NERVI, Pier Luigi
NERVI, Pier Luigi. – Nacque il 21 giugno 1891 a Sondrio da Antonio, funzionario delle poste italiane, e da Luisa Bartoli.
Trascorse l’infanzia a Savona e seguì gli spostamenti della famiglia in diverse città italiane. Terminato il liceo si iscrisse alla Regia Scuola d’applicazione per ingegneri e architetti dell’Università di Bologna, per compiervi gli studi di ingegneria. Qui si laureò il 28 luglio 1913, con votazione di 99 centesimi.
Tra i docenti della scuola di ingegneria bolognese negli anni in cui Nervi la frequentava vi era l’ingegnere e architetto Attilio Muggia, professore di architettura tecnica. Solidamente radicato nella cultura architettonica tardo-eclettica, Muggia era tra i professionisti maggiormente impegnati nello studio e nella sperimentazione sul campo della tecnologia del calcestruzzo armato. A partire dal 1895 il suo studio era concessionario per l’Italia centrale del sistema Hennebique, mentre la Società anonima per costruzioni cementizie (SACC), da lui fondata nel 1903 insieme all’ingegnere fiorentino Leone Poggi, progettava e costruiva in tutta Italia, a partire dalle due sedi di Bologna e di Firenze, una vasta gamma di edifici in cemento armato di varia natura: ponti, silos, serbatoi, grandi coperture per edifici pubblici e privati.
Fu presso la SACC che Nervi venne assunto come ingegnere all’indomani della laurea, un’esperienza presto interrotta dallo scoppio della prima guerra mondiale e dalla chiamata alle armi (15 giugno 1915). Inizialmente inquadrato nella 69a compagnia zappatori e inviato al fronte, venne richiamato nel 1916 per malattia e inquadrato, a Roma, nel battaglione dirigibilisti, come addetto al rifornimento gas. Qui sviluppò, a partire dal 1917, una serie di studi e brevetti legati all’alimentazione a gas dei motori di grandi apparecchi e al controllo dei rischi di esplosione. Congedato il 9 settembre 1919, riprese servizio presso la SACC, che lo destinò alla sede di Firenze. Nei quattro anni successivi, come unico ingegnere della sede insieme a Poggi, prese parte, direttamente o indirettamente, alla realizzazione delle molte opere che la società progettava in Toscana e seguì una serie di cantieri che si rivelarono importanti per il consolidamento della sua esperienza professionale.
Tra questi, la copertura del campo per il gioco della pelota a Firenze, all’interno del complesso dell’Alhambra progettato da Adolfo Coppedè (1919-21), la torre per l’osservatorio di Arcetri (1919), il gasogeno per la centrale di Castelnuovo dei Sabbioni (1920), il ponte sul Cecina a Pomarance (1920-23). Già prima della fine della guerra iniziò a depositare brevetti sul cemento armato (brevetto del 18 dicembre 1917 su un «Conglomerato cementizio rinforzato da elementi metallici uniformemente distribuiti nell’impasto») e proseguì negli anni di servizio presso la SACC, in particolare con un brevetto del 1920 su «Blocchi cemento-laterizi per strutture murarie e solai».
Il progressivo radicamento professionale nell’ambiente toscano lo portò a ottenere, in parallelo al lavoro compiuto per la società, una serie di incarichi a titolo personale, come quelli per una diga a Granaiolo o per il rinforzo e completamento del cinema Gambrinus a Firenze, entrambi dell’inizio degli anni Venti. Nel 1923 fu eletto presidente della sezione fiorentina del neocostituito sindacato nazionale ingegneri. Insoddisfatto della sua posizione professionale, prima cercò di negoziare con la società di Muggia un aumento di stipendio e una maggiore visibilità, poi accettò la proposta di un imprenditore romano, Rodolfo Nebbiosi, per la costituzione in proprio di una nuova società. Diede così le dimissioni dalla SACC nell’aprile 1923.
Il 27 aprile 1924, sposò Irene Calosi, dalla quale avrebbe avuto quattro figli: Antonio, Mario, Carlo e Vittorio. Inizialmente domiciliata a Roma, in via Sforza Pallavicini, la famiglia si trasferì alla fine degli anni Venti in una palazzina in lungotevere Arnaldo da Brescia, costrui-ta su progetto architettonico dell’architetto Gino Capponi e progetto strutturale dello stesso Nervi, che visse nell’edificio fino alla morte.
