale di S. Lazzaro e di vicepriore del locale Monte di pietà; nei suoi giovani anni il C. fu protetto dal vescovo di Piacenza e cardinale F. Sega e da suo nipote G. B. Agucchi, cui dovette anche come pare, i primi incitamenti a occuparsi di storia religiosa locale. La vocazione di storico e di erudito si scoprì gradatamente nel C., che all'inizio, proprio per le sue funzioni di canonico della antica basilica piacentina, intese soltanto comporre testi di occasione, volti a celebrare, anche in modi favolosamente agiografici, le glorie della chiesa locale e del suo santo protettore (Insignium gestorum s. Antonini martyris ... aliorumque sanctorum ... series, Placentiae 1603; Vita di s. Antonino, ibid. 1603); ma già questi lavori (l'uno più strettamente erudito, l'altro più distesamente narrativo) e le ricerche condotte prima del 1602 per la revisione dell'uffizio dei santi della diocesi piacentina, approvato appunto quell'anno, dovevano avergli rivelato il senso e il gusto della narrazione agiografica e contemporaneamente anche l'esistenza e la ricchezza dei depositi archivistici della cattedrale e delle altre chiese cittadine. Probabilmente il C. non possedeva alcuna specifica preparazione alla ricerca erudita e filologica; ma la decisa volontà di contribuire all'esaltazione del tradizionale patrimonio religioso e culturale della sua città (nel 1623 affermava: "sin dai giovenili anni fui vago di raccorre i fiori eletti del campo di Piacenza dico le vite de' santi e beati della stessa città": Bibl. Ap. Vat., ms. Barb. lat. 6461, c. 37r) dovette indurlo a ricerche sempre più approfondite e vaste negli archivi piacentini e poi anche in altri vicini e lontani, al fine di rinvenire memorie comunque attinenti alla storia ecclesiastica di Piacenza. L'attività ostinatamente durata in tali studi spiega anche il suo lungo silenzio, da cui uscì soltanto fra il 1614 e il 1618 per pubblicare ancora tre vite di santi localmente venerati (Vita di s. Corrado eremita..., Piacenza 1614; Vita di s. Raimondo Palmerio..., ibid. 1618; Vita di s. Franca…, ibid. 1618), molto ampie ma anche fondate su ricerche documentarie e cronachistiche dirette.
Il C. proseguì quindi indefessamente la sua attività di agiografo, allestendo una vita di s. Margherita di Cantiga, edita soltanto nel secolo scorso e altre trattazioni sui "corpi santi" conservati nelle chiese piacentine. Nel 1622 promosse la causa di canonizzazione del piacentino Gregorio X papa, pubblicando una Relatio al pontefice Gregorio XV (Placentiae 1622), che l'anno appresso indirizzò anche ad Urbano VIII elevato al soglio pontificio. Proprio per seguire l'andamento di questa causa di canonizzazione, che non giunse mai a conclusione e fu infine sospesa, il C., con incarico ufficiale della città di Piacenza, soggiornò a Roma fra il 1626 e il 1631; e ne approfittò per stringere relazioni con F. Ughelli e soprattutto per compiere ampie ricerche nell'Archivio Vaticano, di cui spogliò i registri pontifici. Nella prospettiva di un definitivo passaggio dall'agiografia all'erudizione storica, il soggiorno romano, con le esperienze di uomini e di ricerca compiutevi, dev'essere stato decisivo per il Campi. Nel 1634, tornato a Piacenza, egli stava preparando in latino, per incarico del vescovo locale A. Scappi, una serie di biografie di vescovi piacentini, che non vennero più pubblicate. Ma già dalla fine del 1619, come affermava egli stesso in una lettera di quell'anno (Bibl. Ap. Vat., ms. Barb. lat. 6461, c. 39r), il C. aveva cominciato a preparare e quindi a stendere l'opera sua maggiore, quella grossa, farraginosa, ma ricchissima di dati e di materiale documentario, Historia ecclesiastica di Piacenza, cui il suo nome è ancora legato, e di cui nel 1626 era già pronta una prima, vasta redazione in ben diciannove volumi manoscritti.
