PIANETI (v. pianeta, XXVII, p. 103; anche solare, sistema, XXXII, p. 39; App. II, 11, p. 856)
Le conoscenze di planetologia si sono enormemente ampliate negli ultimi anni grazie soprattutto all'impiego delle sonde spaziali ma anche di sensibili tecniche di osservazione da Terra. All'eccezionale impegno nelle ricerche sperimentali ha corrisposto un rinnovato interesse per studi di carattere anche teorico.
Origine. - Le teorie correnti sull'origine dei p. si basano sull'ipotesi, che risale a Laplace, della condensazione della cosiddetta nebulosa primitiva, il cui attuale grado di elaborazione consente il confronto del modello analitico con alcuni dati sperimentali. Secondo tale ipotesi, circa 5 miliardi di anni fa al posto del sistema solare esisteva una nebulosa costituita da gas e polvere. A causa di un processo di collasso gravitazionale la nube si sarebbe ridotta alle dimensioni di un disco di raggio circa 6 • 109 km, con una massa dell'ordine di qualche massa solare. Per effetti radiativi, il materiale del disco si sarebbe riscaldato raggiungendo temperature, al centro, di circa 2200 °K, sufficienti per la completa vaporizzazione, e decrescenti verso l'esterno.
In una fase successiva di raffreddamento gli elementi vaporizzati si sarebbero nuovamente condensati. I materiali con alto punto di fusione, come i refrattari, sarebbero stati i primi a condensare, seguiti da leghe del tipo Fe-Ni, e successivamente da ossidi e solfuri di Fe. Col procedere del raffreddamento condensavano i materiali a più basso punto di fusione, come, per es., H2O, NH3, CH4. I diversi effetti delle forze di pressione e gravitazionale avrebbero determinato uno spostamento dei grani più pesanti verso il centro del disco. Pertanto le "pietre" elementari così formate avrebbero avuto una composizione variabile a seconda della loro distanza dal centro della nebulosa: le pietre più vicine al centro costituite essenzialmente da materiali refrattari, le più lontane costituite da ghiacci di H2O, NH3, ecc. Quando queste pietre si sarebbero aggregate per formare i p., la composizione di questi sarebbe dipesa dalla loro distanza dal centro della nebulosa, cioè dal Sole.
Questa differenza nella composizione dei p. si riflette sulla loro densità. Mercurio ha una densità di 5,4 g cm-3, che suggerisce come leghe del tipo Fe-Ni debbano costituire il 60 ÷ 65% della sua massa. L'ipotesi della condensazione spiega anche perché la densità della Terra sia leggermente più alta di quella di Venere. La Terra si sarebbe formata in una zona della nebulosa che doveva trovarsi a circa 600 °K: questa temperatura rappresenta la soglia per la formazione di solfuri di Fe, che sono quindi contenuti con ogni probabilità nel nucleo della Terra e non in Venere, formatasi a una temperatura più alta. La condensazione spiega anche l'arricchimento in H2O: così mentre Venere in pratica non ne contiene, la Terra ha un contenuto dello 0,05% e Marte circa 6 volte tanto. Questo fatto ha una notevole influenza sulla composizione ed evoluzione delle atmosfere planetarie.
Nell'ipotesi della nebulosa primitiva, possono essere inquadrati tutti i p. terrestri (Mercurio, Venere, Terra, Marte). La formazione dei due maggiori p., Giove e Saturno, la cui composizione è simile a quella solare, richiede ipotesi più complesse, quali l'esistenza di un nucleo di notevole massa capace di catturare parte del gas della nebulosa rimasto dopo la formazione del Sole.
Dinamica. - Mediante l'impiego di potenti radar è stato possibile misurare con precisione le velocità di rotazione dei p. terrestri. In particolare, per Mercurio è stata messa in evidenza una relazione tra il periodo di rivoluzione intorno al Sole (88 giorni) e il periodo di rotazione (59 giorni), per cui l'uno è 2/3 dell'altro. Pertanto Mercurio ruota esattamente tre volte mentre percorre due volte la sua orbita intorno al Sole. Tale effetto di accoppiamento tra rotazione e rivoluzione è simile a quanto avviene per la Luna, in cui però i periodi di rotazione e rivoluzione coincidono, ed è dovuto alla progressiva azione di rallentamento delle forze mareali che determina finalmente un effetto di bloccaggio a causa delle asimmetrie nella distribuzione delle masse.
