PIANIFICAZIONE (App. III, 11, p. 414)
Pianificazione territoriale. - La p. t. consiste in quel complesso di attività che, attraverso programmi organici di varia natura, coordinati tra loro, tende a realizzare l'utilizzazione razionale, il migliore assetto, e l'ordinato sviluppo del territorio. In tal senso, la p. t. costituisce l'evoluzione e l'estensione dell'urbanistica: rispetto a questa, infatti, essa si caratterizza per una maggiore apertura in termini di ampiezza geografica del campo operativo (non solo singole aree circoscritte, singoli centri abitati, ma gran parte del territorio, se non tutto il territorio), in termini di oggetto di cui si occupa (non solo il fatto urbano, ma qualsiasi varietà tipologica d'uso del suolo), e in termini di interessi, tematiche, strumenti e obiettivi (comprendenti, oltre agli elementi edilizi e infrastrutturali, quelli demografici, economici, sociologici, politici che sostanziano i problemi del territorio).
Storicamente, proprio dalla crescente insoddisfazione nell'esercizio teorico e applicativo dell'urbanistica tradizionale emerge l'esigenza di una simile estensione. Di fronte all'ingigantirsi delle città fino alle dimensioni metropolitane, al contemporaneo dilagare, nel vasto territorio circostante, di un'edilizia sempre più rarefatta, nonché al diffondersi, a distanza ancor maggiore, di un campo d'intense relazioni funzionali (v. urbanistica, App. III, 11, p. 1037), si rivela assai difficile, e, al limite, poco significativo ed efficace lo sforzo di controllare, d'indirizzare lo sviluppo delle strutture insediative moderne operando solamente al loro interno, agendo unicamente sulle attività e sugl'impianti tipicamente urbani, e intervenendo esclusivamente attraverso la regolamentazione delle costruzioni e la progettazione delle opere pubbliche. Al tempo stesso appare evidente l'inanità di un obiettivo limitato alla razionalizzazione, al componimento correttivo, all'armonizzazione logistica di un gran numero di fatti, iniziative, e azioni diverse che, realizzando programmi distinti, talvolta reciprocamente incoerenti, e perseguendo fini separati, non di rado incompatibili, si riversano sul territorio in termini d'inconciliabile e aperta conflittualità.
In linea di principio, l'ampiezza geografica di un piano territoriale può variare da una superficie di pochi chilometri quadrati allo spazio di una nazione, o di un intero continente. Frequentemente si riconosce nella dimensione regionale l'estensione appropriata per un piano territoriale. Il significato di questa posizione va inteso attribuendo al termine "regione" non già l'accezione di circoscrizione amministrativa, bensì quella di unità geografica fondamentale: un concetto elaborato da studiosi come F. Le Play, F. Ratzel, P. Kropotkin, E. Reclus, P. Vidal de la Blache, P. Geddes, e, più in generale, dalla scuola detta appunto "regionalista" (cfr. regione, XXVIII, p. 1000). In effetti, se fin dall'antichità non mancano significativi esempi di grandiosi e organici progetti di trasformazione del territorio (cfr. piano regolatore, App. II, 11, p. 544), è soprattutto nella matrice culturale del pensiero regionalista che la moderna p. t. affonda le sue radici (L. Mumford, B. MacKaye, A. Glikson). In tal senso, riprendendo l'espressione inglese, essa viene frequentemente denominata "pianificazione regionale"; questa, nell'interpretazione che ne dà Mumford, "è lo sforzo di applicare conoscenze scientifiche e regole stabili di giudizio, fondate su razionali valori umani, allo sfruttamento della terra. (Essa) implica il coordinamento delle attività umane nel tempo e nello spazio, sulla base di fatti accertati riguardanti luogo, lavoro, e popolazione, e comporta la modificazione e il riordinamento di vari elementi dell'ambiente totale, allo scopo di aumentare il loro contributo alla comunità; essa richiede la costruzione di edifici appropriati, case di abitazione, stabilimenti industriali, mercati, opere idrauliche, dighe, porti, villaggi, città (...); il piano regolatore regionale è la direzione consapevole e l'integrazione collettiva di tutte le attività che si fondano sull'uso della terra, quale sede, quale risorsa, quale organizzazione, quale scena (...). Nella misura in cui tali attività sono centrate nell'ambito di regioni definite, ponderatamente delimitate e utilizzate, le possibilità di un coordinamento effettivo aumentano. Quindi la pianificazione regionale è un ulteriore stadio nello sviluppo più specializzato o circoscritto della pianificazione agricola, industriale, o urbanistica".