La società Nervi & Nebbiosi iniziò la propria attività nel giugno 1923 e non tardò a ottenere incarichi di rilievo. La costruzione della copertura e delle gradinate in cemento armato del teatro Banchini a Prato (1923-25) aprì la strada a un successivo incarico per il cinema-teatro Augusteo a Napoli, su progetto architettonico di Arnaldo Foschini (1926-28), il cui programma prevedeva la realizzazione, all’interno di un isolato del centro storico, di una sala a pianta circolare collocata sopra una nuova stazione della funicolare.
La Nervi & Nebbiosi registrò numerosi brevetti e firmò diversi progetti per edifici civili e industriali: tra questi ultimi, le manifatture tabacchi di Roma, Ancona, Lecce, Bologna, Firenze.
Alcuni di questi lavori rappresentarono per Nervi l’occasione di misurarsi con il progetto e l’esecuzione di strutture fortemente iperstatiche, nel cui calcolo svolgevano un ruolo importante la verifica empirica e l’esperienza di cantiere. Simili opere rappresentarono l’inizio di una riflessione sui limiti dell’ingegneria come scienza le cui formule «trattano con esattezza cose inesatte» e danno «risultati di larga approssimazione da interpretarsi con un criterio unico personale dove elementi di giudizio siano il sentimento e l’intuito», secondo le formulazioni proposte in un articolo del 1931, Scienza o arte dell’ingegnere? (pubblicato in L’Ingegnere, vol. V, n. 7, pp. 3 s.).
L’attività della Nervi & Nebbiosi si chiuse con l’opera che segnò per la carriera del quarantenne Nervi un punto di svolta: lo stadio Giovanni Berta a Firenze. La costruzione, sui terreni del Campo di Marte, si inquadrava nella politica di grandi opere pubbliche per lo sport e le manifestazioni di massa degli anni del regime. Il progetto – affidato alla società dal Comune di Firenze per licitazione privata – fu elaborato nel settembre 1930. Una prima fase dei lavori portò alla realizzazione della tribuna centrale, terminata nell’estate del 1931 e caratterizzata da una copertura a sbalzo di oltre 22 metri. Nel frattempo, il 13 maggio 1932, la società Nervi & Nebbiosi si sciolse e Nervi costituì insieme al cugino, l’ingegnere Giovanni Bartoli, una nuova società, la Nervi & Bartoli. Fu quest’ultima a occuparsi del completamento dello stadio, il cui cantiere riprese nella seconda metà del 1932 e si concluse all’inizio dell’anno successivo. Furono realizzati in questa fase l’anello delle gradinate perimetrali, le scale elicoidali esterne e la torre di Maratona, alta 55 metri.
Lo stadio Berta sollevò presto l’interesse di alcuni critici che vedevano nell’opera una possibile risposta ad alcune questioni che agitavano in quegli anni il dibattito razionalista italiano. Esso sembrava spiccare per il singolare equilibrio raggiunto tra soluzione strutturale e forma architettonica e per la maturità del progettista nel conferire all’edificio un’eleganza al tempo stesso visiva e costruttiva. A cantiere non ancora concluso, Pier Maria Bardi scrisse della tribuna coperta sulle pagine de L’Ambrosiano (9 febbraio 1932), elogiando «la bellezza monumentale della costruzione completamente funzionale, e volontariamente architettonica, priva di qualsiasi elemento decorativo, nuda e venata delle sue essenziali nervature». Poco dopo, su Architettura (marzo 1932) Giovanni Michelucci pubblicò il progetto delle scale elicoidali. La fortuna critica dell’edificio varcò peraltro i confini nazionali, con articoli su riviste specializzate come La technique des travaux, Architect and Building News, Moderne Bauformen. L’attenzione critica per Nervi si tradusse tra l’altro nel suo coinvolgimento nella Terza Mostra di architettura razionale, tenuta a Firenze nel 1932, nella partecipazione con diversi progetti alla V Triennale di Milano (1933) e nella pubblicazione di una serie di articoli e progetti a sua firma, nel biennio 1933-34, su riviste come Casabella e Quadrante.
