BORGIA, Pier Luigi
Nacque a Játiva presso Valenza da Jofré de Borja y Doms e da Isabella de Borja, sorella di Alonso che fu papa Callisto III. Incerto l'anno della sua nascita, come quello del suo più illustre fratello Rodrigo, il futuro Alessandro VI (nato probabilmente il 1º gennaio 1431), di cui gli storici moderni lo dicono maggiore di un anno, ad eccezione del Pastor, che, forse a ragione, lo fa invece di un anno più giovane: è comunque da comprendere tra il 1430 e il 1433.Nulla sappiamo della sua infanzia e della sua adolescenza, né, per conseguenza, della sua educazione e della sua formazione culturale. I contemporanei ce lo presentano concordemente come un modello di giovane cavaliere: di aspetto e di indole eccellente, riservato e di belle maniere, ma nulla più. Né è noto quando precisamente venisse in Italia e a Roma. Ma, per quanto si può congetturare dal titolo che gli dà Callisto III nell'inscriptio di una bolla ("nobili viro Petro Ludovico de Boria carissimi... Alonsi regi Aragonum... camarlengo": Reg. Vat. 465, f. 152;titolo che il B. stesso si attribuisce nell'atto col quale il 5 marzo 1457nominava il podestà di Viterbo: Arch. Com. di Viterbo, Riformanze, vol. 15, f. 143), dovette passare alcun tempo a Napoli al servizio di Alfonso il Magnanimo, presso il quale fece il suo tirocinio alla vita di corte, prima di venire a Roma, all'ascesa al soglio pontificio dello zio (8 apr. 1455).Da quel momento iniziò, improvvisa, la effimera fortuna del Borgia.
Il motivo immediato fu il grande amore del vecchio pontefice per il bello e giovine nipote, mal rivestito di illusorie prospettive politiche di pacificazione, di ordine, di sicurezza all'interno di Roma e dello Stato della Chiesa. Ma sul piano storico si spiega con l'influsso che ancora esercitava nella Curia lo spirito di Avignone - rafforzatosi col grande scisma - e la lunga formazione di una ecclesiologia giuridica, che stava operando decisamente la trasformazione del pontefice in un principe rinascimentale. Le correnti conciliari sconfitte, che per altro si erano mosse confusamente anch'esse su un piano giuridico, nella loro contestazione dell'assolutismo papale, non riuscirono - né lo potevano, data quella impastazione, - a provocare dall'interno un rinnovamento dello spirito religioso e del modo evangelico, e non politico, di gestione del governo della Chiesa universale. Sarebbe occorso innanzitutto rompere col passato, nel senso di un superamento dei vecchi strumenti, nella misura in cui essi erano diventati solo centri di potere politico. Ma chi, per esempio, mentre papa Callisto III, tra il disimpegno delle potenze italiane e europee, si dava da fare per preparare la spedizione contro i Turchi, pensava che l'unica crociata cristianamente concepibile era quella pacifica e missionaria di un s. Francesco? In tali condizioni ai moderni, riecheggianti notazioni di cronisti del tempo, ha fatto impressione, giustamente, come una grave tara morale il nepotismo del papa, ma gli osservatori politici contemporanei più attenti come gli oratori e gli informatori del duca di Milano, Francesco Sforza, ai quali il pontefice appariva, nella quotidiana pratica di governo, appunto un principe temporale, rilevarono più acutamente, nella smodata concessione di favori da parte di Callisto III ai suoi parenti, piuttosto un segno della mancanza di realismo politico e dell'aspetto velleitario del suo programma, specie per quanto riguarda in particolare la persona di Pier Luigi Borgia. E che da questo punto di vista essi vedessero giusto, è dimostrato dalla inettitudine e dalla prevista rapida eclissi del B. alla morte dello zio pontefice. Eppure su di lui Callisto III, che lo considerava quasi un novello Cesare, concepì i più ambiziosi sogni di grandezza politica.