Le idee di base del regionalismo cominciano a trovare qualche concretizzazione in alcuni importanti interventi urbanistici nei primi decenni di questo secolo. Esse si riconoscono, in parte, nel piano regolatore di Francoforte e nel piano per il distretto carbonifero della Ruhr (elaborati negli anni Venti) nonché nel piano per lo Stato di New York (della stessa epoca); nel piano di ampliamento di Amsterdam (degli anni Trenta), e soprattutto nel piano della Grande Londra (del 1944). Si tratta pur sempre di progetti che affrontano il tema classico dell'urbanistica: il controllo dello sviluppo della grande città; ma che impostano in modo sistematico il rapporto tra la metropoli e il territorio esterno. Al tempo stesso, là dove la scarsità dello spazio territoriale lo impone, come nei Paesi Bassi, là dove gli orientamenti di politica economica lo suggeriscono, prendono l'avvio piani territoriali a carattere più spiccatamente regionale: come quelli varati in Unione Sovietica in attuazione del primo piano quinquennale (1928-33), o quello della Vallata del Tennessee, lanciato nel 1933 nel quadro del New Deal. Queste esperienze precorrono il grande sviluppo della p. t. nel periodo postbellico: sviluppo che si manifesta in diretto rapporto con l'affermarsi e il diffondersi della programmazione economica. Nel quadro della ripresa economica, alla scala mondiale, e al tempo stesso dell'accentuarsi degli squilibri alla scala nazionale e locale, il metodo della programmazione, già sperimentato nei paesi dell'area socialista, si estende rapidamente a quelli appartenenti a ogni sistema politico, a ogni stadio di sviluppo. Ed è in questo periodo che comincia a riconoscersi il ruolo insostituibile della p. economica regionale come componente costitutiva fondamentale e autonoma, come elemento portante di una politica economica nazionale, rivolta allo sviluppo equilibrato del paese: e non semplicemente come il risultato di una disaggregazione (per aree geografiche) di quest'ultima (cfr. pianificazione: Pianificazione regionale, App. III, 11, p. 416). La dimensione regionale costituisce il punto d'incontro tra la programmazione economica e la p. t.; la prima fornisce alla seconda un quadro coerente di riferimento, per l'individuazione dei problemi, per la definizione degli obiettivi, per la scelta delle politiche; mentre si riconosce nella p. t. il momento essenziale dell'attuazione concreta dei programmi, attraverso il controllo sull'entità, sulla qualità e sulla localizzazione dei fenomeni insediativi, e, più direttamente, attraverso l'elaborazione e la realizzazione coordinata di grandi progetti di ricostruzione e di espansione edilizia, di strutturazione e ristrutturazione del territorio.
Nel mondo contemporaneo, i problemi dell'utilizzazione ottimale delle risorse, della riforma agricola, della colonizzazione di nuovi territori, dell'insediamento di grandi masse di popolazione (conseguente a forti movimenti migratori interregionali e internazionali, nonché al generale processo di urbanizzazione), la questione della carenza di abitazioni e di servizi, nelle aree rurali non meno che in quelle urbane, la questione della congestione metropolitana (esaltata dalla diffusione della motorizzazione individuale), l'esigenza dell'ammodernamento della struttura industriale nazionale, e quella della localizzazione strategica dei nuovi poli industriali, la realizzazione di un sistema efficiente di reti di trasporto e di comunicazione, costituiscono temi centrali per la p. t. nella maggior parte dei paesi. Al di là di queste generiche similarità, ogni paese presenta, è chiaro, situazioni specifiche, e le affronta con strumenti spesso singolari, e con varia misura di successo. Ci limiteremo a citare alcune significative esperienze internazionali, che illustrano gli obiettivi assegnati alla p. t., i metodi adottati per conseguirli, e i principali problemi connessi (ulteriori notizie riguardanti aree metropolitane si trovano alla v. urbanistica di questa Appendice).
Gran Bretagna. - Tra i paesi sviluppati dell'Europa occidentale la Gran Bretagna vanta, in tema di p. t., una lunga tradizione di continuità culturale e operativa. Il quadro nazionale presenta situazioni regionali estremamente diversificate, che vanno da casi di eccessiva concentrazione di popolazione e di attività, soprattutto nella regione del sud-est, imperniata sull'area metropolitana di Londra, ove si pongono problemi di freno alla congestione e di regolazione rigorosa dell'uso del suolo, a casi di persistente depressione (con conseguente disoccupazione ed emigrazione), nella Scozia centrale e nella regione del nord-est, ossia in zone particolarmente colpite dall'esaurimento progressivo delle risorse naturali (carbone, minerali metallici) e dall'obsolescenza degl'impianti industriali e cantieristici che ne avevano costituito un giorno la base economica. Di fronte a squilibri di questo genere, e alle loro mutue interconnessioni, evidenti in un quadro nazionale, l'impegno del governo britannico nella politica territoriale è stato incessante, intenso, e in larga misura efficace. Il governo centrale ha usato energicamente, nel volger degli anni, un vasto assortimento di strumenti: incentivi, divieti, interventi, per ottenere gli obiettivi prefissati. Già negli anni Cinquanta, quando gli sforzi si concentravano sulla localizzazione delle fabbriche nelle aree depresse, i risultati nel nord e nel Galles furono di notevole rilievo. Successivamente, la politica di decentramento degli uffici da Londra ha avuto un certo successo (benché la maggior parte delle nuove sedi non si sia allontanata di molto dalla capitale). Oggi le migrazioni interregionali si sono molto attenuate; il sud-est registra un'emigrazione netta, e il Galles un'immigrazione netta.
