PIANO ECONOMICO
. L'esigenza di un piano è inscindibile da ogni azione umana che affronti il futuro, qualunque sia il regime economico realizzato, da quello più liberale a quello collettivista. "Piano" può appunto definirsi la proiezione, in un futuro più o meno remoto, di uno stato di massima soddisfazione di un ind-viduo rispetto ai mezzi disponibili - o di tendenza a una massima soddisfazione - che in sé può riassumere una o più finalità, nel primo caso raggiunte, nel secondo da realizzare. Concorrono alla formulazione di un piano varî elementi, tra cui: la marginalità, lo sconto del futuro e l'assicurazione. È ormai acquisito, infatti, che al fine di raggiungere una posizione di massimo benessere, un consumatore ripartisce il proprio reddito tra più beni da consumare secondo il teorema dell'uguaglianza delle utilità marginali divise per i prezzi unitarî e un produttore ripartisce le proprie disponibilità tra più fattori da combinare secondo il corollario dell'uguaglianza delle produttività marginali, divise per i prezzi unitarî. Alla base di tutti questi riparti, di tutte queste comunicazioni tra i mercati dei varî beni, ivi compresa la moneta, si pongono perciò sempre considerazioni marginali che, realizzandosi e sviluppandosi attraverso confronti di utilità nel tempo, costituiscono un elemento fondamentale della formulazione e della revisione di un piano, che si basi su un equilibrio stabile, imperfettamente stabile o addirittura instabile.
Qualora una situazione di equilibrio raggiunta, o prossima a raggiungersi, potesse restare immutata per l'invarianza delle condizioni che l'hanno determinata, proiettarla nel futuro non presenterebbe difficoltà più gravi dei suaccennati riparti di redditi e di risparmî. Ma ciò non è, e l'individuo deve sforzarsi di prevedere le conseguenze che possono derivare da modifiche della situazione attuale, deve cioè scontare il futuro, sia anticipando parte degli atti che avrebbe dovuto compiere quando l'evento previsto si fosse verificato - di modo che le conseguenze anziché addensarsi ad una sola data, vengano a distribuirsi nel tempo - sia controllando e modificando il riparto originario man mano che l'evento previsto si avvicina.
La difficoltà di sostituire valutazioni scontate a quelle attuali scaturisce, oltre che dalla molteplicità delle condizioni da considerare, dalla molteplicità delle modifiche che le condizioni stesse possono subire nel tempo. In conseguenza, un piano, per quanto rispondente inizialmente ai fini di chi lo formula, può rivelarsi poi inadeguato a realizzarsi. Quindi, perché un piano aderisca sempre meglio alla realtà, sorge il bisogno dell'assicurazione, sia contro eventi sfavorevoli prevedibili fin da principio, sia contro scarti sfavorevoli della realtà dalla previsione. Se poi la flessibilità così impressa al piano non bastasse ancora a fronteggiare il complesso dei rischi, si può ricorrere ad altre assicurazioni fino al punto in cui il costo delle stesse uguagli l'utilità della diminuzione del rischio. Quando però le varie forme di assicurazione si rivelano insufficienti ovvero quando, fin dalle prime realizzazioni, l'autore del piano rileva che l'elemento assicurativo è intaccato a tal punto da lasciar presumere che, dato il corso degli eventi, il piano sempre meno aderisca alla realtà, allora, sorge il bisogno di revisione del piano stesso, in misura e a date diverse, da quelle previste. Il costo delle nuove iniziative necessarie per tradurre in pratica tale revisione si aggiunge a quello già incontrato per la formulazione del piano originario e, come per questo, si concreta in rinunzie a consumi, investimenti, risparmî e in perdite e spese indispensabili per imprimere flessibilità al piano medesimo.
