PIAVE (d'etimologia incerta; localmente il nome è femminile: nel dialetto bellunese la Piau; nell'uso corrente italiano prevale il maschile; A. T., 17-18-19)
Fiume del Veneto, quinto in ordine di grandezza tra i fiumi italiani, il quale nasce nelle Alpi Orientali e sbocca nell'Adriatico, 35 km. a NE. di Venezia, al limite orientale della Laguna Veneta. Il suo bacino misura 4100 kmq. e il corso è lungo 220 km.; gli affluenti più importanti, tutti nel corso superiore e medio, sono quelli di destra, che gli portano alimento dalle Alpi Dolomitiche, Ansiei, Boite (185 kmq. di bacino), Maè (Zoldo), Cordevole (Agordino; 848 kmq.). Il ramo sorgentifero si trova alle falde meridionali del M. Peralba (m. 2683), al confine fra il Cadore e la Carnia. La parte superiore del bacino è relativamente stretta, dato il percorso trasversale del fiume rispetto all'andamento delle pieghe; s'allarga poi notevolmente nell'attraversare la Val Belluna (sinclinale bellunese), dove copiose sono le alluvioni terrazzate e i terrazzi; si restringe di nuovo alla stretta di Quero (dove durante l'invasione glaciale il ghiacciaio del Piave ha costruito un piccolo anfiteatro morenico), lambe il Montello (grandioso cono di deiezione, costituito da depositi alluvionali ferrettizzati, formatosi nel periodo pliocenico) e con un corso dapprima larghissimo, nell'alta pianura veneta, poi (dopo Ponte di Piave) con un alveo ristretto e le acque raccolte in un solo canale, raggiunge l'Adriatico al porto di Cortellazzo. A Pederobba è largo 1 km. e mezzo, a Falzè, presso l'angolo NE. del Montello, misura appena 250 m., poi uscito dalla chiusa di Nervesa ne misura da 600 a 800 e addirittura 4 km. presso Cimadolmo. Ivi si divide in gran numero di rami, che costituiscono le cosiddette grave (greti ghiaiosi, con materiali grossolani assai bibuli e isolotti coperti da arbusti). La foce, che si trova sul medesimo meridiano della sorgente, presenta un esile pennello sabbioso, dovuto all'accumulo prodotto dal moto ondoso alla bocca del fiume.
Un tempo, dopo S. Donà il corso piegava verso mezzogiorno e il fiume sfociava nella parte settentrionale della Laguna Veneta, uscendo poi in mare ai Tre Porti. Poiché tuttavia la laguna andava insabbiandosi, nel 1534 fu decretato il grande argine di S. Marco, che spostò il corso inferiore verso Iesolo. Ma nel 1664, visti i danni delle sabbie, che spinte dalla corrente minacciavano di chiudere il porto del Lido, fu condotto a termine il Gran Taglio di Piave, che da Intestadura condusse le acque molto più a oriente, fin quasi a Caorle. Tuttavia nel 1683 una rotta straordinaria (detta di Landrona) ruppe il cordone litoraneo e fece dirigere il Piave verso Cortellazzo, dove tuttora ha la foce. Alla fine del sec. XVII anche il Sile fu spostato e immesso nella foce lasciata libera dal Piave (Piave Vecchio), per mezzo del canale detto Taglio del Sile. Dato che in tutta l'antichità greco-romana non si ha alcun cenno del fiume, il quale viene menzionato per la prima volta da Venanzio Fortunato (vissuto verso la fine del sec. VI), si è supposto che un tempo, verso la foce, il Piave si unisse al Sile, ma può anche darsi si tratti semplicemente d'un'omissione degli scrittori antichi.