Una strategia tipicamente britannica per la p. t. è quella della creazione di nuove città. Negli ultimi trent'anni il New towns act, del 1946, si è dimostrato estremamente adattabile ai vari scopi ai quali una new town può esser destinata. La prima generazione di new towns era intesa a recepire l'eccesso di popolazione tendenzialmente concentrata a Londra. Successivamente, altre new towns sono state realizzate per alleviare la congestione di altre grandi conurbazioni (Belfast, Glasgow, Birmingham, Liverpool, Manchester), per consentire il rinnovo di vecchi centri urbani, per incrementare le occasioni d'impiego in Scozia e nel nord-est, nel Merseyside e nel Galles, per recuperare territori abbandonati, per assicurare una residenza alla manodopera impiegata in importanti centri di lavoro (Aycliffe, Corby, Cwmbran). Attualmente 32 new towns sono realizzate, o in corso di realizzazione nel Regno Unito, per una popolazione complessiva di 700.000 persone, e che raggiungerà il milione entro il 1985. Nel caso della Gran Bretagna il ruolo preminente del governo centrale nell'attività di p. t. è indiscutibile: tuttavia la serie recente di "piani strategici" (per il sud-est, per il nord-ovest, per le regioni del nord) sono il risultato di un lavoro congiunto, a partecipazione centrale e locale. Inoltre, la tendenza a lasciare maggior spazio all'autodeterminazione locale si rileva anche nel Town and country planning act del 1971, che introduce un nuovo strumento urbanistico, il cosiddetto "piano di struttura" (structure plan).
Francia. - Tra le prime iniziative moderne per la trasformazione di vaste aree regionali è da ricordare il programma a molti scopi (navigazione, irrigazione, produzione idroelettrica) della valle del Rodano, avviato nel 1921, e comprendente opere importanti come le dighe di Donzère-Mondragon e di Génissiat, e il nuovo porto di Lione. Nel dopoguerra, l'esigenza d'integrare la programmazione economica e la p. t. (fisica) fu affrontata sistematicamente, già verso la fine degli anni Cinquanta, con l'istituzione della Délégation à l'Aménagement du Territoire et au Développement Régional (DATAR). Il paese fu diviso in 21 "regioni-programma", alla testa di ciascuna delle quali opera un prefetto regionale, assistito dalla conferenza regionale amministrativa e affiancato dal Comitato per lo Sviluppo Economico Regionale (CODER). Rientrano nelle finalità della p. t. francese: la strategia di riequilibrio tra Parigi e il resto del territorio francese: un'azione che si appoggia soprattutto alla politica delle "metropoli d'equilibrio" (ossia dello sviluppo programmato di otto grandi città o conurbazioni: Lione/Saint-Etienne, Nancy/Thionville/Metz, Marsiglia/Aix, Lilla/Roubaix/Tourcoing, Bordeaux, Nantes/Saint-Nazaire, Strasburgo, Tolosa, appunto per contrappesare l'egemonia della capitale); la strategia per la riorganizzazione delle aree rurali, attraverso la formazione di una rete organica di poli urbani, sufficientemente dotati dei vari servizi che generalmente sono reperibili nelle medie e grandi città; la strategia per la promozione delle regioni occidentali, relativamente depresse. Due progetti territoriali di grande importanza sono stati avviati, rispettivamente nel 1955 e nel 1962, nelle regioni mediterranee francesi. Il primo riguarda lo sviluppo del Basso Rodano, del Languedoc e del Roussillon. Esso comprende sia interventi di carattere idraulico nell'entroterra (irrigazione delle zone aride, dal Comtat-Venaissin al Roussillon), sia la valorizzazione della costa, dove sono previsti insediamenti turistici per una capacità complessiva di 300.000 persone. Il secondo riguarda il complesso portuale e industriale del golfo di Fos, a 40 km da Marsiglia, destinato a ospitare grandi impianti petrolchimici e siderurgici.
Paesi Bassi. - In una nazione di così ristrette dimensioni (12 milioni di persone su 30.000 km2) si attua una delle più straordinarie operazioni di pianificazione territoriale: la bonifica dei polder. Le prime battaglie degli Olandesi per il recupero di terreno dal mare risalgono alla fine del Medioevo: si prosciugano piccoli specchi d'acqua sfruttando la forza dei mulini a vento. Nel 1852 si recuperano i 20.000 ettari dell'Harlemermeer. Nel 1891 si redige il piano generale della bonifica comprendente i 5 grandi polder di Wieringermeer (20.000 ha), Flevoland orientale (54.000 ha), Polder del nord-est (48.000 ha), Flevoland meridionale (44.000 ha), e Markervaard (50.000 ha). La grande diga che separa l'Ijssel Meer dal Mare del Nord è completata nel 1932. Gli obiettivi generali dell'operazione si possono riassumere come segue: a) accrescere la produzione agricola, aumentando la superficie coltivabile; b) ridurre lo sviluppo della linea costiera e di conseguenza il pericolo di inondazioni; c) ridurre la distanza interna tra le varie province dei Paesi Bassi; d) consentire l'insediamento di varie centinaia di migliaia di abitanti, evitando che gli effetti del progressivo esodo rurale e dell'incremento demografico gravino eccessivamente sulle maggiori conurbazioni. I primi tre dei polder summenzionati sono oggi totalmente bonificati, canalizzati, equipaggiati di infrastrutture e servizi; ospitano una popolazione in rapido accrescimento in parte distribuita in zone agricole, in parte concentrata in nuovi villaggi e nuove città come Emmelord, Dronten, Lelystad. I lavori per la bonifica del Flevoland meridionale e di Marketwaard saranno probabilmente compiuti entro il 1980. L'intera operazione è condotta nel quadro di un piano territoriale assolutamente completo e dettagliato, comprendente tutti i sistemi di attività e i tipi di uso del suolo, dalle colture agricole alle infrastrutture, agli edifici, dagl'impianti industriali ai centri residenziali e di servizio.
