PIANO REGOLATORE (XXVII, p. 120)
REGOLATORE Piano regolatore urbano. - Il progresso dell'interesse per i problemi sociali, la consapevolezza degli errori commessi e della complessità dei problemi, caratterizzano il cammino percorso dall'urbanistica in questi ultimi dieci anni e si manifestano nella pratica del piano regolatore urbano: maggior rigore di impostazione da un lato, maggiore flessibilità, libertà ed aderenza al problema dall'altro.
La risoluzione del problema della città era cercata in passato nella città stessa, considerata come un'entità definita, completa ed isolata. In realtà la città non è che uno dei tanti gradini nella scala della più vasta organizzazione sociale, ed è sulla base di questa considerazione che gli urbanisti hanno ora creduto opportuno, da una parte approfondire ed estendere la preparazione degli elementi necessarî alla progettazione dei piani territoriali (piani provinciali, regionali, nazionali, ecc.), studiando il problema dell'organizzazione della vita umana nel suo insieme, sul piano economico-politico; dall'altra prendere in considerazione l'uomo isolato, la famiglia, e i piccoli aggregati sociali, per conoscerne - alla luce delle più recenti ricerche psicologiche e delle più progredite indagini statistiche - le esigenze materiali e spirituali che derivano loro dalla quotidiana vita vegetativa, contemplativa, sentimentale, intellettuale, lavorativa, di relazione, ecc. Nello sviluppo che l'urbanistica ha avuto negli ultimi anni il fatto più considerevole è pertanto questa tendenza a distinguere l'attività urbanistica vera e propria, riservata agli "urbanisti", dalla progettazione del piano regolatore urbano, considerata questa opera quasi d'architettura e riservata quindi ai tecnici dell'edilizia. L'urbanistica ha quindi abbandonato la sua espressione concreta, il fatto tecnico della creazione della "forma" della città (del quale era nata come uno studio integrativo, complementare) per rivolgersi ad una attività più specificatamente sua, intesa come ricerca sociale e pianificazione economico-politica.
In quanto studio dell'organizzazione sociale, sul piano speculativo come su quello creativo, l'urbanistica moderna ha riportato i problemi dell'architettura alla loro vita primitiva, ed ha contribuito a chiarire la natura dell'arte d'oggi, sostituendo il problema morale al problema della conoscenza, la vita sociale alla vita dello spirito puro, contrapponendo al concetto volumetrico dello spazio il concetto economico e psicologico. Di qui l'influenza che l'interesse urbanistico ha avuto sull'architettura, di qui la tendenza di molti a confondere l'architettura nell'urbanistica, ad ampliare la prima nella seconda fino a dimenticare anche quest'ultima per gli interessi più generali della politica. Ma di qui anche, come ulteriore aspetto della stessa realtà, la tendenza di altri ad approfittare dell'ampliamento del loro orizzonte e della liberazione dagli schemi e dai dogmi, a svincolarsi dalle rigidezze e dalle costrizioni del piano regolatore e del regolamento edilizio, a sfruttare nell'architettura questo conquistato senso umano dello spazio, a trattare di nuovo la città come un'opera d'arte. Una città, architettonicamente, è un insieme di edifici: e i rapporti fra un edificio e l'altro non possono essere cristallizzati in una legge, né possono essere stabiliti da un superficiale piano compilato sulla carta, astrattamente, e quindi forzatamente legato, nel migliore dei casi, ad una estetica planimetrica che tiene poco conto dell'andamento del terreno e del panorama, nessun conto del volume reale, della forma, del colore e dello spirito dei fabbricati, e tanto meno dello spirito delle persone che quei fabbricati avranno per ambiente di vita. Secondo questa tendenza l'ideale da raggiungere è che una casa possa sorgere accanto a un'altra spontaneamente, organicamente, come dettano le esigenze del luogo e delle persone: si tratta solo di eliminare tutte le forze estranee - dalla speculazione edilizia fino al disinteresse di chi progetta il piano regolatore - che possono opporsi al legittimo desiderio d'un uomo qualsiasi.
Nell'equilibrio dei migliori, i due aspetti, il sociale e l'artistico, si sovrappongono, si correggono a vicenda: un problema a tante incognite, quale è quello della creazione dell'ambiente fisico per l'uomo d'oggi, si risolve solo con l'intuizione di un artista, che sia tanto vivo da sentire la portata dei problemi sociali che affronta e tanto preparato da conoscerne le possibilità di risoluzione. Il cammino fatto negli ultimi anni è stato molto: dalla fondazione dei CIAM (Congrès Internationaux d'Architecture Moderne) nel 1928 e dalla Charte d'Athènes del 1932 si è arrivati alla creazione in molti paesi (Germania, Inghilterra, Francia, ecc.) di un Ministero per la pianificazione urbanistica ed alle leggi urbanistiche in diversi altri, ultima fra le quali e più completa quella inglese del 1947. Gli studî di Lewis Mumford, di José Louis Sert, di Eliel Saarinen, di Ludwig Hilberseimer, di Walter Gropius, di Clarence Arthur Perry, di Gaston Bardet, di Henry S. Churchill, di Richard J. Neutra, di Alvar Aalto e di molti altri hanno cercato di inserirsi - dietro le orme di Ebenezer Howard e di Raymond Unwin - fra la supercittà in altezza di Le Corbusier e l'anticittà di Frank Lloyd Wright, tentando di superare, con un più flessibile sistema per la risoluzione dei problemi, tutti i dualismi prima esistenti. Purtroppo non mancano nemmeno fra questi coloro che credono di aver trovato un rimedio sicuro; solo in Inghilterra c'è una legge soddisfacente e la coscienza urbanistica e sociale è ancora ben lontana dal realizzare lo sfruttamento delle ricerche degli urbanisti moderni. L'ambiente nel quale si trovano a dover lavorare gli urbanisti è in molti paesi assai difficile; non è sempre possibile superare la posizione "scientifica" o quella "artistica", o tutte e due queste insieme, per arrivare ad una più completa e attiva coscienza di quello che veramente è l'urbanistica. Pure non si può non riconoscere che almeno nel campo limitato di alcuni aspetti del problema, i recenti studî hanno dato all'urbanistica una posizione che fa bene sperare per il prossimo futuro: se i problemi della viabilità sono stati affrontati con l'approfondimento naturalmente richiesto dal perfezionamento continuo dei mezzi di trasporto, anche la preparazione del piano, i criterî per l'ampliamento delle città esistenti e per l'edificazione dei nuovi centri abitati, la sistemazione dei nuclei storici e della city nelle città antiche, tutte queste parti dell'urbanistica hanno oggi raggiunto una soddisfacente chiarezza.
