BORGIA, Pier Luigi (Ludovico)
Figlio di Jofré Lanzol de Romani e di Juana de Moncada, è conosciuto con il cognome dei Borgia, adottato dal padre - figlio a sua volta di Juana Borgia, sorella di Rodrigo, poi papa Alessandro VI - secondo l'uso prevalente in questo periodo anche nella discendenza femminile della potente famiglia valenzana. Il B. nacque presumibilmente a Játiva, il feudo che era alle origini delle fortune borgiane; la data di nascita è incerta: quella del 1472, proposta da qualche autore, sembra debba essere avanzata di qualche anno, poiché il B. era ancora un adolescente quando lo zio materno fu eletto al pontificato, nel 1492.
Il B. visse sin dalla fanciullezza alla corte romana, presso il potente cardinal Rodrigo, come del resto i suoi fratelli: Giovanni, creato poi cardinale, Rodrigo, comandante della guardia vaticana, e Angela, che illustrò poi variamente le cronache galanti della corte estense e che ebbe tra i suoi estimatori anche l'Ariosto. Fu lo stesso cardinal Rodrigo, sempre attentissimo alla sorte dei suoi familiari, a occuparsi dell'educazione del B., che affidò alle cure dell'umanista Giovanni Battista Valentini, detto il Cantalicio: questi poi divenne compagno inseparabile del B., gli dedicò la sua Venatio, con la quale compiaceva la passione venatoria dell'allievo, e ne fu a sua volta beneficato, quando il B. era ormai diventato un personaggio influente della corte romana, con la concessione di un vescovato in Abruzzo. Certo è che il B. dovette in larga misura al magistero del Cantalicio la sua personalità di cavaliere raffinato e colto, l'elegante disinvoltura con la quale, nell'ultimo periodo della sua vita, seppe consolarsi con gli ozi cortesi della propria disgrazia politica.
Le fortune personali del B., una volta eletto al pontificato Rodrigo Borgia, furono inizialmente abbastanza modeste, se confrontate a quelle degli altri consanguinei di Alessandro VI, e in particolare a quelle ecclesiastiche di suo fratello Giovanni. Il B. ottenne soltanto di essere ammesso come cavaliere nell'Ordine gerosolimitano, divenendo in seguito priore di S. Eufemia. Fu soltanto la morte di Giovanni, nel 1500, a destinarlo a un ruolo meno oscuro: Alessandro VI dispose infatti che il B. succedesse al defunto in tutti i titoli e benefici ecclesiastici; il 29 luglio il B. fu pertanto elevato all'arcivescovato di Valenza, tradizionalmente infeudato alla famiglia Borgia sin dai tempi di papa Callisto III, e ricevette in commenda una abbazia cisterciense nella stessa arcidiocesi e quella benedettina di S. Simpliciano, presso Milano: più tardi ottenne anche l'abbazia di S. Leonardo in Puglia, tra le più ricche del Regno di Napoli, "che val circa 2.000 ducati", a quanto annotava il cardinal Bibbiena. Finalmente il pontefice lo comprese nell'ottava creazione cardinalizia, il 28 settembre di quello stesso anno, insieme con il congiunto Francesco Borgia e altri fedelissimi del pontificato.
In questa promozione, largamente simoniaca poiché Alessandro VI impose a ciascuno dei nuovi porporati un forte contributo, variante, dai 10.000 ai 25.000 ducati, "acciò lui abbi danari per l'impresa di Romagna", il B. fece eccezione poiché la sua condizione di cavaliere gerosolimitano e il relativo voto di povertà garantivano della sua scarsa disponibilità di mezzi: una condizione che peraltro sarebbe presto cambiata in virtù dei pingui benefici ecclesiastici che il B. ereditava dal fratello e che si riassumevano in una rendita annua di 10.000 ducati. Al B. fu assegnato il titolo diaconale di S. Maria in via Lata: conservò tuttavia l'arcivescovato valenzano.