Poiché scarsa è l'azione temperatrice del mantello forestale e i piccoli laghi e i ghiacciai del corso superiore (che coprono una superficie di poco superiore ai 5 kmq.) poco servono a regolar le portate, queste vanno soggette a rapide oscillazioni, che sono repentine e di breve durata a causa delle notevoli pendenze dei corsi superiori. Si hanno così portate di piena veramente imponenti, quasi cento volte superiori alle portate di magra, e un'enorme estensione dei greti, dove le acque di piena formano rapide fiumane di più centinaia di metri di larghezza che sconvolgono i materiali del fondo. Le precipitazioni del bacino sono in media di 1500 mm. annui, ma la loro distribuzione stagionale ha scarsi rapporti col regime del fiume, sia perché nel corso superiore esse cadono per molti mesi sotto forma di nevi (che si sciolgono poi rapidamente al principio dell'estate), sia perché a seconda delle stagioni varia molto il coefficiente di deflusso. Il regime non si scosta quindi sensibilmente da quello degli altri fiumi alpini; si hanno infatti magre invernali seguite dalle piene primaverili-estive (maggio-giugno), che si esauriscono in agosto-settembre, quindi il corso d'acqua risente delle precipitazioni che cadono in ottobre-novembre ed ha allora inizio il periodo delle piene autunnali, assai irregolari. La portata minima si aggira a Belluno sui 40 mc. al secondo, la portata massima sui 300 (con un massimo assoluto di 2500 durante la storica piena del settembre-ottobre 1882), il modulo (portata media annua) sui 120-130 mc. Queste cifre sono tuttavia un poco diminuite dopo che, allo scopo di formare un serbatoio d'acqua con il lago di Santa Croce, venne effettuata presso Soverzene una derivazione dal Piave (in media 40 mc. al secondo). In seguito ai lavori effettuati, il Rai, emissario artificiale del Lago di Santa Croce che portava le acque nel Piave, è stato chiuso. Le irrigazioni con acque del Piave vengono sviluppate su una superficie complessiva di circa 50 mila ha., dai consorzi Brentella e Canale della Vittoria, che derivano le acque a Pederobba (46 mc. al secondo) e a Nervesa (26 mc.). Da Zenson alla foce il fiume è navigabile per 34 km.; nel corso superiore è invece esercitata la fluitazione, che s'arresta a Perarolo.
Bibl.: G. Pattaro, Il fiume Piave. Studio idrologico-storico, in Giornale del genio civile, XLI (1903); F. Musoni, Il bacino plavense, Padova 1904; A. A. Michieli, Il fiume Piave, in Boll. della R. Soc. geog. it., 1918; G. Dal Piaz, Idrografia del bacino della Piave, parte 1ª: Cenni geologici e struttura tettonica, Venezia 1920; C. Tommaselli, L'impianto Piave-Santa Croce, in Le Vie d'Italia, 1923.
Il Piave nella guerra mondiale. - Il Piave era stato considerato dal generale Cadorna come un'eventuale linea di arresto dell'esercito in caso di forzato ripiegamento dall'Isonzo, fin dal tempo dell'offensiva austriaca nel Trentino (primavera del 1916). Fin da allora, infatti, egli dispose i primi lavori di accesso e di rafforzamento del monte Grappa, che avrebbe dovuto essere, come fu poi effettivamente, il perno di raccordo dello schieramento lungo il Piave con quello degli Altipiani. Allorché, quindi, i noti avvenimenti dell'ottobre-novembre 1917 costrinsero il comando supremo a ordinare la ritirata della 2ª e della 3ª armata dalla fronte Giulia, nel pensiero del capo apparve chiaro che l'arresto non sarebbe potuto avvenire che sulla linea del Grappa-Piave: quella del Tagliamento non poteva essere che una sosta per consentire alla 3ª armata di raggiungere i ponti e defluire sulla destra del fiume, mentre si sarebbe provveduto a sgombrare anche la zona della Carnia. Nessun intervento e suggerimento di capi stranieri, come più tardi si volle da taluno insinuare all'estero: il generale Foch, che precedette in Italia le truppe alleate, fin dal suo primo colloquio con il generale Cadorna (il 30 ottobre), si sentì da lui esporre nettamente il proposito di ripiegamento al Piave - per quivi resistere tenacemente - formulato fin dalla notte sul 27 ottobre, quando, col cedimento di Monte Maggiore, era stata scardinata la fronte Giulia.
Dopo che gli Austro-Germanici ebbero forzato - nella notte dal 2 al 3 novembre - il passaggio del Tagliamento, nel suo corso alto, tra Cornino e Valeriano, il generale Cadorna confermò la ritirata generale, già predisposta, al Piave. Il mattino del 9 novembre, il passaggio delle truppe sulla destra del fiume era quasi ultimato, e nel pomeriggio tutti i ponti venivano fatti saltare. Sulla nuova linea, dal Brenta al mare, si erano schierate, da parte nostra, la 4ª armata (gen. Di Robilant) e la 3ª (duca d'Aosta), con complessive 15 divisioni; le fronteggiavano, da parte nemica, la 14ª armata austro-germanica, agli ordini del generale von Below e il gruppo d'esercito Boroevic (1ª e 2ª armata dell'Isonzo) comprendenti complessivamente 38 divisioni, e di gran lunga più forti per artiglierie, per aviazione, per mezzi di ogni genere.