Lo sviluppo della tecnica delle costruzioni stradali e ferroviarie ha portato, oltre ai progressi nella struttura dei sottofondi e delle sovrastrutture, un complesso di miglioramenti che ha adeguato la rete viabile ad un traffico più veloce, specializzato e molto intenso. L'interesse che l'urbanistica ha per le nu0ve vie di comunicazione (autostrade, camionali, nuovi tipi di ferrovie metropolitane e vicinali, ecc.) non si ferma agli immediati effetti materiali che esse producono, ma cerca invece di misurarne le conseguenze, anche indirette, che ne possono derivare al modo di vita della popolazione, e di sfruttarle quindi sotto tutti gli aspetti. Basterà ricordare, per esempio, come la risoluzione dei punti nodali di traffico con lo smistamento su piani diversi operi una trasformazione anche nel paesaggio urbano o rurale che non può venir trascurata (Stoccolma: Slussen; autostrade tedesche e americane; Avenida General Paz a Buenos Aires, ecc.). Ma quello che nel campo del traffico ha maggiormente modificato l'orientamento del piano urbano è la raggiunta liberazione della rete stradale dalla schiavitù della maglia edilizia. La strada non è più, oggi, lo spazio lasciato libero fra due file di case: essa deve seguire per quanto è possibile una sua direzione, che può anche non essere concorde con la direzione del tessuto delle case, legata invece al rispetto della direzione suggerita, fra l'altro, dall'orientamento in base alla insolazione o allo sfruttamento delle qualità panoramiche del luogo. Anche la strada di grande traffico automobilistico, per es., dovrà sottostare alle esigenze della zona che attraversa solo per quel tanto che queste esigenze siano le sue proprie: il che si è fatto, nelle parti progettate ex novo, con una maggiore articolazione dei due elementi casa e strada, e si è tentato di risolvere, nelle parti esistenti delle grandi città, come già per le ferrovie metropolitane, con le poco felici strade sopraelevate (New York) o, meglio, con una rete di strade sotterranee (progetti per Londra e per Parigi; gallerie sotto il porto di Amburgo, di Rotterdam, ecc.). Anche per le strade d'interesse locale, del resto, lo stesso concetto d'indipendenza di tracciato e di sezione: le case non dovranno essere affatto obbligate all'allineamento lungo i lati della strada, ma potranno disporsi liberamente, con vantaggio, spesso, anche dell'effetto estetico e la larghezza della strada sarà dipendente solo dalla quantità e dalla qualità del traffico che dovrà sopportare e non, come in passato, dalla distanza fra i fabbricati prospicienti, distanza commisurata all'altezza dei fabbricati stessi e alla insolazione che si vuol ottenere per le varie esposizioni. Per ottenere l'incolumità per i vecchi ed i bambini nelle strade che servono i singoli lotti, o che questi collegano con i principali edifici di pubblico interesse (scuole, circoli) sono stati studiati, infine, varî sistemi di strade soltanto pedonali, o di strade automobilistiche protette da speciali accorgimenti - come una strozzatura all'imbocco dalla strada di traffico veloce, o una serie di cunette distribuite lungo tutto il percorso - in modo da garantire sicuramente una bassa velocità; gli studî fatti, in ogni caso, non hanno dimostrato eccessivamente pericoloso qualche attraversamento delle strade a traffico veloce, ma consigliano di impedire, per i ragazzi che vanno a scuola, che il loro cammino le debba seguire, sia pure per breve tratto.
La tecnica per la raccolta, la selezione, la classificazione e la visualizzazione dei dati necessarî allo studio del problema di una città ed alla progettazione dei sistemi atti a risolverlo ha raggiunto, dove esiste un organo di coordinamento delle attività urbanistiche, una notevole perfezione. Tutte le pubblicazioni relative, per esempio, ai piani delle città inglesi danneggiate dalla guerra, non illustrano certo soluzioni architettoniche brillanti, ma mostrano chiaro quanto serio e profondo sia stato il lavoro di preparazione. Oltre a determinare le caratteristiche della rete stradale esistente (larghezza delle strade; flusso dei veicoli distinti per tipo, nei varî punti e nelle varie ore della giornata; rete dei trasporti collettivi; tipi di traffico; incidenti stradali, ecc.), dell'abitato (uso dell'edificio; tipo e classe della costruzione; stato di conservazione; numero dei piani; e per le case di abitazione: numero degli alloggi per ogni casa; numero medio dei vani per alloggio e dei servizî; grandezza del vano medio; coefficiente di affollamento; caratteristiche economiche, ecc.); della popolazione (natalità; morbilità; mortalità; emigrazione; immigrazione; lavoro; ecc.), delle industrie e del commercio (genere; produzione; posizione; ecc.), degli approvvigionamenti (consumo; aree nutritive relative alla città; provenienza dei generi; ecc.), e degli altri aspetti della vita nell'insieme, si è cercato di svolgere, mediante indagini dirette eseguite da corpì specializzati, un rilievo esatto della vita e dei desiderî degli abitanti presi uno per uno, attraverso le risposte ad un apposito questionario. É interessante vedere come emerga chiaro, dai risultati di queste indagini, il carattere della popolazione, e come sia possibile distinguere le tendenze dovute ad una recente abitudine (p. es. condizione disagiata di vita) da quelle dipendenti da fattori più remoti e profondi, quali le condizioni geografiche e il carattere etnico.
