GIACHINOTTI, Pier Adovardo
Nacque a Firenze nel 1482 da Girolamo di Adovardo e da Alessandra di Piero Corsi.
I Giachinotti erano probabilmente di origini magnatizie, provenendo - secondo L. Mariani - da un ramo della consorteria dei Tornaquinci. Questo spiegherebbe il motivo per cui la famiglia rimase fuori dagli uffici maggiori fiorentini fino al 1443, anno della prima elezione al priorato di uno dei suoi membri; ma anche dopo questa data non ebbe mai un ruolo significativo nel governo, restando i suoi interessi prevalentemente mercantili; i Giachinotti erano infatti titolari di una società commerciale con i Cambini.
Gli storici affermano concordemente, sulla scorta del Varchi, che il G. fu allievo di Francesco Cattani da Diacceto, esponente della filosofia neoplatonica ed erede a Firenze di Marsilio Ficino, ma non è noto se frequentò un corso regolare di studi (dal 1502 il Diacceto tenne corsi di filosofia nello Studio fiorentino) o se invece tale rapporto si alimentò della comune frequentazione degli Orti Oricellari.
Nel periodo repubblicano (1494-1512) il giardino di Bernardo Rucellai, frequentato da giovani esponenti delle famiglie del ceto di governo fiorentino, fu un ricettacolo del dissenso aristocratico contro il governo popolare di Pier Soderini (1502-12), ma dopo il ritorno al potere dei Medici e, in particolare, dopo il 1519, divenne il centro di elaborazione di una rinnovata ideologia repubblicana e antimedicea. Il G. portò quelle posizioni alle estreme conseguenze, divenendo, insieme con Francesco Carducci, Iacopo Gherardi, Bernardo da Castiglione, Lorenzo Soderini e Galeotto Cei, uno dei capi della fazione degli arrabbiati, l'ala più radicale del movimento antimediceo, favorevole al ripristino del Consiglio maggiore e a un governo aperto alla partecipazione di vasti strati della cittadinanza. In questo movimento erano confluiti anche i savonaroliani piagnoni: laddove gli arrabbiati non disdegnavano il ricorso al complotto e all'insurrezione, i piagnoni preferivano rifugiarsi nell'attesa escatologica dell'avverarsi delle profezie di Savonarola.
Luigi Guicciardini, filomediceo ed esponente della frazione degli ottimati, cioè di coloro che erano favorevoli a una forma oligarchica di governo, vide in lui la perfetta incarnazione dell'ideologia degli arrabbiati, tanto che lo scelse come uno dei protagonisti del dialogo Del Savonarola; l'altro era Francesco Zati, esponente del movimento piagnone.
Il Varchi definisce il G. "filosofo", cioè politico idealista, alieno da compromessi e intransigente nel portare avanti, anche a costi personali altissimi, le sue convinzioni, fino a pagare con la vita le proprie scelte, ma anche uomo di "dolce e mansueta natura" e dotato di "somma dottrina e virtù".
Quando nel febbraio del 1513, a pochi mesi dal ritorno dei Medici al potere, fu scoperta la congiura di Pietro Paolo Boscoli e Agostino Capponi, il nome del G. compariva in una lista trovata addosso al Boscoli, cui egli si riprometteva di confidare il suo piano diretto a uccidere Giuliano de' Medici. I due promotori della congiura pagarono con la vita la loro cospirazione, ma vi furono conseguenze per quasi tutte le persone presenti nella lista, tra cui il G., che dovette scontare, come pure Niccolò Machiavelli, un breve periodo di detenzione. In conseguenza di tale episodio il G., che nel novembre-dicembre 1511 aveva ricoperto per la prima volta l'ufficio di priore per il quartiere di S. Maria Novella, non ebbe più alcun incarico pubblico per tutto il restante periodo di regime mediceo e fu costantemente guardato con diffidenza dalla famiglia al potere: nel 1519 papa Leone X (Giovanni de' Medici, fratello di Giuliano) avrebbe voluto farlo arrestare perché fosse interrogato sui movimenti sospetti del cardinale Francesco Soderini, fratello dell'ex gonfaloniere; sembra però che questa intenzione non si sia tradotta in alcun provvedimento concreto per la riluttanza verso tali misure poliziesche manifestata da alcuni esponenti dell'élite filomedicea al governo.
Mancano notizie del G. per gli ultimi anni del governo mediceo e per i primi tempi del nuovo regime repubblicano, iniziato dopo il tumulto antimediceo dell'aprile 1527. Questo evento significò per il G. la piena riabilitazione politica, e dal 16 giugno 1528 ricoprì per sei mesi la carica di vicario di Lari, una delle numerose giusdicenze in cui si articolava il dominio fiorentino. Ma a determinare l'inizio della carriera politica del G. fu nell'aprile 1529 l'elezione di Francesco Carducci, capo degli arrabbiati, al gonfalonierato di giustizia.
Il gonfalonierato del Carducci comportò infatti una massiccia immissione di uomini nuovi, provenienti per lo più dai ceti medio-bassi nella vita politica e amministrativa di Firenze. Con questo apporto la Repubblica fiorentina al suo epilogo assunse un deciso indirizzo antiaristocratico, un forte grado di radicalismo e, perfino, tendenze rivoluzionarie.
