ROMITA, Pier Luigi
– Nacque a Torino il 27 luglio 1924, secondogenito di Giuseppe e di Maria Stella, entrambi di origini piemontesi.
Il padre, storico esponente del socialismo democratico italiano, fu militante antifascista, deputato e più volte ministro.
Pier Luigi trascorse i primi anni di vita a Mongreno, sulle colline torinesi, fino a quando, insieme alla madre e alla sorella Gemma, nata nel 1922, raggiunse il padre, prima al confino di Ustica, nel 1927, e poi a quello di Veroli (Frosinone), nel 1931, al termine del quale, nel 1933, si trasferì con la famiglia a Roma, dove frequentò le scuole medie e superiori.
Dopo l’8 settembre 1943 aderì al Partito socialista italiano di unità proletaria, costituito nella clandestinità sotto la guida anche del padre Giuseppe. Partecipò alla Resistenza, nella brigata Matteotti che operava sulle colline di Albano Laziale, e fu insignito della croce di guerra. Dopo la Liberazione e la nascita della Repubblica, guardò con favore alla scissione di palazzo Barberini, nel 1947, e alla nascita del Partito socialista dei lavoratori italiani di Giuseppe Saragat, al quale attribuì sempre il merito di affermare «la inscindibilità del socialismo dalla libertà e dalla democrazia» (In ricordo di Saragat, 2000, p. 148).
Pur dimostrando particolare dedizione verso l’impegno politico – ispirato fin dagli inizi ai valori del socialismo democratico europeo – proseguì gli studi e nel 1947 si laureò in ingegneria al Politecnico di Milano. Qui intraprese la carriera universitaria, approfondendo, fra il 1949 e il 1950, le sue ricerche presso il National Bureau of standards di Washington e seguendo gli insegnamenti del professor Giulio De Marchi, illustre esponente dell’idraulica italiana e internazionale.
Pubblicò Moto dei fluidi attraverso sistemi permeabili: i limiti di validità della legge di Darcy alla luce dei più recenti risultati sperimentali, Milano 1951; Provvedimenti tecnico-amministrativi adottati in alcuni paesi per porre rimedio all’inquinamento delle acque superficiali da parte di scarichi industriali e urbani, Milano 1956; La St. Lawrence Seaway apre nuove vie di comunicazione e nuove prospettive economiche internazionali, Milano 1960. Nel 1965, sarebbe stato chiamato come professore ordinario dalla facoltà di ingegneria dell’Università degli Studi di Milano.
Nel 1952 partecipò alla fondazione del Partito socialista democratico italiano, nelle fila della sinistra socialdemocratica. In seguito alla morte del padre, fu eletto, nel 1958, deputato del PSDI nel collegio di Cuneo-Alessandria-Asti, dove venne riconfermato nelle successive otto legislature. Fu eletto al Parlamento europeo nel 1984 e nel 1989, optando, in entrambi i casi, per gli incarichi governativi in Italia. Consigliere comunale a Tortona, Alessandria e Torino, dimostrò sempre grande attenzione per il suo collegio elettorale e per il Piemonte: favorì la ristrutturazione delle residenze sabaude, l’ammodernamento della rete dell’acquedotto del Monferrato, nelle province di Torino, Asti e Alessandria, e la realizzazione dell’autostrada A26.
Dal 1963 al 1992 ricoprì numerosi incarichi di governo, non venendogli mai a mancare il sostegno della moglie Antonia Magri, sposata nel 1961, e della figlia Stella, nata nel 1962. Sottosegretario di Stato ai Lavori pubblici nel primo e secondo governo Moro, alla Pubblica Istruzione nel terzo governo Moro, all’Interno nel primo governo Rumor, alla Pubblica Istruzione nel terzo governo Rumor e nel primo governo Colombo, fu ministro senza portafoglio per la Ricerca scientifica e tecnologica nel secondo governo Andreotti, nel primo governo Forlani e nel quinto governo Fanfani, ministro senza portafoglio per gli Affari regionali nel primo governo Craxi, ministro del Bilancio e della Programmazione economica nel primo e secondo governo Craxi; fu, infine, ministro senza portafoglio per le Politiche comunitarie nel sesto e settimo governo Andreotti.
Nei primi anni Sessanta, con la nascita del centrosinistra «organico» di Aldo Moro, salutò con favore l’ingresso del Partito socialista italiano nell’area di governo e il contestuale allontanamento dai comunisti. Avversò il totalitarismo comunista senza mai estremizzare il suo anticomunismo. «Noi riteniamo – affermava – […] che la battaglia contro il comunismo non si vinca con le discriminazioni, con leggi speciali […]. Siamo convinti, al contrario, che la sfida del comunismo si vince in un modo solo: dimostrando che la democrazia non è soltanto il sistema politico migliore dal punto di vista ideologico, ma è anche il sistema politico più efficiente per superare gli squilibri sociali ed economici» (Atti parlamentari dell’assemblea, anni 1961-62, Camera dei deputati, III legislatura, Discussioni, 10 marzo 1962, p. 28039; il documento e i successivi citati sono consultabili on-line in http://legislature.camera.it).