Si aprì per Nervi un decennio, quello degli anni Trenta, ricco di collaborazioni con architetti e di progetti – quasi tutti rimasti sulla carta – per strutture iconiche come la torre-monumento alla bandiera da erigersi a Roma nel decennale del regime (1921), gli stadi di Livorno e Torino (1932), l’albergo galleggiante disegnato con Rubens Magnani (1932), la piscina apribile e le aviorimesse esposte alla Triennale milanese del 1933, il progetto di concorso per l’auditorium di Roma al circo Massimo elaborato con Cesare Valle. Spiccano in questa serie i progetti redatti a partire dal 1937 per l’E42, tra i quali diverse versioni di quello per il palazzo dell’Acqua e della Luce, un edificio per il quale Nervi risultò primo classificato ex aequo nel concorso che si tenne nel 1939. In parallelo, l’attività della Nervi & Bartoli crebbe rapidamente e portò l’impresa a proporsi come una società di progettazione e costruzione capace di portare avanti, tra il 1932 e il 1939, circa 900 progetti per grandi committenti pubblici e privati. Una parte importante delle realizzazioni si collocava nel campo delle coperture per magazzini, hangar, edifici industriali e siti di stoccaggio: tra questi, il magazzino per i sali fosfati a Margherita di Savoia (1933-36). Diverse cisterne interrate per combustibili vennero realizzate per la Marina sulla base di una serie di brevetti depositati tra il 1936 e il 1938. L’apice di questa produzione è rappresentato dalle aviorimesse in cemento armato che l’impresa progettò e costruì per l’Aeronautica militare tra il 1935 e il 1942. Due esemplari furono realizzati nell’aeroporto militare di Orvieto tra il 1936 e il 1938: la copertura di questi hangar, a pianta rettangolare, era sostenuta da un doppio sistema di archi diagonali incrociati tra loro a 45° e impostati su una nervatura perimetrale collocata a 9 metri da terra. Su tre lati il carico era condotto a terra da speroni inclinati collocati con regolarità lungo il perimetro, mentre il quarto lato era lasciato libero da sostegni (con l’eccezione di un pilone centrale) così da consentire il passaggio degli aerei. La soluzione fu perfezionata in occasione della costruzione di sei aviorimesse a Orvieto, Orbetello e Torre del Lago (1939-42) per le quali Nervi mise a punto un sistema di prefabbricazione degli elementi costruttivi fuori opera che consentiva di evitare le pesanti centinature richieste dalle prime soluzioni. L’evoluzione del progetto portò a elaborare una maglia strutturale simmetrica, con una copertura a padiglione sostenuta da sei pilastri inclinati e curvilinei.
L’originalità e la spettacolarità della soluzione fecero sì che le aviorimesse fossero pubblicate su riviste come Architettura (marzo 1938), Casabella (aprile 1938), The Architectural Record (novembre 1938), Moderne Bauformen (gennaio 1939), spesso con fotografie della struttura scattate prima del completamento delle pareti di tamponamento e della posa del manto di copertura. Nonostante la loro breve vita – alcune non furono mai completate, tutte, a eccezione di quella a Pantelleria, vennero distrutte durante la seconda guerra mondiale – le aviorimesse continuarono a rappresentare, anche dopo la guerra, un punto di riferimento per l’analisi del contributo fornito da Nervi al dibattito architettonico italiano. È sintomatico che proprio questi edifici siano l’unica sua opera inclusa da Bruno Zevi nella prima edizione della Storia dell’architettura moderna (Torino 1950, p. 278).
La progettazione delle aviorimesse segnò inoltre per Nervi l’inizio di una collaborazione fruttuosa con il laboratorio Prove modelli e costruzioni del Politecnico di Milano, fondato nel 1931 da Alberto Danusso. Qui la verifica strutturale degli hangar avveniva attraverso prove di carico condotte su modelli al vero: un metodo di lavoro destinato a partire da questo momento ad avere crescente importanza nella produzione nerviana. La verifica sperimentale permetteva di supplire alle insufficienze del calcolo e di verificare il comportamento delle strutture in condizioni diverse da quelle standard, perfezionando progressivamente le ipotesi iniziali. Verifica sui modelli e scomposizione in elementi prefabbricati di strutture complesse sono le due innovazioni – entrambe di processo – che vennero introdotte nelle aviorimesse degli anni Trenta per restare in molti dei lavori successivi.