Questa grandiosa opera non è l'unico obiettivo di una politica del territorio nei Paesi Bassi. Si compiono notevoli sforzi per attenuare la sperequazione dei pesi demografici rispettivamente nella porzione a sud e nella porzione a nord della linea Alkmaar-Arnhem (9 milioni a sud, con una densità di 900 abitanti/km2; 3 milioni a nord, con una densità di 300 abitanti/km2). Al tempo stesso ci si adopera per conservare alla massima conurbazione del paese (che raggruppa Rotterdam, L'Aia, Haarlem, Amsterdam e Utrecht) quella forma falcata che consente di evitare l'espansione a macchia d'olio e di salvaguardare una preziosa e vasta area verde nel cuore del complesso. Un grande progetto territoriale riguarda l'espansione della regione del Delta a S di Rotterdam (bacino zelandese della Schelda), con la formazione di un importante polo industriale. Successivamente, un analogo programma sarà attuato nella regione di Groninga, con il porto sull'Ems, che ricade nella parte meno sviluppata del paese. Tutte queste iniziative rientrano ovviamente nel quadro di uno schema generale unitario che ha carattere ufficiale. Lo schema attualmente in vigore ha come orizzonte l'anno 2000. Il governo dirige e controlla gli sviluppi territoriali attraverso il Raad voor de Ruimtelijke Ordering, un comitato che raggruppa più di metà dei ministri, e attraverso il Rijksplanologische Dienst, organo del ministero dell'habitat e della p. territoriale. Tuttavia la nozione di "piano territoriale nazionale" è stata abbandonata, nel 1965, in favore della nozione, più flessibile, di "politica nazionale", lasciando maggiore spazio alla gestione locale del territorio.
Stati Uniti d'America. - Nonostante le profonde radici culturali che la filosofia del regional planning affonda in America, e nonostante la posizione di avanguardia degli studi teorici americani nel settore, la p. t. non si presenta negli Stati Uniti come una pratica organica e generalizzata, né come una componente sostanziale dell'attività del governo federale. Una ripresa, a distanza di decenni, di un'azione sistematica e comprensiva come quella della Tennessee valley authority può riconoscersi nella recente istituzione delle Regional commissions. La più nota di queste è quella per la regione Appalachia, formata nel 1965. Essa agisce su di una vasta area geografica che comprende (in parte, o interamente) ben 13 stati, e una popolazione complessiva di oltre 17 milioni di abitanti. Nell'intera regione prevale una situazione di depressione socio-economica di tale gravità da richiedere uno sforzo congiunto di investimenti, per la realizzazione di importanti programmi pubblici plurisettoriali, nella cui realizzazione le amministrazioni statali dovranno in qualche modo associarsi tra loro e con l'amministrazione centrale. Più in generale, la questione delle aree depresse negli Stati Uniti è affrontata a livello del governo federale (Economic development administration del Dept. of commerce) più in termini di aiuti finanziari che in termini di veri e propri piani e programmi regionali. I finanziamenti, beninteso, si concretano poi, in gran parte, in servizi pubblici, scuole, ospedali, strade e altre infrastrutture che incidono sul territorio in modo sostanziale. La strategia dei poli di sviluppo (economic development centers) è ufficialmente accettata: tuttavia, nell'applicazione, essa si scontra con la difficoltà politica di privilegiare talune località, e tende quindi a essere vanificata a causa di un'eccessiva proliferazione dei poli. Altre aree speciali, in cui è possibile riscontrare iniziative interessanti, in termini di p. t. globale, sono quelle dotate di elevate caratteristiche ambientali, come coste, montagne, deserti, laghi, siano esse o no suscettibili di valorizzazione turistica. La spinta a queste iniziative deriva soprattutto dal grande movimento ecologico che si è affermato al finire degli anni Sessanta. Di norma, tuttavia, i grandi interventi sul territorio consistono in progetti specifici e settoriali (viabilistici, idraulici, energetici, portuali), la cui concezione riflette la logica del disjointed incrementalism, ossia una prassi episodica di decisioni ad hoc, piuttosto che un disegno unitario. Se esistono dei documenti di piano, essi hanno raramente un carattere prescrittivo, e sono piuttosto utilizzati come basi di riferimento per la previsione delle tendenze o per la condotta di operazioni concertate tra enti diversi attraverso accordi volontari. Recentemente, l'esigenza di un attacco più efficace ai problemi dello squilibrio geografico è espressa nell'Housing and urban development act, del 1970. Si rileva, in esso, che la rapida crescita della popolazione urbana, e l'espansione delle città negli Stati Uniti, insieme con il declino della popolazione rurale, con la più lenta crescita nelle aree exstraurbane, e col fenomeno migratorio verso le città, ha creato uno squilibrio tra le esigenze e le risorse della nazione, e una seria minaccia all'ambiente fisico; si rileva inoltre che lo sviluppo economico e sociale della nazione, l'appropriata conservazione delle risorse naturali e il raggiungimento di soddisfacenti standard di vita, dipendono da un più ordinato, razionale ed equilibrato sviluppo di tutte le aree del paese. Dal medesimo Housing and urban development act prende le mosse il programma per le new communities (una versione americana, e profondamente modificata del programma britannico per le new towns), che potrà forse costituire uno strumento significativo di politica territoriale negli SUA nel prossimo avvenire, ma che per ora è stato sospeso dal governo federale.
