PICCHIOTTO
. Alcune raffigurazioni vascolari e testimonianze letterarie, ci fanno conoscere l'uso del picchiotto sotto forma di anello (κορώνη, κρῖκοσ) o di maniglia a palmetta (ἐπίσπαστρον) nell'antica Grecia. Anche per Roma, il picchiotto appare conosciuto sotto il nome di ansa: a Pompei e altrove ne sono stati rinvenuti diversi esemplari, alcuni di notevole valore artistico, con l'anello saldato a una placca ornata di un muso leonino, una testa di Medusa, ecc.
Nell'arte medievale rimontano al secolo XII i più antichi esempî di picchiotti, in bronzo o in ferro: la forma più comune è quella del mascherone stilizzato umano o ferino, che reca in bocca un anello costituito talvolta da un serpente; essa è di origine probabilmente nordica, ma diffusa anche in tutto l'Occidente (Germania, Francia, Italia: battenti delle cattedrali romaniche di Susa e di Oristano, quest'ultimo del 1228, di un fonditore piacentino); il mascherone non è fissato direttamente sulla porta ma su una targa che può essere di forma varia e che reca talvolta una iscrizione allusiva alla funzione del picchiotto; i particolari sono spesso rifiniti a cesello. Accanto a questa forma, altre più semplici si trovano, specialmente in ferro: quella trecentesca a campanella circolare o allungata (v. campanella e tavole) e quelle più tarde ad anello con punta di diamante (Toscana), a lira o a due serpi intrecciate terminanti in teste d'animali, a cuore, a volute riunite da conchiglia: viene adoperato sia il massello sia la reggetta, e la decorazione per lo più geometrica è incisa a scalpello o a punzone; le piastre su cui è fissato il picchiotto sono traforate, a forma di croce, oppure incise o sbalzate (esempî analoghi in bronzo si hanno anche nell'arte musulmana; specie d'Egitto, dal secolo XII al XV). Questi tipi di ferro persistono in tutto il Trecento in Italia e fuori, mentre in Francia si diffonde contemporaneamente il tipo del picchiotto a edicola che racchiude una figura (di santo o di personaggio biblico), di gusto gotico, che durerà anch'esso per tutto il secolo successivo e per buona parte del Cinquecento (vedi, per es., un picchiotto trecentesco con figure di Adamo ed Eva nel Musée des arts décoratifs a Parigi). In questi si nota una sempre maggior varietà di motivi nelle piastre traforate, nei baldacchini che sormontano le figure, nelle terminazioni per lo più grottesche dei battenti; accanto al ferro battuto compare anche quello sbalzato o cesellato e con dorature; ma la forma fondamentale è costante, sia nel contorno generalmente allungato, sia nella prevalenza dell'elemento ornamentale sulle parti sostanziali dell'oggetto (bellissimi esempî nella dispersa collezione Spitzer, e in quella Carrand a Firenze, Bargello) fino a quando, verso la metà del sec. XVI, una maggiore semplicità è portata dall'introduzione di motivi architettonici classici, cui si accompagnano sempre più di frequente figurazioni pure classicheggianti. Minore fantasia decorativa è nei picchiotti quattrocenteschi delle altre regioni d'Europa che continuano i tipi anteriori, con qualche varietà di tecnica nei particolari, ma nelle figurazioni limitati quasi esclusivamente alle forme animali, reali o fantastiche (una o più coppie di serpi attorcigliate: draghi che tengono in bocca un serpentello, a corpo squamato, a coda attorta sul dorso, delfini, ecc.). Vere e proprie opere di scultura sono invece i picchiotti in bronzo che vengono in uso in Italia nel sec. XVI: massima libertà di forma, e massima fantasia di gusto decorativo nel combinare gli elementi figurati e quelli puramente ornamentali contraddistinguono questi che erano un tempo ornamento di ogni palazzo signorile e di ogni casa borghese, e che oggi sono in notevole numero conservati nei musei e nelle collezioni d'arte. I più di essi provengono dai fonditori padovani, veneziani o fiorentini, da