L'opera, divisa in tre volumi, fu edita postuma, fra il 1651 e il 1662, dal nipote omonimo e come lui canonico della cattedrale piacentina (Dell'Historia ecclesiastica di Piacenza..., I-III, Placentiae 1651-1662), dopo che a più riprese, fra il 1640 e il 1642, il C. stesso aveva effettuato alcuni vani tentativi per procurame la stampa. La narrazione storica vi è condotta con metodo annalistico, in lingua italiana, al fine, come lo stesso autore dichiara, di raggiungere un più vasto pubblico in Piacenza e nell'intera Italia; ogni volume è corredato di un'ampia silloge documentaria e di varie appendici; la materia vi è divisa, senz'alcuna preoccupazione sistematica, dalle origini al 1150; dal 1151 al 1277; dal 1278 al 1435; un quarto volume, destinato a giungere sino all'epoca dell'autore, rimase allo stato di abbozzo: il relativo manoscritto era già disperso e irreperibile un secolo dopo, quando invano ne fece ricerca C. Poggiali. La storia del C. è innanzitutto una storia municipale, con tutto quello che di limitato e di tendenzioso ciò poteva significare in pieno Seicento; e invano il nipote e curatore, nella sua prefazione al terzo volume, sostiene che la si potrebbe ben a ragione qualificare "Historia, universale, perché a luogo e tempo, secondo le occorrenze, tratta delle historie e de' fatti segnalati di molte altre città dentro e fuori d'Italia" (prefazione Ai cortesi lettori, n. n.); tali allargamenti della narrazione servono soltanto a fornire un tessuto connettivo al meccanismo annalistico e rimangono al livello della pura enunciazione cronistica. In realtà, all'interno della dimensione municipale (puramente esteriore e occasionale, anche perché nel caso specifico priva di una tradizione storiografica consolidatasi in ideologia), il vero centro di interesse del C. è quello religioso, per una narrazione che fornisca esempi atti insieme a "giovare" e a "dilettare" gli animi dei lettori, ma anche incitarli all'esercizio delle virtù; una storia, insomma, intesa come "moralità", ma anche, nello svolgimento del discorso, come allegoria e come vera e propria rappresentazione teatrale, in cui primi attori appaiono essere le vestigia terrene dei santi, le loro, reliquie conservate nelle chiese di Piacenza, cui il C. dedica un'attenzione prevalente, dagli aspetti a volte esteriormente scenografici. In tale paesaggio popolato di avventure edificanti e di "corpi santi" si snoda anche la storia delle vicende delle comunità religiose piacentine, ricostruita minuziosamente mediante l'indagine archivistica e la pubblicazione di un gran numero di documenti inediti e sconosciuti, ma con assoluto disinteresse a ogni risvolto più concretamente istituzionale o politico dei fatti narrati. È questo l'altro aspetto della storiografia del C., quello erudito, teso alla ricerca, com'egli stesso diceva, della "pura e semplice verità che è l'anima dell'historia" (I, p. 3), e fondato sulle fonti locali, cronistiche o documentarie, consultate sempre di prima mano, ma poste tutte, indifferentemente, sullo stesso piano e accettate acriticamente come autorità anche quando sospette o false. Ma l'accettazione o addirittura la fabbricazione del falso si collocano nell'esperienza del C. in una prospettiva storiografica dislocata su due piani diversi, quello della verità documentaria, offerta crudamente come tale, e quello della congettura possibile, che si fa strada nel discorso narrativo attraverso arditissimi passaggi dal reale all'irrazionale: come quando, nella trattazione sulla propria famiglia (III, pp. 317-325), il C. la proclama la più antica del mondo, in quanto la più vicina (per ragioni onomastiche: Campi da campo, terreno) alla Terra e perciò ad Adamo; o come quando, nell'altra trattazione sulla presunta origine piacentina di C. Colombo (III, pp. 225-227), al fumoso discorso sulle origini di quella famiglia e del relativo cognome egli fa seguire una precisa indagine documentaria sui Colombo di Piacenza. Ma il grado più alto e scoperto di mistificazione viene forse raggiunto nella edizione del grossolano falso (probabilmente fabbricato dallo stesso C.) costituito dalla presunta cronaca delle origini di Piacenza attribuita ad un T. Omusio Tinca piacentino e contemporaneo di Cicerone (I, pp. 437-451); un testo che, contro ogni verosimiglianza, il C. sostenne di avere rinvenuto in un innominato archivio privato della sua città e di cui sostenne con speciosissimi argomenti la genuinità. Eppure egli era uomo non privo di esatte cognizioni di cronologia, esperto, sia pure soltanto per pratica, di paleografia e di diplomatica, sicuro conoscitore di archivi e di bibliografia storica moderna ed oltramontana, cui si debbono anche seri contributi di ricerca, come quello sulle vicende del vescovo piacentino s. Fulco (II, pp. 112 s.) 0 sul pontefice Gregorio X, di cui elaborò una biografia apprezzata dal Muratori (II, pp. 313-319) e pubblicò una vasta silloge documentaria estratta dai registri vaticani (ibid., pp. 404-488); oppure acute considerazioni metodologiche, come quelle sulla diffusione dei cognomi non anteriormente al secolo XI (I, pp. 243-246) o sulla datazione dei privilegi imperiali (I, pp. 209 s.).
