GIUSTOLO, Pier Francesco (Pietro Francesco, Pierfrancesco)
Nacque a Spoleto da Sallustio intorno alla metà del secolo XV, con molta probabilità tra il 1440 e il 1450, in una famiglia annoverata al tempo tra le più importanti della città. Della sua giovinezza e della sua educazione non sappiamo nulla o quasi; pare certo soltanto che la vocazione alle lettere arrivasse in età matura e che il suo apprendistato si svolgesse alla scuola di Pomponio Leto, dunque non dopo il 1498, come testimonia l'epicedio indirizzato dal G. all'amico Gioacchino Picini di Sangemini, nel quale è espressa la devozione al suo primo maestro (Epicedion Pomponio Laeti ad Ioachinum Picianum Casuentinum, c. Fiiirv dell'edizione del 1510 delle opere del G. per la quale vedi oltre).
Il G. fu storiografo e panegirista ufficiale di Cesare Borgia dal 1500 circa. Prima di questa data sappiamo di due missioni di rappresentanza svolte a Roma, come risulta dagli atti del Comune di Spoleto, nei quali il suo nome è anche accompagnato dalla qualifica di ser, malgrado non si abbiano prove che esercitasse la professione notarile. La prima missione risale al 1491 e fu compiuta in occasione delle nozze del nipote di Giovan Battista Savelli con una Orsini; la seconda è del 1499 e fu dedicata allo svolgimento di affari pubblici.
Degli incarichi pubblici per il Comune di Spoleto è, inoltre, testimonianza indiretta un epigramma che gli indirizzò il Cantalicio (Giovanni Battista Valentini) per ringraziare della cittadinanza che gli era stata conferita in seguito all'insegnamento svolto a Spoleto nel biennio 1488-90 (G.B. Cantalicio, Epigrammata, Venetiis, M. Capcasa, 1493 [ma 1494]). Alcuni anni dopo, il G. indirizzò al Cantalicio, in occasione della pubblicazione del poema De bis recepta Parthenope Gonsalviae libriquatuor (1506), una violenta critica (De Cantalycii Gondisalvia dialogus: minuta autografa nel ms. Vat. lat. 7179, cc. 130r-140v, della Biblioteca apostolica Vaticana), pubblicata come anonima da G.B. Festa (Un dialogo-invettiva contro il Cantalicio, in Classici e neolatini, V [1909], pp. 209-226).
Nell'agosto 1499 il G. si trovava certamente a Spoleto quando Lucrezia Borgia vi si stabilì in qualità di governatrice nominata dal padre Alessandro VI e quando fu precettore di Clarelio Lupo, oratore e futuro segretario dell'imperatore Massimiliano, al quale il G. dedicò il poemetto Descriptio montis.
Il carme latino Descriptio montis Spoleto imminentis ad Clarelium Lupum è databile (come ipotizza A. Campana, 1974, p. 279 n. 1, unico e prezioso contributo recente a far luce sulla figura e sulle opere del G.) al 1494 per le allusioni alla discesa di Carlo VIII in Italia. In esso il G. descrive il Monteluco, che domina Spoleto (mons lucus, monte ritenuto sacro nell'antichità e il cui bosco si riteneva fosse dedicato ad Apollo), con la parte rivolta a tramontana aspra e selvaggia e quella che guarda a ponente meno impervia, più dolce, dove è cresciuta fitta la vegetazione e dove vi costruirono, per questo, monasteri e altre piccole case che ospitavano i romiti di cui il G. descrive i costumi. Dopo la pubblicazione nella raccolta di opere del G. del 1510 (cc. Hiiir-Iir), il poemetto ebbe altre edizioni accompagnate anche dalla traduzione in italiano: Descrizione del Monte-Luco di Pietro Francesco Giustolo da Spoleto recata in rime italiane, Spoleto 1822 (versione in terza rima di Carlo Pompei); Descriptio montis Spoleto,Descrizione del monte che sovrasta alla città di Spoleto… con traduzione, e note di Pietro Fontana, Roma 1825; una versione in sestine dell'abate Pacifico Granieri (Foligno 1829); Monteluco. Carme di Pierfrancesco Giustolo, traduzione di Camillo Angelini, Spoleto 1892.