Il 10 ag. 1500 il B. era stato anche nominato governatore di Spoleto, un provvedimento che rientrava nel programma di Alessandro VI di affidare ai suoi familiari il controllo delle principali fortezze dello Stato pontificio, in vista delle forti iniziative del pontificato contro i baroni. Nel febbraio del 1502 il B. faceva parte del corteggio di Alessandro VI nella solenne presa di possesso della fortezza di Piombino, conquistata dall'esercito borgiano nell'autunno precedente: una manifestazione che nelle intenzioni del papa e di Cesare Borgia intendeva preludere a una spedizione contro la Repubblica senese. Nell'ottobre dello stesso anno il B. era nella Romagna ormai assicurata al duca Valentino e dava prove di decisione e di abilità diplomatica in tutto degne del suo animoso cugino.
Entrato in Rimini, il B. fece subito "despegazar con la calzina" (Sanuto, IV, col. 455) lo stemma di S. Marco dal palazzo pubblico, sottolineando così, contro le residue pretese venete, il dominio borgiano sulla città; e di lì a poco, ribadendo la decisa volontà di Cesare Borgia e dei suoi di resistere energicamente ad ogni ulteriore inframmettenza della Repubblica di Venezia in Romagna, fece catturare e squartare un agente veneziano "senza colpa alcuna", come lamentava il diarista veneto (ibid.). La testimonianza del Sanuto è importante anche come documento del ruolo, spesso ignorato, svolto dal B. nelle laboriose e fraudolente trattative seguite tra Cesare Borgia e i signori e capitani ribelli, seguite al convegno segreto della Magione e concluse dalla strage di Senigallia.
Il 24 ott. 1502 il B. si incontrava infatti a Rimini con Paolo Orsini e Antonio da Venafro, inviato del signore di Siena Pandolfo Petrucci: a quanto scriveva un informatore veneto, "si dice hanno tramà pace, et excludeno il ducha de Urbin e uno altro, che non si nomina" (ibid., col. 388), e che era Giulio Cesare da Varano, signore di Camerino. In effetti queste trattative condotte dal B. furono l'immediato preludio della pace stipulata a Imola qualche giorno dopo tra il Valentino e i ribelli. In base a tale accordo il B. rimase in ostaggio dell'Orsini: solo per il tempo necessario, tuttavia, a rassicurare i condottieri sulle oneste intenzioni di Cesare Borgia.
Più oscuro il contributo personale del B. a un altro sanguinoso episodio del pontificato di Alessandro VI, l'assassinio, nell'aprile del 1503, del cardinale Giovanni Michiel: nel dicembre di quello stesso anno il Sanuto riecheggiava infatti una voce romana secondo la quale il B. sarebbe stato tra i mandanti dell'avvelenatore: ma il processo istituito l'anno successivo da Giulio II non rilevò particolari responsabilità sue, sebbene papa Della Rovere avesse allora qualche motivo di risentimento contro il Borgia.
La crisi del dominio borgiano, seguita alla morte di Alessandro VI, sulle prime non sembrò avere conseguenze dirette per il B., sebbene questi, alle prime avvisaglie della malattia mortale del pontefice, si fosse affrettato a mettere in salvo fuori di Roma "de la robba sua", come scriveva l'oratore estense (Pastor, III, p. 872): Giulio II, infatti, agli inizi del suo pontificato, mostrava di non voler infierire contro i suoi antichi avversari e ostentò la sua benevolenza verso il B. conferendogli, già il 7 dic. 1503, la carica di penitenziere maggiore, assegnandogli il titolo presbiteriale di S. Marcello e consentendogli di conservare in commenda la sua vecchia chiesa di S. Maria in via Lata.