Sostenne la riforma della scuola media statale, con l’innalzamento a quattordici anni dell’istruzione obbligatoria e il miglioramento dell’edilizia scolastica; seguì con attenzione l’iter parlamentare della nuova legge urbanistica (Sullo) per favorire «la ripresa edilizia, con crescente partecipazione dell’iniziativa pubblica» (Averardi, 1977, p. 364), dando alle stampe Ordinamento regionale e legge comunale e provinciale (Roma 1962); fu favorevole alla programmazione economica e alla «eliminazione delle ‘mezzadrie ministeriali’, che […] ritardano l’attuazione delle varie iniziative» (ibid.); sostenne la nazionalizzazione dell’energia elettrica, per sottrarre «l’esercizio di questo servizio pubblico fondamentale al mero criterio del profitto» (Atti parlamentari dell’assemblea, anno 1962, Camera dei deputati, III legislatura, Discussioni, 1° agosto 1962, p. 32225). Dopo l’elezione di Saragat, nel 1964, alla presidenza della Repubblica, fu protagonista, nel 1966, della riunificazione del PSDI con il PSI e, nel 1969, della nuova scissione socialista democratica.
Negli anni Settanta, a seguito della crisi petrolifera, condivise la necessità di un cambiamento della politica economica governativa, fondata sulla spesa pubblica finanziata in disavanzo. «Una politica che – era solito ribadire –, sotto la pressione di interessi settoriali e corporativi, sembrava in grado […] di appagare tutte le richieste, nell’illusione che nessuno sarebbe stato poi chiamato a coprire quelle spese» (Atti del Parlamento italiano, Camera dei deputati, VII legislatura, Discussioni, 22 ottobre 1976, p. 1617).
Conclusasi l’esperienza governativa del primo centrosinistra, nel 1974, Romita fu tra i firmatari di una mozione congressuale – promossa da Saragat – con cui si denunciava la politica centrista rilanciata da Mario Tanassi. Dopo il deludente risultato del PSDI alle elezioni del 1976, fu eletto alla segreteria nazionale del partito, fino al 1978: un biennio segnato dall’uccisione di Moro a opera delle Brigate rosse, verso cui il segretario del PSDI avversò sempre «qualsiasi cedimento» (Atti del Parlamento italiano, Camera dei deputati, VII legislatura, Discussioni, 16 marzo 1978, p. 14526).
Alla guida del suo partito, si confrontò con il PCI e criticò la strategia del compromesso storico. «Quel partito comunista – affermava – che pubblicamente la DC proclama non volere assolutamente quale partner di maggioranza, in realtà è divenuto non soltanto – come è ovvio, data la distribuzione delle forze parlamentari – una componente essenziale del Parlamento, bensì l’interlocutore privilegiato di qualsiasi dialogo condotto dalla segreteria politica della DC, o dalla stessa Presidenza del Consiglio» (Atti del Parlamento italiano, Camera dei deputati, VII legislatura, Discussioni, 14 luglio 1977, p. 9128). Sollecitò quindi il dialogo fra le forze parlamentari per il raggiungimento di un accordo «sui problemi più urgenti e importanti per il paese» e per superare le «intese tattiche» e «l’ambiguità delle astensioni», ed era solito ribadire a Enrico Berlinguer che oramai «molte artificiose e manichee distinzioni» con il PCI erano venute meno, ma che una reale alternativa alla DC non potesse che essere «democratica» (ibid.); a questo proposito pubblicò Esperienze e prospettive del socialismo democratico (Città di Castello 1977).
Atlantista convinto, Romita credeva nella distensione internazionale, nel disarmo e nella possibilità di superare la contrapposizione fra i blocchi attraverso la mediazione. Da europeista della prima ora, sostenne l’elezione diretta a suffragio universale del Parlamento europeo. «L’Europa comunitaria – affermava alla fine degli anni Settanta – attraversa oggi grandi difficoltà; siamo quasi alla bancarotta per certi aspetti […]. Riteniamo che, una volta eletto il Parlamento europeo a suffragio diretto, si debba puntare […] alla graduale creazione di una autentica autorità europea che […] diventi depositaria di poteri sovranazionali che possano consentire l’effettivo sviluppo di politiche comuni» (Atti del Parlamento italiano, Camera dei deputati, VII legislatura, Discussioni, 30 novembre 1977, p. 12912).
Durante i governi di «solidarietà nazionale», riavviò il dialogo con il PSI guidato da Bettino Craxi e definitivamente approdato alla cultura occidentale e socialista liberale, e cercò, proponendo la costituzione di un’«area socialista», di favorire la riunificazione del socialismo italiano. I suoi vicesegretari, Pietro Longo e Franco Nicolazzi, lo accusarono, tuttavia, di non mantenere adeguatamente le distanze dalla sinistra massimalista e dal PCI; messo in minoranza nel comitato centrale dell’ottobre del 1978, lasciò la segreteria del partito a Longo.
