PIER DAMIANI
(Petrus Damiani, Petrus peccator), santo. – Nacque tra la fine del 1006 e gli inizi del 1007 a Ravenna. Non si conoscono i nomi dei genitori.
Monaco, cardinale vescovo, diplomatico, consigliere di pontefici e di re, nonché riformatore zelante e instancabile, scrittore colto e raffinato, ma insieme e in apparente contrapposizione a tutto ciò, convinto e intransigente propugnatore dell’eremo: la poliedrica personalità di Pier Damiani non è riconducibile a una singola attività o a un’unica qualifica. Allo stesso modo la sua opera è vasta e articolata in una miriade di scritti di vario genere, dalle epistole, cospicue, ai trattati teologici, ecclesiologici o normativi, dalle poesie ai sermoni e alle vite dei santi. Il suo percorso biografico è dunque ricostruibile anche grazie alle cospicue informazioni autobiografiche che costellano la sua ingente produzione, che l’imponente edizione a cura di K. Reindel per gli MGH (in quattro volumi tra il 1983 e il 1993) ha recentemente impostato – grazie al contributo offerto dagli studi di Giovanni Lucchesi – secondo un ordinamento cronologico che permette un’essenziale contestualizzazione dei testi. Prima fonte per conoscere la vicenda biografica di Pier Damiani è comunque, la Vita Petri Damiani del discepolo Giovanni da Lodi, scritta pochissimi anni dopo la morte (tra il 1076 e il 1082-84 secondo Freund, 1995, p. 182) e importante anche per la qualità delle informazioni che l’agiografo aveva potuto trarre dalla consuetudine diuturna con il suo maestro, pur se ovviamente condizionata dalla ricercata esemplarità agiografica.
Oltre che sulla data di nascita (nell’ep. 67 [Reindel, Die Briefe, p. 288] Pier Damiani afferma di essere nato circa [vix] un lustro dopo la morte dell’imperatore Ottone III, 24 gennaio 1002), l’epistolario informa sull’estrazione sociale aristocratica: in una lettera al nipote Marino, gli raccomanda di non vantarsi dei suoi natali illustri (ep. 132, p. 451), anche se le condizioni non erano agiate secondo Giovanni da Lodi. Sono noti due fratelli, il sacerdote (arciprete e poi monaco: ep. 106, p. 177) Damiano e il laico Marino, due sorelle, Rodelinda e Sufficia, e una terza sorella uterina come madre del nipote Damiano. Furono dapprima Rodelinda («vice matris»: ep. 149, p. 552) e poi Damiano, a educare Pier Damiani, ultimo per età, e a provvedere alla sua istruzione.
Forse per gratitudine verso di lui il giovane Pietro decise in seguito di prenderne il nome (A. Fortunio, Beati Petri Damiani vita alia, in PL 144, col. 158), non presente nelle attestazioni ravennati del periodo, ma presente nella famiglia di Pier Damiani (anche un nipote, si è visto, ebbe questo nome, cfr.: ep. 123, 125, 158). In un unico caso Pier Damiani usa nei suoi scritti il doppio nome (ep. 55, p. 151) con cui era chiamato dai suoi contemporanei, mentre di norma egli sottoscriveva utilizzando il solo nome Pietro accompagnato da apposizioni come peccator, o monachus.
Le ristrettezze e gli stenti economici e anche le vessazioni di un fratello malvagio resero comunque difficile, secondo l’agiografo, l’infanzia di Pier Damiani: non senza una certa ripercussione sulla sua personalità, secondo la lettura ‘psicologica’ di qualche studioso (Little).
Dopo aver cominciato nei primi anni Venti la sua formazione culturale a Faenza (ep. 44, p. 30; nella ep. 117, p. 321 descrive egli stesso l’iniziale cursus studiorum, enucleando i diversi gradi: da abecedarius a sillabarius e da nominarius a calculator), proseguì lo studio delle arti liberali a Parma dove attesta di essere stato studente intorno al 1030 (lo studio dei due curricula del trivium e del quadrivium dovette comportare una permanenza di circa sei anni tra 1026 e 1031-1032: Lucchesi 1972, I, pp. 19, 53-57; cfr: ep. 70, p. 320; ep. 119, p. 375). Pier Damiani menziona anche i nomi dei suoi maestri: Ivo e Gualtero (ep. 117, p. 322) e Mainfredo (ep. 8, p. 262).
Probabilmente in questo periodo e in questi contesti culturali urbani, Pier Damiani ebbe modo di affinare le sue competenze giuridiche, che emersero poi nel 1046 in occasione della disputa con i giuristi ravennati sui gradi di parentela tra gli sposi riportata dalla ep. 19 (D’Acunto, Introduzione a Opere di Pier Damiani. Lettere (1-21), 2000, pp. 115, nn. 215-216; 146-149). Le sue doti e capacità eccezionali gli valsero l’ammirazione dei suoi maestri, secondo l’agiografo, e tra il 1031-32 e il 1035 Pier Damiani insegnò a sua volta – non sappiamo se a Parma o a Ravenna – attirando folle di studenti e conseguendo una certa agiatezza oltre che una chiara fama (Vita Petri Damiani, p. 211).
Tra il 1034 e il 1035 (all’età di 28 anni circa) Pier Damiani scelse la via dell’eremo, recandosi a Fonte Avellana, nel desertum del monte Catria, nell’impervio Appennino al confine tra Marche e Umbria e tuttavia non troppo distante da Ravenna (ep. 149, p. 552). In una lettera all’imperatrice Agnese del 1066-67 egli scrive, infatti, di avere abbandonato la ciclade (tipico indumento clericale) per la cocolla (simbolo della vita monastico-eremitica) circa trentadue anni prima.
La fondazione dell’eremo di S. Croce di Fonte Avellana può essere stabilita tra la fine del X e gli inizi dell’XI secolo, con ogni probabilità sotto l’influsso dell’attività riformatrice di Romualdo di Ravenna, la cui presenza nei dintorni è attestata (Petri Damiani, Vita beati Romualdi, a cura di G. Tabacco, Roma 1957, p. 45).
