MORALI, Pier Francesco
MORALI, Pier Francesco. – Nacque a San Miniato al Tedesco, nel Pisano, il 16 settembre 1758 da Ranieri e da Maria Caterina di Benedetto Lanfranchi Lanfreducci. La famiglia paterna proveniva da San Miniato, di cui il padre, iscritto nella nobiltà fiorentina, fu gonfaloniere, mentre quella della madre apparteneva alla nobiltà pisana.
Dopo aver compiuto gli studi elementari sotto la guida di precettori privati, fu alunno del collegio dei padri scolopi di Volterra e di qui passò all’Università di Pisa, dove si addottorò in utroque iure nel 1780 sotto la guida di Cesare Alberigo Borghi, il quale teneva dal 1742 l’insegnamento di diritto criminale ordinario ma era stato lettore pomeridiano di istituzioni canoniche dal 1737 al 1741. Ordinato sacerdote il 21 settembre 1782, Morali ricoprì successivamente vari incarichi nella curia pisana sotto gli episcopati di Angelo Maria Franceschi (1778-1806) e di Ranieri Alliata (1806- 36): confessore di conventi regolari maschili e femminili, vicario delle cause ed esaminatore prosinodale. Ascritto al Capitolo della Primaziale di Pisa, fu canonico penitenziario e poi arcidiacono. Dal 1804 al 1810 tenne la cattedra di istituzioni di diritto canonico nell’Ateneo pisano, mentre negli anni dell’occupazione francese della Toscana, tra il 1810 e il 1813, insegnò diritto romano. Tornato alla cattedra di istituzioni canoniche, nel 1814 venne scelto dal granduca Ferdinando III come arcivescovo di Firenze. Consacrato da Pio VII il 15 marzo 1815, fece il solenne ingresso nella diocesi l’11 maggio. Già Pietro Leopoldo lo aveva indicato come possibile candidato per la erigenda diocesi di Pontremoli ma sembra che Morali avesse rifiutato adducendo la motivazione della sua giovane età. Leopoldo II lo fece cavaliere di Gran Croce dell’Ordine di San Giuseppe.
Nella primavera del 1815, alla nomina di Morali, la diocesi fiorentina si trovava in una delicata situazione: dal marzo del 1814 era guidata da Gaetano Niccolini, vicario generale delegato dalla S. Sede, che aveva avuto il compito di ricomporre le fratture seguite alla nomina e all’ingresso di Eustachio Osmond, già vescovo di Nancy e trasferito da Napoleone a Firenze il 22 ottobre 1810. In quell’occasione il clero si divise tra quanti, in linea con il Breve di Pio VII, sollecitato dal canonico Giuseppe Ottavio Muzzi, non intendevano riconoscere in alcun modo l’autorità di Osmond, priva della canonica istituzione della S. Sede, e quanti cercavano una seppur temporanea composizione del conflitto. Tra questi ultimi, Averardo Corboli, vicario generale del defunto arcivescovo Antonio Martini (1781-1809), convocò i prelati più in vista della diocesi, tra cui il rettore del seminario Antonio Dell’Ogna, facendosi promotore di un escamotage: in qualità di vicario capitolare avrebbe associato al suo governo Osmond «nominato» arcivescovo di Firenze. Il capitolo votò favorevolmente «quanto esposto» dal vicario Corboli il 3 gennaio 1811, ma il clima doveva surriscaldarsi ancor di più quando Corboli fu costretto, il 25 successivo, a rinunciare al suo vicariato per essere poi rinominato da Osmond stesso, affiancato ora dal canonico filofrancese Ignazio Paur.
