PIANETI EXTRASOLARI.
– Dalla scoperta alla comprensione. Breve rassegna dei metodi di osservazione spettroscopici per gli esopianeti. Transito. Eclisse. Rivelazione diretta. Risultati preliminari. Il prossimo decennio e oltre. Pianeti abitabili e biomarcatori. Pianeti extrasolari abitabili intorno a stelle di tipo M. Bibliografia
Fino agli anni Novanta del secolo scorso, gli unici pianeti noti erano nove (Mercurio, Venere, Terra, Marte, Giove, Saturno, Urano, Nettuno e Plutone), ossia quelli in orbita intorno al Sole. Negli ultimi vent’anni ne abbiamo ‘perso’ uno, Plutone, ora considerato un pianeta nano, ma, in compenso, più di 2000 pianeti sono stati scoperti nella nostra galassia (Via Lattea), intorno a stelle diverse dal Sole. Questi corpi celesti sono chiamati pianeti extrasolari o esopianeti. Le stime statistiche attuali indicano che, in media, ogni stella nella Via Lattea ospita almeno un pianeta (Cassan, Kubas, Beaulieu et al. 2012), vale a dire che circa cento miliardi di pianeti dovrebbero essere presenti nella nostra galassia.
L’aspetto più rivoluzionario di questo nuovo settore di ricerca è la scoperta che il Sistema solare non sembra essere il paradigma di sistema planetario della nostra galassia, ma piuttosto una delle tante possibili configurazioni osservate. Alcuni di questi esopianeti completano un giro di rivoluzione intorno alla propria stella in meno di un giorno, così come esistono molti esopianeti in orbita intorno a due stelle o in movimento su orbite molto eccentriche, come accade per le comete. Questa varietà di parametri planetari e orbitali è del tutto sconosciuta nel Sistema solare, dove i pianeti si muovono intorno al Sole su orbite quasi circolari a distanze comprese tra 0,3 e 30 UA (Unità Astronomiche). Un gran numero degli esopianeti scoperti orbita così vicino alla propria stella da raggiungere temperature di 2000 °C e anche più, che permettono la formazione di nuvole di silicati e ferro. Inaspettatamente, le dimensioni e le masse degli esopianeti scoperti finora (fig. 1) coprono un continuo di possibili soluzioni, che vanno da esopianeti con dimensioni più piccole di Mercurio, per es. Kepler-37b, a pianeti più grandi di Giove (Batalha, Rowe, Bryson et al. 2013).
Mentre la frequenza relativa dei pianeti ‘esotici’ rispetto a quelli ‘normali’ – ammesso che i pianeti del Sistema solare rappresentino la normalità – potrebbe essere il risultato di effetti di selezione causati dalle tecniche di rivelazione utilizzate finora (prevalentemente, velocità radiale e transito), è indubbio che esiste una grande diversità di pianeti intorno ad altre stelle. Nel breve termine, dovremmo essere in grado di comprendere meglio questi dati. La missione spaziale GAIA (Global Astrometric Interferometer for Astrophysics) lanciata dall’agenzia spaziale europea (ESA) nel dicembre 2013 dovrebbe trovare decine di migliaia di nuovi pianeti con il metodo dell’astrometria (Perryman, Hartman, Bakos et al. 2014), una tecnica diversa rispetto al transito e alla velocità radiale e quindi molto sensibile a pianeti con parametri orbitali diversi. Gli strumenti SPHERE (Spectro-Polarimetric High-contrast Exoplanet REsearch), dell’ESO (European Southern Observatory), GPI (Gemini Planet Imager) e Subaru SCExAO (Subaru Coronagraphic Extreme Adaptive Optics) sono stati costruiti per individuare pianeti massicci e giovani a grande distanza dalla propria stella; per il momento conosciamo solo pochi esemplari di questo tipo.
Dalla scoperta alla comprensione. – Considerato il numero di pianeti scoperti, l’attenzione nel campo dei p. e. si sta spostando dalla scoperta alla comprensione. Nel prossimo decennio ci si prefigge di affrontare le seguenti domande: qual è l’origine della diversità planetaria osservata? Come e dove si formano i p. e.? Quali sono i processi fisici responsabili per l’evoluzione dei p. e.? Quali di questi pianeti sono abitabili?