Il 2 febbr. 1456 ilB. fu nominato capitano generale delle milizie della Chiesa, e, come tale, il 14dello stesso mese, prestò giuramento nelle mani del card. Scarampo. Ma per dominare in Roma occorreva avere nelle proprie mani la fortezza della città, Castel Sant'Angelo. E Callisto III con una bolla del 14 marzo, scavalcando il collegio dei cardinali, dimise dall'ufficio il castellano Giorgio Saluzzo, vescovo di Losanna, e nominò in sua vece il B., che entrò ufficialmente in carica il giorno dopo. Così egli assommò nelle sue mani tutto il potere militare e di polizia di Roma e dello Stato della Chiesa.
La rapida ascesa del B., più che il cardinalato del fratello Rodrigo, aveva sfavorevolmente impressionato l'opinione pubblica, anche perché nei termini in cui era avvenuta appariva contraria alla tradizione politica della Curia romana. Fino allora, se si eccettua forse il pontificato di Bonifacio IX, si erano affidate le leve del potere politico e militare nello Stato della Chiesa a cardinali vicarii in temporalibus. Questo solo fatto, di essere cioè degli ecclesiastici gli uomini che ricoprivano le più alte cariche politiche e militari, garantiva di per sé che essi combattessero per la sicurezza dello Stato della Chiesa invece che per gli interessi della propria famiglia. Ora, mentre il potere del B. andava rapidamente superando quello dei più grandi cardinali vicari del passato, non si accennava minimamente all'eventualità che egli, come recentemente per esempio il Vitelleschi, abbandonasse lo stato laicale. D'altra parte non si curò neppure di scegliersi una sposa nella cerchia delle famiglie nobili di Roma. Egli probabilmente non voleva legarsi a nessuna consorteria romana. Ma questo suo atteggiamento, interpretato a ragione o a torto come freddamente altezzoso, le urtò tutte. E siccome era del tutto inconsueto che un giovane restasse celibe, si accreditò la voce, registrata dagli informatori di Francesco Sforza e raccolta dai cronisti, che il papa pensasse per il B. a una sposa di sangue reale e a crearlo imperatore.
Ad ogni modo la consegna di Castel Sant'Angelo nelle mani del B. sollevò un'ondata di indignazione per tutta Roma, in cui, tra la sorpresa e il timore, si diffuse la sensazione che soltanto un concilio ecumenico potesse arginare la crescente potenza dei Borgia. Ma ciò non impensierì affatto Callisto III e i suoi familiari, che continuarono per la loro strada di graduale sottomissione dello Stato della Chiesa alla propria famiglia. Il 21 ag. 1456 il B. fu fatto governatore delle città di Terni, Narni, Todi, Rieti e Orvieto, dei castelli di Stroncone, Collescipoli, Calvi nell'Umbria, Otricoli, dell'abbazia di Ferentillo di Val di Marca e di altri castelli e territori. Con altra bolla dello stesso giorno fu nominato vicario generale e governatore di Spoleto, Cascia, Norcia, Visso, Monteleone e delle Terre Arnolfe, nonché di Castel Ritaldi, di Collemarchionis, Gualdo Cattaneo e Sangemini. Con una terza bolla, sempre dello stesso giorno 21 ag. 1456, il B. diventava governatore anche di Foligno, Nocera, Trevi, Montefalco, Bevagna, Monsanto, Gualdo di Nocera (oggi Gualdo Tadino), Valtopina, Castrum Jani (oggi Giano nell'Umbria) e di tutti gli altri castelli soggetti al precedente governatore, che egli era stato chiamato a sostituire. Venti giorni più tardi, il 10 sett. 1456, veniva fatto inoltre governatore di Assisi, Amelia, Civita Castellana, Nepi e del castello di Lugnano. Il B. era diventato così il padrone di tutto il ducato di Spoleto e della Sabina, e, con la nomina del 2 febbr. 1457, anche del Patrimonio di S. Pietro in Tuscia. Se poi si considera che nel dicembre del 1456 il fratello Rodrigo era stato nominato vicario generale nella Marca d'Ancona, e il cugino Luis Juan Mila legato di Bologna, di cui era vicario generale e governatore fin dal 13 giugno 1455 si capisce facilmente come lo Stato pontificio, nonostante le coraggiose proteste e l'opposizione intransigente del cardinal Capranica, in poco più d'un anno cadde interamente nelle mani della famiglia Borgia.