Nella seconda metà degli anni Trenta e nel contesto della politica autarchica del fascismo, le ricerche sull’uso del cemento armato per coperture di grande luce nascevano anche dalla necessità di economizzare al massimo l’utilizzo del ferro. Esplorano queste direzioni alcuni scritti di questi anni (Per la massima autarchia edilizia, in Casabella, 1940, n. 147) e alcune sperimentazioni pratiche. A partire dalla fine degli anni Trenta, intensificò le proprie riflessioni sul ferrocemento e sulla realizzazione di superfici sottili resistenti per forma. Fu soprattutto la tecnologia navale a stimolare queste ricerche: la Nervi & Bartoli mise a punto, a partire dal 1939, diversi progetti di imbarcazioni in ferrocemento, alcune delle quali furono realizzate dopo il 1945. Sempre nel 1945 l’impresa costruì, sui propri terreni alla Magliana, un deposito che serviva come laboratorio di sperimentazione delle possibilità costruttive del materiale per edifici civili.
La sintesi delle esperienze compiute durante la guerra avvenne nell’immediato dopoguerra, sul piano teorico come su quello costruttivo. Nel 1945 Nervi pubblicò il suo primo libro, Scienza o arte del costruire? Caratteristiche e possibilità del cemento armato (Roma, Edizioni della Bussola). A partire dal 1946 ottenne un incarico di insegnamento esterno di Tecnica delle costruzioni presso la facoltà di architettura dell’Università di Roma, incarico che mantenne fino all’inizio degli anni Sessanta, anche se la sua posizione, in ambito accademico, restò sempre marginale. Dopo il 1947 il cantiere di Torino Esposizioni diventò il luogo di maturazione di molte delle sperimentazioni condotte negli anni recenti. Il complesso sorgeva nei pressi del parco del Valentino, sui resti del palazzo della Moda progettato da Ettore Sottsass nel 1936. La rifunzionalizzazione, affidata all’architetto Roberto Biscaretti di Ruffia e a Nervi per la parte strutturale, puntava a trasformarlo in un polo espositivo che doveva ospitare il salone dell’automobile e altri eventi fieristici. Il progetto, progressivamente modificato fino al 1954, prevedeva la conservazione di una parte delle architetture preesistenti e la realizzazione di tre saloni espositivi di dimensioni variabili. Il principale tra questi, il salone B, fu completato nel 1948.
La sala a pianta rettangolare, conclusa da un’abside, era coperta da una grande volta corrugata, ottenuta attraverso il montaggio di una serie di elementi prefabbricati in ferrocemento. Gli elementi erano realizzati a piè d’opera, collocati in posizione con l’ausilio di un ponteggio tubolare mobile e resi solidali tramite un getto di raccordo. La costruzione di una struttura di grande complessità diveniva così possibile attraverso il coordinamento sul cantiere di una serie di operazioni relativamente semplici dal punto di vista tecnologico. Oggetto di perfezionamento a Torino Esposizioni (in particolare nel salone C, 1949-50) fu anche il sistema di realizzazione di volte sottili a nervature incrociate basato sulla prefabbricazione delle formelle di riempimento e sul successivo getto delle nervature. Consolidati in una serie di brevetti depositati negli stessi anni, di cui la Nervi & Bartoli era unica licenziataria, questi modi di costruire definirono, a partire da questi anni, i tratti essenziali di quello che fu chiamato il «sistema Nervi».
La chiusura del cantiere di Torino Esposizioni si accompagnò alla pubblicazione delle prime monografie su Nervi, a cominciare dall’importante volume di Giulio Carlo Argan, Pier Luigi Nervi (1955). Allo stesso anno risale il secondo libro nerviano, Costruire correttamente. Caratteristiche e possibilità delle strutture cementizie armate (Milano, Hoepli), tentativo di sistematizzazione ed esposizione dei risultati raggiunti. All’inizio degli anni Cinquanta cambiò l’organizzazione dello studio e vi associò i figli Antonio (laureato in architettura nel 1950), Mario (laureato in ingegneria civile nel 1951 e in ingegneria aeronautica nel 1953) e Vittorio (laureato in architettura nel 1956). A partire dal 1954, lo Studio Nervi così formato si occupò degli aspetti più strettamente progettuali del lavoro, mentre le attività di cantiere restarono di competenza dell’impresa Nervi & Bartoli. Sempre a partire dagli anni Cinquanta, la verifica su modelli del comportamento delle strutture si svolse all’interno dell’ISMES (Istituto sperimentale modelli e strutture), fondato a Bergamo su iniziativa di Danusso e Guido Oberti. Nervi collaborò strettamente con l’istituto, di cui assunse tra l’altro la presidenza nel 1961.