In tutte le discipline, la tassonomia è spesso il primo passo verso la comprensione, ma oggi non abbiamo neppure una semplice tassonomia per i pianeti e per i sistemi planetari nella nostra galassia. Per i pianeti che transitano davanti alle loro stelle – oltre 1200 oggi noti – possiamo misurare il raggio planetario e, se sono disponibili osservazioni di velocità radiale, la massa. Massa e raggio permettono di stimare la densità di questi pianeti. Dalla fig. 2, è evidente che anche i giganti gassosi non sono tutti uguali a Giove e Saturno, ma mostrano una gran varietà di densità (Guillot 2005). Molto probabilmente le diverse densità osservate riflettono le diverse struttura interna e composizione chimica, che a loro volta dipendono sia dai meccanismi di formazione sia dalla zona di formazione del pianeta nel disco protoplanetario. Oggetti più leggeri di 10 masse terrestri – le cosiddette super Terre – sono ancora più enigmatici, in quanto non esistono nel nostro Sistema solare e di loro si sa molto poco (Valencia, Guillot, Parmentier, Freedman 2013). Tra questi, Kepler-10 b, Kepler-78 b, CoRoT-7 b e 55 Cnc-e hanno densità piuttosto elevate (simili ai pianeti terrestri nel Sistema solare) e orbitano intorno a stelle simili al Sole con periodi molto brevi, in alcuni casi in meno di un giorno. All’opposto, GJ 1214 b e Kepler-11-d, e, f hanno densità più basse (tipiche dei satelliti di ghiaccio di Giove e Saturno), periodi orbitali più lunghi e orbitano attorno a stelle più fredde del Sole.
Nella prossima decade, le missioni spaziali dedicate alla scoperta di nuovi pianeti con il metodo del transito, come TESS (Transiting Exoplanet Survey Satellite) della NASA, CHEOPS (CHaracterising ExOPlanet Satellite) e PLATO (PLAnetary Transits and Oscillations of stars) dell’ESA, unitamente alle misure di velocità radiale dal suolo, misureranno le dimensioni e le masse di migliaia di nuovi pianeti, completando le attuali statistiche di densità planetarie disponibili. Come spiegato in precedenza, la densità è un parametro molto importante, ma da solo non può essere usato come discriminante della varietà dei casi osservati. Informazioni aggiuntive sono necessarie per procedere con la comprensione.
Un’altra osservabile molto importante per capire la natura dei pianeti è la composizione chimica e lo stato della loro atmosfera. Conoscere la composizione atmosferica è essenziale per chiarire, per es., se un pianeta si è formato nell’orbita dove lo si osserva o se si è formato altrove e ha migrato successivamente; è anche fondamentale per comprendere il ruolo della radiazione stellare sui processi di fuga in alta atmosfera, l’evoluzione chimica e la circolazione atmosferica. A oggi, due metodi possono essere usati per sondare le atmosfere dei p. e.: spettroscopia con i transiti e spettroscopia con la rivelazione diretta. Si tratta di metodi molto complementari ed entrambi dovrebbero essere perseguiti per avere un quadro coerente dei pianeti al di fuori del Sistema solare (fig. 3).
Breve rassegna dei metodi di osservazione spettroscopici per gli esopianeti.– Transito. – Quando un pianeta passa davanti alla sua stella (transito), il flusso stellare diminuisce di qualche punto percentuale, corrispondente al rapporto delle aree pianeta/stella.
Il raggio del pianeta può essere dedotto da questa misura. Se specie atomiche o molecolari sono presenti nell’atmosfera dell’esopianeta, il raggio apparente misurato è maggiore ad alcune specifiche lunghezze d’onda, corrispondenti alle firme spettrali di queste specie chimiche.
I telescopi spaziali Hubble e Spitzer hanno permesso di ottenere le prime osservazioni spettroscopiche con questo metodo.
Eclisse. – Una misura di emissione/riflessione del pianeta può essere ottenuta registrando la differenza tra il segnale stellare durante l’eclisse (quando il pianeta passa dietro alla stella) e il segnale combinato stella-pianeta misurato immediatamente prima e dopo l’eclisse. A differenza delle osservazioni con il transito, in questo caso si osserva il lato illuminato del pianeta, il che rende i due metodi complementari.