Italia. - Le esigenze di un generale riordinamento del territorio si sono manifestate in Italia con crescente urgenza a partire dall'ultimo dopoguerra. Già la legge urbanistica del 1942 prevedeva i piani territoriali di coordinamento (cfr. piano regolatore: Piano di coordinamento territoriale, App. II, 11, p. 544), soprattutto intesi, appunto, a coordinare gl'interventi pubblici infrastrutturali e i piani regolatori comunali (cfr. urbanistica, in questa Appendice).
L'applicazione di questi dispositivi fu peraltro molto limitata. In corrispondenza a certe grandi aree metropolitane (Torino, Milano, Roma) si tentò di garantire alla p. urbanistica una nuova dimensione operativa attraverso un altro strumento: il piano intercomunale, anch'esso previsto dalla stessa legge. Tali iniziative risultarono fruttuose in termini di approfondimento tecnico-scientifico; peraltro i progetti di piano intercomunale si dimostrarono di difficile gestazione politico-amministrativa, e raramente giunsero alle soglie dell'adozione. Più concretamente, la p. t. veniva intanto affermandosi come una componente basilare della politica regionale italiana, e, in particolare, del programma di interventi straordinari per lo sviluppo del Mezzogiorno (piano di rinascita della Sardegna; piano di sviluppo economico della Campania; piano di sviluppo economico della Calabria; piano quinquennale per lo sviluppo economico e sociale della Sicilia: tutti elaborati negli anni Cinquanta). La strategia dei poli di sviluppo industriale nelle aree meridionali (aree industriali e nuclei d'industrializzazione) fu realizzata sulla base di strumenti urbanistici aventi il carattere e l'efficacia di piani territoriali.
Al principio degli anni Sessanta (1964), nel quadro del progetto del primo programma di sviluppo economico per il quinquennio 1965-69, la programmazione economica regionale ricevette nuovo impulso (con l'istituzione degli appositi comitati, CRPE), e, con essa, fu rilanciata la p. t. articolata secondo le 20 regioni amministrative che compongono il territorio nazionale. Nel contesto dei lavori per il secondo piano quinquennale di sviluppo economico nazionale (1971-78) fu elaborato, nel 1969, uno studio programmatico generale, il cosiddetto "progetto 80" (ossia riferito all'orizzonte temporale del 1980), le cui proiezioni territoriali costituiscono una specie di schema geografico esteso all'intero paese. Il progetto 80 propone un'organizzazione funzionale basata su di un mosaico di 30 "sistemi metropolitani", ognuno dei quali comprendente uno o più nuclei urbani di primaria importanza e la relativa area d'influenza, per una popolazione complessiva di almeno un milione di abitanti, strutturati e gestiti in modo da assicurare a ciascun residente un'ampia disponibilità e varietà di posti di lavoro, una completa dotazione di attrezzature e di servizi di ogni livello, e ampie opportunità ricreative a non più di un'ora di viaggio dalla propria abitazione.
Dal 1972 gran parte dei poteri, in materia di urbanistica e di altre funzioni integranti la p. t., è passata dal governo centrale alle regioni amministrative, ciascuna delle quali ha impostato in modo autonomo il rapporto tra programmazione economica e p. territoriale. Agli organi centrali dello stato rimangono la competenza in materia d'indirizzo, di coordinamento, di realizzazione di infrastrutture d'interesse nazionale (reti stradali e ferroviarie fondamentali, porti, aeroporti). Dall'iniziativa del governo centrale dipendono inoltre ventuno "progetti speciali" di sviluppo regionale ricadenti in altrettante aree del Mezzogiorno.
Paesi dell'Europa orientale. - La p. t. s'inserisce organicamente nel metodo della programmazione, che costituisce il fondamento della gestione dell'intero sistema economico. Inoltre la realizzazione dei piani è in questi paesi più immediata, sia perché la massima parte degl'interventi significativi sul territorio, compresi i quartieri residenziali, i centri commerciali e gl'impianti industriali, si compiono attraverso progetti e investimenti pubblici, sia perché il regime dei suoli esclude la maggior parte delle remore derivanti, in altri paesi, dal prevalere della proprietà privata. Infine, la struttura politico-amministrativa nazionale, fondata sul principio del centralismo democratico, consente di strutturare in maniera meno problematica i rapporti gerarchici decisionali, di coordinamento, e di subordinazione tra i diversi livelli geografici dell'amministrazione territoriale, e tra i diversi organismi preposti ai diversi settori economici.
Unione Sovietica. - Rappresenta un esempio tipico di organizzazione sistematica della p. nei paesi socialisti. L'importanza essenziale della componente territoriale (teritorialnoie planirovaniie) è già riconoscibile nel primo programma quinquennale, del 1929 (GOERLO). Da quell'epoca a oggi sono stati portati a termine grandiosi progetti di sviluppo regionale.