Si trattò di un periodo drammatico per il governo fiorentino, agitato all'interno da carestia, peste e crisi finanziaria, e minacciato all'esterno dall'alleanza tra papa Clemente VII (Giulio de' Medici) e l'imperatore Carlo V, mentre l'alleato francese faceva mancare qualsiasi soccorso. Firenze dovette così concentrare le sue poche energie per cercare di salvare se stessa e alcune fortezze del dominio ritenute di vitale importanza, abbandonando il resto del territorio. Nelle località di importanza strategica furono inviati commissari per decidere sulla guerra e l'ordine pubblico, in stretta collaborazione con la magistratura dei Dieci di balia, cui era affidata la materia militare e la politica estera. Occorreva pertanto che per l'incarico di commissario venissero scelte persone di completa fiducia del governo.
Nel maggio 1529 il G. fu designato per un incarico di questo tipo in Romagna, dove avrebbe dovuto provvedere agli alloggiamenti delle truppe assoldate da Firenze per difendersi dall'attacco degli Imperiali, ma non poté svolgerlo perché "impedito" (Varchi, I, p. 541) e si dovette nominare al suo posto Lorenzo Carnesecchi.
Nell'agosto 1529 il G. fu inviato commissario a Livorno, per controllare le opere di fortificazione e, in generale, per rendere più sicura militarmente la città, che assicurava alla Repubblica lo sbocco sul mare ed era più affidabile della vicina Pisa. La sua permanenza a Livorno si protrasse fino alla fine di novembre; mentre era di ritorno a Firenze, nei pressi di Lunata, in territorio lucchese, fu preso prigioniero da alcuni spagnoli, distaccatisi dall'esercito imperiale. Subito la Signoria fiorentina inviò lettere di protesta al governo lucchese e la questione dovette prontamente risolversi, dal momento che il 25 dic. 1529 il G. venne inviato commissario a Prato, dove rimase pochi giorni, perché dal 1° gennaio alla fine di febbraio 1530 rivestì per la seconda volta l'ufficio di priore per il suo quartiere.
Il 26 marzo 1530 fu designato all'incarico più delicato, che fu anche l'ultimo della sua breve carriera politica, quello di commissario generale di Pisa. La città, già protagonista dal 1494 al 1508 di una ribellione e di una tenace resistenza contro la dominante era, dopo Firenze, la località più sorvegliata e difesa del Dominio fiorentino. Qui il 1° dic. 1529 erano stati inviati come commissari Francesco Zati e Iacopo Corsi; quest'ultimo tuttavia aveva fatto nascere, con il comportamento ambiguo suo e del figlio Simone, dei sospetti di inaffidabilità. Per questo motivo ai due commissari era stato aggiunto il G., con la sua carica di commissario generale e con precise quanto segrete istruzioni di indagare l'operato dei due commissari. Il Corsi e il figlio furono approfonditamente interrogati dal G. e i verbali dell'interrogatorio inviati a Firenze, mentre i due venivano rinchiusi nella fortezza. A Firenze fu convocata una "pratica", cioè un consiglio ristretto, allo scopo di esaminare i verbali e decidere il da farsi: il G. fu accusato di eccessiva mitezza, perché non aveva voluto far ricorso alla tortura e, dice il Varchi, "mancò poco non vi mandassono un altro commissario". Gli fu intimato di riesaminare i prigionieri e questa volta sotto tortura, cosa che egli dovette eseguire, mandando poi i nuovi verbali a Firenze, ove, nel frattempo, era stata allo scopo riunita la Quarantia, il tribunale speciale istituito per decidere sui crimini contro lo Stato. Questo tribunale si pronunciò per la condanna a morte dei due Corsi, sentenza che il G. non poté esimersi dal far eseguire.
A Pisa il G. rimase fino alla capitolazione ufficiale della Repubblica fiorentina, anche se già dalla sconfitta di Gavinana le sorti della Repubblica e dei principali esponenti della sua classe di governo erano segnate. Molti cercarono scampo nella fuga; non il G., che attese impavido l'arrivo del successore, Luigi Guicciardini, nominato il 19 ag. 1530 dai dodici membri della Balia che aveva assunto provvisoriamente il governo per conto dei Medici. Il Guicciardini però, appena giunto a Pisa, fece arrestare il G., che rimase in prigione più di due mesi, durante i quali fu più volte interrogato sotto tortura. Alla fine di ottobre giunse da Firenze la condanna alla decapitazione.
Il G. fu giustiziato a Pisa il 31 ott. 1530. Si era sposato nel 1502 con Lisabetta di Ubertino Rucellai, da cui ebbe almeno tre figli.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Raccolta Sebregondi, 2563; Catasto, 1013, c. 369; Signori, Missive della prima Cancelleria, reg. 58, cc. 17, 19; ibid., Missive della seconda Cancelleria, regg. 66, 67, ad indices; Dieci di balia, Missive scritte all'interno del Dominio, regg. 103, cc. 99, 105, 110, 135, 147, 162; 104, cc. 8, 22, 70, 79, 146, 147, 184; 105, cc. 6, 11, 16, 21, 25, 29, 50, 52, 77, 124, 126; Manoscritti, 248: L. Mariani, Priorista, I, c. 117; B. Varchi, Storia fiorentina, I, Firenze 1843, p. 541; II, ibid. 1844, pp. 34, 276, 285, 380, 482, 565 s.; L. Guicciardini, Del Savonarola ovvero Dialogo tra Francesco Zati e P. G. il giorno dopo la battaglia di Gavinana, a cura di B. Simonetta, Firenze 1959, passim; C. Roth, L'ultima Repubblica di Firenze, Firenze 1927, p. 374; R. von Albertini, Firenze dalla repubblica al principato, Torino 1970, pp. 270-274; F. Diaz, Il Granducato di Toscana. I Medici, in Storia d'Italia (UTET), XIII, Torino 1976, p. 41; H.C. Butters, Governors and government in early sixteenth century Florence1502-1519, Oxford 1985, p. 305.