Oltre alle osservazioni durante il transito e l’eclisse, è possibile monitorare il pianeta e la stella insieme durante tutto il periodo orbitale, e anche produrre delle mappe bidimensionali del pianeta durante l’ingresso e l’uscita dall’eclisse.
Rivelazione diretta. – Il rapporto di luminosità stella/pianeta (contrasto) è tipicamente compreso tra 10.000 e 10 miliardi, a seconda dell’età, della distanza, delle dimensioni planetarie, della temperatura e, naturalmente, dell’intervallo spettrale. Per fissare le idee, il Sole ha un contrasto di circa un miliardo rispetto a Giove nella luce visibile e una separazione angolare di 0,5″ alla distanza di 10 parsec. L’uso di un coronografo, che viene utilizzato per schermare la luce dalla stella, è quindi essenziale per estrarre il segnale planetario dalla luce stellare. Aberrazioni del fronte d’onda e macchie stellari sono un altro problema fondamentale che deve essere attenuato. Specchi deformabili e tecniche di calibrazione delle macchie, possono essere utilizzati per risolvere questo problema.
Risultati preliminari. – Il vapore acqueo sembra essere onnipresente nelle atmosfere di pianeti gioviani caldi con temperature comprese tra 800 e 2000 °C osservate fino a oggi. La presenza di specie chimiche a base di carbonio, come il metano, il monossido e il biossido di carbonio in queste atmosfere è stata confermata sia da osservazioni sia da simulazioni (Tinetti, Deroo, Swain et al. 2010), ma le abbondanze relative sono ancora poco chiare. Specie azotate come HCN, NH3 sono molto probabilmente presenti in queste atmosfere, ma le osservazioni attuali non sono sufficientemente precise per indicare la loro presenza. Nel caso di gioviani caldissimi, dove le temperature si avvicinano a 3000 °C, specie esotiche comunemente presenti in nane brune, come gli ossidi di metallo (TiO, VO) o gli idruri metallici (CrH, TiH ecc.), sono state proposte per spiegare le osservazioni effettuate con gli strumenti di Hubble STIS (Space Telescope Imaging Spectrograph) e WFC3 (Wide Field Camera 3). Queste specie sono importanti, in quanto possono influenzare sia l’albedo planetaria sia la struttura termica del pianeta. Sodio e potassio sembrano essere presenti nella maggior parte dei pianeti gioviani caldi analizzati. Oltre a questi metalli alcalini, gli spettri nel visibile appaiono dominati dalla diffusione di Rayleigh o nuvole o polveri. GJ 1214b è la prima super Terra che è stata osservata spettroscopicamente. Osservazioni da spazio e da terra suggeriscono un’atmosfera più pesante dell’idrogeno molecolare puro e forse la presenza di nuvole, ma osservazioni supplementari sono necessari per confermare la sua composizione.
Informazioni sulla stabilità delle atmosfere dei pianeti in transito sono state ottenute attraverso le osservazioni nel-l’ultravioletto con Hubble: per la maggior parte dei pianeti in orbita troppo vicino alla loro stella, una parte dell’atmosfera è spazzata via attraverso processi di fuga idrodinamica (Linsky, Yang, France et al. 2010). Inoltre, curve di fase orbitali e osservazioni di eclissi nell’infrarosso (Kataria, Showman, Fortney et al. 2015) hanno fornito i primi vincoli sulle proprietà termiche e dinamiche delle atmosfere di gioviani caldi.
Fotometria multibanda e spettroscopia nel vicino infrarosso (1-5 micron) sono state ottenute con tecniche di rivelazione diretta per alcuni pianeti gassosi giovani e caldi a grande distanza dalla stella, come β Pic-b, GJ 504 b e pianeti attorno HR 8799 (Konopacky, Barman, Macintosh et al. 2013). Queste osservazioni saranno perfezionate ed estese a decine di oggetti con strumenti dedicati alla rivelazione diretta da terra, come SPHERE e GPI. Il paragone tra la composizione chimica di questi oggetti gassosi, caldi e giovani e la composizione dei loro cugini migrati vicino alla stella e osservati col metodo del transito ci permetterà di comprendere il ruolo svolto dalle migrazioni e dall’irraggiamento stellare sui pianeti gassosi.