Il problema centrale rimane quello dell'equilibrio produttivo tra le due grandi zone economiche: l'Ovest, comprendente la Russia europea e gli Urali, e l'Est, comprendente la Siberia, l'Estremo Oriente, il Kazakistan, e le repubbliche dell'Asia centrale. L'Ovest accoglie, oggi, tre quarti della popolazione nazionale e quasi quattro quinti degl'impianti industriali e del prodotto agricolo. È però nell'Est che si trovano i grandi spazi utilizzabili, e le più cospicue ed economiche riserve di materie prime, di carburanti, di risorse idriche. Lo sfruttamento di questo potenziale in tanto remote regioni è strettamente connesso alla creazione in sito di importanti complessi industriali e agricoli (date le enormi distanze, il trasporto dei materiali grezzi, di carburanti, di energia fino alle regioni occidentali, di sviluppo tradizionale e consolidato, risulterebbe antieconomico); e questi grandi impianti comportano lo sviluppo di nuovi e organici sistemi d'insediamento umano.
Eccezionale è stato lo sforzo per creare nuove città: più di 800 realizzate a partire dal giorno dell'instaurazione del regime sovietico. In generale la responsabilità delle direttive inerenti agl'interventi territoriali è riservata al governo centrale. Ai fini della programmazione, l'area del paese è divisa in 18 grandi regioni economiche, i cui confini travalicano quelli delle singole repubbliche. In maniera più o meno accentuata (a seconda dell'epoca), le responsabilità esecutive sono state delegate alla periferia. Dal 1957 in poi si è avuta una graduale proliferazione di enti di programmazione regionale. A questo ruolo rispondono i sovnarkhozi, o consigli economici territoriali, costituiti inizialmente nel numero di 103, e poi ridotti a 47. A livello locale agiscono organi di programmazione di rango via via minore: obplan, gorplan, rayplan. Vige un rigoroso sistema gerarchico che subordina l'attività di ogni organo decisionale alle direttive dei due organi (l'uno territoriale, l'altro settoriale), che occupano il livello immediatamente superiore, rispettivamente per ampiezza dell'area di competenza geografica, e per autorità economica specifica. Il sistema si estende dal più piccolo consiglio del popolo locale fino al Gosudarstvennyi Planovyi Komitet (GOSPLAN), il quale ultimo dipende direttamente dal Consiglio dei ministri.
Polonia.- È probabilmente il paese in cui la p. t. ha raggiunto il massimo grado di maturità, sia sul piano teorico, sia sul piano operativo. Già prima della guerra (a partire dal 1930) la necessità di studi di programmazione regionale è stata riconosciuta, e importanti progetti erano stati elaborati per le regioni di Varsavia, di Łodź, per il bacino carbonifero della Slesia superiore, per la regione costiera e portuale di Gdańsk e Gdynia, e per le zone pedemontane dei Tatra (Podhale). Undici commissioni di p. lavoravano su almeno il 40% del territorio, e operava un ufficio nazionale di pianificazione. Nel primo dopoguerra (1947-49) fu stabilito un primo organigramma sistematico per la pianificazione del territorio: furono istituiti 14 uffici regionali, uno per ciascuna provincia, subordinati all'ufficio centrale per la Pianificazione fisica. L'attività di p. t. si estese a nuove regioni, quali il distretto carbonifero di Wałlbrzych nei sudeti, e la regione metropolitana di Cracovia, nonchḫ a progetti sperimentali per varie zone agricole. La convergenza della p. t. con la programmazione economica si matura dal 1950 in poi. Abolito l'ufficio centrale per la Pianificazione fisica, tutta la responsabilitމ si concentra nella Commissione statale per la Pianificazione economica. Ai progetti giމ avviati si aggiungono nuove iniziative per la regione di Zulawy, il Bacino dello Staropolskie. In questi anni s'intensifica la ricerca scientifica in materia di p. t., raggiungendo livelli di assoluto prim'ordine. Il metodo si estende anche alla p. a scala nazionale e internazionale (estesa ai paesi del COMECON). Dalla legge per la p. spaziale del 1961 risultano chiaramente gli elementi di organicitމ raggiunti in Polonia nel settore: la completa compenetrazione di p. economica e p. fisica, la corrispondenza funzionale tra articolazione del programma e ripartizioni geografico-amministrative, l'omogeneitމ del metodo e la razionalitމ dei rapporti tra i vari organi e i vari livelli decisionali, nonchḫ quella dei rapporti tra piani esecutivi a breve termine, piani a medio termine, e prospettive a lungo termine. La Polonia offre oggi un ampio repertorio di piani territoriali di vario tipo e dimensione, esemplarmente elaborati, coerenti e sistematicamente relazionati tra loro, e in via di progressiva attuazione: dai piani per le 6 "macroregioni" economiche in cui ę suddiviso il paese (importanti tra gli altri: quello della regione di Gdańsk-Gdynia, Szcecin-Świnoujście, Kozalin, che abbraccia zone costiere cantieristiche e portuali, e complessi industriali dell'entroterra; e quello della macroregione di Katowice-Cracovia-Opole, inteso alla soluzione di problemi d'insediamento abitativo e di approvvigionamento idrico legati allo sviluppo industriale del bacino carbonifero), ai piani sub-regionali di dettaglio, di natura più tradizionalmente urbanistica, ai piani territoriali speciali, concernenti obiettivi di particolare importanza in talune zone, quali lo sfruttamento delle risorse minerarie (il bacino del Rybnik, il distretto minerario di Konin-Łęczyca, di Tarnobrzeg, di Turoszów, di Legnica-Głogów), l'ordinato sviluppo delle grandi città e dei grandi centri industriali (Varsavia, Łódź, Cracovia-Nowa Huta, Szcecin-Świnoujście, Wrocław, il Bacino della Slesia superiore), lo sviluppo di nuovi complessi produttivi (sulla Vistola, nella regione di Kielce), la promozione di aree arretrate (la regione di Krupie) di sperimentazione e di ristrutturazione agraria (la zona del canale Wieprz-Krzna, il distretto di Pyrzyce e il delta della Vistola), la valorizzazione turistico-ricreativa (i monti Tatra, la valle di Dunajec, la valle di Poprad, i monti Karkonosze, i laghi Masuri).