Con ogni probabilità tra il 1037 e il 1040 (Lucchesi, 1972, I, pp. 27 s.), Pier Damiani ricevette l’ordinazione sacerdotale dall’arcivescovo Gebeardo di Ravenna, in seguito accusato di simonia (e forse anche per questo l’agiografo-biografo ne censura la notizia). Dopo alcune esperienze di vita cenobitica nei monasteri di Pomposa (1040-41; cfr. Lohmer, 1991, pp. 42-45) e di S. Vincenzo di Petra Pertusa presso il passo del Furlo nel territorio urbinate (1042), rientrò stabilmente a Fonte Avellana di cui divenne priore (1043). In questo periodo (1042-43) compose la Vita di Romualdo, uno tra i suoi primissimi scritti, dedicato a uno dei padri dell’eremitismo di riforma che egli stesso individuò come proprio maestro spirituale. Tracciando la biografia di Romualdo, l’autore proietta anche se stesso e il proprio programma. Il santo voleva «convertire tutto il mondo in un eremo», intento che lui stesso si propose e tentò di realizzare nel corso della sua vita. La spiritualità e l’idea religiosa di Romualdo (del quale non è rimasto alcuno scritto), emergono potenti dalle sue fondazioni e dai suoi discepoli.
La scelta eremitica e l’eremo di Fonte Avellana rimasero sempre il fulcro geografico e spirituale attorno al quale si svolse la vita di Pier Damiani, ma la sua predilezione per l’eremo non gli impedì una profonda consapevolezza della necessità di un impegno pastorale ed ecclesiale, dispiegato con grande energia in questi anni. La prospettiva, sino alla metà degli anni Quaranta all’incirca, restò esclusivamente locale. Nelle zone circostanti fondò o riformò numerosi eremi, quali San Barnaba di Gamugno e Suavicino, e monasteri, quali S. Bartolomeo di Camporeggiano, S. Giovanni di Valle Acereta, S. Gregorio in Conca per non citarne che alcuni; ovunque rifiorì la vita spirituale e materiale e questi centri si posero sotto la sua guida dando vita a una congregazione eremitica e monastica incentrata sulla sua autorità spirituale. L’impegno normativo di Pier Damiani è testimoniato da una sua lettera agli eremiti di Fonte Avellana (ep. 18), che può essere interpretata come una sorta di regola nella quale si riassume l’ordinamento della vita della congregazione in modo che possa essere tramandato alle generazioni future di eremiti. Ma l’azione di riforma di Pier Damiani si indirizzò anche ai vescovi e al clero secolare delle diocesi limitrofe, che egli definì sovente nei suoi scritti «in nostris partibus».
La sua azione riformatrice si traduceva concretamente in una fitta corrispondenza con i vescovi, nelle frequenti visite presso di loro o nell’invio dei suoi opuscoli, nella risposta ai loro quesiti, nell’adoperarsi per far rimuovere i chierici e prelati indegni o nel promuovere l’elezione di candidati meritevoli. Una delle preoccupazioni più pressanti di Pier Damiani era, infatti, la santificazione del clero e, di conseguenza, la riforma dei suoi costumi. La corruzione dei costumi del clero era uno dei problemi maggiori che affliggevano la Chiesa del tempo e qualsiasi istanza di riforma della vita ecclesiale doveva necessariamente affrontare e risolvere tale problema: i bersagli erano la simonia, il concubinato, ma anche in generale l’ignoranza, la condotta secolare e la cattiva amministrazione dei beni ecclesiastici. È fallace dunque lo stereotipo storiografico di un Pier Damiani dilaniato dal dilemma tra la perfezione individuale del convinto assertore del contemptus mundi, del valore della solitudine eremitica e dell’inutilità dell’impegno pastorale nel mondo per la salvezza delle anime – posizione che traspare soltanto dagli scritti della vecchiaia – da un lato, e l’impegno apostolico dall’altro: sulla scia del suo modello Romualdo, il giovane priore di Fonte Avellana propugna un monachesimo aperto al mondo. Una vivida testimonianza in tal senso è offerta dall’ep. 8 composta nel 1045 in cui Pier Damiani ricorda che, lasciato il suo eremo di Fonte Avellana, su richiesta dell’arcivescovo Gebeardo aveva esercitato efficacemente la sua azione di predicazione a Urbino e Ravenna, «spe lucrandi animas».
Pier Damiani dunque cominciò progressivamente a rappresentare per il Papato il referente per le Chiese marchigiane e romagnole, ma non esercitò in quegli anni un’influenza diretta sui pontefici per la riforma della Chiesa. Era invece allora preoccupato di fornire ai laici modelli di comportamento ispirati dagli ideali monastici (ep. 17, indirizzata a Tegrimo dei conti Guidi, ep. 21 e 23 indirizzate al giudice Bonomo; cfr. D’Acunto, 1999, passim). Dai suoi scritti emerge comunque un intenso impegno per la riforma ‘locale’: in particolare cercò di arginare l’intromissione delle famiglie aristocratiche nei monasteri (ep. 2 del 1042-1043 al marchese Bonifacio di Canossa; ep. 14), propose al clero romagnolo un modello di comportamento riformato scrivendo la vita del vescovo Mauro di Cesena (ep. 3 all’arcivescovo di Ravenna Gebeardo; ep. 7 all’arcivescovo Widgero di Ravenna; ep. 8 a G[iseberto] presbitero e tesoriere della Chiesa ravennate; ep. 12 e 19 al vescovo Giovanni di Cesena; ep. 13 e 16 al papa Gregorio VI; Vita Mauri; cfr. Laqua, 1976, passim; Longo, 2012, pp. 81-94).
La svolta, e l’ampliamento decisivo di orizzonti (alla sfera universale), arrivò con la discesa e l’incoronazione di Enrico III in Italia nel dicembre 1046, subito dopo il sinodo di Sutri col quale egli pose fine alle lotte tra le famiglie romane per il controllo del papato (D’Acunto, Introduzione, cit., pp. 150-158). Pier Damiani si trovava a Roma nel dicembre 1046 quando Enrico III fu incoronato e divenne sostenitore e referente della riforma ecclesiastica imperiale nei suoi vari aspetti, controllo dell’elezione papale incluso (cfr. ep. 20, 40, 43). Con l’imperatore ebbe ottimi rapporti, e anche grazie a essi nella seconda metà degli anni Quaranta strinse relazioni con gli ambienti riformatori romani: ciò si tradusse in una crescente consapevolezza da parte dell’avellanita della propria autorità morale e spirituale (cfr. scritti come il celebre Dominus vobiscum = ep. 28, composta tra il 1048 e il 1055, o l’ep. 26 del 1047 al papa ‘imperiale’ Clemente II). Di conseguenza, Pier Damiani divenne anche un punto di riferimento del movimento riformatore romano e un ascoltato consigliere dei pontefici e del loro entourage, e collaborò in successione con Gregorio VI, Leone IX (1049-1054), Ildebrando di Soana, futuro papa Gregorio VII (1073-1085), Anselmo da Baggio, divenuto papa nel 1061 con il nome di Alessandro II (1061-1073).