Talvolta si è impostato il piano urbano nel quadro più grande del piano regionale e nazionale, utilizzando i dati economici relativi alla disponibilità di materie prime, di mano d'opera; alla produzione, ai trasporti, alla difesa bellica, ecc. Tutto questo lavoro, naturalmente, presuppone una organizzazione speciale, una categoria di specialisti che sappiano fare l'indagine, e sappiano poi interpretarla: sono questi, di solito, degli "assistenti sociali" (v. in questa seconda Appendice, I, p. 291), che possono fornire al progettista i dati esatti che determinano il tipo edilizio più adatto alle esigenze della popolazione del luogo. Non ci si devono peraltro nascondere le difficoltà che presenta la costituzione di un ufficio urbanistico che non diventi un'arida amministrazione statale o peggio il campo di manovra di interessi privati, né ignorare gli ostacoli che incontrerebbe un corpo di assistenti sociali che volesse operare al di fuori di qualsiasi interesse di natura politica o confessionale.
Ma la preparazione non si esaurisce con la ricerca dei dati: perché un piano possa essere realizzato occorre tutto un insieme di leggi e di regolamenti che ne garantiscano l'esecuzione.
Due sono le preoccupazioni maggiori, e fra loro interdipendenti: impedire la costruzione nelle zone che secondo il piano debbono restar libere e realizzarla invece dove è previsto lo sviluppo; evitare, altresì che la egoistica speculazione sulle aree si opponga alla realizzazione di un buon piano. Le soluzioni che i varî governi hanno proposto per svincolare il prezzo di un'area dalla sua destinazione nel piano regolatore variano naturalmente da luogo a luogo, ma per i paesi nei quali la proprietà edilizia non è tutta dello stato si riducono alla proibizione di costruzione da parte di privati nelle zone non previste dall'ufficio comunale (in questo caso i limiti di spazio del piano non esistono più) ed alla formazione del demanio comunale per le aree costruite (esproprio e concessione per un certo numero di anni alle società costruttrici) ovvero al consorzio obbligatorio. Naturalmente si tratta di limitazioni molto forti alla libertà della speculazione e del gusto, ma è chiaro che almeno per ora non è possibile parlare di piano regolatore senza tali leggi: del resto anche paesi ad economia prevalentemente libera hanno finito per accettare il vincolo urbanistico del terreno, avendo trovato più serio e conveniente trasportare l'interesse edilizio dalla aleatoria speculazione commerciale delle aree sul piano più strettamente industriale della fabbricazione. Ovunque si sia formata una diffusa e profonda coscienza della morale sociale è stato possibile condurre la popolazione stessa a limitare, nell'interesse proprio e di tutti, la propria libertà: valga per tutti l'esempio del piano regionale di Göteborg, dovuto al volontario consorzio di tutti i comuni del territorio.
Approfondendo le finalità della città giardino satellite di Howard, e valutando le mancanze ed i vantaggi proprî delle applicazioni dell'Unwin e delle numerose Siedlungen della Germania e degli altri paesi dell'Europa centrale e settentrionale, s'è venuta formando, nella coscienza degli urbanisti d'ogni paese, la convinzione della necessità di impiantare l'ampliamento delle città esistenti e la formazione di centri creati ex-novo, sul concetto della cosiddetta "decentrazione organica". Nell'intento di porre un rimedio all'ampliamento isotropo della massa urbana, e nella certezza di non poter rinunziare alla "unità" della città ed alla gerarchia delle sue varie parti, si è giunti a frazionare l'abitato secondo un complesso "cellulare", composto cioè di elementi e di unità dimensionate e determinate sulla loro funzione specifica, distanziate in base alle relazioni reciproche. Questo sistema ha superato il vecchio dissidio fra accentratori e decentratori, e risolve il problema cittadino sulla base della necessità di un miglioramento delle condizioni igienico-sociali, della razionale divisione in zone del terreno e della conseguente formazione di una viabilità che sfrutti le moderne possibilità e venga incontro alle esigenze del traffico attuale. All'origine dello studio è quindi la ricerca dell'aggregato urbano elementare: quello minimo, cioè, in grado di assicurare le principali funzioni della vita cittadina: residenza, lavoro, educazione, svago. Come unità base della composizione sociale urbana molti urbanisti hanno preso l'"unità residenziale", capace di accogliere la popolazione che normalmente alimenta una scuola pubblica primaria, considerando'che questa, per essere agevolmente raggiunta a piedi, non dovrebbe distare più di 700 metri (10 minuti) dalle case più lontane; la dimensione dell'unità residenziale dipenderà quindi, una volta fissato il raggio d'azione, dalla capacità della scuola e dalla densità dell'abitato servito. Considerando, per es., una scuola di sole 15 aule (grandezza media consigliata dalle regole