PIDNA (Πύδνα, Pydna)
Antica città greca sulla costa macedonica della Pieria, originariamente presso la riva del mare sul Golfo Termaico. Temistocle, condottovi attraverso alle montagne da due guide macedoniche, vi salpò per l'Asia su una nave mercantile. La città, che era venuta in possesso del re Alessandro I di Macedonia, fu pertanto assediata dagli Ateniesi nel 432. Più tardi, non sappiamo quando, andò perduta ai Macedoni e fu ricuperata da Archelao nel 411 a. C. Archelao costrinse gli abitanti a ritirarsi a 20 stadî dal mare, misura che dovette avere scarsa efficacia e poca durata; quindi Pidna passò a fianco degli Ateniesi, per opera di Timoteo; ma durante i due primi anni della guerra sociale (358-356) per tradimento di alcuni suoi cittadini fu consegnata a Filippo: diversi cittadini ateniesi venduti schiavi in tale occasione furono riscattati personalmente da Demostene a sue proprie spese. Il Macedone dovette abbellire e fortificare considerevolmente la città, nella quale nel 316 a. C. Olimpia poté sostenere un lungo assedio contro Cassandro, da cui fu in ultimo fatta prigioniera. Nella primavera del 169 a. C., Perseo abbandonando Dion si ritirò a Pidna davanti alle forze del console Q. Marcio Filippo; susseguentemente, rioccupato il fronte ben protetto dell'Enipeo, in seguito a un abile movimento aggirante di P. Scipione Nasica, dovette di nuovo ritornare a Pidna. In una piccola pianura traversata da un fiumicello presso la città il 22 giugno 168 a. C. fu combattuta la celebre battaglia (v. sotto) che porta il nome della città, vinta dal console L. Emilio Paolo. Dal vincitore, Pidna fu incorporata nella terza delle quattro repubbliche in cui divise la Macedonia, quella avente per capitale Pella. Più tardi, Andrisco, che assumendo il nome di Filippo aveva fatto insorgere la Macedonia contro i Romani, quando ebbe a fronteggiare il pretore del 148 Q. Cecilio Metello, pose ivi il suo quartiere generale e presso Pidna, dopo avere avuto un parziale successo in uno scontro di cavalleria, fu disfatto dai Romani. Pidna passò così a far parte della provincia di Macedonia allora istituita.
Bibl.: Fr. Geyer, Makedonien bis zur Thronbesteigung Philipps II., Monaco e Berlino 1930, p. 92 segg. e passim.
La battaglia di Pidna. - Quando il console L. Emilio Paolo (v. paolo emilio) nel giugno 168 assunse il comando dell'esercito romano che operava contro i Macedoni, i Romani, superati l'anno precedente i passi del monte Olimpo, si trovavano nella Pieria meridionale, nel ristretto spazio tra i monti, il mare e il fiume Epineo sulla cui sponda settentrionale si era trincerato Perseo con l'esercito macedonico. Essi disponevano di due legioni col massimo degli effettivi e di truppe ausiliarie, in tutto 30-35.000 uomini. Perseo aveva una notevole superiorità numerica disponendo di oltre 40.000 uomini, di cui più di 20.000 costituivano la falange gravemente armata, il nerbo dell'esercito macedonico. Il console in tali condizioni giudicò ineffettuabile un attacco frontale alle posizioni fortificate dai Macedoni e inviò il giovane P. Scipione Nasica per tentare un aggiramento per la strada che, attraverso i monti, conduceva per Pitio alle spalle del nemico. Frattanto lo teneva a bada con avvisaglie e con manovre destinate a far credere che egli pensasse a uno sbarco a tergo con l'aiuto della flotta che incrociava presso la spiaggia di Pieria. La sorpresa riuscì. Il presidio di Pitio fu da Nasica attaccato d'improvviso e sopraffatto, e quando Perseo ebbe saputo della manovra aggirante, anziché arrischiare battaglia su due fronti, ripiegò in direzione di Pidna e si accampò poco a sud della città, presso la sponda sinistra del fiumicello Leukós. Emilio, avvedutosi della fuga, lo inseguì, e, congiuntosi con Nasica, raggiunse il Leukós, sulla cui sponda sinistra trovò schierato a battaglia l'esercito macedonico. Non volle però venire subito alle mani e pose il campo a circa 1 km. dal fiume. Il giorno dopo (22 giugno 168) entrambi i duci schierarono le proprie truppe, Perseo sulla sinistra, Emilio