In questo periodo compose scritti dedicati a temi fondamentali di carattere teologico ed ecclesiologico, dalle evidentissime ricadute politico-diplomatiche. Nel 1052 (con una postilla del 1061) compose il celebre Liber Gratissimus (ep. 40), dedicato al delicato quanto penoso problema delle ordinazioni operate da parte dei prelati simoniaci che attanagliava e divideva la Chiesa e sul quale propose una soluzione di mediazione rispetto alle posizioni intransigenti di Umberto di Silva Candida; soluzione ispirata probabilmente anche dalla propria vicenda esistenziale – lo stesso Pier Damiani era stato, infatti, ordinato sacerdote dall’arcivescovo Gebeardo di Ravenna accusato in seguito di simonia. Si impegnò risolutamente anche contro il nicolaismo (il concubinato dei preti) e la corruzione dei costumi del clero; sul problema dell’omosessualità tra i chierici compose nel 1049 il Liber Gomorrhianus, ep. 31, dedicandolo al papa Leone IX; (cfr. Cantarella, 2003, pp. 117-125; D’Angelo, San Pier Damiani, Liber Gomorrhianus, passim).
Con la morte di Enrico III (5 ott. 1056) e, l’anno dopo, di Vittore II, (28 luglio 1057), nonché la prospettiva di una lunga minorità di Enrico IV, affidato inizialmente all’imperatrice Agnese e al papa, mutarono radicalmente il clima e il contesto politico dei rapporti tra Corte imperiale e gruppo riformatore della sede romana, portando alla rottura di un fragile equilibrio e a una progressiva divaricazione di metodi, obiettivi e strategie per l’affermazione della riforma ecclesiastica (cfr. C. Violante, L’età della riforma della Chiesa in Italia (1002-1122), in Storia d’Italia, I, Il Medioevo, Torino 1959, pp. 158-163; O. Capitani, Storia dell’Italia medievale, Roma-Bari 1986, pp. 278 s.) e a una sempre più radicale contrapposizione in merito a problemi politici (la situazione politica dell’Italia centro-meridionale; le turbolenze dell’aristocrazia romana sulle elezioni pontificie) ed ecclesiologici (la pataria milanese). Pier Damiani dovette rivedere le proprie posizioni di convinto assertore della convergenza di intenti tra regnum e sacerdotium, e nell’ep. 46 (del 1057) affermò con decisione il potere petrino rivendicano il ruolo del papa nella supplenza all’imperatore: posizione che è stata letta anche come un’anticipazione delle posizioni teocratiche di Gregorio VII (sul dibattito storiografico cfr. D’Acunto, 1999, pp. 256-258). Conseguenza di questo riposizionamento fu il cappello cardinalizio (agosto-novembre 1057) come vescovo di Ostia assegnatogli da Stefano IX, successore di Vittore II: accolto da Pier Damiani a suo dire con ritrosia («coactus sum», scrive nella ep. 48 ai suoi confratelli cardinali vescovi in cui espone un programma di intenti per la riforma della Chiesa di grande respiro spirituale).
Alla morte di Stefano IX (29 marzo 1058), decisivo fu l’operato di Pier Damiani nel conclave e nella successione. L’elezione di Benedetto X (Giovanni dei conti di Tuscolo, vescovo di Velletri) fu imposta dall’aristocrazia romana desiderosa di rivincita dopo una decina d’anni di tutela imperiale, ma Pier Damiani, che in quanto cardinale vescovo di Ostia doveva provvedere alla consacrazione, lasciò Roma insieme a un gruppo di cardinali esponenti del gruppo riformatore e riparò in Toscana presso il marchese di Tuscia Goffredo il Barbuto (cui dedicò vari scritti). Sotto la protezione di costui fu eletto a Firenze Niccolò II, poi consacrato a Roma il 24 gennaio 1059 con ogni probabilità dallo stesso Pier Damiani. Egli si impegnò a fondo per sostenere il nuovo papa tra i vescovi italiani (ep. 58), e per difendere la sua elezione; partecipò anche (nella seconda metà di aprile 1059) al celebre sinodo che assegnò ai soli cardinali vescovi l’elettorato attivo per il vescovo di Roma, e ispirò, se proprio non scrisse materialmente, il decreto (cfr. O. Capitani, Problematica della Disceptatio synodalis, in Id., Tradizione ed interpretazione, 1990, pp. 142-174).
Non stupisce dunque che Niccolò II abbia inviato, nell’inverno 1059, Pier Damiani e Anselmo da Baggio (vescovo di Lucca) a Milano, per dirimere l’annosa vertenza che opponeva all’arcivescovo milanese Guido da Velate i così detti patarini (che contestavano con veemenza il clero concubinario e la simonia). Pier Damiani convocò una grande assemblea del clero cittadino e risolse la questione con grande abilità diplomatica contenendo l’estremismo dei patarini e l’iniziativa dei fedeli laici e convincendo i milanesi grazie a una profonda conoscenza giuridica e scritturale.
Contemporaneamente, così come aveva fatto con i patarini, Pier Damiani si scontrò con riformatori radicali, come l’eremita cittadino (di Firenze) Teuzone e con l’ambiente vallombrosano più propenso alla partecipazione popolare alle iniziative antisimoniache.
Nella polemica infuocata con Teuzone, Pier Damiani rimproverò aspramente e sarcasticamente ai vallombrosani di essere degli «eremiti di città», di incarnare in questo modo un paradosso vivente della condizione eremitica che è assolutamente connotata da una radicale alterità fisica e spirituale rispetto al mondo urbano. «Se sei monaco», chiede Pier Damiani al suo interlocutore, «che hai a che fare con la città? Se sei eremita che hai a che fare con la folla dei cittadini?» (ep. 44, p. 13). La polemica con i vallombrosani diede modo a Pier Damiani di esprimere la propria concezione della perfezione cristiana e di definire l’esperienza spirituale fortemente connotata in senso ascetico e severamente penitenziale (compresa l’autoflagellazione) che si praticava negli eremi posti sotto la sua guida. In una serie di testi fortemente polemici (ep. 44-45, 56) – testi che nel loro insieme costituiscono una sorta di ‘autobiografia al plurale’ del suo gruppo e dei suoi seguaci – emerge in effetti l’identità dell’eremitismo damianeo come elemento cardine su cui impostare la riforma della Chiesa. Nelle citate lettere, ciò avvenne anche attraverso la rappresentazione di una galleria di medaglioni di ignoti ed eroici eremiti che mettevano in pratica quotidianamente quanto Pier Damiani teorizzava divenendo modelli di perfezione da offrire ai contemporanei, esemplificazioni viventi della perfezione ascetica (Longo, 2010, pp. 61-86). Anche in altre lettere (ep. 50 risalente per la maggior parte al 1057; ep. 54) Pier Damiani afferma le peculiarità della sua concezione eremitica e descrive le modalità dell’esperienza religiosa e spirituale avellanita, con attenzione alle consuetudini e ai metodi della conversatio eremitica (Longo, 2012, pp. 168-220).