Alla fine del regime napoleonico, evacuate le truppe francesi e partito alla volta di Nancy Osmond, il clero fiorentino attendeva il redde rationem. Apparvero a stampa le Dichiarazioni del Capitolo Metropolitano di Firenze circa la passata invasione del vescovo di Nancy nell’amministrazione della diocesi, in cui sostanzialmente si addossavano le maggiori responsabilità all’ormai defunto Corboli. D’altra parte l’azione del delegato apostolico Niccolini colpiva alcuni tra i più distinti sacerdoti fiorentini, come il rettore Dell’Ogna, che si vide chiudere il seminario nel settembre del 1814 ufficialmente per motivi economici ma in realtà per il sospetto che vi fossero state insegnate dottrine gallicane. Non poteva infine non pesare il ritorno in patria dei sacerdoti deportati a Porto Ferraio e a Bastia: i canonici Giuseppe Ottavio Muzzi, Gioacchino Baldi e Ferdinando Minucci, Michele Maria Del Bianco, preposto della collegita di Empoli, Francesco Betti pievano di San Piero a Sieve, Giovanni Gualberto Catani pievano di Borgo San Lorenzo.
Nonostante l’azione di Niccolini, che provvide alle ritrattazioni dei ‘collaborazionisti’, al risanamento delle situazioni canonicamente invalide e infine alla provvisione economica dei sacerdoti privati dal governo francese dei propri benefizi, il clima doveva essere ancora poco sereno se Morali così scriveva nella sua prima lettera pastorale: «Quae sunt ergo contentiones, quae maximo animi angore audivi fuisse inter Vos? Qui ex Vobis dicere audebit, ego sum Pauli, ego sum Cephae, cum omnes unum esse debeamus in Christo Domino Deo nostro? […] vos hortor, Fratres et Filii Dilectissimi, ut praeteritorum temporum vicibus, et omni memoria discordiarum sempiterna oblivione deletis, id efficiatis, ut cognoscant omnes, quia et filii lucis, et discipuli Dei estis, quoniam dilectionem habeatis ad invicem» (Petrus Franciscus Morali Dei et S. Apostolicae Sedis Gratia Archiepiscopus Florentinus SS. Domini Nostri Pii Papae VII prelatus domesticus, pontificio solio assistens et Sacri Romani Imperii princeps Venerabilibus Fratribus, Dilectis Filiis, Capitulo, Clero, Populoque Civitatis et Dioecesis Florentinae, Salutem et Benedictionem in Domine, Siena 1815).
A una composizione degli animi tendevano sicuramente due riconferme: da una parte quella di Niccolini come vicario generale e dall’altra quella di Dell’Ogna come rettore, seppur a seguito di una distesa memoria difensiva di quest’ultimo sull’ortodossia degli insegnamenti impartiti durante il governo francese. Nelle prime nomine Morali dimostrò inoltre di voler riconoscere l’oggettivo merito anche di quei sacerdoti ordinati o investiti di benefizi durante il governo episcopale di Osmond. Alla morte di Niccolini nel 1816 nominò vicario generale il canonico di S. Lorenzo Angelo Gilardoni e, divenuto questi vescovo di Livorno nel 1821, il canonico Ferdinando Minucci, che gli sarebbe poi succeduto nella cattedra episcopale. Rinnovò l’obbligo per tutti i chierici urbani di frequentare le scuole teologiche del seminario, il cui attestato divenne indispensabile per l’ordinazione; raccomandò al rettore di espellere chi avesse dato chiari e inequivocabili segni di non autentica vocazione; moltiplicò le ordinanze disciplinari e le rese più severe. Nel novembre del 1823 nominò rettore Giovan Battista Rossi, già vicerettore e futuro vescovo di Pescia nel 1834 e di Prato e Pistoia nel 1837.
Nel dicembre del 1815, con gli arcivescovi di Siena e di Pisa, Morali fu chiamato da Ferdinando III a far parte della Deputazione per il ristabilimento degli ordini regolari in Toscana già sopressi da Napoleone e formata da nove membri, di cui tre di nomina regia, tre di nomina pontificia e tre concordati.