Il prossimo decennio e oltre. – Anche se il campo della spettroscopia esoplanetaria ha avuto molto successo negli anni passati, ci sono alcuni ostacoli che devono essere superati per progredire in questo settore, e in particolare: le sistematiche degli strumenti sono spesso difficili da distinguere dal segnale, che è molto debole; i dati disponibili sono scarsi – cioè non vi è sufficiente copertura spettrale e la maggior parte del tempo le osservazioni non sono state registrate contemporaneamente –, pertanto le interpretazioni di questi dati non sono sempre uniche. Non ultimo, abbiamo dati per un numero ristretto di pianeti noti. Alcuni di questi ostacoli possono essere risolti a breve termine, per altri è necessaria una nuova generazione di osservatori terrestri e spaziali.
Nel prossimo decennio, nuovi osservatori astronomici da spazio e da terra saranno in funzione, in particolare il James Webb space telescope di NASA-ESA e l’Extremely large telescope dell’ESO. Unitamente a molti altri obiettivi scientifici, questi grandi telescopi contribuiranno in modo significativo alle osservazioni spettroscopiche sugli esopianeti, sia col metodo del transito che con la rivelazione diretta. Inoltre, strumenti e missioni dedicate alla spettroscopia degli esopianeti sono in fase di studio.
Negli anni passati, concetti di missione per la spettroscopia in transito nell’infrarosso da spazio sono stati pro-posti e studiati sia dall’ESA sia dalla NASA, in particolare FINESSE (Fast INfrared Exoplanet Spectroscopic Survey Explorer) ed EChO (Exoplanet Characterisation Observatory). La spettroscopia da transito ci permette di misurare i segnali atmosferici del pianeta con precisione relativa di 100 ppm rispetto al segnale stellare. Non è necessaria alcuna risoluzione angolare, poiché i segnali della stella e del pianeta sono differenziati in base alla conoscenza delle effemeridi planetarie. ARIEL (Atmospheric Remote-sensing Infrared Exoplanet Large-survey), è una delle tre missioni candidate M4 in corso di valutazione da parte dell’ESA per un possibile lancio nel 2026. Se selezionata, ARIEL fornirà spettri nell’ottico e nell’infrarosso di centinaia di pianeti, tra cui super Terre e pianeti gassosi attorno a diversi tipi stellari. Queste misure consentirebbero la misura della composizione molecolare e della struttura termica delle atmosfere osservate. Il design di tutto il satellite (telescopio da un metro nel punto Lagrangiano L2 del sistema Sole-Terra) sarà ottimizzato per ottenere un elevato grado di stabilità fotometrica (cioè circa 100 ppm in 10 ore) e ripetibilità. Negli Stati Uniti si sta invece studiando la possibilità di aggiungere un coronagrafo al concetto di missione WFIRST-AFTA (Wide Field Infrared Survey Telescope-Astrophysics Focused Telescope Assets) in modo da permettere di osservare spettroscopicamente nell’ottico pianeti massicci a grande distanza dalla stella con la tecnica della rivelazione diretta, un dominio che non è praticabile con il metodo del transito.
Pianeti abitabili e biomarcatori. – L’acquisizione di dati spettroscopici dell’atmosfera terrestre da satelliti artificiali ha cambiato la nostra percezione della vita sulla Terra e ha fornito un metodo scientifico rigoroso per la ricerca di vita altrove nella nostra galassia. Visto dall’esterno, il nostro pianeta sembra essere simile, per alcuni aspetti, ad altri pianeti, ma mostra la firma distintiva di un pianeta che ospita la vita, che non può essere trovato altrove nel Sistema solare.
James E. Lovelock (1965) suggerisce di cercare nell’atmosfera del pianeta la presenza di composti in disequilibrio chimico, come, per es., la coesistenza di ossigeno e idrocarburi nell’atmosfera terrestre. L’ossigeno molecolare è stato proposto come biomarcatore e la sua firma spettrale può essere individuata attraverso la banda a 760 nm nell’ottico. Questa firma spettrale è piuttosto debole, e l’ozono, un prodotto della fotodissociazione dell’ossigeno, sembra essere un tracciante migliore, grazie alla sua chiara firma spettrale nell’infrarosso a 9,6 micron.