igieniche e dalle possibilità di sorveglianza didattica), una densità di 70 abitanti per ha., ed una popolazione pari al 15% della popolazione totale, avremo una unità residenziale di 3500 abitanti distribuiti su di un'area di 400 metri di raggio, mentre un'area di 700 metri di raggio permetterebbe di arrivare ad una popolazione di 10.700 abitanti che necessiterebbero di una scuola di 45 aule. Ma una unità ha bisogno, oltre alla scuola elementare, di tutti quegli altri servizî che ne assicurino la vita nel suo complesso: scuola d'avviamento, asilo d'infanzia, campi di ricreazione e di sport, sezione di biblioteca, scuola materna ed asilo-nido, chiesa, mercato, negozî per i generi di prima necessità, uffici distaccati dell'autorità amministrativa e della pubblica sicurezza, condotta medica, sala per conferenze e spettacoli. Ora, mentre alcuni servizî (asilo, negozî, campo di ricreazione) potranno sempre trovar posto nella più piccola unità per il loro limitato raggio di servizio e per il loro costo non troppo elevato, tutti gli altri dovranno, almeno nei paesi meno ricchi, esser collocati in modo da servire un numero grande di persone. Non volendo quindi aumentare troppo la dimensione della unità residenziale, si dovranno raggruppare due e più unità residenziali intorno ad un centro comune provvisto di tutti gli edifici d'uso pubblico necessarî, per costituire insieme una unità d'ordine superiore, l'unità base per la vita cittadina: la "comunità" (fr. communauté, ingl. neighborhood-unit). In essa le unità minori vivono l'una accanto all'altra, ma separate da una zona di rispetto assoluto di vario spessore, disposte in cerchio completo o quasi intorno al centro comune, oppure una dopo l'altra lungo un asse, a rosario; la densità potrà variare da una unità residenziale all'altra e potrà variare anche, nella stessa unità, da lotto a lotto a seconda delle esigenze; le strade di grande traffico non dovranno passare dentro la comunità, tutt'al più potranno passare a fianco di essa, lambirne quasi il centro, ma senza attraversare nessuna delle unità residenziali, che ad esse saranno allacciate mediante strade di traffico locale, possibilmente disposte ad anello intorno al nucleo delle abitazioni, in modo da non disturbare la vita nell'interno dei lotti. In alcuni paesi è stata tentata anche una rete interna pedonale per allacciare le abitazioni con i negozî, con la scuola e con il centro comune, senza attraversamento a livello di strade a traffico automobilistico; ma le difficoltà per la illuminazione serale hanno fatto andar cauti nel procedere oltre. Le dimensioni di una comunità vanno considerate per popolazione dai 5000 ai 15.000 ab., con una densità variabile dai 55 ai 150 abitanti per ha.; le unità residenziali che la compongono potranno oscillare fra i 1000 ed i 5000 abitanti. Mentre paesi più ricchi tendono verso una densità tanto bassa da raggiungere per tutti la casa isolata, in Italia si debbono considerare già bassi i limiti di 70 ab. per ha., 3000 abitanti per unità residenziale, 10.000 per comunità.
Una comunità potrà avere solo carattere residenziale, ovvero potrà comprendere una industria, un centro commerciale, un centro amministrativo, culturale, artigianale; questa differenziazione permette quindi l'organizzazione di complessi urbani maggiori della comunità, con una distribuzione delle funzioni fra i varî nuclei componenti, quale è necessaria per rispettare la gerarchia esistente nell'organismo cittadino. Più comunità formeranno quella che vien detta "unità cittadina" (quartiere) e che potrà comprendere da 25 ai 45 mila abitanti, mentre più unità cittadine insieme formeranno un complesso di circa 75.000 abitanti (il "settore" della metropoli); la città vera e propria che non dovrebbe mai sorpassare i 250.000 abitanti, risulterà infine dall'unione di più "settori". Sono tutti questi gli elementi che vengono a comporre, così, il quadro urbanistico: partendo dalla dimensione, proporzione, funzione e carattere dell'unità elementare e delle unità raggruppate sarà dunque possibile comporre, secondo le esigenze che via via si andranno determinando, il villaggio, la cittadina o la metropoli, ovvero provvedere all'ampliamento organico di qualsiasi aggregato urbano esistente, con il vantaggio di poterci liberare dalla schiavitù del piano regolatore limitato nello spazio e nel tempo, dal difficile problema del "proporzionamento" del piano, limitazioni che, quando non hanno una scadenza troppo breve ed un respiro troppo corto, fanno sì che il piano sia rapidamente sorpassato e travolto dalle mutate esigenze, con tutte le disastrose conseguenze per l'economia e per la vita della popolazione. Soltanto un piano elastico, in continuo, automatico aggiornamento può risolvere la crisi dell'urbanistica cittadina: il sistema della "comunità" non è ancora quello che ci vuole, ma rappresenta un grande progresso ed una grande speranza verso la meta da raggiungere.