La morte di Nicolò II e la conseguente grave crisi causata dalla duplice elezione pontificia – da una parte dell’arcivescovo di Milano Anselmo da Baggio scelto dai cardinali riformatori romani, Alessandro II, annunciata ai milanesi da Pier Damiani con l’ep. 84, e dall’altra del vescovo di Parma Cadalo (Onorio II), caldeggiato dall’aristocrazia romana ed eletto al concilio di Basilea del 1062 su iniziativa dell’imperatore Enrico IV – mise ancora alla prova la compattezza (e la crescente autocoscienza) del fronte cardinalizio filoriformatore di cui egli era uno dei leader. Al di là delle rituali e reiterate dichiarazioni di abbandono del cardinalato, Pier Damiani fu in prima linea con i suoi scritti e la sua azione in questo momento decisivo per l’affermazione del primato pontificio.
Si colloca qui (aprile 1062) la Disceptatio synodalis (ep. 89), indirizzata a Onorio II. In teoria si trattava di preparare con abilità mediatoria il sinodo di Augusta che doveva porre fine allo scisma e forse anche reintrodurre le sue non ancora del tutto sopite aspirazioni all’unità di intenti tra Impero e Papato; ma nel testo è esplicitata in maniera inequivocabile la dottrina del primato pontificio, e va ribadito che è stata opportunamente corretta sulla base della minuta ricostruzione biografica la tesi tradizionale nella storiografia sul suo immarcescibile e incondizionato sostegno all’ipotesi di concordia tra Papato e Impero (cfr. D’Acunto, 1999, pp. 241-290). Nei primi anni Sessanta, Pier Damiani si impegnò anche a scrivere sulla necessità di una riforma palingenetica del clero e specialmente degli attributi e degli obblighi connessi alla funzione episcopale (ep. 69, 73-74) con un’attenzione particolare al tema economico, e in particolare all’amministrazione dei beni ecclesiastici (cfr. L’etica economica medievale, a cura di O. Capitani, Bologna 1974; D’Acunto, 1999, pp. 181-234).
Lo scisma fu affrontato, da parte di Pier Damiani, restando a Fonte Avellana, ove fu presente dalla fine del 1061 agli inizi del 1063: oltre alle lettere al calor bianco in difesa di Alessandro II, si trovano tracce sicure del suo operato anche nella rete di alleanze e sostegni per la causa dei riformatori romani creata presso i maggiori ecclesiastici della Reichskirche, ma da una posizione, per così dire, autonoma (cfr. Longo, 2012, pp. 103-106, 125-134). In questo torno di tempo fu oggetto di attacchi personali e in pericolo di vita come testimonia l’Iter gallicum, resoconto della missione in Gallia dell’avellanita tra il 1063 e il 1064. Pier Damiani si recò oltralpe come legato pontificio per dirimere un’annosa disputa che vedeva coinvolto l’abbazia cluniacense, i cui privilegi ed esenzioni erano stati oggetto dell’attacco del vescovo Drogone di Mâcon (cfr. Iter Gallicum, in PL 145, Paris 1853, coll. 865-880). Con il biglietto da visita di un impegnativo elogio di Alessandro II (che lo descrisse ai vescovi francesi come «nimirum et noster est oculus et apostolicae sedis immobile firmamentum»: Alexandri II papae Epistolae et decreta, in PL 146, Paris 1853, col. 1295 D), risolse la disputa con rara perizia diplomatica e riuscì a salvaguardare gli interessi cluniacensi nel sinodo di Châlon che si svolse il 17 agosto 1063. Fu l’occasione per conoscere da vicino il monachesimo cluniacense, che Pier Damiani apprezzò moltissimo; le attenzioni furono ricambiate, perché in qualità di legato pontificio Pier Damiani procedette l’11 agosto del 1063 alla traslazione delle reliquie di Odilone a Souvigny e consacrò un altare dedicato al santo, e fu assai inusualmente incaricato dall’abate Ugo (che riteneva di poter così ottenere un potente mezzo di promozione della santità cluniacense) di redigere una nuova stesura della Vita di Odilone (composta tra il 1063 e il 1064 e terminata in Italia).
La missione gallica può essere presa come una sorta di spartiacque nelle posizioni politico-ecclesiastiche, negli ideali riformistici e nelle concezioni spirituali dell’avellanita, che d’ora in poi marcò un progressivo distacco ed estraniamento dalle linee della riforma guidata da Ildebrando di Soana e Alessandro II e un sempre più marcato estremismo ascetico e filomonastico. Si apre in sostanza una stagione in cui Pier Damiani si impegnò a fondo per cercare di perfezionare il monachesimo cenobitico, e soprattutto l’esperienza cassinese. Il contemptus mundi che assai spesso è stato considerato una cifra distintiva d’insieme del pensiero di Pier Damiani è riscontrabile alla fine della sua vita, ma non in periodi precedenti (cfr. Bultot, 1968).