Per Venere si è misurato il periodo di rotazione della parte solida (243 giorni, senso retrogrado), che è risultato molto diverso da quello dello strato di nubi che rendono la superficie otticamente invisibile (circa 4 giorni, senso retrogrado, v. oltre).
Anche nel caso di Venere le osservazioni suggeriscono un accoppiamento dinamico tra rivoluzione e rotazione tale che alla congiunzione inferiore, cioè quando Venere si trova tra il Sole e la Terra, essa presenterebbe alla Terra sempre la stessa faccia.
Geologia e costituzione interna. - L'esplorazione da parte di sonde automatiche conferma che la superficie dei p. è stata sottoposta a un intenso bombardamento meteorico. È probabile che questo intenso flusso meteorico si sia verificato nei primi 600 milioni di anni del sistema solare. Tale limite temporale sulla durata del bombardamento si basa sull'ipotesi che la storia della Luna e dei p. sia analoga. Sulla Luna i mari (che sono il risultato di effusioni laviche) hanno un'età minima di circa 3,3 miliardi di anni; sui mari i crateri sono particolarmente scarsi, evidenziando così il fatto che il bombardamento è fortemente diminuito dopo quell'epoca.
Subito dopo la loro formazione i p. avrebbero subìto una completa differenziazione. La differenziazione di un p. si ritiene dovuta alla stratificazione a seconda del peso dei vari minerali che lo costituiscono, che si verifica in seguito al riscaldamento e fusione o comunque plastificazione del pianeta. Il calore di fusione può derivare sia dall'energia gravitazionale di formazione in eccesso sia dal decadimento di materiali radioattivi.
La separazione gravitazionale porta a mantelli planetari essenzialmente costituiti da silicati e a nuclei metallici; si ritiene generalmente che i basalti superficiali di origine vulcanica derivino dalla fusione del materiale che costituisce il mantello.
Misure gravitazionali , di precisione su Marte indicano la presenza di un nucleo metallico. Per Mercurio la presenza di un nucleo metallico è rivelata dal suo campo magnetico. Oltre a questa differenziazione si ha ragione di ritenere che almeno Marte e Mercurio abbiano subìto intensi movimenti della crosta e nel caso di Marte estesi fenomeni di erosione.
La superficie di Mercurio si presenta simile a quella della Luna, cioè quasi completamente saturata da crateri e colate laviche (fig. 1). Una singolare caratteristica di Mercurio è la presenza di scarpate lunghe centinaia di km che fratturano la crosta del pianeta. Queste fratture sono probabilmente il risultato del raffreddamento e della contrazione del nucleo metallico e indicano che per questo p. i processi di differenziazione dopo la formazione sono stati abbastanza limitati.
Su Venere l'esistenza di rilievi continentali suggerisce una certa attività tettonica. La presunta assenza di elementi volatili come il vapor d'acqua fa pensare che tale attività sia limitata.
Le fotografie riprese dal Mariner 9 e dal Viking Orbiter hanno in un certo senso risollevato il problema dei canali di Marte: esse mostrano numerosi canali naturali che somigliano a letti asciutti di corsi d'acqua dovuti a erosione fluida, quasi certamente da H2O (figg. 2 e 3). Presumibilmente questi canali testimoniano di un clima passato più mite e di una pressione atmosferica più elevata.
Marte, come Mercurio e la Luna, ha una superficie assai accidentata con numerosi crateri di origine meteorica. La presenza di una tenue atmosfera ha alquanto modificato l'aspetto della superficie soprattutto attraverso l'azione dei venti che spostano enormi quantità di sabbia sulla superficie marziana. Questi movimenti sabbiosi possono verificarsi su scala globale durante le grandi tempeste di sabbia che spazzano il pianeta.