La risoluzione dei quesiti relativi all'espansione della città ed alla lottizzazione edilizia ha polarizzato l'attenzione dei maggiori studiosi in questi anni, distogliendola dai problemi che interessano invece il centro cittadino, per il quale, anche sul piano teorico, non ci si è molto distaccati dalle poco chiare posizioni di vent'anni fa. Se la teoria della comunità - che vorrebbe considerare il centro cittadino inserito nel sistema nucleare, fino al punto di vederlo, negli aggregati maggiori, come un gruppo di unità distinte dalle altre solo per la funzione specializzata - può essere accettata per le città di nuova costruzione che non sorpassino certi limiti di grandezza, essa diviene un ussurdo quando si voglia applicarla agli aggregati che attualmente superano i 250.000 abitanti: ed è proprio in questi casi che i problemi del centro si fanno più gravi. La confusione delle idee in questo senso viene chiaramente denunciata dalla polemica sulla city, che alcuni vorrebbero fortemente concentrata, riservata ed organizzata unicamente per il mondo degli affari, come è già avvenuto per Londra e per New York, ed altri invece vedrebbero meglio diffusa, dispersa nei nuclei residenziali (Wright), o per lo meno non completamente differenziata, così che gl'impiegati potessero avere la loro abitazione vicino al luogo di lavoro (Hilberseimer). Ritorna anche qui il problema delle "tre calamite" dell'Howard: la necessità di non rinunciare ai vantaggi della città e della campagna insieme, la necessità di eliminarne i rispettivi inconvenienti sono sempre i dati del tema, che alcuni cercano di svolgere sul piano della fusione fra i due fattori, mentre altri invece li separano, vedendo nel contrasto un completamento reciproco delle umane esigenze, e in definitiva un maggiore vantaggio. Superamento d'ogni problema relativo al centro, nei primi, per l'abolizione del centro stesso come unità differenziata, possibilità di adattamento delle città esistenti alla nuova concezione, nei secondi, conseguente separazione dei futuri ampliamenti dal nucleo esistente ed isolamento del centro dal traffico di attraversamento e di collegamento fra le varie zone residenziali. Questa seconda posizione, che per evidenti ragioni di maggiore aderenza alla realtà sembra prevalere sulla prima, pone di nuovo sul tappeto, però, il problema del "trattamento" dei nuclei storici: potrà la nuova city rimanere in questi, o sarà più opportuno aiutarne o forzarne lo spostamento fuori della parte antica che dovrebbe rimanere intatta, circondata dalla vita moderna (Vienna) o addirittura abbandonata in disparte? Nonostante i numerosi e spesso nobili tentativi d'attuare l'adattamento delle parti vecchie di una città alle nuove esigenze, tentativi condotti sia basandosi sul principio dell'ambientamento (edifici nuovi costruiti nel modo tradizionale o semplice trattamento tradizionale delle superfici esterne), sia basandosi sul concetto dell'accostamento o del "contrasto", giustapponendo cioè liberamente fabbricati del più sincero spirito moderno alle opere del passato, bisogna dire che i risultati ottenuti hanno dimostrato chiaramente l'impossibilità di risolvere soddisfacentemente il problema in questo senso.
La diversità fra i caratteri della civiltà e delle generazioni che seguono la rivoluzione industriale e quelle del passato è troppo forte perché sia possibile ad un architetto d'oggi pensare un edificio affine, nello spirito, a quelli dei secoli passati, o perché sia possibile mettere accanto, senza mortificazione e distruzione reciproca, un edificio veramente moderno ed un monumento antico. È soprattutto la città che è cambiata: sono cambiati i rapporti fra altezza degli edifici e larghezza stradale, è cambiata l'idea dello spazio urbanistico, prima chiuso, nelle piazze e nelle strade, come in tante stanze e corridoi, oggi liberamente articolato nella natura: un tempo la strada era lo spazio compreso fra due file di case, oggi è un'entità indipendente da queste. D'altra parte un altro fatto nuovo c'è nella nostra civiltà: oggi non possiamo più distruggere, come spesso è avvenuto in passato, un monumento, anche apprezzato, per costruirne un altro, perché la cultura oramai non può più farne a meno; e non possiamo nemmeno limitarci, per il maturato senso storico, a contemplare il monumento per sé stesso - come fa per i suoi fini lo storico dell'arte - indipendentemente dall'ambiente che lo circonda, perché la conquista del senso dello spazio urbanistico ha fatto tutt'uno del monumento e dell'ambiente del quale è parte integrante. Se dunque vogliamo conservare il monumento in tutta la sua bellezza, dovremo cercare di non variare gli altri elementi dello spazio al quale appartiene.
Non resta quindi che accettare, anche se scomoda, l'altra soluzione: quella di separare la città degli affari dal vecchio centro ed operare su questo soltanto un'opera di risanamento. Secondo le vedute più rigorose, il risanamento va inteso, oggi, nel senso stretto della parola, e non in quello più largo di "diradamento", teoria questa che prevedeva il miglioramento dei vecchi quartieri anche con la demolizione, qua e là, di qualche isolato, coll'isolamento di qualche monumento, e la creazione di piccole zone verdi, alternando sensibilmente, nel risultato, l'ambiente urbanistico preesistente e rispettando compiutamente soltanto il "monumento nazionale". L'opera che oggi si ritiene valida è solo quella del "diradamento interno dei lotti", cioè il miglioramento igienico, ottenuto liberando i cortili da tutte le sovrastrutture venute ad accumularvisi negli ultimi secoli, eventualmente fondendo in un unico grande cortile più cortili minori, senza però por mano alle facciate esterne e senza alterare in alcun modo l'ambiente urbanistico. Naturalmente è necessaria anche un'opera di restauro interno delle case, il più delle volte ridotte in condizioni deplorevoli, onde sopperire alla ancora insufficiente aereazione ed al modesto soleggiamento con la elevazione del loro tono e la conseguente diminuzione dell'affollamento: molti paesi dell'Europa del nord hanno coraggiosamente adottato questo mezzo per difendere i loro vecchi centri, ed hanno così arricchito le loro città di nobili quartieri dove abita la parte più scelta della popolazione.