Ministro del Bilancio e della Programmazione economica nei governi Craxi, dal 1984 al 1987, l’azione di Romita fu volta a migliorare il rapporto fra aumento del prodotto interno lordo, favorito dallo sviluppo tecnologico, e diminuzione della disoccupazione, anche con la realizzazione di infrastrutture pubbliche mediante l’utilizzo del Fondo per investimenti e occupazione. Particolare attenzione rivolse alla ricerca scientifica, ai beni culturali e all’ambiente.
Nel 1988 perse la sfida con Nicola Cariglia nella corsa alla segreteria del PSDI e, nel 1989, alla vigilia del crollo del muro di Berlino, raccogliendo l’appello lanciato da Craxi per l’unità delle forze socialiste italiane, uscì dal suo partito – pubblicando la lettera Il perché di una scelta (Roma 1989) – e partecipò alla fondazione del movimento di Unità e democrazia socialista che, poco dopo, confluì nel PSI, con cui Romita fu rieletto, nel 1989, al Parlamento europeo e, nel 1992, alla Camera dei deputati.
Ministro per le Politiche comunitarie nel 1990, sostenne l’applicazione della «legge comunitaria» per il recepimento e l’attuazione, anno per anno, attraverso un unico testo legislativo nazionale, degli obblighi derivanti dalle direttive europee. Membro della delegazione italiana che firmò il Trattato di Maastricht, intravide nuove sfide per il processo d’integrazione europea. «Pur nell’entusiasmo e nella soddisfazione – dichiarò – per il sorgere di libere istituzioni democratiche nei paesi dell’Europa orientale a fronte di regimi ormai generalmente condannati, pur nell’entusiasmo per il nascere in quei paesi di forme di pluralismo, di economia di mercato, di organizzazione democratica della società, non sfugge tuttavia a nessuno che la situazione nell’Europa, che sta evolvendo verso nuove forme e nuovi riferimenti democratici, è tutt’altro che stabile e certa […]. Il mercato unico, […] sia pure all’insegna dei soli principi della libertà di concorrenza e della competitività, ha comportato inevitabilmente il problema della dimensione sociale dell’Europa» (Atti del Parlamento italiano, Camera dei deputati, X legislatura, Discussioni, 3 luglio 1990, pp. 62809 s.).
Alla metà degli anni Novanta, terminata l’XI legislatura, Romita concluse l’attività parlamentare e ministeriale. Nell’ambito di un’inchiesta avviata dalla procura di Torino, e che vedeva coinvolti alcuni esponenti del PSDI, fu condannato, nel 1994, a un anno e quattro mesi di reclusione per corruzione, risalente al periodo in cui era stato ministro del Bilancio; due anni più tardi, quella vicenda giudiziaria si concluse a suo favore: la corte di appello dichiarò nulli gli atti relativi alla sentenza pronunciata dal giudice dell’udienza preliminare.
Dopo lo scioglimento del PSI, travolto dalle vicende di Tangentopoli, Romita rilanciò il progetto di costruzione di una «grande casa comune» socialista e con il Movimento dei socialisti democratici e dei laburisti aderì, nel 1994, ai Socialisti italiani, nel 1996, all’Ulivo di Romano Prodi e, nel 1998, agli Stati generali della sinistra, promossi da Massimo D’Alema. Condividendo le scelte politiche di Piero Fassino, entrò, infine, nei Democratici di sinistra (DS), come dirigente regionale in Piemonte, dopo aver firmato nel 1999 un appello a votare per i DS alle elezioni europee insieme ad altri socialdemocratici storici come Alberto Bemporad, Filippo Caria, Ferdinando Facchiano.
Morì a Milano il 23 marzo 2003, dopo una lunga malattia.
Opere. Scritti e discorsi politici, 1976-1979, s.l. 1979; 200 giorni al Ministero del Bilancio e della Programmazione economica, Roma 1985; In ricordo di Saragat, in Giuseppe Saragat 1898-1998, Manduria-Bari-Roma 2000, pp. 147-152.
Fonti e Bibl.: Firenze, Fondazione di studi storici Filippo Turati, Archivio della Direzione nazionale del Partito socialista democratico italiano (1951-1967); Roma, Archivio centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Gabinetto, Partiti politici, Partito socialdemocratico italiano, 1944-1966.
G. Averardi, I socialisti democratici. Da palazzo Barberini alla scissione del 4 luglio 1969, Milano 1977 (atti dei Congressi nazionali); F. Fornaro, P.L. R. e il socialismo democratico, in Quaderno di storia contemporanea, 2003, n. 33, pp. 120-135; Camera dei Deputati, Portale storico, http://storia. camera.it/deputato/pier-luigi-romita-19240727 #nav (24 febbraio 2017).