Intanto, dai tardi anni Quaranta la carriera di Nervi aveva conosciuto l’internazionalizzazione, inizialmente legata soprattutto all’ambito sudamericano. Nel 1950 tenne lezioni nelle facoltà di architettura di Buenos Aires e Montevideo e (chiamato da Bardi) presso il Museu de arte di San Paolo del Brasile. In occasione di questo viaggio ricevette dall’Università di Buenos Aires la laurea honoris causa in architettura. Nel 1952 giunse un importante incarico internazionale, con la chiamata a partecipare al team di progettazione della sede dell’UNESCO a Parigi, composto da tre professionisti – Marcel Breuer, Bernard Zehrfuss e appunto Nervi – con la consulenza di un più ampio comitato internazionale di architetti in rappresentanza dei CIAM (Congrès internationaux d’architecture moderne): Lucio Costa, Walter Gropius, Le Corbusier, Ernesto Nathan Rogers, Sven Markelius. L’esperienza segnò per Nervi l’avvicinamento a un modo di lavorare fino a quel momento per lui poco consueto e basato principalmente sulla consulenza a distanza.
L’ambito internazionale in cui l’attenzione per il lavoro di Nervi si sviluppò più velocemente fu però rappresentato dagli Stati Uniti d’America.
Nell’aprile 1956 compì un tour in diverse università americane: Raleigh, Columbia, Princeton, Harvard. Risale allo stesso anno la traduzione di Costruire correttamente, condotta da Mario e Giuseppina Salvadori (New York, F.W. Dodge, 1956; nel 1997 è uscita la traduzione francese, di Muriel Gallot, Savoir construire, Paris, Éditions du Linteau).
Opere di Nervi furono pubblicate su diverse riviste specializzate di lingua inglese (Civil Engineering, Concrete, Progressive architecture, Architectural record) cui si affiancarono riviste a grande diffusione come Time (che l’11 novembre 1957 dedicò un servizio a Nervi intitolato Poetry in Concrete), Life (1960), The New Yorker (1960). I primi incarichi in territorio nordamericano sono dei tardi anni Cinquanta: il bus terminal di Manhattan, commissionato dalla Port Authority of New York (1958-62), e l’Athletic field house nel campus del Dartmouth College a Hanover, New Hampshire (1960-61). La critica americana Ada Louise Huxtable pubblicò nel 1960 una monografia su Nervi dove la sua opera, presentata come «uniquely personal», veniva giudicata come «a creative highpoint in 20th century engineering and architectural design» (p. 9). Una mostra sull’opera nerviana si tenne nel 1961 al San Francisco Museum of modern art, mentre del 1962 sono la laurea honoris causa a Harvard e l’invito a tenere, nella stessa Università, le prestigiose Charles Eliot Norton Lectures.