Nella notte sul 12 novembre, mentre la lotta ardeva sull'altipiano di Asiago, nuclei austriaci, mediante grossi barconi, riuscivano a passare sulla destra del fiume, nell'ansa ch'esso forma presso Zenson, e a costituirvi una piccola testa di ponte; nostre truppe, prontamente accorse, pur senza riuscire a ricacciare il nemico oltre il Piave, gl'impedivano però di dilagare, addossandolo agli argini.
Un altro tentativo di passaggio facevano gli Austriaci, nella notte sul 16 dello stesso mese, traghettando circa quattro battaglioni sulla sponda. destra, a cavaliere della ferrovia Treviso-Oderzo. Ma i nostri prontamente accorrevano a contenerli; a Fagarè le truppe della 56ª divisione (brigata Novara e 3ª brigata bersaglieri) e a Folina la brigata Lecce impegnavano una mischia accanita, infliggendo agli avversarî perdite gravissime e catturando circa un migliaio di prigionieri. Altri tentativi di passaggio tra Fener e Pederobba (presso Valdobbiadene) furono sventati dalla vigilanza delle truppe italiane, e dopo qualche giorno, anche nella zona di Fagarè il nemico, sempre più premuto verso il fiume e battuto vivacemente dalle nostre artiglierie, fu costretto a ripassare sulla sinistra.
Il 9 dicembre, forse per distogliere l'attenzione degl'Italiani dal nuovo imminente attacco nella zona del Grappa, la 2ª armata dell'Isonzo fece eseguire un'incursione improvvisa in talune trincee di osservazione, tenute dagl'Italiani ad Agenzia Zuliani (ad est di Capo Sile), ma i distaccamenti austro-ungarici furono presto obbligati, da solleciti contrattacchi, a lasciarle. E negli ultimi giorni dell'anno, con tenace azione, si riuscì ad ottenere che gli Austriaci abbandonassero anche la testa di ponte che avevano conservata nell'ansa di Zenson, e ripassassero il fiume.
Per alcuni mesi, quindi, le armi sostarono sul Piave. Soltanto alla fine di maggio, reparti di bersaglieri e di arditi irruppero nell'unico tratto di terreno che gli Austriaci occupavano sulla destra del Piave, a Capo Sile, travolgendone le difese per una profondità di circa un migliaio di metri e catturando 400 prigionieri (26 maggio).
Gli Austriaci, frattanto, preparavano la grande offensiva dall'Astico al mare, con la quale speravano di poter infliggere un colpo decisivo all'esercito italiano. Attraverso le due sponde del Piave si combatté, tra il 15 e il 23 giugno, una delle più aspre battaglie di tutta la guerra mondiale, che si concluse con una luminosa vittoria italiana e col ripiegamento sulla sinistra del fiume dei resti dell'esercito austriaco, il quale da quel giorno poteva considerarsi - come giudicarono anche i capi dell'esercito tedesco - irrimediabilmente battuto e ridotto all'impotenza (v. guerra mondiale: Le operazioni militari alla fronte italiana).
La vittoria italiana fu poi completata, nei giorni dal 2 al 6 luglio, da un'abile azione controffensiva diretta a riconquistare il terreno tra il Piave vecchio e nuovo, da Intestadura alla foce, allo scopo di raccorciare la fronte e di distruggere l'ultima traccia dei disegni offensivi del nemico.
L'azione, condotta simultaneamente da due divisioni del XXIII corpo d'armata (gen. Petitti di Roreto), la 54ª, che mosse dal Piave vecchio verso sud-est, e la 4ª, che da Cavazuccherina a Cortellazzo agiva in direzione nord-est, fu coronata da pieno successo. Dopo quattro giorni di combattimenti vivacissimi, in terreno paludoso, frastagliato e disseminato d'ogni insidia dal difensore, le due divisioni italiane ebbero ragione della difesa opposta da più numerose truppe avversarie e poterono ricongiungersi a Palazzo Bressanin, dopo aver catturato circa 3000 prigionieri e 20 cannoni.
La linea del Piave nuovo era di otto chilometri più breve di quella del Sile, e di sei circa più lontana dalla laguna di Venezia, così che la regina dell'Adriatico era posta sempre più al sicuro da ogni minaccia nemica. Il Piave era più che mai - come disse Gabriele d'Annunzio - "la via maestra della nostra vita". Per gli avvenimenti svoltisi sul Piave durante la battaglia di Vittorio Veneto, v. guerra mondiale: Le operazioni militari alla fronte italiana.