Insieme con i crateri di origine meteorica Marte conserva ancora crateri di origine vulcanica, il più grande dei quali (Olympus Mons) ha un diametro alla base di quasi 600 km. Alcuni di questi vulcani sono allineati, suggerendo, come sulla Terra, l'esistenza di definite piastre tettoniche. Sembra comunque che anche su Marte l'attività tettonica sia stata abbastanza scarsa e attualmente praticamente inesistente.
Così come per l'origine, anche per quanto riguarda la costituzione interna, i p. gioviani pongono problematiche assai diverse, per le quali esistono comunque pochi dati.
Una caratteristica importante di Giove, è che (com'è stato confermato dalle sonde Pioner 10 e 11) il p. emette più energia di quanta ne riceva dal Sole. È probabile che ciò derivi dalla conversione di energia gravitazionale potenziale in calore e che in pratica Giove si stia ancora contraendo, a una velocità stimata di 1 mm/anno. È probabile che Giove sia essenzialmente costituito da idrogeno ed elio. A causa delle altissime pressioni cui questi gas sono sottoposti all'interno del p., gli stati di aggregazione varierebbero andando verso l'interno, e l'idrogeno potrebbe esistere allo stato liquido o addirittura solido.
Al crescere della profondità e conseguentemente della pressione l'idrogeno viene ionizzato e si comporta come un conduttore. È difficile dire a quale profondità questo avvenga perché le condizioni di pressione e temperatura all'interno di Giove sono tali che le normali equazioni di stato della termodinamica non sono applicabili. Si può stimare che ciò accada a una profondità di 24.000 km. Giove ha probabilmente un nucleo roccioso.
Osservazioni radio dalla Terra e misuiazioni dalla sonda Pioner 10 hanno messo in evidenza l'esistenza di una magnetosfera gioviana, cioè di un intenso campo magnetico (circa 10.000 volte più intenso di quello terrestre), di una zona di elettroni di alta energia intrappolati, e di forti emissioni elettromagnetiche, le cui caratteristiche dipendono anche dalla posizione del satellite Io.
Giove ha infatti 13 satelliti noti, i più interni dei quali presentano delle caratteristiche interazioni con la magnetosfera gioviana. In particolare, il più intermo dei satelliti, Io, ha un notevole effetto di modulazione sulle emissioni decametriche. Io possiede una propria atmosfera e una ionosfera.
Atmosfere. - Mercurio: i dati più recenti su Mercurio forniti dai ripetuti passaggi del Mariner 10 confermano l'assenza di atmosfera, il che ha importanti implicazioni sulle teorie evolutive delle atmosfere.
Venere: la coltre di nubi che ricopre Venere è stata un ostacolo notevole per lo studio delle proprietà della sua atmosfera. Solo nel 1967 la sonda Venera 7 forniva i primi dati diretti sulla composizione; questi confermavano che l'atmosfera di Venere è estremamente densa. La temperatura alla base dell'atmosfera è di 600 °K e la pressione attorno alle 90 atmosfere. Nei primi 50 ÷ 60 km la temperatura diminuisce con la quota in modo simile a quanto avviene nella troposfera terrestre, indicando come l'andamento di temperatura in questa regione sia determinato da moti convettivi. Alla base delle nubi, cioè attorno a 65 km, la temperatura diminuisce più lentamente.
L'alta temperatura alla superficie di Venere rappresenta un interessante problema. Una possibilità è che l'alta densità dell'atmosfera, quasi interamente composta di CO2, comporti l'assorbimento completo della radiazione infrarossa proveniente dalla superficie. Calcoli più recenti dimostrano qualche difficoltà con questo modello soprattutto per la scarsità di vapor d'acqua. Un altro modello suppone che esista una gigantesca cella di convezione che trasporti calore dalla cima delle nubi (dove viene assorbita la luce solare) al suolo. Questa ipotesi è comunque in contraddizione con il fatto che un gas caldo tende a muoversi verso l'alto.