Allo stesso periodo (subito dopo il 1498 visto che nella prima ecloga si parla degli orti colocciani e della Accademia del Colocci), appartengono, con molta probabilità, anche le tre ecloghe (Eclogae tres. Fuscula, Genga, Galatea) nelle quali, oltre alle descrizioni di località amene nei pressi di Spoleto, si fanno continui riferimenti alla famiglia marchigiana dei Genga e a Fabrizio da Varano, vescovo di Camerino, oltre al motivo topico dell'esaltazione della vita bucolica contrapposta alle fatiche degli incarichi svolti a Roma: nella prima ecloga, per esempio, Bazzano con le sue bellezze è lodato come il luogo per ritemprarsi delle cure romane. Anche le Eclogae furono pubblicate all'interno dell'edizione del 1510 (cc. Nir-Oiiv).
Nel maggio del 1500 il G. fu al seguito di Cesare Borgia in qualità di segretario nella guerra contro i vicari della Marca e della Romagna. Sui servigi prestati al Valentino si sono interrogati tutti gli studiosi che si sono occupati del G., contrapponendo la natura mite e gli onesti costumi del poeta spoletino alla cupa fama del duca del Valentinois. In ogni caso è indubbia l'esaltazione della figura di Cesare Borgia che compare nelle opere del G.: egli lodò le sue imprese e compose per lui diversi panegirici. Dopo la conquista di Faenza (25 apr. 1501) egli rimase forse con il duca ancora per qualche tempo, non si sa con quale ufficio.
Dei dodici panegirici che il G. dichiara di aver composto, soltanto tre sono stati inclusi nell'edizione del 1510 (cc. Kiiiiv-Nir). Il primo narra i fatti avvenuti nella prima spedizione di guerra del Valentino contro i signori della Marca, nel periodo di tempo compreso tra il novembre 1499 e il febbraio 1500 (ma, con molta probabilità, senza che il G. vi abbia partecipato direttamente) per la resa di Imola, Forlì e Forlimpopoli. È più certa invece la sua presenza per quanto riguarda l'entrata trionfale di Cesare Borgia a Roma, avvenuta il 26 febbr. 1500 e descritta con vivacità nel secondo dei panegirici. Nel terzo e ultimo panegirico il G. canta ancora le imprese del duca fino all'assedio di Faenza con descrizioni così particolareggiate da far supporre che nell'impresa il G. sia stato al fianco del Valentino. Quest'ultima composizione mostra più delle altre le intenzioni del G. di comporre una vera e propria epopea sulle gesta del Borgia, che si riduce però nella realtà a una minuta descrizione della sua marcia di conquista con alcune belle immagini delle città vinte. A questo proposito si possono ricordare alcuni versi (143-153 del terzo panegirico) dedicati alla foce del Metauro e alla città di Fano, dove il G. sostò per cinque giorni, che preannunciano il carme Musae Fanestres, forse la migliore tra le opere del Giustolo.
Il componimento, dedicato ad Angelo Colocci, loda le bellezze della città e le famiglie più in vista di Fano attraverso il catalogo di nove damigelle locali, scelte nel corteo delle fanciulle, tra le più belle e le più colte, che fanno festa in un prato appena fuori città (cfr. G. Castellani, Muse fanesi, in Le Marche, I [1900], pp. 20-22). Le nove dame prescelte sono condotte nel Parnaso dove avranno l'assegnazione del proprio ufficio; nel ms. Vat. lat. 7192, accanto ai nomi delle fanciulle, è posto in margine anche quello della musa corrispondente; questa indicazione compare nell'edizione romana del 1510 (cc. Giiir-Hiiv), ma scompare nelle successive ristampe.
Allo stesso periodo di composizione va collocato un altro carme encomiastico, dedicato al cardinale Giovanni Vera di Arcilla (nella diocesi di Valenza), nominato arcivescovo di Salerno da Alessandro VI e, nel 1500, cardinale ma, soprattutto, precettore di Cesare e consigliere così fidato da superare Aristotele e Chirone, rispettivamente maestri di Alessandro e di Achille (Ad Ioannem Verham cardinalem Salernitanum Caesaris praeceptorem, cc. Kiiir-Kiiiir dell'ed. del 1510). Appartenenti allo stesso genere, anche se in un periodo di composizione sicuramente posteriore perché legati all'ambiente dei Della Rovere, sono altri carmi gratulatori fra i quali: Ad Marcum Vigerium cardinalem Senogalliensem (alle cc. Gir-Giiir dell' ed. del 1510; Marco Vigerio da Savona fu vescovo di Senigallia e cardinale dal 1° dic. 1505) e due componimenti dedicati a Francesco Alidosi della famiglia dei signori di Imola (cc. Fir-Fiiv, Iiv-Iiiv).