Tanto nella formulazione quanto nella revisione di un piano, può attuarsi senz'altro il principio di economicità, ossia della razionale utilizzazione dei mezzi disponibili. Spesso, però, specie nel caso di revisione che s'imponga all'improvviso, si deve ricorrere a un principio che, rispetto al puro calcolo economico, potrebbe definirsi di succedaneità, dato che esprime direttive meno razionali, o addirittura irrazionali. Come, e forse più del principio di economicità, il principio di succedaneità si affida alla mutevole psicologia dell'individuo e, esprimendo moventi diversi da quello economico, legittima scarti della condotta umana da un ragionamento accurato. Quindi, più un piano è formulato, o riveduto, secondo questo secondo principio, più le situazioni di squilibrio tendono a protrarsi e i risultati attesi dal piano a divenire remoti.
In conclusione può dirsi che, se anche è concepibile l'assenza di piani di consumi, non è assolutamente concepibile l'assenza di piani produttivi, seppure rudimentali; e che l'esistenza di questi piani destinati a produrre redditi assicura di per sé stessa una maggiore regolarità sia ai redditi degl'imprenditori e dei loro collaboratori, sia ai consumi degli stessi. Ne risulta una maggiore stabilità dell'intero sistema economico nel quale si viene a correggere l'andamento a onde delle vita economica. Tutto il piano assurge così in complesso a funzione assicurativa contro il rischio che le azioni individuali rimangano sopraffatte da eventi capaci di comprimere i gusti dell'individuo e la sua libertà di realizzarli. Per modo che, più la vita odierna dà origine ad eventi capaci di allontanare l'individuo dall'azione che meglio corrisponderebbe alle sue preferenze, più l'importanza del piano, come difesa di questa azione e della personalità stessa del singolo, si riafferma e emerge in un consorzio civile.
Ancor più evidente dell'importanza dei piani individuali è quella dei piani dello stato e di altri enti pubblici, purché si presentino come piani logicamente consistenti e in grado di avere effettiva utilità. Qualsiasi intervento dello stato, attuato sia nell'interesse generale (ad es., per produrre servizî pubblici indispensabili, migliorare il riparto delle attività produttive e della popolazione tra le varie regioni, attenuare le sperequazioni di reddito, determinare situazioni di equilibrio, ecc.), sia al fine di favorire particolari categorie (ad es. protezioni doganali, modificazione di condizioni di lavoro, assicurazioni sociali, ecc.), provoca ripercussioni sul consumo e sulla produzione e quindi sui piani dei singoli consumatori e dei produttori, che li abbiano formulati. Mentre però chi formula e rivede un piano individuale difficilmente si preoccupa delle conseguenze del suo agire sui piani degli altri, lo stato non può prescindere dalla valutazione di tutte le conseguenze immediate o mediate, anche sui singoli, che insieme costituiscono il costo del suo intervento, se onerose, e il risultato utile, se favorevoli. Valutazioni senza dubbio assai difficili a concretare e ad esprimere in moneta, allo scopo di renderle confrontabilí fra loro, ma alle quali non si potrebbe rinunciare. Soltanto infatti gli interventi che, per la massima parte almeno, consentono un raffronto favorevole tra costo e risultato utile - gli interventi cioè che possono ricondursi al principio di economicità - giovano alla collettività, mentre gli altri incidono sul benessere della stessa, forzandolo a regredire, o almeno a non svilupparsi nella misura consentita dalle condizioni esistenti. E, anche se si vuol guardare - come si deve - all'azione complessiva dello stato e non ai singoli interventi di esso, bisogna sempre raffrontare la somma dei risultati utili di tutti gli interventi (produttori o distruttori, in definitiva, di reddito reale) con la somma dei costi sopportati dalla collettività se si vuole giudicare fondatamente dell'efficienza dell'azione statale.
In realtà, da un punto di vista strettamente economico, l'agire dello stato si svolge in condizioni di inferiorità rispetto all'agire dei singoli per due motivi fondamentali: 1) che ostacoli varî, obiettivi e subiettivi, impediscono a chi predispone un intervento statale di basare i proprî calcoli su elementi di marginalità, di sconto e di assicurazione con lo stesso rigore di un qualsiasi consumatore o produttore; 2) che gli interventi che si richiedono allo stato sono molteplici, spesso promossi da interessi in contrasto, e può quindi avvenire che l'uno finisca per neutralizzare il risultato utile dell'altro. Sorge allora un nuovo motivo di scoperto del costo rispetto al risultato utile di ciascun intervento, e, in contrapposto al principio di economicità, si afferma quello di succedaneità per ogni attività dello stato, che nel conseguire il fine propostosi incontri ostacoli creati dallo svolgersi nel contempo di altre attività proprie, o di altri.