Le sonde di tipo Venera hanno stabilito che l'atmosfera di Venere è composta per il 95% di CO2. Esistono tracce di altri gas, come N2 (3%), mentre alcuni dati di queste sonde riguardanti H2O e O2 sono in contraddizione con i dati spettroscopici. Studi sullo spettro di riflettività di Venere nell'infrarosso e la dipendenza dalla lunghezza d'onda della polarizzazione mostrano come le nubi siano essenzialmente composte di H2SO4. Questo acido sarebbe prodotto da un ciclo che comporta l'ossidazione di composti gassosi di zolfo e carbonio (COS). La produzione di H2SO4 comporta la presenza di acqua al disopra di 65 km, fino a una concentrazione di 1 ppm. Nella stratosfera terrestre, per confronto, l'acqua ha una concentrazione fra 10 e 15 ppm. Nell'atmosfera di Venere sono comunque presenti altri gas, come cloruro d'idrogeno e fluoruro d'idrogeno, che in presenza di acqua possono dar luogo ad acido cloridrico e fluoridrico. In particolare, l'HCl svolgerebbe nell'alta atmosfera di Venere un'importante funzione di stabilizzazione dell'anidride carbonica che viene dissociata dalla radiazione ultravioletta.
Dati assai interessanti si sono ottenuti sulla dinamica dell'atmosfera di Venere con foto nell'ultravioletto. Queste foto presentano delle ombre che assumono la forma tipica della scia lasciata da una nave. Osservazioni da Terra congiunte a quelle del Mariner 10 hanno rivelato che questa forma a V si ripete fino a 3 volte lungo l'equatore. A tutt'oggi non esistono spiegazioni soddisfacenti per questo fenomeno, come di altri che caratterizzano i movimenti della densa atmosfera di Venere.
Un problema non completamente risolto riguarda la rotazione dell'intera atmosfera o almeno della parte superiore di essa in senso retrogrado con un periodo di appena 4 giorni, corrispondente a velocità del vento di circa 100 m • sec-1.
Marte: la composizione dell'atmosfera è 96% di CO2, 2,5% di N2, 1,5 di 41%08%Ar. La pressione al suolo è di circa 8 mbar (circa 8/1000 di atmosfera, cioè la pressione che sulla Terra si ha a 30 km di quota).
Il fatto che l'atmosfera sia così tenue, insieme con il forte assorbimento del CO2 nell'infrarosso, introduce interessanti caratteristiche termiche. Sulla Terra il riscaldamento di certe regioni dell'atmosfera è determinato dall'assorbimento della radiazione infrarossa del pianeta da parte di CO2 e O3 (ozono). Questi sono componenti minori dell'atmosfera terrestre, per cui il calore assorbito dev'essere ridistribuito su una massa assai più grande. Su Marte la CO2 è il componente principale, per cui questo scambio è molto più rapido e i fenomeni di riscaldamento o raffreddamento radiativo più importanti.
Questo comporta, per es., che la profondità della troposfera di Marte (cioè la regione dominata da scambi turbolenti) subisca forti variazioni diurne, mentre sulla Terra subisce solo modeste variazioni.
L'atmosfera di Marte presenta caratteri d'instabilità e variazioni climatiche che sulla Terra sono assai più contenute. Un tipico processo d'instabilità è la generazione e propagazione di tempeste di sabbia che coinvolgono l'intero pianeta. Queste tempeste globali si verificano raramente (all'incirca ogni dieci anni). La regione da cui hanno prevalentemente origine è un vasto altipiano dell'emisfero sud (Hellespontus Noachis) che è sede di continue tempeste di sabbia su scala locale. Alcune di queste durante il solstizio d'estate per un processo non ancora noto si amplificano fino al punto d'investire l'intero pianeta. La tempesta raggiunge questo stato globale in 15 ÷ 20 giorni terrestri o marziani dall'inizio, dopo di che c'è un lento decadimento, ma per molti mesi l'atmosfera di Marte rimane contaminata da polvere. Durante questo periodo c'è un aumento medio delle temperature atmosferiche di 30 ÷ 40 °C, con un progressivo scioglimento delle calotte polari. Il riscaldamento è dovuto al notevole assorbimento della radiazione solare da parte della polvere.