Toccano avvenimenti del tempo anche il carme per la visita a Napoli di Ferdinando il Cattolico, avvenuta il 1° ott. 1506, Ad Ferdinandum Aragoniae regem (cc. Iiiir-Kiiir) e il poema De restituta Graeciae libertate per consulem Flaminium che, in quanto incompiuto, non venne incluso nell'edizione del 1510 e fu dunque pubblicato soltanto nell'edizione ottocentesca delle opere del Giustolo.
Il G. fu probabile testimone della caduta del Borgia, avvenuta dopo la morte di papa Alessandro VI (18 ag. 1503). In seguito alla sollevazione della città di Faenza contro Cesare Borgia il G. perdette gran parte dei suoi averi, tra i quali anche molti dei suoi scritti.
A quel punto, non più al servizio del Valentino, l'urgenza più immediata per il G. era di trovare una nuova protezione. Lo ritroviamo, infatti, a godere dei favori della figlia di Giulio II, Felice Della Rovere, di cui canta le bellezze e le rare virtù in un carme di lode (escluso dall'edizione del 1510), e alla quale dedica, inoltre, per le nozze con Giovanni Giordano Orsini, signore di Bracciano, celebrate il 24 maggio 1506, un epitalamio (Epithalamion Felicis Ruverae & Ioannis Iordani Ursini, cc. Eiiv-Eiiiiv). La Della Rovere figura come destinataria di una delle opere più importanti del G., il poemetto De sere seu setivomis animalibus.
Il De sere seu setivomis animalibus (cc. Biiir-Diiiv dell'edizione del 1510) tratta della coltivazione del baco da seta. Il contenuto dell'opera vede, dopo una aggraziata narrazione di come Venere, mossa a compassione per la morte di Piramo e Tisbe, per rendere eterna la loro memoria fece nascere dai loro corpi i bachi da seta, una rassegna sistematica di tutti i diversi aspetti relativi al tema scelto. L'altro poemetto didascalico del G., De croci cultu (cc. Aiiir-Biiv), dedicato al conterraneo Agapito Gerardini, prende invece ad argomento poetico il croco.
Il G. fu anche tra i famigliari di Alessandro Farnese, come ci testimonia tra l'altro la lettera dedicatoria al Colocci presente nell'edizione del 1510.
La sua morte, di cui si ignora l'anno, non dovette avvenire molto dopo questa data, forse prima della fine di ottobre del 1511. Sappiamo, infatti, che il G. si era ritirato, oramai vecchio, nei luoghi ameni di Canino nel Viterbese di cui erano signori i Farnese e dove, con molta probabilità, concluse la sua vita. Severo Minervio, che morì nel 1529, interrompendo la sua storia parla del G. come di un letterato già scomparso da parecchi anni e di Clarelio Lupo, suo discepolo, come già morto.
Nella scarsità, e spesso inattendibilità, delle notizie biografiche sul G. un dato certo è che egli poté contare sull'amicizia del prestigioso umanista iesino Angelo Colocci, che fu non soltanto patrocinatore, ma anche primo editore dei suoi carmi: Iustuli Spoletani Opera, Romae per Iacobum Mazochium, 1510.