Ma già alla fine di dicembre la situazione del B. precipitava con quella di tutti i suoi familiari rimasti a Roma; fatto arrestare Cesare Borgia da Giulio II, il B. si poneva tempestivamente in salvo a Napoli presso gli Spagnoli, insieme con il cardinale Francisco Remolines, altro principale esponente borgiano, e conducendo con sé i fanciulli Rodrigo Borgia d'Aragona, figlio di Lucrezia e di Alfonso d'Aragona, e il cosiddetto "infante romano", il duca di Camerino e di Nepi Giovanni Borgia, figlio di Alessandro VI: fu allora che corsero in Roma i sospetti che il B. temesse non soltanto il generale risentimento di Giulio II contro i Borgia, ma anche di dover personalmente rispondere della morte del Michiel.
A Napoli il B. e i suoi compagni furono calorosamente accolti da Consalvo di Cordova, che probabilmente nutriva allora qualche personale orientamento antipontificio, in contraddizione con le direttive dei re cattolici. Il B. pertanto si sentì sufficientemente protetto per poter ignorare sdegnosamente il breve con il quale Giulio II, il 2 gennaio dell'anno successivo, lo invitava a far fiduciosamente ritorno a Roma. Sin dal febbraio seguente, tuttavia, i re cattolici ingiunsero al gran capitano di impedire il soggiorno a Napoli dei due cardinali transfughi, uniformandosi in tutto agli interessi del pontefice. Consalvo di Cordova non aveva tuttavia ancora preso alcuna, decisione sfavorevole al B. quando, nell'aprile 1504, Cesare Borgia, fuggito da Roma, si rifugiò a Napoli. Qui il Valentino fu ospite del B. e insieme con lui andò alimentando i suoi impossibili sogni di rivincita che sembravano incoraggiati dallo stesso viceré spagnolo, fino a che Consalvo, aderendo alle disposizioni dei suoi sovrani, non vi pose drasticamente fine ordinando l'arresto dell'antico duca di Romagna e il suo trasferimento in Spagna. Il gran capitano, tuttavia, non infierì contro il B.: andando sicuramente oltre gli ordini dei re cattolici egli consentì infatti che il B. rimanesse indisturbato a Napoli.
Da parte sua il B. si astenne per l'avvenire dal richiamare su di sé l'interesse delle autorità spagnole e del pontefice con inopportune e pericolose iniziative politiche, sicché anche Giulio II finì per dimenticarsi di lui. Il B. preferì invece abbandonarsi ai piaceri mondani della piccola ma elegante corte viceregia, illustrandone la vita galante e letteraria. Morì a Napoli il 5 ott. 1511, probabilmente in un incidente di caccia, "caduto di cavallo nel correre come faceva" (Anchaiani, p. 14).
Fonti e Bibl.: M. Sanuto, Diarii, IV, Venezia 1880, coll. 388, 394, 397, 455, 464; V, ibid. 1881, coll. 814, 871; VII, ibid. 1882, coll. 62, 82, 96, 132; Epistolario di B. Dovizi da Bibbiena, a cura di G. I. Moncallero, I, Firenze 1955, pp. 255, 265, 268, 271, 276, 284; N. Machiavelli, Legazioni e commissarie, a cura di S. Bertelli, Milano 1964, pp. 403, 433; O. Anchaiani, Vita di monsignor B. Valentini detto il Cantalicio, Viterbo 1618, p. 14; D. Dal Re, Discorso critico sui Borgia..., in Archivio della R. Soc. romana di storia patria, IV (1880), pp. 130 s.; B. Croce, La corte delle tristi regine a Napoli, in Arch. stor. per le prov. napoletane, XIX (1894), p. 362; Id., Aneddoti di varia letteratura, I, Bari 1953, pp. 149-157; A. Luzio, Isabella d'Este e i Borgia, in Arch. stor. lombardo, XLI (1914), p. 520; XLII (1915), p.129; L. von Pastor, Storia dei papi, III, Roma 1925, ad Indicem; C.Baroni, S. Simpliciano abazia benedettina, in Arch. stor. lombardo, LXI (1934), p. 93; G. Sacerdote, C.Borgia,la sua vita,lasua famiglia,i suoi tempi, Milano 1950, pp. 402, 492, 728, 741, 744, 749; C. Eubel, Hierarchia cath. ..., II, Monasterii 1914, p. 24.