All’infuocata veemenza nei confronti di Cadalo, cui dedica negli scritti del periodo una parte davvero cospicua della sua tutt’altro che benevola attenzione (cfr. Cantarella, 2009, p. 235) fa riscontro una progressiva freddezza nei confronti di Alessandro II e Ildebrando di Soana. Certamente Pier Damiani difese a spada tratta il ‘suo’ papa dagli attacchi dei sostenitori di Cadalo, ma il pontefice si lamentò con lui del suo prolungato silenzio (ep. 96, p. 47) e la progressiva e inesorabile presa di distanza da parte di Pier Damiani e la situazione di disarmonia con Ildebrando e il pontefice Alessandro II sono sancite dal tono sardonico ed esasperato della lettera 107, della quaresima del 1064. Ben più numerose e di tono diverso sono le lettere indirizzate agli abati e ai monaci di Cluny e soprattutto di Montecassino. Si tratta di quattro lettere ai cluniacensi e dodici ai cassinesi tra il 1063 e il 1065, rafforzate da forse tre visite di persona nel 1064, nel 1066 forse e poi nel 1069, dedicate in parte a temi teologici (De divina omnipotentia) e in parte a temi della perfezione monastica (la flagellazione volontaria, in generale la perfezione ascetica e la contemplazione (ep. 82, 90, 95, 106 a Desiderio). Probabilmente (D’Acunto, 1999, pp. 393-402), fu in questo periodo (1067) che Pier Damiani compose le due Vitae dei suoi discepoli più stretti, Rodolfo vescovo di Gubbio e Domenico Loricato, contenute nell’ep. 109 (e indirizzate al papa Alessandro II): due testi che esaltano al massimo grado un ascetismo eremitico proteso alla ricerca eroica di una perfezione angelica che si rivela un picco troppo elevato per i comuni mortali. Guardando all’intera produzione di Pier Damiani agiografo, la Vita Romualdi rappresentava lo slancio programmatico, la dichiarazione delle aspirazioni agli inizi della carriera di riformatore, e la Vita Mauri testimoniava una fase iniziale di impegno riformatore su scala regionale; la Vita Odilonis può essere letta come l’incontro da parte di Pier Damiani con un altro monachesimo di riforma e uno degli elementi di un tentativo di creare un’unione riformata delle migliori forze del monachesimo.
C’è un’evoluzione evidente, marcata, nell’atteggiamento di Pier Damiani dagli inizi della sua carriera alla fine. Dal voler convertire tutto il mondo in un eremo nel ritratto/confronto con Romualdo di Ravenna agli esordi di Pier Damiani sulla ribalta della riforma, ai testi degli anni Sessanta, incentrati sull’eroico estremismo ascetico di Domenico Loricato, sulla difesa del valore della flagellazione volontaria e sulle proposte ascetiche ed elitarie al fior fiore del mondo monastico c’è un lungo percorso. Il contemptus mundi che assai spesso è stato considerato una cifra distintiva del pensiero di Pier Damiani non è riscontrabile in periodi precedenti, ma alla fine della sua vita, con la constatazione dell’impossibilità di un coinvolgimento della corte imperiale in un progetto di riforma ecclesiastica, con la progressiva perdita di consonanza con il papa cui si aggiunge anche l’urgenza intima del proprio imminente compimento della vicenda terrena.
Disagio e presa di distanza dal Papato risultano anche a proposito dei rapporti con Costantinopoli: nell’introduzione al trattato sul Filioque che inviò direttamente al patriarca, Pier Damiani si lamenta di non esser stato considerato dalla Curia romana («nemo me dignatus est provocare»), dal papa e i suoi collaboratori.
Naturalmente, anche negli ultimi anni Pier Damiani non smise di occuparsi della riforma del saeculum. Nel 1067 si recò a Firenze dove il vescovo Pietro Mezzabarba era stato accusato di simonia. Ancora nel 1069, pur avendo ormai da tempo abbandonato il cardinalato per dedicarsi alla vita dell’eremo, per conto del pontefice fu inviato in Germania con il compito di distogliere Enrico IV dal proposito di divorziare dalla moglie Berta. Nel 1072 infine compì la sua ultima missione a favore della Chiesa recandosi a Ravenna, la sua città natale, per riconciliarla con la sede apostolica dopo che l’arcivescovo ravennate Enrico era stato colpito da interdetto per aver parteggiato per l’antipapa.
Compiuta con successo la sua missione, Pier Damiani sulla strada del ritorno – probabilmente si stava recando a passare la quaresima nell’eremo di Gamogna, come aveva fatto in altre occasioni (1060, 1063, 1067, cfr. Lucchesi 1972, II, p. 147) – morì a Faenza nel monastero di S. Maria foris Portam nella notte tra il 22 e il 23 febbraio 1072. Il suo corpo fu custodito presso la chiesa del monastero, e successivamente nella vicina S. Maria dell’Angelo, finché fu trasferito nel corso del XIX secolo presso la cattedrale di Faenza, dove è tutt’ora conservato.
Nella parabola dell’esperienza esistenziale di Pier Damiani si può sicuramente trovare una costante che rappresenta una chiave per decodificare il pensiero e l’operato di una figura che è stata descritta come contrassegnata dalla cifra di una «contraddittoria multilateralità» (G. Tabacco, Pier Damiani fra edonismo letterario e violenza ascetica, in Spiritualità e cultura nel medioevo. Dodici percorsi nei territori del potere e della fede, Napoli 1993, p. 252); il comune denominatore di questa poliedrica personalità è «la coerenza della tensione», atteggiamento che unifica e indirizza le scelte, i percorsi, le lotte di un riformatore che non è assolutamente rimasto inerte di fronte alle sollecitazioni di una realtà politica, ecclesiologica e spirituale quanto mai cangiante e che richiedeva un aggiornamento costante delle risposte, ma anche delle domande da porre.
Pier Damiani fu venerato sin dal momento della sua morte anche se il suo culto (circoscritto a Ravenna e a Faenza, di cui fu patrono dal 1512) fu formalizzato solo da un decreto di Urbano VIII del 1625. Nel 1828 fu poi proclamato da Leone XII dottore della Chiesa (per il decreto cfr.: Facchini 2011, pp. 163 s.). Paradossalmente il culto rimase vivo in queste città romagnole, ma non a Fonte Avellana, ove la liturgia locale non lo menziona (come non menziona i suoi allievi e successori), e non lo inserisce nella memoria collettiva dei secoli XII-XIII. Si percepiva evidentemente che un mantenimento della tensione ascetica a un livello troppo alto avrebbe potuto costituire un problema per molti monaci.
Il recupero della sua fama fu colto e tardo. Dante dedicò a Pier Damiani un celebre passo nel canto XXI della Commedia; altri, come Francesco Petrarca e Giovanni Boccaccio, si interessarono alla sua biografia e recuperarono codici della Vita. Nel Cinquecento (tra il 1526 e il 1534) l’umanista Giovanni Antonio Flaminio ne compose una biografia all’interno della sua opera sulle Vite dei quattro santi protettori di Faenza, e utilizzò con ogni probabilità il testo di Giovanni da Lodi tra i «libri admodum vetusti» che i suoi committenti, i canonici della cattedrale faentina, gli diedero.
Fonti e Bibl.: La bibliografia su Pier Damiani è vastissima. Nel 2007, in occasione del millenario della sua morte U. Facchini, Pier Damiani: un padre del secondo millennio, Roma 2007, ha pubblicato una poderosa e accurata bibliografia ragionata sull’avellanita che ci esime da ogni velleità di esaustività, del resto difficilmente attuabile visto che il volume di Facchini consta di ben 555 pagine di titoli organizzati tematicamente in due parti.