Da ciò deriva il bisogno che, per larghi settori almeno dell'attività nazionale, gli interventi statali abbiano luogo soltanto previa accurata analisi di tutte le conseguenze e previa eliminazione dei possibili contrasti; in altri termini, previo apprestamento di piani statali che, oltre a informarsi, nei limiti del possibile, agli stessi elementi e principî dei piani individuali, proiettino nel futuro la realizzazione dei singoli interventi e li coordinino in modo da evitare contraddizioni tra le varie direttive.
Le pianificazioni postbelliche.
La pianificazione economica, intesa come un insieme organico di direttive e di misure di politica economica predisposte dai governi in vista del raggiungimento di uno o più obiettivi, ha avuto una notevole diffusione nel periodo posteriore alla seconda Guerra mondiale, assumendo forme notevolmente diverse. Le differenze esistenti tra le caratteristiche fondamentali dei varî piani derivano principalmente dalla diversità degli obiettivi generici e specifici e dalla diversa intensità, conforme all'indirizzo di politica generale dei singoli governi, delle misure di politica economica previste per il loro raggiungimento. Più in generale, poiché la natura e la misura degli obiettivi sono in stretta connessione con la situazione concreta esistente al momento della formulazione del piano, si può dire che tali situazioni concrete, insieme con gl'indirizzi generali di politica economica, determinano sia il contenuto sostanziale dei piani, sia la natura e l'intensità delle misure di esecuzione, sia, infine, il carattere di temporaneità o di continuità dei piani medesimi. Pertanto, data l'eterogeneità dei fini, la diversità delle situazioni concrete e la diversità degl'indirizzi di politica economica, è difficile ricondurre a un modello unico tutti i piani formulati nel periodo in parola, ed è possibile soltanto procedere per raggruppamenti, basati su analogie più o meno strette dei predetti elementi fondamentali.
Ricordiamo anzitutto i piani anglosassoni volti a conseguire la "occupazione piena" (v.), o la massima occupazione, e fondati sul principio del mantenimento della stabilità della domanda effettiva di beni di consumo e di investimenti. Essi implicano interventi di natura diversa, diretti o indiretti, tendendo a sopperire al difetto della domanda effettiva, o a contenere un eccesso della stessa, a seconda delle situazioni concrete determinatesi di volta in volta in rapporto agli andamenti dell'attività economica in generale. Gl'interventi si concretano, generalmente: a) nella manovra finanziaria volta a integrare le spese private con spese pubbliche finanziate allo scoperto (deficit spending), cioè in eccesso alle entrate fiscali, per colmare la lacuna tra spese private e pubbliche (coperte con entrate fiscali) e produzione di piena occupazione; b) nella concomitante e concordante manovra del credito; c) nell'accrescimento o nella limitazione di investimenti pubblici; d) nel controllo diretto degl'investimenti riguardo alla loro entità e localizzazione; e) nelle misure rivolte ad attenuare le forze di attrito che ostacolano la mobilità della mano d'opera; f) e, in casi di "scarsità" reale di beni (eccedenza di domanda effettiva), perfino nel controllo dei prezzi e in forme di razionamento di beni di consumo e di materie prime.