Cecoslovacchia. - Anche qui l'insieme dei piani regionali tende a coprire sistematicamente l'intero territorio nazionale. Nella zona dei monti Karkonosze e degli Alti Tatra sono in esecuzione piani territoriali a scopo turistico-ricreazionale. Le regioni industriali dei bacini carboniferi di Ostrava e della Boemia del Nord sono oggetto di progetti organici che includono difficili problemi di approvvigionamento idrico ed energetico.
Romania. - È di particolare interesse il piano territoriale del Bacino del Mures superiore, che affronta i problemi della ristrutturazione insediativa in una zona soggetta a catastrofiche inondazioni.
Iugoslavia. - Ha sviluppato importanti progetti lungo la costa: il progetto per lo Juzni Jadran (Adriatico meridionale) e successivamente quello per il Sjeverni Jadran, per incentivare ed estendere la valorizzazione turistica interessando anche le zone agricole dell'immediato entroterra.
Paesi in via di sviluppo. - In questi paesi la p. t. sta assumendo un ruolo crescente. Importanti progetti multisettoriali e di notevole estensione geografica sono in corso di attuazione soprattutto nell'ambito di grandi bacini fluviali: per es. il Río Dulce, il Río Negro, in Argentina; il Paraná-Uruguay in Brasile; la valle di Peshavar nel Bangladesh (fiume Indo), il bacino del Tugela nel Natal (Sud-Africa), o la Nubia (Egitto); oppure in zone colpite da catastrofi naturali, distruzioni belliche, sconvolgimenti conseguenti alla realizzazione di grandiosi impianti idraulici, ovvero in regioni vergini destinate alla colonizzazione.
Spesso la realizzazione di sistematici programmi multisettoriali in questi paesi comporta notevoli difficoltà, dovute alla scarsità dei capitali, all'esigua disponibilità di personale specializzato (e che difficilmente può essere distaccato dalla città capitale per lavorare nelle zone operative), oltre che a frequente instabilità politica e disordine amministrativo. In alcuni casi si realizza una cooperazione tecnico-economica bilaterale con paesi più avanzati, o attraverso organismi internazionali quali le Nazioni Unite (United Nations development program; United Nations centre for housing building and planning, ecc.) e la Banca mondiale. I programmi hanno in genere le migliori possibilità di attuazione là dove esiste un'articolazione regionale della politica economica nazionale (per es., India, Pakistan, Nigeria, Malesia, Libano, Tunisia, Senegal, Congo, Sudan, Messico, Chile), o dove organismi appositi presiedono allo sviluppo di singole regioni (per es., la Damodar Valley Corporation, in India, la Corporación Venezolana de Guyana, la Superintendência do Desenvolvimento do Nordeste, SUDENE) e le organizzazioni per lo sviluppo della Valle Amazonia, della valle di San Francisco, e dell'estremo sud (CODESUL) in Brasile; le Corporaciones Autónimas operanti in varie regioni della Colombia, la Commissione per lo sviluppo del bacino del Papaloàpan in Messico, ecc.
Israele. - È opinabile la collocazione d'Israele tra i paesi in via di sviluppo. Comunque sia, questo piccolo paese oggi è sede di esperienze estremamente interessanti. Alla data della creazione dello stato, il sistema insediativo era caratterizzato dal netto contrasto tra lo sviluppo delle tre metropoli, Tel-Aviv, Gerusalemme, Haifa, nelle quali si era venuto concentrando il 68% della popolazione ebraica, e la disseminazione di villaggi rurali arabi per lo più arroccati nelle zone collinari dell'interno. Il problema dell'accoglimento di un grosso e continuo flusso migratorio, dal 1948 in poi, impose una radicale ristrutturazione del sistema, che evidentemente non avrebbe avuto la capacità richiesta. Gli obiettivi posti a base della formulazione di un nuovo schema si possono così riassumere: la colonizzazione insediativa delle regioni a bassa densità (riequilibrio geografico dello sviluppo); l'occupazione delle zone di frontiera (di significato politico e strategico); la valorizzazione delle regioni desertiche nella parte meridionale del paese, ricche di risorse minerarie; la formazione di un sistema gerarchico di centri urbani, ben calibrati, e ben distribuiti nello spazio. La colonizzazione programmata, e la potenziale indifferenza localizzativa degl'immigrati consentirono in Israele di portare avanti uno schema a scala nazionale in termini di eccezionale coerenza. In particolare, la rete gerarchizzata degl'insediamenti fu realizzata secondo un'applicazione quasi letterale degli schemi prodotti in sede teorica dalla moderna scienza regionale, dando all'intera operazione un interesse sperimentale senza eguali al mondo. Nel quadro della realizzazione del programma, un ruolo importante è quello delle "città di sviluppo", sia nuove, sia basate su nuclei antichi, come Beer-Sheva, Akko, Zefat. Non meno interessante la formazione di comunità insediative di tipo originale, come i kibbutzim (insediamenti collettivi), i moshavim (villaggi cooperativi) e i meshek shitufi (assimilabili al kolkhoz sovietico). La politica territoriale israeliana va gradualmente raggiungendo i suoi obiettivi. È allo studio uno schema di sviluppo nazionale che considera una previsione di cinque milioni di abitanti per il 1992.