Prime edizioni e studi. La rilevanza non solo qualitativa, ma anche quantitativa degli scritti di Pier Damiani, ha comportato un grande numero di studi e di edizioni. La tradizione manoscritta delle opere di Pier Damiani è complessa e ramificata. Esistono oggi circa settecento codici contenenti opere dell’eremita di Fonte Avellana, fitta ragnatela che si estende in tutta l’Europa e che abbraccia nel tempo oltre mezzo millennio (K. Reindel, Studien zur Überlieferung der Werke des Petrus Damiani, in Deutsches Archiv, XV (1959), pp. 23-102, XVI (1960), pp. 73-154, XVIII (1962), pp. 317-417). Sbocco e al contempo filtro di tale lunga e imponente tradizione manoscritta sono state le edizioni moderne, che si sono succedute a partire dagli inizi del XVI secolo, quando ancora non si era esaurita la trasmissione manoscritta, della quale si hanno testimoni anche più tardi e con la quale dunque si sono incrociate.
La gran parte delle opere sicuramente di Pier Damiani o a lui attribuite è stata pubblicata alla metà del secolo scorso in due volumi della Patrologia latina. I due volumi presentano una divisione delle opere damianee sulla base di epistulae, sermoni e Vitae di santi, nel volume 144 e opuscoli, opere poetiche e Collectanea nel volume 145. I due volumi della Patrologia non sono il frutto di un’iniziativa editoriale originale, ma riproducono una delle numerose riedizioni della prima edizione dell’opera omnia di Pier Damiani curata da Costantino Gaetani agli inizi del XVII secolo, particolarmente notevole per l’epoca grazie ai criteri di raccolta del materiale. Nel corso del XIX secolo alcuni testi di Pier Damiani sono stati pubblicati nelle varie serie degli MGH (cfr. Longo, 2012, p. 270).
La grande fioritura di studi sulla figura e sull’opera dell’avellanita nel corso del XX secolo si è dovuta basare sullo stato dei testi e sulla base dei criteri presentati dall’edizione di Gaetani. Nella prima metà del XX secolo alcuni testi sono stati aggiunti al corpus damianeo inserito nella raccolta della Patrologia del Migne grazie alle scoperte di alcuni eminenti studiosi; è stata pubblicata, infatti, una serie di contributi editoriali a opera di D. de Bruyne nel 1914, di A. Wilmart nel 1932, di A. Campana nel 1947; di G. Tabacco nel 1957 e di J. Leclercq nel 1947 e nel 1957.
A partire dalla metà del secolo lo studio della figura e dell’opera di Pier Damiani si è sviluppato enormemente e gli è stato riconosciuto un ruolo centrale nella creazione dei presupposti teorici ed ecclesiologici della riforma della Chiesa della seconda metà dell’XI secolo e nella sua attuazione.
Nel quadro degli studi sulla riforma del secolo XI di O. Capitani, C. Violante, G. Miccoli e G. Tabacco è emerso il contributo nodale di Pier Damiani. Nello stesso torno di tempo alcuni convegni della Mendola sono stati dedicati alle grandi tematiche ecclesiologiche, politiche e teologiche relative alla riforma e una serie di contributi, tra i quali particolarmente gli studi di Capitani e Tabacco, hanno approfondito lo studio sul ruolo e il contributo di Pier Damiani nell’ambito del movimento riformatore.
Contemporaneamente alle revisioni e alle nuove interpretazioni della riforma ecclesiastica dell’XI secolo, la figura di Pier Damiani ha conosciuto una nuova stagione di studi alla luce anche della sempre maggiore attenzione dedicata alla tradizione manoscritta delle opere dell’avellanita. Tra gli studi specifici dedicati a Pier Damiani vanno ricordate, in particolare, le due monografie ad opera di Owen J. Blum nel 1947, contenente anche un prezioso elenco dei codici con opere di Pier Damiani, così come quella di F. Dressler nel 1954, alle quali si aggiunse nel 1960 la ricostruzione biografica dedicata all’avellanita da Leclercq.
Del 1956 è il fondamentale e innovativo studio di J. Ryan sulle fonti canonistiche di Pier Damiani. Tra il 1957 e il 1962 K. Reindel ha pubblicato a più riprese i suoi fondamentali studi sulla tradizione manoscritta delle opere. L’interesse crescente della storiografia ha condotto poi all’organizzazione di una serie di convegni in occasione del nono centenario della morte di Pier Damiani nel 1972, nei quali sono confluiti un gran numero di contributi anche se non sempre omogenei per il valore scientifico e gli approcci metodologici. Nel quadro della produzione storiografica di questo periodo si segnalano: H.P. Laqua, Traditionen und Leitbilder bei dem Ravennater Reformer Petrus Damiani (1042-1052), München 1976; L.K. Little, The personal development of Peter Damian, in Order and innovation in the Middle Ages. Essays in honor of Joseph R. Strayer, a cura di W.C. Jordan - B. Mc Nab - T.F. Ruiz, Princeton 1976, pp. 317-341, 523-552; e i contributi di innegabile valore di G. Lucchesi, con la sua abbondante produzione di studi sulla figura e l’opera di Pier Damiani. I risultati più duraturi degli studi di Lucchesi sono stati senza dubbio l’aver creato con la Clavis sancti Petri Damiani uno strumento fondamentale per lo studio critico delle opere di Pier Damiani e l’aver confezionato una ricostruzione della biografia del santo sulla base di una solida impostazione cronologica e topografica.
Uno dei frutti più preziosi della stagione di rinnovati studi sulla figura dell’avellanita è stata l’esigenza di disporre di edizioni che fornissero uno stato migliore dei testi damianei. Nel 1972 A. Cantin ha pubblicato l’edizione critica del De divina omnipotentia fornendo anche una traduzione in lingua francese del celebre opuscolo 36 (ep. 119 dell’edizione Reindel), forse il testo più filosoficamente e teologicamente denso di Pier Damiani. Anche Cantin si è basato sull’edizione di Migne, ma si è potuto avvalere anche di un’edizione con traduzione in italiano del 1943 di B. Nardi in collaborazione con P. Brezzi, che però non riguardava solo il De divina omnipotentia, ma anche gli opuscoli 45, 13 e 58 (= ep. 117, 153, 23 dell’edizione Reindel). Nel quadro delle edizioni critiche recenti, si devono ricordare anche le edizioni dei carmi, inni e ritmi di Pier Damiani a opera di A. Willmart (1929) e M. Lokrantz (1964) e l’edizione dei sermoni pubblicata da Lucchesi nel 1983.