I sistemi adottati per aiutare lo spostamento del centro si basano di solito, sul divieto di costruire nuovi edifici nei vecchi nuclei, sul divieto di fissare in esso uffici di una certa consistenza e che richiamino molto pubblico, sull'esproprio comunale delle aree adatte allo sviluppo del nuovo centro e sulla concessione di facilitazioni fiscali ai costruttori di uffici e magazzini su di esse, sul mantenimento delle difficoltà di viabilità nel vecchio centro e sul miglioramento corrispondente nella nuova zona, sulla separazione, infine, dei nuclei di ampliamento dalla parte antica mediante l'opportuna interposizione di una zona verde vincolata, così da eliminare la reciproca influenza ambientale dei due nuclei; sistema consigliabile, quest'ultimo, specie nei comuni di media grandezza e molto conservati. Per il restauro delle abitazioni cadenti occorre però procedere per zone (onde evitare che una casa restaurata venga a trovarsi per lungo tempo fra case non restaurate), operando secondo un piano organico che imponga per ogni zona un termine fissato per il restauro, pena l'esproprio, ed aiutando eventualmente, come avviene in Francia, il rinnovamento alleggerendo la pressione fiscale sulla futura casa rinnovata o fornendo i materiali necessarî esenti da tasse, contribuendo alle spese, ecc. Giova infine ricordare che molte città hanno provveduto alla difesa dell'aspetto panoramico col divieto di sorpassare l'altezza media dei fabbricati nel vecchio centro (Roma), o prescrivendo il sistema tradizionale di copertura degli edifici (Firenze, Parigi) e il colore dei fabbricati (Tripoli, Lima), ovvero controllando su di un plastico di tutta la città l'effetto panoramico di un nuovo edificio (Praga) e sottoponendo ogni innovazione al parere di esperti in materia (landscape architects).
Fra le realizzazioni e gli sviluppi di maggiore interesse dobbiamo citare anzitutto i piani regolatori inglesi, che sono stati resi possibili dall'istituzione del Town-planning Ministry e dalla legge sulla pianificazione urbana e rurale del 1947 (Town and Country Planning Act), e sono stati aiutati da una mirabile propaganda sociale per il problema delle abitazioni e della città. Londra, Manchester, Exeter, Oxford, Plymouth, Kingston upon Hull, seppure discutibile dal punto di vista della realizzazione architettonica, hanno oramai un piano preparato con una coscienza ed una chiarezza di idee assolutamente nuove. In Francia, dove è stato istituito un Bureau de l'Urbanisme, sono da ricordare il piano di Saint-Dié (Le Corbusier) e quello coordinato per le città della Sarre (Mougenot, Pingusson, Menkes, Lefèvre), nonché le recenti leggi sulla protezione dell'ambiente e sul disciplinamento della pubblicità. In Olanda sono in corso di studio i piani di ricostruzione per le zone distrutte dalla guerra a Rotterdam e all'Aia (Dudok), mentre proseguono i progressi del piano di Amsterdam (van Eesteren). Nella Svezia sono stati attuati i piani di Stoccolma (U. Ahren e S. Markelius), di Göteborg (W. Ohlsson) e di Örebro (L. Reinius e S. M. Backström), mentre in Finlandia Alvar Aalto ha dato una impostazione tutta nuova al piano di Rovaniemi. Altrettanto interessanti sono gli sforzi che negli Stati Uniti d'America vanno facendo i teorici (Walter Gropius, Marcel Breuer, José Louis Sert, Richard Neutra, Eliel Saarinen, Ludwig Hilberseimer, Lewis Mumford, George Howe, ecc., per la maggior parte europei immigrati), ma che hanno trovato poche possibilità di attuazione per la mancanza assoluta di leggi urbanistiche: meritano tuttavia una segnalazione alcune lottizzazioni periferiche, quali Aluminium City (Gropius e Breuer), Channel Heights, Avion Village, Amity Village, Jacksonville (tutti di Neutra), Cherry Point (Rowland e Stone) e molte altre. Dell'America del Sud è da ricordare la cidade dos motores (Wiener e Sert) in Brasile, e la riorganizzazione urbanistica della Repubblica Argentina, cui collaborano molti europei (Piccinato).
In Italia il fatto più importante dell'ultimo decennio è stato per l'urbanistica, la legge del 17 agosto 1942 relativa all'ordinamento dei servizî urbanistici, alla disciplina urbanistica e all'indennità di espropriazione. Sebbene non ancora corredata dal regolamento relativo, la legge rappresenta per l'Italia un notevole progresso nel campo della legislazione urbanistica, ma è ben lontana oramai dalla perfezione della legge inglese del 1947. Allo scopo di contemperare nei paesi danneggiati dalla guerra le esigenze inerenti ai più urgenti lavori edilizî con la necessità di non compromettere il razionale sviluppo futuro degli abitati, il governo emetteva, il 1° marzo 1945, il decreto luogoteneriziale relativo alle norme per i piani di ricostruzione: si trattava di progettare un piano particolareggiato relativo alla sola zona danneggiata, in accordo con il piano regolatore e, dove questo non esistesse, con le normali regole urbanistiche. I piani di ricostruzione che è stato necessario compilare sono stati in tutto 320, molti dei quali relativi a centri di secondaria importanza; la loro presenza ha permesso la ricostruzione quasi immediata, senza dover attendere la compilazione di un piano regolatore vero e proprio. Fra i piani regolatori recentemente studiati va ricordato anzitutto quello di Milano, a cui hanno collaborato i migliori architetti della città, partecipando dapprima al concorso indetto dal comune nel 1945 e quindi prendendo parte attiva all'elaborazione del piano definitivo secondo un'organica distribuzione del lavoro; approvato dal consiglio comunale il 5 marzo 1948, esso rappresenta quanto di più avanzato è stato fatto nel nostro paese. Degno di nota è pure il tentativo di sperimentare al vero le nuove idee per l'urbanistica cittadina che la Triennale di Milano ha voluto realizzare col QT8, il nuovo quartiere della zona di San Siro. Ricordiamo infine i piani di Bologna, Verona e Napoli fra le città già esistenti; quelli di Carbonia, Cortoghiana, Pozzo Albona fra le piccole città create ex novo; quelli del quartiere degli Angeli a Genova, del quartiere sociale Olivetti ad Ivrea, della comunità FIAT a Torino fra i più organici progetti di ampliamento; ed infine, la zona del Ponte Vecchio a Firenze, Porto S. Stefano, Recco, Pescara, Cassino, Rimini, Palestrina, fra i piani di ricostruzione.