Scarse per altro sono le testimonianze dell'attività politica, militare e amministrativa svolta dal B. nei tre anni del suo governo. Nel ducato di Spoleto si ricorda un suo intervento per far cessare le discordie sorte per una questione di confine tra Cascia e Norcia. In quell'occasione gli Spoletini rivendicarono presso il B., di cui avevano cercato di accattivarsi la benevolenza al momento della sua nomina con un dono del valore di cento ducati d'oro, i diritti che essi asserivano avere nella montagna, ed egli, tornato a Roma, ne sostenne le ragioni. A favore di Spoleto si adoperò anche in occasione della revoca, che il papa pubblicò nel marzo del 1457, di tutte le grazie e concessioni accordate ai sudditi della Chiesa, al fine di reperire i fondi per la crociata contro i Turchi. In forza di questo provvedimento, Spoleto avrebbe dovuto versare alla Camera apostolica i proventi dei malefici a partire dall'anno 1455; ma il B. riuscì a far defalcare dal debito della città le somme dovute per i primi due anni trascorsi e far concedere un compenso di trecento fiorini per quello in corso.
Nel Patrimonio di S. Pietro in Tuscia, dopo la sua nomina a governatore, il B. fu inviato, il 10 febbr. 1457, a Viterbo, che l'anno precedente era stata teatro di sanguinosi scontri tra le due fazioni della famiglia Gatti. I magistrati del Comune, nella speranza di guadagnare la benevolenza del B. verso la città, lo accolsero con ricchi donativi, consci come erano che "ad consequenda gratias et beneficia nulla melior videtur via et modus nisi exequi donum" (Arch. Com. Viterbo, Riformanze, vol. XVI, f. 159v). Il B., infatti, rimosse dall'ufficio di rettore l'odiato "catalano" Paolo di Santa Fida, vescovo di Siracusa, che, per altro, nella dura repressione dei tumulti e nell'applicazione rigorosa delle severe pene pontificie, non fece che eseguire le direttive di Callisto III. Fu, quella, una buona occasione per guadagnarsi il favore popolare nell'atto stesso di sottomettere la città. Ma se il B. ottenne dal papa l'assoluzione da tutte le pene spirituali in cui la città e i singoli cittadini erano incorsi per i tumulti, tuttavia l'operato politico di Paolo di Santa Fida fu sostanzialmente confermato, giacché dei capi di una delle fazioni gattesche - cioè di quella che si raccoglieva attorno al figlioletto e alla vedova di Princivalle Gatti, e contro cui il rettore aveva agito con estremo rigore - Nofrio Spiriti fu impiccato, Troilo e Galeotto rinchiusi in Castel Sant'Angelo e la vedova di Princivalle, madonna Finalteria, posta a domicilio coatto nel monastero di S. Silvestro in Campitelli. E inoltre, come prezzo dell'assoluzione ricevuta, ai Viterbesi fu imposta la ricostruzione della rocca: l'8 marzo 1457 il B. procedeva solennemente alla posa della prima pietra.
Poco dopo il B. riceveva l'ordine di far ritorno a Roma. Lasciati in Viterbo due conestabili, Bartolomeo dall'Aquila e Bartolomeo da Borgo, con cento uomini ciascuno, e come suo luogotenente Pier Filippo da Spoleto, partì alla volta di Roma. Si fermò però a Nepi e inviò un presidio militare anche a Sutri e a Civita Castellana, ponendosi così in mezzo alle terre degli Orsini e di Everso dell'Anguillara, - che aveva l'appoggio dei Colonna -, in lotta per l'eredità di Giovanni Antonio Orsini, conte di Tagliacozzo e prefetto di Roma (morto nel dicembre del 1456), la cui figlia Maria era andata sposa a Deifobo, figlio di Everso. Ma le mosse del B., che intratteneva cordiali relazioni con la famiglia Colonna, al punto che nell'estate di quell'anno 1457 corsero voci addirittura di trattative matrimoniali fra lui e la potente famiglia romana, furono in realtà - così almeno vennero interpretate - contro gli Orsini. E la tensione, già acuta tra questi e la famiglia Borgia, ruppe in guerra aperta allorché Callisto III ordinò al nipote di muovere contro gli Orsini per toglier loro alcuni castelli del defunto conte di Tagliacozzo, che il papa sosteneva appartenere alla diretta amministrazione della Chiesa. Ai primi di luglio il B. attaccò il castello di San Gregorio e lo occupò in nome della Chiesa. Subito dopo investì il castello di San Crispino, ma durante l'assedio fu assalito di sorpresa dall'esterno da uno dei fratelli Orsini. L'attacco improvviso fu respinto a fatica e con il ferimento di cento uomini.