Tra il 1983 e il 1993 K. Reindel, dopo un trentennio di ricerche, ha pubblicato per gli MGH la monumentale edizione critica in quattro tomi di una parte cospicua degli scritti damianei (Die Briefe des Petrus Damiani, hrsg. K. Reindel, I, nn. 1-40, München, 1983; II, nn. 41-90, München 1988; III, nn. 91-150, München 1989; IV, nn. 151-180 und Register, München 1993, (MGH, Epistolae, 2, Die Briefe der deutschen Kaiserzeit, 4). Lo studioso tedesco ha fornito un’edizione di grandissimo valore e rigore filologico basandosi su una minuziosa e approfondita ricostruzione della tradizione manoscritta. Reindel ha operato scelte e criteri di ordinamento differenti dall’edizione di Gaetani. Egli ha, infatti, abolito la tradizionale distinzione sulla base della lunghezza tra lettere e opuscoli, e ha considerato tutti i testi come epistolae ordinandoli secondo un ordine cronologico. Poiché la tradizione manoscritta delle opere damianee non presenta caratteristiche tali da imporre un criterio di ordinamento intrinseco ed evidente, la scelta adottata da Reindel risulta ineccepibile in quanto ha una valenza meramente strumentale. Il criterio dello studioso tedesco rischia però di fuorviare il lettore poiché considerando tutti i testi all’interno del macro genere epistolare, risultano di difficile individuazione le diverse tipologie testuali reali presenti all’interno della forma epistolare. Oltre che sui suoi studi preparatori Reindel si è basato sui lavori di Giovanni Lucchesi, in particolare proprio per le datazioni delle epistolae rispetto alle quali nessuna indicazione era presente nell’edizione di Gaetani e nella Patrologia latina. Se il fatto di presentare gli scritti di Pier Damiani secondo l’ordinamento cronologico in una prospettiva diacronica e storica è essenziale per la piena comprensione dei testi e la contestualizzazione del loro valore nel quadro dello sviluppo del pensiero e dell’attività dell’avellanita, si corre però il rischio di rendere canonica una cronologia degli scritti che non è assolutamente sicura e definita (Cfr. G. Lucchesi, Per una Vita di S. Pier Damiani. Componenti cronologiche e topografiche, in San Pier Damiano nel IX centenario della morte (1072-1972), Cesena 1972, I, pp. 13-179, II, pp. 13-160; Id., Clavis Sancti Petri Damiani, in Studi su s. Pier Damiani, in onore del Card. Amleto Giovanni Cicognani, due edizioni Faenza 1961-1970, pp. 1-215). Sebbene dunque la situazione sulla produzione scrittoria di Pier Damiani sia notevolmente migliorata, non tutti i problemi sono stati risolti e specialmente, fino a tempi recenti (Longo, 2012, con indicazione in bibliografia degli studi precedenti sulla produzione agiografica) a proposito della scrittura agiografica come ha osservato a più riprese G. Fornasari (Id., S. Pier Damiani e la storiografia contemporanea: osservazioni in margine a recenti studi damianei, in Bulletino dell’Istituto storico italiano per il medio evo e archivio muratoriano, LXXXVIII (1979), pp. 165-200, ora anche in Id., Medioevo riformato del secolo XI, Napoli 1996, pp. 97-126).
Dalla fine del XX secolo si è registrata una nuova stagione di studi dedicati all’opera e alla figura di Pier Damiani (Ch. Lohmer, Heremi conversatio. Studien zu den monastichen Vorschriften des Petrus Damiani, Münster 1991; S. Freund, Studien zur literarischen Wirksamkeit des Petrus Damiani. Anhang: Johannes von Lodi, Vita Petri Damiani, Hannover, 1995 in MGH, Studien und Texte, 13]. Del 1999 è l’importante N. D’Acunto, I laici nella Chiesa e nella società secondo Pier Damiani. Ceti dominanti e riforma ecclesiastica nel secolo XI, Roma 1999. Questa nuova fioritura di studi damianei, particolarmente significativa nei primi dieci anni del XXI secolo, anni che sono stati definiti «ad alta intensità e densità di ricerca […] collettiva e plurima (nelle diversità di metodo e di interpretazione, ovviamente)», ha comportato un profondo rinnovamento dell’interpretazione del ruolo e dell’azione di Pier Damiani nel quadro della riforma della Chiesa dell’XI secolo (citazione tratta da G.M. Cantarella, Per un nuovo questionario del secolo XI?, in Reti Medievali-Rivista, XI/1 (2010), http://www.retimedievali.it; introduzione del numero monografico: Civiltà monastica e riforme, Nuove ricerche e nuove prospettive all’alba del XXI secolo, a cura di G.M. Cantarella, in cui sono pubblicati gli atti dei convegni Amicitia e monachesimo: fonti, storia, problemi (Fonte Avellana... 2009) e Nuove ricerche su Pier Damiani e l’XI secolo: bilanci e prospettive (Bologna... 2010). Cfr. inoltre G. Fornasari, Pier Damiani tra passato e futuro: tentativo di un bilancio storiografico, in Pier Damiani L’eremita, il teologo, il riformatore, (1007-2007), Atti del XXIX Convegno del Centro studi e ricerche antica provincia ecclesiastica ravennate, Faenza-Ravenna... 2007, a cura di M. Tagliaferri, Bologna 2009, pp. 7-40; N. D’Acunto, Prospettive sulla figura e sull’opera di Pier Damiani, nelle pubblicazioni per il millenario della sua nascita, in Rivista di Storia della Chiesa in Italia, LXIV (2010), pp. 538-549; Id., I cambiamenti. Storia di una storia recente, in Reti Medievali-Rivista, XI,1 (2010), http://www.retimedievali.it. A questa nuova prospettiva storiografica sull’avellanita hanno contribuito un insieme di fattori. Innanzitutto l’edizione delle opere damianee di Kurt Reindel ha avuto ripercussioni salutari sullo studio e la contestualizzazione cronologica delle opere damianee, grazie anche all’apporto fornito dagli studi di Giovanni Lucchesi. La possibilità di considerare gli scritti di Pier Damiani in una prospettiva cronologica ha permesso di togliere staticità all’interpretazione delle opere damianee considerate spesso come monoliti a sé stanti in funzione dell’argomento che trattavano senza contestualizzarle in rapporto all’evoluzione diacronica dell’esperienza esistenziale dell’avellanita e all’inevitabile sviluppo delle sue idee, delle sue concezioni e della sua azione assai spesso condizionate dalle circostanze causate dagli eventi. Quest’impronta di dinamicità ha permesso un’interpretazione storiografica meno vincolata da impostazioni ideologiche più o meno tradizionali, maggiormente sensibile alla contestualizzazione della scrittura e dell’azione di Pier Damiani in rapporto con personaggi e occorrenze politiche, religiose, spirituali e ideologiche del suo tempo, conducendo a una proficua riconsiderazione del profilo dell’avellanita sotto la cifra della complessità. La ricorrenza del millenario della sua nascita ha rappresentato un’opportunità ulteriore cui si è unito l’impulso dato dalla decisione della Congregazione camaldolese di pubblicare la traduzione dell’opera omnia di Pier Damiani cui si è accompagnata la proficua occasione costituita da una serie di convegni promossi dal Centro studi avellaniti. Tali convegni hanno permesso uno scambio e un confronto serrato a scadenza regolare tra gli studiosi di ‘damianistica’ e più in generale dell’XI secolo (D’Acunto, 2010, pp. 545 s.; Longo, 2012, pp. 273-276).