Il Colocci preparò l'edizione sulla base di quanto del poeta spoletino è conservato disordinatamente in due codici miscellanei: nel Vat. lat. 7182, e in tre fascicoli di una elegante copia calligrafica dei carmi del Vat. lat. 7192. Tutte le correzioni sui manoscritti in vista della stampa sono attribuibili al Colocci, e il caso del carme intitolato Epicedion Auriae pueri ad Angelum Colotium Bassum (si ricorda che Basso è il nome assunto dal Colocci nell'Accademia Pontaniana), è emblematico delle "disinvolte operazioni" di curatela messe in atto dal famoso monsignore (Campana, 1974, p. 267): il manoscritto originario svela infatti che il primo, vero, destinatario di questo epicedio era in realtà Vincenzo Calmeta, mentre nella princeps, per una manipolazione del testo operata dal Colocci, e quindi nelle successive edizioni, esso figura dedicato al Colocci stesso. Dopo l'edizione romana il canto funebre riapparve (con la dedica in prosa e con il poemetto Musae Fanestres dedicato al Colocci) nel 1772, per le cure del Lancellotti. Lo ritroviamo in seguito nell'edizione ottocentesca delle opere del G. curata da A. Sansi: Opera, Spoleto 1855, dove alle pp. 36-39 si dice essere stato confrontato con il codice Vat. lat. 7192. Questa edizione è la fonte più attendibile delle scarse notizie che ci restano del G., ed è alla base del saggio biografico di G. Marchesini premesso alla raccolta dei poemetti del G.: De croci cultu e De sere seu setivomis animalibus. Poemetti didascalici di Pierfrancesco Giustolo volgarizzati dalprof. GoffredoMarchesini con uno studio sulla vita e sulle opere dello stesso autore, Spoleto 1895.
Infine, per quanto riguarda la figura del G. come studioso e filologo, c'è da registrare una lettera inviata da Spoleto a Fabrizio da Varano, datata 7 ott. 1499, custodita nel codice della Biblioteca apostolica Vaticana, Reg. lat. 2023, c. 205, su alcuni luoghi del De raptu Proserpinae di Claudiano e una a Girolamo Genga, inviata da Bazzano di Spoleto il 15 ott. 1504, sugli errori di Omero. Il G. viene ricordato in un elenco presente nel Vat. lat. 3450.
Ben presto gli scritti e il nome del G. caddero nell'oblio, sfuggiti anche al Tiraboschi, almeno fino a quando l'abate Lancellotti, occupandosi di Angelo Colocci, e l'agronomo Filippo Re, nel suo studio sulla poesia georgica italiana, non lodarono le sue doti poetiche, soprattutto la scioltezza di un eloquio che alle volte richiama alla mente la migliore produzione greca e latina, modello indiscutibile, e spesso anche facilmente esibito, dei carmi del Giustolo.
Fonti e Bibl.: F. Lancellotti, Poesie italiane e latine di monsignor Angelo Colocci, Jesi 1772, pp. 153-165; F. Re, Della poesia didascalica georgica degli Italiani dopo il ristoramento delle scienze sino al presente, Bologna 1809, pp. 53-60; A. Sansi, Saggio di documenti storici tratti dall'Archivio del Comune di Spoleto, Foligno 1861, ad indicem; Id., Documenti storici inediti in sussidio allo studio delle memorie umbre, Foligno 1879, p. 13 n. 1 (in cui viene pubblicato anche il brano di Severo Minervio relativo al G.); Id., Storia del Comune di Spoleto dal secolo XII al XVII, II, Foligno 1884, p. 137; V. Zabughin, Pierfrancesco G. da Spoleto e gli "errori di Omero", in Giorn. stor. della letteratura italiana, LXVII (1916), pp. 456-458; B. Croce, Uomini e cose della vecchia Italia, Bari 1943, p. 64; F. Ascarelli, Annali tipografici di Giacomo Mazzocchi, Firenze 1961, pp. 40 s.; F. Ubaldini, Vita di mons. Angelo Colocci, edizione del testo originale italiano (Barb. lat. 4882), a cura di V. Fanelli, Città del Vaticano 1969, pp. 35, 77; A. Campana, A. Colocci conservatore ed editore di letteratura umanistica, in Atti del Convegno di studi su Angelo Colocci, …1969, Jesi 1972, pp. 269-271; Id., Dal Calmeta al Colocci, in Tra latino e volgare per Carlo Dionisotti, a cura di G. Bernardoni Trezzini et al., Padova 1974, I, pp. 267-315; V. Fanelli, Ricerche su A. Colocci e sulla Roma cinquecentesca, a cura di J. Ruysschaert, Città del Vaticano 1978, ad indicem; P.O. Kristeller, Iter Italicum. A cumulative Index, sub vocibusJustulus, Petrus Franciscus e Justus Spoletinus.