quelli stessi cioè cui è dovuta quella produzione caratteristica delle statuette e degli oggetti di bronzo, che forma uno degli aspetti più caratteristici del Rinascimento italiano; e riflettono le tendenze e le maniere di cui erano improntate le scuole locali, quella del Riccio a Padova, quella del Sansovino a Venezia e quella del Giambologna a Firenze. È opera giovanile del Riccio un picchiotto con le figure di Romolo e Remo (Leningrado, Ermitage), che è fra le cose sue più spigliate ed efficaci; di un altro a foggia di satiro con corpo di drago che tiene per le corna una testa taurina esistono repliche in varie collezioni e anche varianti che attestano la rapida diffusione del motivo e che non ne attenuano la sostanziale energia. Assai più numerosi quelli veneziani, soprattutto a partire dagli anni intorno al 1525-30: la forma prediletta è quella di una figura centrale, per lo più di divinità marina o personificazione di Venezia, che campeggia tra due animali (delfini, ippocampi, leoni, serpenti) uscenti da uno scudo che è in alto e ricongiungentisi in basso a sorreggere un mascherone o una conchiglia; un altro mascherone copre il punto dove il picchiotto è fissato nel legno. Molti di questi, anche per gl'indiretti riflessi di motivi decorativi di origine michelangiolesca, sono senza dubbio da riferire alla maniera del Sansovino, pur non potendosi con sicurezza indicarne alcuno come opera propriamente sua, e pur essendo difficile talvolta distinguere quanto dipenda direttamente dalla sua maniera e quanto da quella di scultori, come il Vittoria. La diffusione di essi fu subito assai grande, sì che tuttora se ne trovano oltre che in Austria e in Ungheria, in città dell'Italia settentrionale che gravitavano artisticamente intorno a Venezia; per essi è stata anche supposta l'opera di artisti locali (come per quelli del castello del Buon Consiglio a Trento, attribuiti a Vincenzo Vicentino, o per quelli di alcuni palazzi in Reggio nell'Emilia). Qualcuno di questi picchiotti si può anche riferire all'attività di altri scultori in bronzo veneziani, come Tiziano Aspetti e Niccolò Roccatagliata. Assai minore è il numero dei picchiotti in bronzo toscani, meno ricchi d'invenzione e meno sontuosi di forme, perduranti anche nel sec. XVII (v., per es., quelli attribuiti al Tacca e altri di quel secolo a Firenze, Bargello); ma è da notare come fuori dell'Italia settentrionale fosse rimasto tuttora in uso il picchiotto in ferro che imitò talvolta le forme del bronzo. L'imitazione dei modelli italiani è attestata nel sec. XVI in Germania; essa non ebbe tuttavia grande importanza di fronte al rapido prevalere delle forme barocche che riconducono in generale a un uso prevalente del ferro, con ornamenti anche ageminati in Germania, e con ricchezza straordinaria di motivi in Francia, quale appare dai modelli incisi da Le Pautre e Pierretz le Jeune: si torna a curare in massimo grado l'ornamentazione della piastra, e l'anello prende volentieri la forma di una staffa; non mancano i tipi a figure piuttosto semplici (v. anche, per la Germania, i modelli nei libri di H. G. Foerster e di H. Oelcker). Dopo il 1700 non si hanno esempî che presentino un particolare valore d'arte, se si eccettua quello, tuttavia assai relativo, dei tipi ispirati a forme rinascimentali che si ripresero a fare soprattutto nei paesi tedeschi al principio della seconda metà del sec. XIX.
Bibl.: Didron Ainé, Manuel des oeuvres de bronze et d'orfèvrerie du moyen âge, Parigi 1859, pag. 209 segg.; C. D. E. Fortnum, A descriptive catalogue of the Bronzes of european origin in the South Kensington Museum, ivi 1891, p. 166 segg.; Catal. degli oggetti in ferro battuto già collez. Peruzzi de' Medici, Firenze 1914; W. Bode, Die italienischen Bronzestatuetten der Renaissance, II, Berlino s. a.; G. Lehnert, Illustrierte Geschichte des Kunstgewerbes, ivi s. a.