Se l’immagine di Nervi che emergeva dalla pubblicistica statunitense era quella di un grande architetto-costruttore erede di una tradizione secolare, il cui metodo di lavoro sembrava dovere molto all’intuito e a una dimensione quasi artigianale del mestiere, negli stessi anni, in Italia, due grandi eventi – le Olimpiadi di Roma del 1960 e la celebrazione centesimo anniversario dell’Unità nazionale a Torino nel 1961 – portarono al contrario in primo piano il nome di Nervi come sinonimo di una modernizzazione costruttiva e tecnologica chiamata a rappresentare la rapida trasformazione del paese. Per le Olimpiadi romane del 1960 Nervi progettò e costruì quattro opere: il palazzetto dello Sport sulla via Flaminia (1956-57, con Annibale Vitellozzi), lo stadio Flaminio (1956-57, con Antonio Nervi), il palazzo dello Sport all’EUR (1958-59, con Marcello Piacentini), il viadotto di corso Francia (1958-60). La prima tra queste, commissionata dal CONI nel 1954, proponeva un modello di edificio polifunzionale per lo sport potenzialmente ripetibile in altre città italiane, dai costi e dai tempi di cantiere contenuti. Per il palazzo del Lavoro di Italia ’61, a Torino, fu soprattutto la chiarezza del progetto di organizzazione del cantiere a permettere a Nervi e alla sua impresa di aggiudicarsi nel 1959 l’appalto-concorso, a fronte di tempi di realizzazione estremamente ridotti. Il progetto (redatto con Antonio Nervi e con Gino Covre per le strutture metalliche) prevedeva la copertura della grande sala espositiva tramite 16 elementi a ombrello, a pianta quadrata di 40 x 40 m, ognuno composto da un pilastro centrale in cemento armato a sezione variabile, dalla sommità del quale si dipartono le travi metalliche che sostengono la copertura. Agli edifici progettati per queste occasioni si affiancarono nello stesso periodo opere rilevanti come il grattacielo Pirelli di Milano (1955-59, con Gio Ponti et al.), la cartiera Burgo a Mantova (1961-63, con Antonio Nervi), il ponte del Risorgimento a Verona (1963-68).
L’ultima parte dell’attività professionale dello studio Nervi si svolse soprattutto fuori dall’Italia, sospinta da una notorietà che rendeva desiderabile il nome dell’ingegnere per il prestigio e i vantaggi d’immagine a esso associati.
Molti degli incarichi più importanti furono assunti in collaborazione con studi di architettura internazionali: con Harry Seidler per la torre di Australia Square a Sydney (1961-67), con Luigi Moretti per le torri di place Victoria a Montreal, costruite su iniziativa della Società generale immobiliare (1961-65), con Pietro Belluschi e lo studio californiano McSweeney, Ryan & Lee per la cattedrale di St Mary a San Francisco, ricostruita dopo l’incendio del 1962 (1963-71). La costruzione di edifici in luoghi così distanti dal punto di vista delle culture professionali e tecnologiche pose lo studio Nervi, tra anni Sessanta e Settanta, di fronte a problemi molto diversi rispetto a quelli intorno ai quali si era sviluppato il ‘sistema Nervi’. Spesso privo di un controllo diretto sul cantiere, dovette confrontarsi in queste occasioni – con alterni risultati – con logiche di progettazione e di gestione dei processi costruttivi che erano in rapido e profondo cambiamento.
Verso la fine della carriera, poteva ormai apparire come un nume tutelare dell’architettura italiana, l’interprete di un costruire che evocava un confronto con una tradizione lunghissima, quasi atemporale. Può essere considerato sintomatico che un editore italiano gli abbia affidato all’inizio degli anni Settanta, in un singolare parallelismo con la biografia del suo maestro Attilio Muggia, il ruolo di direttore di una Storia universale dell’architettura (Milano 1971-). Tra gli ultimi incarichi progettuali vi furono edifici il cui programma evocava una forte dimensione simbolica, come l’aula delle udienze papali in Vaticano (1963-71), commissionata da Paolo VI poco dopo l’ascesa al soglio pontificio e risolta dall’ingegnere con una riproposizione in chiave monumentale, ma attenta ai dettami del concilio Vaticano II, dei modelli di volta corrugata e prefabbricata perfezionati nel corso dei due decenni precedenti. L’ambasciata d’Italia a Brasilia (1969-79, con Antonio Nervi) affidava invece il proprio simbolismo all’esibizionismo strutturale dei pilastri ad albero che sollevano il corpo di fabbrica a pianta quadrata affacciato sul lago Paranoá.
Con la metà degli anni Settanta, Nervi cessò di avere un ruolo operativo presso lo studio, mantenendo un ruolo di supervisione generale delle attività.
Morì a Roma, nella sua casa, il 9 gennaio 1979.
Alla sua morte seguì di pochi mesi quella del figlio Antonio e con essa la chiusura dello studio Nervi, che concluse tra il 1980 e il 1981 gli ultimi progetti avviati.
Altri scritti: El lenguaje arquitectónico, Buenos Aires, Ministerio de Educación, 1951; Aesthetics and technology in building, trad. di R. Einaudi, Cambridge, MA, 1965.
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