BOGGIO, Pier Carlo
Nato a Torino il 3 febbr. 1827 da Antonio, veterano dell'esercito napoleonico, compì i primi studi in Svizzera proseguendoli successivamente a Torino. Durante un viaggio a Parigi, nel luglio 1846, conobbe la principessa Cristina Trivulzio di Belgioioso, fondatrice, con T. Mamiani, P. S. Leopardi e G. Massari, della Gazzetta italiana: ebbe così inizio la collaborazione del B. al periodico parigino, che continuò dopo il suo rientro a Torino e anche quando la Gazzetta italiana si trasformò nel periodico Ausonio. Questa prima esperienza pubblicistica e i rapporti d'amicizia che legavano il B. ad Augusto Cavour, nipote di Camillo, lo segnalarono all'attenzione di questo che lo volle alla fine del 1847 tra i fondatori del Risorgimento.
Il B., la cui collaborazione divenne notevole dalla primavera del 1848, affrontò soprattutto temi di politica ecclesiastica, sostenendo la necessità di una riforma della legislazione vigente nel Regno di Sardegna, secondo il principio di una netta separazione e indipendenza fra Stato e Chiesa. Nell'agosto 1848, dopo l'armistizio Salasco, il B. si trovò in disaccordo con la linea ufficiale del periodico: egli infatti, respingendo l'idea di una mediazione francese, propugnava l'immediata ripresa della guerra contro l'Austria. A questo proposito, non essendo stata provata l'esistenza di rapporti del B. con gli ambienti democratici e giobertiani o con quelli di corte che, per opposte ragioni, erano favorevoli a una nuova belligeranza, non resta che attribuire la posizione del B. - allo stato attuale delle ricerche - alla sua esuberanza giovanile, come del resto era opinione dello stesso Cavour. Pertanto nell'ottobre il B. uscì dalla redazione del Risorgimento.Laureatosi in legge all'università di Torino il 14 maggio 1849, il B. divenne ripetitore nel Collegio delle Provincie (mantenne questo ufficio fino al 1854), esercitando anche l'avvocatura con brillante successo.
Nell'apr. 1852, quando il Risorgimento sfuggì al controllo del Cavour, il B. ne ottenne la direzione; egli seguì una linea di pieno appoggio al d'Azeglio, osteggiando vivamente, come altri moderati, il connubio, giudicato una mossa troppo audace (cfr. l'opuscolo Avanti o indietro ? Storia e confronti, XII anni di assolutismo e il conte Solaro della Margarita. X anni di libertà e il conte di Cavour, Torino 1858, ove il B. con il "senno di poi", ricordando la sua opposizione all'alleanza Cavour-Rattazzi "perché l'opinione pubblica non eravi abbastanza preparata", riconosce che essa "ebbe appunto per iscopo e per effetto di separare nettamente il Governo dalla sinistra", p. 25). Ma la riuscita dell'operazione politica cavouriana segnò la fine del Risorgimento (dicembre 1852). L'attività giornalistica del B. continuò tuttavia sulle pagine dell'Indipendente e, dal febbraio 1854, con la fondazione del Conciliatore, che egli diresse per alcuni mesi e che interruppe le pubblicazioni nel luglio dello stesso anno.
Più fruttuosa fu la meditazione del B. sul problema dei rapporti tra Stato e Chiesa: le sue idee sulla separazione trovarono rigorosa trattazione nel 1852 in alcune tesi di diritto costituzionale (La Chiesa e lo Stato, in Il dott. in legge P.C.B... per essere aggregato al Collegio della Facoltà di legge dell'Università di Torino il 15 apr. 1852, Torino 1853) ed ebbero ampia diffusione con l'opera maggiore La Chiesa e lo Stato in Piemonte dal 1000 al 1854 (Torino 1854), che fu posta all'Indice il 22 marzo 1855.
In esse il richiamo alle tesi del Vinet, del Guizot, del Tocqueville, del Lacordaire è continuo. Posto il principio che la società civile e la società religiosa perseguono fini diversi, il B. ritiene nociva ogni reciproca interferenza. Tale separazione non implica tuttavia una professione di ateismo o di indifferentismo da parte dello Stato, poiché come esso non è tenuto a professare una determinata religione così è indispensabile per la sua conservazione che sia animato dallo spirito religioso. In pratica la separazione offre alla Chiesa la libertà d'insegnamento, la libertà della scelta dei vescovi, la libertà di amministrazione dei beni; allo Stato la legge civile sul matrimonio, l'esonero da ogni spesa per ragione di culto e l'indipendenza da ogni ingerenza ecclesiastica (ma in pratica il B. ammette la possibilità che lo Stato possa distribuire più equamente i beni parrocchiali, gravando i redditi dei vescovati più ricchi). In sostanza, comunque, già nel 1852 ad opera del B. i principi basilari del separatismo avevano trovato "una esposizione che si può dire definitiva" (A. C. Jemolo, p. 153).