Una pianificazione di questo genere è stata impostata nel White paper on employment policy, pubblicato dal governo di coalizione della Gran Bretagna nel maggio 1944; e, di fronte a una situazione di "scarsità" reale generalizzata, è stata attuata nel 1947 e nel 1948 in base all'Economic survey for 1947 e all'Economic survey for 1948. L'obiettivo fondamentale del governo britannico, a quanto appare da questi due documenti, è la ricostruzione, entro un breve periodo di tempo, dell'equilibrio della bilancia dei pagamenti, da realizzarsi mediante un aumento delle esportazioni del 90%, rispetto al volume del 1938, e il mantenimento delle importazioni al livello dello stesso anno. La Gran Bretagna, difatti, oltre ad avere contratto durante la guerra un indebitamento per circa 14,5 miliardi di dollari verso l'Impero ed altri paesi, ha perduto una parte elevata degl'investimenti all'estero, il cui reddito, insieme alle altre partite invisibili attive (marina mercantile, servizî bancarî, ecc.) serviva a coprire nel 1938 un'alta percentuale del deficit della bilancia commerciale, che ammontava a 802 milioni di sterline correnti. La traduzione in singoli obiettivi di produzione e in programmi d'investimento di questa direttiva ha generato forze inflazionistiche nel mercato, di fronte alle quali è stato predisposto un sistema organico di controlli che costituisce, nell'insieme, un vero e proprio piano rivolto ad armonizzare e contenere le domande effettive per consumi ed investimenti.
Analogamente, negli Stati Uniti, il 20 febbraio del 1946 veniva promulgato un Employment act, di tenore analogo a quello del predetto documento inglese, ma di contenuto molto più generico, in armonia con l'indirizzo generale di politica economica prevalente negli Stati Uniti. Esempî di applicazione di questa legge si trovano nelle tre relazioni presentate dal presidente degli Stati Uniti nel gennaio 1947, nel luglio 1947 e nel gennaio 1948. Problema principale è quello della interconnessione tra prezzi, salarî e profitti, e più precisamente della tendenza verso la diminuzione dei redditi distribuiti pro capite (esclusi i profitti), a prezzi costanti. Questa tendenza, insieme a un lento, ma progressivo processo inflazionistico, presenta il pericolo che il sistema dei prezzi non possa più essere sostenuto, a un determinato momento, dai redditi distribuiti e, quindi, che si verifichi un'inversione del movimento, con fenomeni conseguenti di disoccupazione generalizzata e di bassi livelli di produzione. Di fronte a questo pericolo, le "raccomandazioni" del presidente americano al Congresso sono rivolte ad arginare, mediante misure appropriate, l'eccesso di domanda effettiva, verificatosi anche negli Stati Uniti, sebbene in gran parte per motivi diversi da quelli esposti per la Gran Bretagna.
Appartengono, infine, a questo genere particolare di pianificazione i programmi predisposti, posteriormente al 1940, dai governi dell'Australia, della Nuova Zelanda e della Svezia.
Un secondo raggruppamento può essere effettuato prendendo insieme il piano dell'Unione Sovietica e quelli formulati dai paesi dell'Europa orientale, le cui caratteristiche fondamentali sono la direzione centralizzata dell'attività economica, conforme all'indirizzo di politica generale dei singoli governi, e gli obiettivi generici di ricostruzione e di industrializzazione delle rispettive economie. Oltre a ciò, caratteristica dominante è quella di prevedere investimenti di capitale di entità relativamente elevata che, nei casi in cui il calcolo diventa possibile, vanno dal 16% al 27% del reddito nazionale, ivi compreso, talvolta, un certo apporto dall'esterno.
Questi piani non hanno durata uniforme, poiché si passa da quelli biennali della Cecoslovacchia (anni solari 1947 e 1948) e della Bulgaria (10 aprile 1947-30 marzo 1949), a quelli triennali della Polonia (anni solari 1947, 1948 e 1949) e dell'Ungheria (10 agosto 1947-31 luglio 1950) e a quelli quinquennali della Iugoslavia (anni solari 1947-1951) e dell'Unione Sovietica (1946-50). Tuttavia, la pianificazione in questi paesi presenta un carattere di continuità nel tempo; e in relazione a ciò, l'obiettivo dell'industrializzazione delle singole economie assume, in molti casi un carattere di fenomeno tendenziale.