In seguito a queste operazioni Callisto III, con bolla del 19 ag. 1457, conferì al B. la dignità di prefetto di Roma. La narratio di codesta bolla reca l'espressione viva dell'entusiasmo - veramente sproporzionato data la modestia dell'episodio - del vecchio papa per le virtù militari che il giovane nipote avrebbe dimostrato nello scontro di San Crispino. Alla fine di quello stesso mese di agosto, sembra che il B. togliesse ai Colonna, forse per dimostrare di essere al di sopra delle opposte fazioni, il castello e la rocca di Castelnuovo, che essi infatti ripresero dopo la morte di Callisto III. Certo è che, mentre in un dispaccio del 20 agosto di Ottone Del Carretto a Francesco Sforza si parla ancora di un possibile parentado tra il B. e la famiglia Colonna (la prima notizia dell'interesse del B. per una nipote del cardinale Prospero Colonna si ha in una lettera dell'abate Biagio Ghilino al duca di Milano del 23 giugno 1457, in Pastor, p. 865, doc. 79), già il 10 settembre lo stesso oratore Del Carretto informava il duca che i rapporti tra le due parti si erano raffreddati (Pastor, p. 760 n. 2).
La sera stessa del 19 agosto, in cui il B. fu nominato prefetto di Roma, una delegazione comprendente i conservatori e i più ragguardevoli cittadini dell'Urbe si recò al palazzo apostolico per ringraziare il papa della scelta compiuta e per pregarlo di concedere al B. i castelli connessi con la prefettura - e cioè Caprarola, Civitavecchia, Montagnola, Vetralla, Carbognano, Rispampani, Orcla, Tolfa Nuova, Grazianello, Monte Romano, Vallerano e altri luoghi - che tuttavia Callisto III conferirà al nipote solo sul letto di morte, un anno più tardi, il 31 luglio 1458. Uno dei conservatori giunse addirittura ad esprimere la speranza - ed è difficile dire se per servilismo o per ironia - di vedere presto il nuovo prefetto diventare re di Roma. È però interessante notare che Callisto III, il quale forse, nonostante l'amore cieco per il nipote, si stava rendendo conto dell'odio crescente che circondava la famiglia Borgia e del sentimento xenofobo diffuso a Roma e nello Stato della Chiesa contro tutti i "catalani", fece rilevare in quell'occasione che il B. per idee, sentimenti e costumi era un italiano e che voleva vivere e morire come un cittadino romano. Questi propositi ribadì il B. stesso a una delegazione venuta a congratularsi con lui, alla quale dichiarò espressamente di voler essere italiano e di voler vivere in Italia.