Bibl.: Sul piano regolatore urbano: V. Testa, Elementi di materie giuridiche applicate all'urbanistica, Roma s.a.; C. Chiodi, La città moderna, Milano 1935; L. Dodi, Elementi di urbanistica, Milano 1945; G. Rigotti, Urbanistica: la tecnica, Torino 1947; L. Piccinato, Urbanistica, Roma 1947; G. Bardet, Pierre sur pierre, Parigi s.a.; id., Problèmes d'urbanisme, ivi 1948; id., Le nouvel urbanisme, ivi 1948; Le Corbusier, La ville radieuse, Boulogne s. S. 1933; 5° Congresso CIAM, Logis et Loisirs, Parigi 1937; A. Boll, Habitation moderne et urbanisme, ivi 1942; CIAM, La Charte d'Athènes, ivi 1943; F. De Pierrefeu e Le Courbsier, La maison des hommes, ivi 1942; J. Lebreton, La cité naturelle, ivi 1945; Le Corbusier, Les trois établissement humains, ivi 1945; id., Manière de penser l'urbanisme, ivi 1946; id., Propos d'urbanisme, ivi 1946; J. Giraudoux, Pour une politique urbaine, ivi 1947; T. Adams, Outline of Town and City Planning, New York 1936; W. Hegermann, City Planning, Housing, ivi 1936; T. Sharp, Town Planning, ivi 1940; H. Kobbe, Housing and Regional Planning, ivi 1941; Design for Britain (varî volumetti), Londra 1943; J. L. Sert, Can our cities survive?, Cambridge, Mass., 1944; P. Zucker ed altri, New Architecture and City Planning, New York 1944; L. Hilberseimer, The New City, Chicago 1944; P. Abercrombie, Town and Country Planning, Londra 1944; F. L. Wright, When Democracy builds, Chicago 1945; H. S. Churchill, The City is the People, New York 1945; W. Gropius, Rebuilding our Communities, Chicago 1945; G. H. Gray, Housing and Citizenship, New York 1946; S.E. Sanders e A. J. Rabuck, New City Patterns, ivi 1946; E .A. Gutkind, Creative demobilisation, Londra 1944; id., Revolution of Environment, Londra 1946; F. J. Osborn, Green-belt Cities, Londra 1946; S. Giedion, Space, Time and Architecture, Cambridge Mass., 1946; Ministry of Town and Country Planning, The Redevelopment of Central Areas, Londra 1947; B. Schwan, Städtebau und Wohnungswesen der Welt, Berlino 1935; G. Feder, Die Neue Stadt, Berlino 1939; A. Meili, Bauliche Sanierung von Hotels und Kurorten, Erlenbach-Zurigo 1945; M. Bill, Wiederaufbau, ivi 1945; H. Bernoulli, Die Stadt und ihr Boden, ivi 1946. V. inoltre le riviste: Urbanistica, Casabella-Costruzioni, Domus, Metron, Strutture, Architecture d'Aujourd'hui, Techniques et Architecture, L'homme et l'Architecture, Urbanisme, The Architectural Review, Architectural Forum, Progressive Architecture, Das Werk, Byggmästaren, Arhitehten, ed altre.
Piano di coordinamento territoriale. - Recente è l'istituzione dei piani regionali di coordinamento territoriale.
Infatti, mentre la remota origine del concetto di piano regolatore urbano è indubbiamente confermata dalle vestigia di città a forma regolare, che si ritrovano con frequenza non solo nell'antichità classica, ma anche nelle civiltà extraeuropee, dall'egizia alla cinese non con altrettanta sicurezza si può affermare che sia stato in antico conosciuto e diffusamente applicato il concetto di piano regolatore esteso ad una vasta porzione di territorio. La limitazione dei piani regolatori ai soli centri abitati parrebbe anzi concordare col carattere prevalentemente domestico, o al massimo cittadino, della maggior parte delle antiche economie, oltreché col fatto che i primitivi insediamenti urbani formavano isole discontinue su territorî non certamente sfruttati in tutta la loro estensione. Tuttavia anche nell'antichità non mancano eccezionali grandiosi esempî di organizzazioni spaziali: basti ricordare l'estesa rete di strade costruite e le numerose città di colonizzazione, con cui la dominazione romana ha urbanizzato l'Europa (per la centuriazione romana, v. agrimensura, I, p. 986), e le opere dell'antico Egitto, dove l'irrigazione di tutta la valle, mediante una regolare serie di argini e bacini, e l'ordinata distribuzione degli insediamenti urbani, rurali e religiosi formavano un vasto complesso, cui non si possono negare idee direttive generali e, certamente, almeno un abbozzo di coordinamento territoriale.
I tempi moderni, avendo alterato i precedenti equilibrî geoeconomici con la rivoluzione industriale e con l'incremento demografico del secolo scorso, pongono in modo nuovo, complesso ed urgente, il problema dell'organizzazione dello spazio urbano e del circostante territorio. Mentre, infatti, in antico il carattere politico-culturale-commerciale delle città comportava essenzialmente soluzioni plastiche ed architettoniche, limitate allo spazio urbano, l'attuale carattere produttivo e dinamico delle grandi città moderne genera fattori che non sono più soltanto geometrici, ma anche economici, temporali e sociali.
Bisogna giungere tuttavia fino alla fine del secolo scorso per riconoscere la formazione delle prime moderne idee urbanistiche (sono da ricordare Ebenezer Howard e la sua Garden Citie of to-morrow, del 1898, e Tony Garnier con lo studio della Ville Industrielle del 1901), originate dalla reazione al disordine, all'addensamento inumano, all'intasamento circolatorio, alla dispersione di energie, alla vita oppressiva delle grandi città industriali, che nella loro febbrile formazione non avevano potuto né saputo esprimere e seguire un chiaro principio direttivo.