In altri termini, a motivo della struttura economica prebellica e delle gravi perdite subìte durante la guerra, i piani di detti paesi prevedono un complesso di investimenti più o meno coordinati, i cui effetti, per quel che riguarda la maggiore produzione di beni di consumo, e perciò l'elevamento del tenore di vita della popolazione rispetto al periodo prebellico, potranno constatarsi in periodi successivi al termine dei piani medesimi. Eccezione a questa caratteristica fa il piano della Polonia, che mira appunto all'elevamento del consumo pro capite già nel 1949 rispetto al livello del 1938. In linea generale, la realizzazione degli obiettivi dei piani di questo gruppo (escluso quello dell'Unione Sovietica) è condizionata da un certo apporto dall'estero di mezzi finanziarî e di beni aventi un grado elevato di strumentalità.
Tra questi due generi di pianificazione, che, riguardo all'intensità e alla vastità dell'intervento dello stato, sono da considerarsi come esempî estremi, è possibile inserire altri piani, che presentano caratteristiche comuni con gli uni o con gli altri. Così in Francia è stato formulato e in parte già attuato, il Piano Monnet (1947-50), che si propone, come obiettivo fondamentale, la ricostruzione e l'ammodernamento dell'economia del paese, senza peraltro implicare forme di intervento a carattere collettivista, quali si riscontrano nei piani dei paesi della Europa orientale. In Olanda, d'altra parte, è stato pubblicato, nell'aprile 1946, un primo "memorandum sul piano economico centrale" per il 1946, cui ha fatto seguito la formulazione di un piano sessennale per il periodo 1947-52. L'impostazione di questo piano, pur essendo basata sull'esigenza della ricostruzione e di una maggiore industrializzazione dell'economia nazionale, presenta affinità con i piani anglosassoni per la occupazione piena.
Infine, si possono ricordare i varî piani di sviluppo delle economie o zone "depresse", aventi carattere più o meno parziale o di settore (e quindi, come tali, non potrebbero a rigore essere considerati piani), formulati in epoche diverse dai seguenti paesi, o zone di paesi: Messico, Argentina, Bolivia, Brasile, Chile, Perù, Venezuela, Belgio, India, Cina, Sudan Anglo Egiziano, territorî coloniali inglesi in Africa, territorî francesi in Africa e Liberia. Affini a questi piani si presentano quelli di sviluppo regionale, all'interno dei singoli stati; ad es. il complesso di opere attuato dalla Tennessee Valley Authority (v. tva, in questa App.) negli Stati Uniti.
Piano Marshall (o ERP).
Col nome di "Piano Marshall" si indica l'aiuto degli Stati Uniti ai paesi europei, aiuto le cui origini e le cui finalità furono precisate nel discorso del segretario di stato statunitense, Marshall, tenuto a Harvard il 5 giugno 1947. Marshall dichiarava, in quella occasione, che gli Stati Uniti avrebbero potuto venire incontro alle esigenze della ricostruzione europea, ove gli stati europei si fossero accordati su un piano comune di ricostruzione e cooperazione economica. Il suggerimento, che era ad un tempo un'offerta, fu immediatamente accolto dai paesi dell'Europa occidentale, mentre non vi aderirono quelli dell'Europa orientale in conseguenza del ritiro del ministro degli Esteri dell'URSS dalla Conferenza dei ministri degli Esteri convocata a Parigi. I paesi aderenti o partecipanti furono originariamente 16 e cioè: Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Gran Bretagna, Grecia, Irlanda, Islanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Olanda, Portogallo, Svezia, Svizzera, Turchia, successivamente divenuti 19 per la inclusione fra i partecipanti, a parità di diritti, della Zona francese d'occupazione della Germania, della Bizona e del Territorio di Trieste.