Alla fine del mese di ottobre il B. fu colpito da una grave e lunga malattia, che fece dubitare della sua vita. Ma alla fine di dicembre il B. era ormai fuori pericolo. Callisto III fece voto di inviarlo alla crociata contro i Turchi, appena si fosse completamente ristabilito (così in un dispaccio del 31 dicembre di Ottone Del Carretto, ma in una comunicazione del 20 febbr. 1458 di Antonio da Pistoia si legge che il voto lo avrebbe fatto il B. stesso: Fumi, p. 111). Nel febbraio 1458 corse anche voce che il pontefice, per il tramite di un non meglio identificato frate Cipriano, avesse avviato trattative per dare in sposa al B. la figlia del re di Cipro, che gli avrebbe portato in dote il regno del padre (Fumi, p. 112); si diceva perfino che Callisto III avesse designato il nipote a diventare imperatore di Costantinopoli, quando fosse stata riconquistata dall'armata cristiana (ibid., p. 113). Ma un osservatore politico attento come Antonio da Pistoia commentava l'ambizione di Callisto III e dei suoi familiari con una nota che rilevava con estrema esattezza la posizione del B. nella realtà della situazione politica romana: "Ma ben saria carestia de homeni degni del Re non trovasse più degno genere de misser Borges, il quale, morendo el papa, haverà de gratia potersene andare in Catalogna a salvamento, non che possa remanere prefecto de Roma et duca de Spoleto" (ibid., p. 112).
Nel giugno del 1458 arrivò a Roma una ambasceria di Viterbesi, che esposero al papa la precaria situazione dell'ordine pubblico della loro città, ed espressero la convinzione dei magistrati che una pace duratura e stabile tra le fazioni cittadine sarebbe stata possibile solo con il ritorno dei fuorusciti. Callisto III pose la questione nelle mani del B., il quale, recatosi a Viterbo il 26 dello stesso mese, contrariamente alle aspettative dei cittadini, che cercarono di nuovo di ingraziarselo con donativi, non seppe prendere nessuna decisione, forse anche per il fatto che, giuntagli di lì a quattro giorni, mentre presumibilmente stava ancora esaminando la questione, la notizia della morte di Alfonso d'Aragona, si diede in tutta fretta ad assoldare per ordine del papa nuove truppe per un'eventuale dimostrazione di forza contro il Regno di Napoli, accantonando completamente la questione della pacificazione di Viterbo, donde ritornò a Roma il 18 luglio 1458. Callisto III, infatti, aveva dichiarato "regnum Siciliae ad Romanam ecclesiam devolutum" (Pio II,Commentarii..., pp. 29, 35). Il rifiuto ostinato del papa di riconoscere il diritto alla successione al trono di Napoli di Ferrante, figlio illegittimo di Alfonso, ma legittimato da Eugenio IV e da Niccolò V, venne attribuito dai contemporanei all'intenzione di Callisto III di dare il regno al B., al quale il 31 luglio, una settimana prima di morire, conferì effettivamente il vicariato di Benevento e di Terracina.
La situazione per la questione napoletana era sul punto di precipitare, compromettendo così l'equilibrio politico che si era stabilito tra le potenze italiane. Ma la morte del papa, sopraggiunta il 6 ag. 1458, avviò a soluzione la crisi e segnò nel contempo la fine della effimera fortuna del Borgia. Anche, e soprattutto, in questa occasione, egli si rivelò privo di idee e di decisione, mostrando quanto fossero deboli le basi della sua potenza, sia per le difficoltà oggettive della situazione politica e sociale di Roma e dello Stato della Chiesa, sia però anche perché non fondate su una robusta personalità politica e militare. Veramente nell'ultima settimana di luglio sembra che il B. avesse mostrato per un momento che "intendeva fare molte cose, se non fosse stato il vicecancelliere suo fratello che non ge a voluto consentire" (lettera di Antonio Catabenus a Ludovico Gonzaga del 1º ag. 1458, in Pastor, p. 771 n. 1). E secondo una informazione di Ottone Del Carretto, i cardinali Latino Orsini e Prospero Colonna non si sarebbero più recati al palazzo apostolico "per dubio che essendo cum li altri tuti cardinali in palazo non fuseno detenuti per Borges" (Pastor, p. 770 n. 2). Ma dovette essere un moto di reazione momentaneo, senza una coerente linea di condotta. L'informazione dell'oratore del duca di Milano sembra per altro essere più l'eco dei timori degli ambienti politici di Roma che di un vero proposito del Borgia. Infatti la commissione dei quattro cardinali (Bessarione, Estouteville, Alain e