Anche in Toscana la Restaurazione, nonostante il quadro ideologico dell’unione fra trono e altare, non significò il superamento dei conflitti giurisdizionali di antico regime e, come i suoi predecessori settecenteschi, anche Morali si trovò a muoversi tra comunione con il soglio di Pietro e obbedienza al trono di Cesare. Particolarmente forte fu la reazione di Pio VII alle istruzioni del regio diritto toscano che imponevano ai vescovi di sottomettere al regio exequatur le lettere pastorali e qualsiasi altra lettera circolare anche se manoscritta; non certo – si giustificava il governo toscano – per giudicare materie religiose quanto per verificare che non vi fosse nulla di contrario alla legislazione granducale. Morali fu latore di una missiva privata di Pio VII a Ferdinando III che non ebbe l’effetto sperato; egli stesso fu anzi ufficialmente biasimato dal governo per aver fatto stampare la pastorale per la quaresima del 1818 senza averla sottoposta al regio diritto.
Con lettera ai pievani e ai parroci del 27 giugno 1818 Morali annunciava la visita pastorale, ma della vasta diocesi riuscì a visitare solo alcune parrocchie urbane e alcuni pivieri.
Nelle lettere pastorali, quasi tutte scritte in occasione della quaresima e per la concessione dell’indulto dall’astinenza totale di carne e latticini, Morali non si allontana dai temi e dagli stilemi di una consolidata tradizione: le micidiali guerre, le pestilenze, le inondazioni, le carestie o le morti improvvise e le disgrazie familiari erano il segno di una irritata Giustizia di Dio e i mali che affliggevano una società sempre meno cristiana erano il frutto della filosofia razionalista e materialista intenta a distruggere la validità della Rivelazione divina; segno di una progressiva secolarizzazione erano la crescente disattenzione per i precetti quaresimali della chiesa e l’inutilità dei richiami episcopali all’esatta osservanza.
Morì a Firenze il 29 settembre 1826.
Fonti e Bibl.: Firenze, Arch. arcivescovile, Cancelleria, ff. 161-175 (1815-1826); Ibid., Lettere dalle congregazioni, ff. 17-23 (1815-1826/1833); L’archivio della cancelleria arcivescovile di Firenze. Inventario delle visite pastorali, a cura di G. Aranci, Firenze 1998, pp. 48 s., 112-114; L’archivio della segreteria degli arcivescovi di Firenze. Periodo dell’occupazione francese e mons. Morali, a cura di G. Aranci, Firenze 2005, pp. 35-177. P. Bagnoli, In occasione del faustissimo avvenimento all’arcivescovado di Firenze dell’illustrissimo e reverendissimo monsignore P.F. Morali. Stanze dell’abate P.B., Firenze 1815; Gazzetta di Firenze, 1815, n. 57, p. 2; n. 60, p. 4; ibid., 1826, n. 118, p. 4; n. 199, p. 4; M.A. Gentili, Inscriptio laudatoria Petri Francisci Morali Archiepiscopi Florentini MDCCCXXVI, Liburni MDCCCXXVII; Elogio funebre dell’ill.mo e rev.mo Monsig. P.F. M. Arcivescovo di Firenze recitato nella chiesa dei SS. Michele e Gaetano la mattina del 13 ottobre 1826, Firenze 1847; F. Grazzini, Narrazione intorno alla diocesi fiorentina dalla morte di Mons. Arciv. Antonio Martini fino alla venuta di Mons. Arciv. P.F. M., Firenze 1859 (ed. anast. Firenze 2000); E. Sanesi, Il seminario fiorentino nel diario del suo fondatore e nelle memorie dei suoi rettori. Monografia storica con note e documenti, Firenze 1913, pp. 76- 80; Hierarchia Catholica Medii et Recensiori Aevi, a cura di R. Ritzler - P. Sefrin, VII, Padova 1968, p. 195; C. Calzolai, La chiesa fiorentina, Firenze 1970, p. 31; Lettere pastorali dei vescovi della Toscana, a cura di B. Bocchini Camaiani - D. Menozzi, Genova 1990, pp. 79-81.