Di seguito alcune fonti e studi che sono stati maggiormente utilizzati per la redazione della voce: Iter Gallicum, o De Gallica profectione domni Petri Damiani et eius ultramontano itinere, PL 145, Paris 1853, coll. 865-880; i Miracula s. Hugonis BHL 4013, publicati oltre che in Bibliotheca Cluniacensis anche in PL 159, Paris 1854, coll. 923-926; s. Pier Damiani, De divina omnipotentia e altri opuscoli, a cura di P. Brezzi, trad. di B. Nardi, Firenze 1943; Pierre Damien, Lettre sur la toute-puissance divine, introduction, texte critique, traduction et notes par A. Cantin, Paris 1972.
J. Leclercq, Saint Pierre Damien ermite et homme d’église, Roma 1960; G. Miccoli, Pietro Igneo. Studi sull’età gregoriana, Roma 1960; Id., Théologie de la vie monastique chez saint Pierre Damien (1007-1072), in Théologie de la vie monastique. Etudes sur la tradition patristique, Lyon-Fourvière 1961, pp. 459-483; S. Boesch Gajano, Storia e tradizioni vallombrosane, in Bullettino dell’Istituto storico italiano e archivio muratoriano, LXXVI (1964), pp. 99-215; O. Capitani, Esiste un’età gregoriana? Considerazioni sulle tendenze di una storiografia medievistica, in Rivista di storia e letteratura religiosa, I (1965), pp. 454-481; Id., San Pier Damiani e l’istituto eremitico, in L’eremitismo in occidente nei sec. XI e XII, Milano 1965, pp. 122-159; Id., Immunità vescovili ed ecclesiologia in età ‘pregregoriana’ e ‘gregoriana’. L’avvio della ‘restaurazione’, Spoleto 1966; G. Miccoli, Chiesa gregoriana. Ricerche sulla riforma del secolo XI, Firenze 1966 (nuova ed. a cura di A. Tilatti, Roma 1999); R. Bultot, La doctrine du mépris du monde, IV, Le XIe siècle, 1, Pierre Damien, Louvain-Paris 1968; M. Maccarone, La teologia del primato romano nel secolo XI, in Le istituzioni ecclesiastiche della Societas Christiana dei secoli XI-XII. Papato, Cardinalato ed Episcopato, Milano 1971, pp. 62-81; M. Fois, I compiti e le prerogative dei cardinali vescovi secondo Pier Damiani nel quadro della sua ecclesiologia primaziale, in Archivum Historiae Pontificiae, X (1972), pp. 35-48; R. Grégoire, San Pier Damiani e la teologia del suo tempo, in Studi gregoriani, X (1975), pp. 221-243; O. Capitani, Romualdo e Pier Damiani, in Storia illustrata di Ravenna, Milano 1989, fasc. XIX, pp. 289-304; C. Violante, La riforma ecclesiastica del secolo XI come progressiva sintesi di contrastanti idee e strutture, in Critica storica, XXVI (1989), pp. 156-166; O. Capitani, Tradizione ed interpretazione: dialettiche ecclesiologiche del secolo XI, Roma 1990; G. Ruggieri, Il ricorso alle tematiche escatologiche nell’epistolario di Pier Damiani, in La cattura della fine. Variazioni dell’escatologia in regime di cristianità, a cura di G. Ruggieri, Genova 1992, pp. 41-62; N. D’Acunto, Lotte religiose a Firenze nel secolo XI. Aspetti della rivolta contro il vescovo Pietro Mezzabarba, in Aevum, LXVI (1993), pp. 279-312; G. Tabacco, Spiritualità e cultura nel medioevo, Napoli 1993; U. Longo, San Pier Damiani e l’agiografia, in Scrivere di santi, a cura di G. Luongo, Napoli 1998, pp. 129-144; N. D’Acunto, I laici nella Chiesa e nella società secondo Pier Damiani. Ceti dominanti e riforma ecclesiastica nel secolo XI, Roma 1999; U. Facchini, San Pier Damiani: l’eucologia e le preghiere. Contributo alla storia dell’eucologia medievale, studio critico e liturgico-teologico, Padova 1999; E. Pasztor, San Pier Damiani, il cardinalato e la formazione della Curia romana, in Onus Apostolicae Sedis. Curia romana e cardinalato nei secoli XI-XV, Roma 1999, pp. 317-339; G.M. Cantarella, La Vita Beati Romualdi specchio del monachesimo nell’età di Guido d’Arezzo, in Guido d’Arezzo monaco pomposiano. Atti del Convegno di studi, Pomposa-Arezzo 1997-98, a cura di A. Rusconi, Firenze 2000, pp. 3-20; P. Henriet, La parole et la prière au Moyen Age. Le verbe efficace dans l’hagiographie monastique des XIe et XIIe siècles, Bruxelles 2000; E. D’Angelo, San Pier Damiani, Liber Gomorrhianus. Omosessualità ecclesiastica e riforma della Chiesa, Alessandria 2001; N. D’Acunto, Un eremita in movimento. Il Romualdo di Pier Damiani, in San Romualdo. Storia, agiografia e spiritualità, Atti del XXIII Convegno... Fonte Avellana... 2000, Negarine di San Pietro in Cariano 2002, pp. 97-129; Petrus Damiani, in Repertorium fontium historiae medii aevi, IX/ 1-2 Compendia. Fontes, Romae 2002, pp. 135-139; G.M. 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