Barbo, il futuro Paolo II), nominata dal Sacro Collegio per mantenere l'ordine pubblico, aveva occupato, fin dalla fine del mese di luglio, il Campidoglio con duecento armati, e, contrariamente alle aspettative, riuscì rapidamente ad accordarsi con il Borgia. Questi, avvicinandosi la fine del papa e crescendo l'ostilità contro i "catalani" in genere e contro i Borgia in particolare, ritenne più opportuno per la sua sicurezza abbandonare Roma, dove gli Orsini stavano per dargli la caccia. Il 4 agosto, due giorni prima della morte di Callisto III, anche su consiglio del fratello, il B. consegnò al collegio cardinalizio Castel Sant'Angelo e tutte le altre fortezze di Roma in cambio dei 22.000 ducati che Callisto III gli aveva assegnato nel suo testamento. E nella notte fra il 5 e il 6, accompagnato dal fratello, dal protonotario Giorgio Cesarini e dal cardinale Barbo, che comandava una scorta armata di cinquecento uomini, seguendo un itinerario tortuoso ed imprevedibile al fine di eludere la vigilanza degli Orsini, giunse a porta S. Paolo. Qui si accomiatò dal fratello cardinal Rodrigo, che ritornò al capezzale del pontefice morente, e dal cardinal Barbo, che in nome del Sacro Collegio ordinò alla scorta di accompagnare il giovane fino ad Ostia. Ma i soldati, compatti, si rifiutarono di eseguire l'ordine.
Il B. tuttavia, pur tra altre difficoltà, riuscì a fuggire a Civitavecchia, dove attese gli eventi da una posizione di forza. In effetti, nonostante la rivolta contro i "catalani" in vari luoghi dello Stato pontificio e la caduta di Nepi, di Castelnuovo e di San Gregorio, rioccupati quest'ultimi due rispettivamente dai Colonna e dagli Orsini, il B. per mezzo dei fidi castellani spagnoli aveva ancora il controllo delle principali piazzeforti del ducato di Spoleto e del Patrimonio. Si temette addirittura che si unisse a Giacomo Piccinino per poi gettarsi su Roma, dove il nuovo papa Pio II, eletto il 19 agosto, era quasi inerme. In realtà alcuni fuorusciti tentarono, ma invano, in nome del Piccinino, di entrare in trattative col castellano spagnolo di Spoleto. Invece il nuovo pontefice non dovette faticare molto per trovare un accordo con il B., il quale in cambio di una liquidazione (Spoleto costò alla Chiesa 16.000 ducati), il 3 settembre, lo stesso giorno dell'incoronazione di Pio II, rinunciò a tutte le cariche e cedette tutti i luoghi che gli erano stati concessi da Callisto III. La potenza personale del B. era ormai distrutta ed egli non sopravvisse alla sua rovina politica.
Poche settimane dopo, il 26 sett. 1458, moriva oscuramente nella fortezza di Civitavecchia, lasciando erede universale suo fratello il cardinal Rodrigo. Circa le cause della sua morte le opinioni dei contemporanei divergono: alcuni lo dicono vittima della malaria, altri di una morte violenta. I suoi resti, trasportati a Játiva, furono tumulati nella chiesa dei frati minori, donde il cardinal Rodrigo li trasferì, nel 1470, insieme con quelli degli altri suoi familiari, nella chiesa collegiata di S. Maria della stessa città (De Roo, I, pp. 550-551, doc. 18).
Fonti e Bibl.: Tra le fonti documentarie le bolle papali relative al B., conservate nei registri di Callisto III, sono in gran parte inedite: Arch. Segr. Vat., Reg.Vat., 453, f. 138; 458, f. 13; 465, ff. 153, 203v, 205-205v, 208, 235, 236, 284, 288-189; 467, f. 50; una è pubblicata dal De Roo, I, p. 562, n. 26; una dal Pagliucchi, p. 166, n. 24; una dal Borgia, p. 386 e una dal Raynaldi, Annales,ad an. 1458, n. XXXII. Alcune lettere dell'oratore Ottone Del Carretto e di altri informatori di Francesco Sforza con notizie sul B. sono pubblicate dal Pastor, I, pp. 864-865, n. 79, 869-872, nn. 85-87, e dal Fumi, pp. 111-113, ma la maggior parte sono inedite, così come i dispacci degli oratori e degli informatori delle altre potenze italiane: v. le indicazioni nelle note del Pastor. I documenti relativi al governo del B. nel ducato di Spoleto e nel Patrimonio di S. Pietro in Tuscia e della Sabina si dovrebbero reperire negli archivi dei vari comuni di quelle province, sia in originali, sia in copia nei volumi delle Riformanze. Il Sansi, Saggio…, p. 32, per es. affermava che nell'archivio di Spoleto si trovavano moltissime lettere del Borgia. Per ordinazioni di armature si veda E. Motta, Armaioli milanesi nel periodo visconteo-sforzesco, in Arch. stor. lombardo, s.5, XLI (1914), pp. 205-207, nn. 63, 65, 68.