Cina. - È, ovviamente, un caso del tutto particolare. In generale il processo di trasformazione che, secondo precise direttive politiche, nel corso degli ultimi decenni ha investito questo immenso paese, ha avuto necessariamente importanti riflessi sulla struttura del territorio: un territorio caratterizzato da estreme disparità geografiche, soprattutto macroscopica quella tra la metà orientale, la Cina tradizionalmente intesa, demograficamente importante, economicamente sviluppata e ben dotata di infrastrutture, e, di contro, le vastissime regioni occidentali, comprendenti ampie fasce di frontiera, scarsamente insediate, in parte vergini, in parte addirittura inaccessibili (Tibet, Sinkiang, Mongolia interna), le cui ricchissime risorse minerarie sono appena in via di prima ricognizione. A est, e particolarmente lungo la costa (ove è situato il 70% dell'industria del paese) e segnatamente nelle regioni dei delta dei grandi fiumi (Yangtze, Chu Chiang) si superano densità territoriali di 500 abitanti per km2. Cinque sole province, gli sheng di Hopeh, Howan, Shantung, Kiangsu, Ahnwei, raggruppano un terzo della popolazione cinese sull'8% della superficie nazionale. Nelle vastissime regioni occidentali e nei territori di frontiera, invece, si scende al di sotto della media di un abitante per km2. Qui meno del 2% della popolazione totale vive su quasi la metà del territorio. La struttura insediativa, originariamente caratterizzata dal sistema dei villaggi agricoli compatti, connessi da una rete capillare di canali navigabili, fondamentale per una popolazione ancora radicata per oltre l'80% nelle aree rurali, ha subìto notevoli modificazioni durante il programma d'industrializzazione svolto nel quadro del primo piano quinquennale (1953-57), e attuato sostanzialmente attraverso grandi progetti settoriali, strategicamente localizzati. L'urbanizzazione ha assunto un ritmo sostenuto, che si è protratto anche negli anni successivi. Il numero di città con popolazione superiore al milione di abitanti è passato da 9 a 21 tra il 1953 e il 1970. In molte di queste, come la stessa Pechino, Dairen, T'ai-yüan, l'incremento demografico ha mantenuto valori elevati rispetto alle metropoli di analoga dimensione nel cosiddetto mondo occidentale. All'epoca del "grande balzo in avanti", nel quadro del rilancio dell'agricoltura, risale la formazione delle comuni popolari, la politica delle piccole industrie, e in generale una tendenza al frazionamento e alla dispersione territoriale degl'investimenti e all'autosufficienza locale, in contrasto con la strategia dei poli di sviluppo e delle aree forti precedentemente perseguita. Questi indirizzi si ritrovano tuttora, sia pure con modificazioni importanti, al di là del tormentato periodo della rivoluzione culturale, e degli esperimenti compiuti in quella circostanza. L'obiettivo della valorizzazione dei territori poco sfruttati è stata perseguita senza interruzione (anche se con varia intensità e con alterni successi) dal governo della Cina popolare. Grandi estensioni sono state rimboschite. Enormi regioni sono state trasformate attraverso imponenti opere idrauliche, integrate da una miriade di interventi minori attuati con metodi tradizionali dalle brigate degli stessi villaggi agricoli. Negli anni Settanta si rileva, in Cina, l'intensificarsi di una politica territoriale rivolta alla promozione delle regioni sottosviluppate nord-occidentali e sud-occidentali, e in particolare delle zone di frontiera con l'URSS. Qui soprattutto si trovano le nuove linee ferroviarie e le più recenti costruzioni stradali. Alcune importanti città industriali, tra le quali, per es., Lan-chou, Pao-t'ou, Urumchi, localizzate in regioni scarsamente insediate, si sono sviluppate rapidamente; nuove città come Karmo, Shi-ho-tze, Sze-chuan-ho, sono state impiantate con successo in zone remote. Si riconosce in questa azione il disegno di uno sviluppo integrale e complessivo, che interessa non solo l'insediamento di famiglie di coloni, ma altresì quello di giovani quadri intellettuali, tecnici e scientifici, e che si fonda su criteri e obiettivi di vario ordine: economici, sociali, politici e strategici.
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