Nel 1854 il B. fu nominato supplente alla cattedra di filosofia del diritto (fino al 1858), ma continuò ad occuparsi dei problemi preferiti, intervenendo nel dibattito suscitato dalla proposta di legge per la soppressione dei conventi e per l'incameramento dei loro beni con gli opuscoli Come finirà? e Il principio della fine (Torino 1855). Nel 1856, ancora sostenendo una linea più moderata di quella cavouriana, tentò di far rivivere il Risorgimento, ma anche questo esperimento ebbe poca fortuna. Sempre su posizioni critiche nei confronti del ministero, il B. si presentò alle elezioni del 1857 con un gruppo di uomini politici che cercavano di costituire un partito che si inserisse fra i conservatori e i cavouriani (cfr. del B.: Né ministeriali né retrivi, Torino 1857). Il B. fu eletto, ma il successo delle estreme, specialmente della destra, provocò il refluire dei deputati moderati su posizioni filoministeriali: anche il B. si accostò in questo periodo al Cavour, soprattutto in vista delle ostilità contro l'Austria (cfr. gli opuscoli Ci siamo e Fra un mese, Torino 1859).
Sulle vicende belliche del 1859-'60 il B. scrisse tre volumi riccamente documentati, il terzo dei quali vide la luce postumo (Storia politica e militare della guerra di indipendenza italiana,1859-60..., Torino 1860-1867), e una biografia di Garibaldi, che ebbe dieci edizioni e fu tradotta in francese e in inglese(Da Montevideo a Palermo: vita di G. Garibaldi, Torino 1860). Pur esaltando la figura del condottiero, il B. criticava gli uomini e il partito che egli capeggiava anche nell'opuscolo Cavour o Garibaldi? (Torino 1860).
Rieletto deputato nel marzo 1860 e nel gennaio 1861, il B. appoggiò più volte, in polemica con i democratici, il Cavour: particolare rilievo ebbero i suoi interventi sulla cessione di Nizza e Savoia (maggio 1860) e sulla questione di Roma capitale (marzo 1861). Nell'agosto 1861 il B. ottenne la cattedra di diritto costituzionale all'università di Torino, di cui era già reggente dal novembre 1859; alla sua attività universitaria si collega anche il commento alla Legge provinciale e comunale (Torino 1860) in collaborazione con A. Caucino.
Dopo la scomparsa del Cavour il B. militò nelle file della Destra, inasprendo la sua polemica contro i democratici. Nel febbraio 1862 come portavoce dei gruppi moderati criticò, in un intervento alla Camera, la tolleranza che il governo Ricasoli dimostrava per il partito d'azione, chiedendo lo scioglimento dei Comitati di provvedimento: questa sua posizione contribuì a determinare la caduta del Ricasoli e la formazione di un ministero Rattazzi, di cui il B. fu fautore in Parlamento e dalle pagine della Discussione (che egli fondò e diresse dal 1862 al 1864). Anche in occasione dei fatti di Aspromonte in tre violenti opuscoli (Garibaldi o la legge ?; La paura... in continuazione di "Garibaldi o la legge?"; Una pagina di storia dedicata al cav. Celestino Bianchi deputato e al marchese Giorgio Pallavicino Trivulzio senatore, Torino 1862) tentò di scagionare il Rattazzi da ogni responsabilità, che addossava ancora all'azione del precedente ministero.
Il B. fu contrario alla convenzione di settembre (1864), in quanto temeva che il trasferimento della capitale da Torino a Firenze significasse la rinuncia a Roma capitale (cfr. gli opuscoli Firenze è Roma?, Torino 1864, e Ad Emilio Olivier deputato al Corpo legislativo di Francia. 1º I casi di Torino. 2º La Convenzione 15 Settembre. 3º E poi?, Torino 1864): ma la sua avversione al trattato fu superata dalla preoccupazione che esso potesse offrire ai democratici una base di azione nel paese. Probabilmente allo scopo di evitare questa possibilità e per riassorbire sotto la direzione di Vittorio Emanuele II ogni fermento azionistico, il B. accettò di entrare in contatto con Mazzini, tramite D. Diamilla Müller, per studiare il modo di coordinare un'azione insurrezionale mazziniana nel Veneto con l'intervento delle forze regolari italiane (nel febbraio il B., interpellato dal Müller, rispondeva che "un possente rimedio per paralizzare l'opera divoratrice delle interne discordie sarebbe quello di produrre una forte preoccupazione pubblica nella questione nazionale, e che il Veneto poteva somministrarne l'occasione", Ediz. naz. d. scritti ... di G. Mazzini,Epist., XLIX, p. 70). Il B., che, mentre manteneva i contatti con il re, avrebbe dovuto recarsi con T. Villa e Balbiano a Londra o in altra città per incontrarsi con Mazzini e concretare l'accordo, si mostrò però sempre più tiepido nei confronti di tali trattative, finché nel maggio troncò ogni rapporto con Mazzini. Questo voltafaccia fu motivato dal B. con il fatto che, dopo la missione di F. S. Vegezzi a Roma, esistevano le premesse per un accordo con Pio IX ed era pericoloso "porre due pentole al fuoco" (ibid., p. 240).