Tra le fonti narrative varie notizie offre N. Della Tuccia, Cronaca di Viterbo, in I. Ciampi, Cronache e Statuti della città di Viterbo, in Documenti di storia italiana, V, Firenze 1872, pp. 6471, 251-257; altre notizie in Platina, Liber de vita Christi ac omnium pontif., a cura di G. Gaida, in Rer. Italic. Script., III, I, pp. 344, 350; Gaspare da Verona, De Gestis Pauli II, a cura di G. Zippel, ibid., III, 16, p. 36; Michele Canensi da Viterbo, De vita et pontificatu Pauli II,ibid., pp. 90-91, 120; Stefano Infessura, Diario della città di Roma, a cura di O. Tommasini, in Fonti per la storia d'Italia, V, Roma 1890, p. 52; Sigismondo de' Conti da Foligno, Le storie dei suoi tempi dal 1475 al 1510, II, Roma 1883, p. 165; G. Simonetta, Rerum gestarum Francisci Sfortiae commentarii, a cura di G. Soranzo, in Rer. Italic. Script., XXI, 2, coll. 413-414; E. S. Piccolomini, Historia de Europa, Basilea 1571, p. 471; Pii secundi Commentarii, a cura di G. Gobellinus, Francofurti 1614, p. 36. Si veda anche N. Machiavelli, Istorie fiorentine, a cura di F. Gaeta, Milano 1962, p. 466.
Nessuno finora si è occupato in modo particolare del B.; un profilo diligente della sua vita, ma quasi del tutto sprovvisto di critica è delineato da P. De Roo, Material for a history of Pope Alexander VI, Bruges 1924, 1, pp. 106-121, per cui conservano ancora tutto il loro valore le dense e documentate pagine che al B. dedicò il Pastor, Storia dei papi, I, Roma 1958, pp. 750, 759-766, 770-772, 775, 782; II, ibid. 1961, pp. 15 s., 19, 21; buone osservazioni critiche, anche se non sempre del tutto accettabili, in S. Schüller-Piroli, Borgia. Die Zerstörung einer Legende,die Geschichte einer Dynastie, Olten-Freiburg im Brisgau 1963, pp. 134-139, 140, 151, 156, 164, 314, 321, 323, 508; P. Paschini, Roma nel Rinascimento, Bologna 1940, pp. 191-194, 199-200. Si veda inoltre, per problemi particolari, L. Fumi, Il disinteresse di Francesco I Sforza alla crociata di Callisto III contro i Turchi - Un Borgia re di Cipro e imperatore di Costantinopoli?, in Arch. stor. lomb., s. 4, XXXIX (1912), pp. 101-113; P. Pagliucchi, Icastellani del Castel S. Angelo di Roma, I, 1, I castellani militari (1367-1464), Roma 1906, pp. 122-124; E. Rodocanachi, Le château Saint-Ange, Paris 1909, p. 66; S. Borgia, Memorie istoriche della pontificia città di Benevento, I, 3, Roma 1769; G. Signorelli, Viterbo nella storia della Chiesa, II, 1, Viterbo 1938, pp. 136-141, 237, 285; A. Sansi, Saggio di documenti storici tratti dall'Archivio del Comune di Spoleto, Foligno 1861, pp. 30-35, n. 2; Id., Storia di Spoleto, II, Foligno 1884, pp. 47-51.