L'esistenza, nel passato, di climi più miti con abbondante H2O liquida suscita notevole interesse, da un punto di vista sia geologico che biologico. Cause che possono averli determinati vanno ricercate nelle variazioni dell'eccentricità dell'orbita e dell'inclinazione dell'asse di rotazione, nonché in possibili cambiamenti della costante solare. Inoltre sono stati ipotizzati meccanismi d'instabilità secondo cui Marte si troverebbe attualmente in una fase glaciale. L'H2O si troverebbe attualmente sotto forma di ghiaccio nelle calotte polari.
Un'ulteriore possibile instabilità dell'atmosfera di Marte riguarda la dissociazione di CO2. Per lunghezze d'onda inferiori a 1700 Å la CO2 può essere dissociata in O e CO. La ricombinazione di questi due gas è molto più lenta della reazione che porta alla formazione di O2.
La dissociazione della CO2 avviene in pratica anche al suolo in quanto l'atmosfera è così tenue che le radiazioni ultraviolette non vengono sensibilmente attenuate.
In un periodo di tempo assai inferiore al tempo di esistenza del p. si dovrebbe avere una completa trasformazione chimica dell'atmosfera del pianeta. In effetti la composizione è molto più stabile e i processi che la rendono tale sono ancora fonte di notevole speculazione.
Giove: l'atmosfera di Giove è composta essenzialmente di He e H2, che sono in proporzione di 1/7. I dati di temperatura non sono disponibili al disotto di circa 10 atmosfere di pressione, dove la temperatura è attorno a 450 °K. Questa temperatura diminuisce rapidamente con la quota e al livello delle nubi visibili è di circa 140 °K (a una pressione di pochi decimi di atmosfera). Inoltre l'atmosfera di Giove contiene in modeste proporzioni CH4 e NH3. Una caratteristica di Giove è la struttura a bande delle nubi, che sono di un caratteristico colore giallo marrone. L'andamento a bande delle nubi è facilmente spiegabile in base all'alta velocità di rotazione del p., mentre meno immediata è la spiegazione del loro colore. Fino a qualche tempo fa si pensava che le nubi visibili fossero composte di cristalli d'ammoniaca mentre al disotto di queste si troverebbero nubi d'idrosolfato di ammonio, di H2O e soluzione di NH3. Una tale composizione delle nubi non spiegherebbe comunque il loro colore.
Più recentemente la scoperta di composti solforosi nell'atmosfera di Giove ha fatto sorgere l'ipotesi che le nubi siano composte di PH3 (fosfina). In effetti la fosfina non dovrebbe esistere nell'atmosfera di Giove in quanto facilmente ossidata in P4O6 dall'acqua o disciolta come H3 PO3. Comunque se la turbolenza è assai elevata i processi di diffusione risultanti da questa potrebbero essere competitivi con i processi chimici mantenendo una grossa percentuale di fosforo sotto forma di PH3. La fosfina ha un caratteristico colore rossastro che sarebbe quindi più intenso nelle regioni a elevata turbolenza. Tutto ciò potrebbe costituire una valida spiegazione per la colorazione della cosiddetta "macchia rossa", che sarebbe appunto una regione caratterizzata da alta turbolenza.
La struttura a strisce chiare (zone) e scure (bande) viene attualmente spiegata associando alle prime moti ascendenti con condensazione di cristalli e alle seconde moti discendenti Vedi tav. f. t.
Bibl.: La bibliografia del settore è eccezionalmente ricca e i risultati delle ricerche vengono pubblicati su varie riviste, tra cui: Icarus, Planetary and space science, Science, Journal of atmospheric sciences, Journal of geophysical research, Astronomicheskii Zhurnal. Per articoli di rassegna: su Mercurio, Icarus, vol. 28, n. 4 (1976); su Venere, Journal of atmospheric science, vol. 32, n. 6 (1975); su Marte, Icarus, vol. 28, n. 2 (1976); su Giove, The Giant planet, University of Arizona 1976. Inoltre, la serie di articoli su Science, vol. 186, pp. 720, 814, 911, 1011, e vol. 187, p. 244. Infine, a carattere divulgativo: Le scienze, vol. XVI, n. 91, marzo 1976.