Nascendo a posteriori e con grande ritardo sul periodo di massima crescenza, i piani delle grandi città, tendevano ad essere anzitutto, per forze di cose, dei correttivi di situazioni irreparabilmente compromesse e di difficile risoluzione, prima di poter essere i regolatori di un'attività edilizia modernamente concepita ed attuata. Questa situazione di fatto ha frenato, nei primi decennî del secolo, anche le migliori iniziative di rinnovamento dei centri abitati esistenti ed ha, in complesso, sminuito i primi risultati positivi ottenuti nei varî paesi dalla pianificazione urbanistica. Si sono tuttavia avuti notevoli esempî, fra i quali soprattutto significativa è stata la costruzione delle due città giardino di Letchworth (1903) e di Welwyn (1920), prime attuazioni pratiche della concezione urbanistica ideata da Howard allo scopo di decentrare la metropoli londinese coll'impianto di nuovi nuclei abitati completamente autonomi (economicamente ed amministrativamente), siti nell'intorno e circondati ciascuno da una cintura di verde agricolo. Né possono essere taciuti gli eccellenti piani di Francoforte (1925-27) e di Amsterdam (1930-36).
Oltre ai piani strettamente cittadini, si sono pure avuti in questi decennî i primi tentativi di sottoporre a piano urbanistico più estese superfici territoriali, allo scopo di coordinare in esse le opere stradali e ferroviarie, le zone industriali ed i centri abitati: è del 1920 il piano territoriale della "Siedlungsverband Ruhrkohlenbezirk", del 1923 il piano della Côte Varoise in Francia, del 1930-35 il piano della valle di Zlín in Cecoslovacchia; fra il 1928 ed il 1933 durante il piano quinquennale, vengono impostati nell'URSS alcuni importanti piani territoriali, soprattutto nei bacini industriali; anche negli S. U. si hanno in quegli anni numerosi abbozzi di piani territoriali regionali e statali, generalmente limitati però alla riorganizzazione delle comunicazioni.
È stata tuttavia soltanto la seconda Guerra mondiale che, con le vaste distruzioni operate nei centri abitati, ha riproposto in termini più gravi, più vasti e più urgenti i problemi della riorganizzazione spaziale. Nell'immediato dopoguerra in numerosi paesi, dall'Inghilterra alla Polonia, al Belgio, all'Olanda, alla Francia e all'Italia si è avuto un intenso operare in campo urbanistico, allo scopo di preparare i piani, non solo per le ricostruzioni, ma soprattutto per il futuro assetto spaziale delle città e dei territorî. Ed è precisamente in questa recentissima fase di studio e di orientamento che sono ovunque apparsi, come fondamentale e indispensabile strumento della pianificazione urbanistica, i piani regionali di coordinamento.
Essi nascono per colmare le lacune e le manchevolezze dei precedenti piani regolatori urbani, che nella generalità dei casi erano stati circoscritti ad alcuni dei grandi centri cittadini e peccavano quindi, nel complesso, per limitatezza, accidentalità e discontinuità.
L'esigenza di coordinare le molteplici opere che si svolgono su di uno stesso territorio, da quelle residenziali a quelle industriali, a quelle agricole e a quelle relative alla rete di comunicazioni, in modo da eliminare reciproci intralci ed interferenze, dare un indirizzo generale equilibratore dell'attività edificatoria pubblica e privata e tendere ad una maggiore produttività e ad un maggior benessere generale, ha necessariamente condotto a richiedere in molti paesi la compilazione dei piani di coordinamento territoriale. A questi spetta di formare, per un dato territorio, il tessuto connettivo fondamentale, su cui possano in seguito inserirsi i piani di maggior dettaglio relativi ai centri urbani e rurali e alle loro parti. Essi costituiscono il piano d'incontro fra esigenze locali, necessariamente frammentarie, ed esigenze nazionali, necessariamente generali e sintetiche; anche dal punto di vista amministrativo e politico essi tendono a soddisfare esigenze organizzative che, non solo in Italia, erano state finora avvertite, ma non risolte.
Questi piani territoriali di prima approssimazione vengono usualmente denominati regionali, dando al termine regione un contenuto abbastanza elastico, che va dalla regione geoetnografica propriamente detta, a circoscrizioni territoriali delimitate con diversi criterî economici e amministrativi.
In Italia la legge 1942 istituiva i piani di coordinamento territoriale, affidandoli alla competenza del Ministero dei lavori pubblici; il primo piano regionale è quello del Piemonte, iniziato nel 1945. Contenuto e dimensioni regionali sono stati dati a numerosi piani inglesi, da quello di Londra (1945) impostato da P. Abercrombie sulla direttiva delle idee di Howard, a quelli delle regioni di Birmingham e di Manchester; il fondamento giuridico della pianificazione urbanistica inglese è stato formulato nel Town and Country Planning Act del 1947, che stabilisce l'obbligatorietà della pianificazione urbanistica su tutto il territorio nazionale. Un piano territoriale esemplare e di grandiose proporzioni è quello recentemente attuato (1933-45) nella Valle del Tennessee (v. tva, in questa App.).
Bibl.: J. Gantner, Grundformen der europäischen Stadt, Vienna 1936; Christen, Zur Entwicklungsgeschichte des Städtebaus, Zurigo 1946; Astengo, Bianco, Renacco, Rizzotti, Il piano regionale piemontese, Roma 1947; INU, Urbanistica ed edilizia in Italia, Roma 1948; D. Lilienthal, Democrazia in cammino, Torino 1946; A. Ledent, Contribution à l'urbanisme national, Bruxelles 1945; P. Abercrombie, Greater London Plan 1944, Londra 1945; Rouge, La géonomie ou l'organisation de l'espace, Parigi 1947; Ch. Bettelheim, La planification soviétique, Parigi 1945.