L'indifferenza per uno stile letterariamente apprezzabile (il C. scrive assai rozzamente) e per il mondo classico in genere; l'accentuazione di interesse per settori di ricerca quali l'agiografia, le origini cristiane, la storia ecclesiastica medievale; la difesa ostinata dei privilegi e dell'autonomia delle comunità ecclesiastiche sembrano individuare nel C. un minore antesignano di alcuni almeno degli aspetti della grande erudizione posteriore del Bacchini e del Muratori. Ma troppo debole fu la sua critica, troppo incerto il suo metodo, troppo forte in lui la passione per la moralità e l'allegoria intese come categorie storiche, al di là di ogni mistificazione. Il Leibniz e il Muratori lo apprezzarono come prezioso raccoglitore ed editore di documenti, e anche in questo secolo gli storici del Medioevo e i diplomatisti hanno consultato con profitto le sue fitte appendici ricche di trascrizioni e di regesti. Ma forse con altrettanto profitto la sua Historia potrebbe adoperarsi come fonte primaria per lo studio di un determinato tipo di mentalità religiosa e di tipologia culturale cattolica del Seicento italiano.
Il C. lavorò sino agli ultimi anni, o mesi, di vita intorno al testo della sua Historia, aggiungendovi continuamente, al di fuori dello schema annalistico, notizie di fatti contemporanei, lettere a lui dirette, curiosità e così via. Nel 1647 fu protagonista di un importante recupero di reliquie di santi, che ospitò temporaneamente nella sua stessa casa. Ivi venne a morte il 9 ott. 1649 e fu seppellito nella vicina chiesa di S. Vincenzo.
Fonti e Bibl.: Numerosi manoscritti del C., contenenti appunti, spogli e lettere di sua mano o a lui indirizzate, sono conservati nella Biblioteca Palatina di Parma, mss. Parmensi, nn. 482-486 e in quella Comunale di Piacenza, mss. Pallastrelli, nn. 82-93. Cfr. inoltre su di lui: C. Poggiali, Memorie storiche della città di Piacenza, I-II, Piacenza 1757, ad Indicem; V, ibid. 1758, ad Indicem; VII, ibid. 1759, pp. 193-195; Epistolario di L. A. Muratori, a cura di M. Campori, IV, Modena 1902, p. 1411; V, ibid. 1903, pp. 1699, 2110 s.; VI, ibid. 1903, p. 2672; VII, ibid. 1904, pp. 2779 s., 2842; P. F. Kehr, Papsturkunden in Parma und Piacenza, in Nachrichten von der Gesellschaft der Wissenschaften zu Göttingen, phil.-hist. Klasse, 1900, pp. 6 s., 8, 18; L. Schiaparelli, Documenti ined. dell'archivio capitolare di Piacenza, in Arch. stor. per le prov. parmensi, VII (1898-1901), pp. 183-214; M. Casella, Le origini di Piacenza e una dotta polemica intorno ad esse, Piacenza 1912, pp. 11 s., 21 s., 25-27, 34, 44; U. Benassi, P. M. C. e il b. Gregorio X, in Boll. stor. piacentino, IX (1914), pp. 145-157; A. Balsamo, Lo svolgimento della storiografia piacentina, ibid., XX (1925), pp. 54-57; E. Nasalli Rocca, Uno storico erudito del secolo XVII: P. M. C., in Aevum, XXVI (1952), pp. 252-271; Id., La storiografia piacentina nell'età muratoriana, in Atti e memorie della Deputaz. di storia patria per le prov. modenesi, s. 8, VII (1955), pp. 222-239; S. Bertelli, Erudiz. e storia in L. A. Muratori, Napoli 1960, pp. 182, 193 s., 196 s., 497; P. F. Kehr, Italia pontificia, pp. 441-516 passim.