Ma è difficile prestar fede a simile giustificazione: evidentemente il B. riteneva che la situazione interna ormai acquietata non rendeva più necessaria un'azione clamorosa; tanto più che il successivo viaggio a Roma del B. nel settembre 1865 e l'incontro con Pio IX, se rafforzavano in lui la convinzione che vi fossero le basi per una trattativa, gli confermavano che la soluzione integrale della questione romana richiedeva ancora lunghi anni. Nel volume La questione romana studiata in Roma. Impressioni reminiscenze proposte (Torino 1865) il B., coerentemente con le sue idee separatiste, si diceva, comunque, sicuro che il papa avrebbe rinunciato al dominio temporale se si fosse convinto che il governo italiano avrebbe concesso piena libertà religiosa alla Chiesa.
Riconfermato deputato nelle elezioni del 1865, allo scoppio della terza guerra d'indipendenza, il B., che nel '48 e nel '59 da varie circostanze ne era stato impedito, ritenne suo dovere parteciparvi e si arruolò in marina: ricoprendo egli il grado di capitano della Guardia civica fu addetto allo Stato Maggiore della nave ammiraglia "Re d'Italia" (ma non è escluso che il governo pensasse di utilizzarlo come commissario governativo nelle terre eventualmente liberate). Il 20 luglio 1866, nello scontro di Lissa, il B. rifiutò l'invito del Persano di trasferirsi sull'"Affondatore" e affondò insieme con la nave.
Fonti e Bibl.: Manca ancora una biografia soddisfacente del Boggio. Oltre ad E. Amicucci, P. C. B., caduto alla battaglia di Lissa, Torino 1937, e a A. De Donno, introduz. a P. C. Boggio, Stato e Chiesa in Piemonte dal XVIII [sic] al 1854, Roma 1965, sono ancora utilizzabili: E. Pinchia, P. C. B. e il suo pensiero civile, in Nuova rassegna, IV (1894), estratto; G. Faldella, Ricordi del vecchio Piemonte,lettera aperta all'on. E. Pinchia, in La piccola antologia, luglio 1894, n. 1, pp. 3-15; cfr. inoltre le voci dedicate al B. da T. Sarti, I rappresentanti del Piemonte e dell'Italia..., Roma 1880, p. 173, e da G. Zimolo, in Dizion. del Risorg. nazionale, II, Roma 1930, pp. 316 s. Alcune lettere del B., ritrovate tra i relitti della nave "Re d'Italia" dagli Austriaci, sono state edite da Salonitanus, Lettere di un eroe di Lissa: P. C. B., in Rivista dalmatica, XVIII (1937), pp. 37-43. Cfr. inoltre: Carteggio politico di M. Castelli, a cura di L. Chiala, I (1847-1864), Torino 1890, pp. 10 s., 92, 100, 103, 146, 147, 506; C. Cavour, Carteggi (ed. naz.), ad Indicem; Le carte di G. Lanza, a cura di C. De Vecchi, I, Torino 1935; II e III, Torino 1936, ad Indices; Ediz. naz. d. scritti... di G. Mazzini, Epist., XLIX, pp. 70, 135, 144-146, 148, 186, 197, 240, 257; G. Massari, Diario delle cento voci, a cura di E. Morelli, Bologna 1959, ad Indicem; S. Jacini, La politica ecclesiastica italiana da Villafranca a Porta Pia, Bari 1938, pp. 43, 108, 172; A. C. Jemolo, Stato e Chiesa in Italia negli ultimi cento anni, Torino 1954, ad Indicem; A. Aquarone, L'unificazione legislativa e i codici del 1865, Milano 1960, ad Indicem; A. Caracciolo, Il Parlamento nella formazione del Regno d'Italia, Milano 1960, pp. 19, 26, 47, 121, 261, 323; C. Pavone, Amministrazione centrale e amministrazione periferica da Rattazzi a Ricasoli (1859-1866), Milano 1964, ad Indicem; M. D'Addio, Politica e magistratura (1848-1876), Milano 1966, pp. 84, 95, 120-122, 126.