sulla destra del Leukós. Ma né l'uno né l'altro desideravano venire a battaglia offensiva. Sul mezzogiorno Perseo ritrasse quindi le proprie truppe nel campo. Emilio diede riposo alle sue, ma le conservò in ordine di battaglia pensando che Perseo alla prima occasione, per il timore di nuovi aggiramenti o del sopravvenire dell'esercito del pretore Anicio che aveva vinto da poco gli Illirî di re Genzio, si sarebbe dovuto risolvere a combattere. L'occasione venne indipendentemente dalla volontà dei duci per una zuffa che si appiccò tra due avamposti avversarî presso il Leukós alquanto a valle dei due accampamenti. Il piccolo successo qui riportato dai Macedoni indusse Perseo a profittare dell'impressione di esso per sferrare l'attacco generale, facendo uscire, l'uno dopo l'altro, i suoi reparti dal campo per schierarsi successivamente a destra dei distaccamenti impegnati nella battaglia. Ma così andò perduta la coesione tra i reparti e la contemporaneità dell'attacco, sicché i Romani ch'erano già in ordine di battaglia poterono approfittare del loro isolamento e delle lacune che si aprivano durante la marcia in terreno diseguale sul loro fronte per insinuarvisi, sfruttando i vantaggi della tattica manipolare e privando il nemico del vantaggio che aveva la falange, se attaccava in linee serrate coi fianchi protetti. La destra poi di Perseo, in cui era il re con la cavalleria, non ebbe neppure il tempo di spiegarsi e fu travolta nella rotta generale che si delineò dopo un'ora circa di combattimento. I Macedoni lasciarono sul campo oltre 20.000 uomini, i Romani non confessarono che un centinaio di morti, quasi tutti nella prima avvisaglia sulla loro estrema destra. Poche battaglie nella storia della guerra ebbero un risultato così immenso e nello stesso tempo così immediato e definitivo. Essa infatti segnò la fine della massima potenza militare che sia stata nell'antichità prima di Roma e assicurò ai Romani il predominio sull'Oriente ellenistico, che mantennero fino all'invasione araba. La vittoria fu dovuta alla bontà degli ordinamenti tattici romani, al valore della milizia italica, alla saggezza del duce il quale seppe evitare errori, conservare sempre freddezza d'animo, profittare sagacemente degli errori del nemico.
Sulla battaglia ci sono conservate parzialmente le relazioni di tre contemporanei: Polibio, che senza esservi presente seguiva con attenzione lo svolgersi degli avvenimenti essendo ipparco della Lega achea, Publio Scipione Nasica, che vi ebbe parte e ne scrisse in greco in una lettera diretta a un re amico, e un tale Posidonio, da non confondersi con Posidonio Rodio, che scrisse intorno a Perseo un'opera storica in varî libri. Di Polibio non rimane che qualche frammento, ma è in sostanza una versione da lui il racconto, pervenutoci purtroppo con gravi lacune, di Livio nel libro XLIV. Tali lacune si possono in parte colmare per mezzo di Plutarco che contamina non sempre in modo felice Polibio, Nasica e Posidonio, i due ultimi non usati, per quel che pare, direttamente. Su queste fonti v. H. Nissen, Krit. Untersuchungen über die Quellen der vierten und fünften Dekade des Livius, Berlino 1863, p. 264 segg.; W. Schwarze, Quibus fontibus Plutarchus in vita L. Aemilii Paulli usus sit, Lipsia 1891. Non è senza importanza la tradizione monumentale, cioè il fregio del monumento a Emilio Paolo in Delfi che riproduceva qualche episodio della battaglia: Fouilles de Delphes, II, tav. 16. Cfr. A. Reinach, in Bulletin de Corr. Hell., XXXIV (1910), p. 433 segg. La data della battaglia è assicurata dall'eclissi lunare che avvenne nella notte precedente, nocte quam pridie nonas septembres insecuta est dies, secondo il calendario romano d'allora.
Bibl.: J. Kromayer e G. Veith, Antike Schlachtfelder, II, Berlino 1907, p. 294 segg.; IV, ivi 1931, p. 600 segg.; id., Schlachten-Atlas, tav. 10, col. 47 segg.; E. Meyer, Kleine Schriften, II, Halle 1924, p. 463 segg.; G. De Sanctis, Storia dei Romani, IV, i, Torino 1923, p. 326 segg.; Cambridge Ancient History, VIII, Cambridge 1930, p. 267 segg.