Nel luglio 1947 si riunì a Parigi la prima "Conferenza per la cooperazione economica europea", i cui lavori portarono all'elaborazione di un quadro di insieme delle deficienze dell'economia europea, delle sue possibilità di ripresa produttiva e della misura dell'aiuto esterno ritenuto indispensabile per consentire la ricostruzione economica. Questo quadro di insieme fu presentato nel settembre 1947 al sottosegretario americano e costituì la base sulla quale il Congresso americano votò il Foreign assistance act del 3 aprile 1948 con il quale venivano stanziati 5.300.000.000 di dollari, successivamente ridotti a 4.800.000.000, per i primi 12 mesi del quadriennio 1948-52 compreso nel programma di ricostruzione europea. In base alla legge citata, l'aiuto americano non rappresenta un aiuto occasionale, ma si prefigge obiettivi precisi - sviluppo produttivo, utilizzazione razionale delle capacità di produzione, ammodernamento delle attrezzature, stabilità finanziaria, monetaria ed economica in genere, alto livello di occupazione, cooperazione reciproca per sviluppare le risorse comuni, progressiva eliminazione degli ostacoli al movimento di merci, di uomini e di capitali - per raggiungere i quali, i paesi partecipanti al programma di ricostruzione economica (European Recovery Program - ERP) si sono impegnati, sulla base dell'accordo che ciascun partecipante ha sottoscritto con gli S. U., e sulla base dell'accordo multilaterale che ha riunito i paesi partecipanti nella Organizzazione della cooperazione economica europea (Organization of Economic Cooperation for Europe - OECE), a predisporre programmi congiunti di produzione, esportazione, investimenti, al fine di utilizzare nel modo più integrale, redditizio e razionale, l'aiuto degli S. U.
Le linee di sviluppo di questa particolare programmazione supernazionale si sono incominciate ad elaborare nella primavera del 1948, dopo l'approvazione del Foreign assistance act 1948, che costituisce anche l'organizzazione americana responsabile dell'erogazione e dell'amministrazione dell'aiuto (European Cooperation Organization - ECA), e dopo che i paesi partecipanti hanno costituito la suddetta organizzazione (OECE), destinata a divenire permanente, con sede a Parigi. Da quel momento sono state tratteggiate le grandi linee di questo sforzo organizzativo tendente verso forme di maggiore solidarietà economica internazionale; è stata precisata la funzionalità della Organizzazione internazionale e le sue attribuzioni (accordo per la Cooperazione economica europea del 16 aprile 1948); è stato predisposto il primo programma annuale (anno finanziario 1948-49) e se ne è iniziata l'attuazione; è stato redatto e discusso il programma a lungo termine, che copre l'intero quadriennio dell'aiuto americano, e definito nel dettaglio il programma per l'anno finanziario 1949-50.
Questo lavoro di coordinate previsioni si svolge, per quanto riguarda le singole programmazioni interne, nell'ambito di ciascuno degli stati partecipanti e, per quanto riguarda il programma comune europeo, in seno all'OECE. Nel corso del lavoro svolto, sono emersi problemi sostanziali di coordinamento effettivo delle politiche economiche e commerciali dei singoli stati che non hanno ancora trovato una definitiva soluzione. Non è da escludere, però, che se i paesi partecipanti all'ERP procederanno sulla via tracciata dagli impegni sottoscritti, saranno portati sempre più verso forme di programmazione coordinata che investiranno l'intera impostazione delle singole politiche economiche interne. I paesi partecipanti, nel corso del 1948, hanno compiuto attraverso l'organismo parigino passi rilevanti sulla via della cooperazione: ne sono esempî la divisione dell'aiuto globale americano concordata sulla base di un approfondito esame dei rispettivi fabbisogni, la stipulazione di un accordo (accordo scambî e pagamenti intereuropei del 16 ottobre 1948) volto a facilitare gli scambî tra partecipanti ostacolati da carenza di contropartite e da difficoltà monetarie; le progettate unioni doganali regionali, fra le quali occupa il primo posto quella tra l'Italia e la Francia, unioni che dovrebbero gradualmente portare verso l'unione economica europea.
Il piano Marshall, fatto politico ed economico ad un tempo, anche se, per la sua portata supernazionale, non rientra fra le tipiche forme di pianificazione, dà necessariamente sviluppo alle forme di programmazione nei singoli paesi aderenti, intese come complesso di ragionevoli previsioni in relazione agli obiettivi che l'intero programma si propone.
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