L’ossigeno molecolare in grandi quantità in realtà è più un tracciante della ‘vita complessa’: nel caso della Terra, infatti, la vita è apparsa negli oceani circa 1,5 miliardi di anni prima dell’apparizione dell’ossigeno atmosferico. Prima della comparsa dell’ossigeno in atmosfera, microorganismi anaerobici hanno esplorato vari tipi di metabolismo per estrarre l’energia sufficiente alla sopravvivenza (metanogeni, batteri riduttori di zolfo/ferro/manganese ecc), generando diversi prodotti di scarto dei processi metabolici. In linea di principio, tutti questi prodotti di scarto (per es., CH4, CH3COOH, H2S, Fe2+, Mn2+) possono essere considerati dei biomarcatori, tuttavia per essere rivelati in misure da spazio, devono essere molto abbondanti e non spiegabili da altri processi abiotici. Per es., sulla Terra, la maggior parte del metano viene dalla decomposizione di organismi viventi, invece su Titano, la luna di Saturno, la gran quantità di metano non è di origine biologica. Sulla Terra, N2O è generato da combustione della biomassa; tuttavia la sua firma spettrale è molto debole rispetto ad altre molecole atmosferiche.
Nei dati da satellite si nota un forte aumento della riflettività della Terra a lunghezze d’onda superiori a 0,7 micron nell’ottico-vicino infrarosso. Questa è una firma distintiva della vegetazione terrestre, denominata red edge (letteralmente, bordo rosso). Il red edge è stato proposto come possibile biomarcatore anche nel caso dei p. e., tuttavia nuvole o alcuni minerali possono mimare la forma spettrale del red edge.
Pianeti extrasolari abitabili intorno a stelle di tipo M. – Negli ultimi anni non sono stati infrequenti gli annunci da parte dei media della scoperta di p. e. abitabili, per es., Kepler-452b. In realtà si dovrebbe parlare più propriamente di pianeti candidati abitabili, in quanto non conosciamo davvero le condizioni chimiche e termiche di questi pianeti, ma gli unici dati a disposizione sono la massa, la densità e la distanza dalla stella, da cui stimiamo una temperatura con modelli. La composizione chimica delle loro atmosfere e la temperatura superficiale dovrebbero essere osservate prima di poter fare affermazioni di abitabilità.
Molte delle super Terre candidate abitabili scoperte orbitano attorno a stelle più piccole e fredde del Sole (stelle di tipo M), in parte perché queste stelle sono tra le più numerose nelle vicinanze del Sole, in parte perché i risultati della sonda Kepler della NASA sembrano indicare che le super-Terre sono sette volte più abbondanti intorno a stelle più fredde del Sole. Questi dati suggeriscono un’interessante evoluzione nello studio dei mondi abitabili al di fuori del Sistema solare, uno studio che è cominciato con la ricerca di un gemello della Terra in orbita intorno a un gemello del Sole alla giusta distanza per avere acqua liquida in superficie – come nel caso di Kepler-452b –, come unico paradigma di abitabilità.
Le stelle di tipo M sono intrinsecamente poco luminose, e quindi la loro zona abitabile si trova a distanza ravvicinata, in genere a 0,1-0,3 UA. Questi oggetti sono quindi ideali per osservazioni spettroscopiche con il metodo del transito. In letteratura ci sono argomenti a favore e contro l’abitabilità di pianeti intorno a stelle M, in particolare preoccupa l’aumento dell’attività magnetica delle stelle M, origine di brillamenti, e gli effetti di una possibile rotazione sincrona sulla circolazione atmosferica del pianeta.
Sulla base della conoscenza della fotosintesi sulla Terra e dell’evoluzione stellare, è stato proposto (Wolstencroft, Raven 2002) un modello di fotosintesi su pianeti simili alla Terra che orbitano stelle di diverse tipologie spettrali. In particolare, stelle più fredde, con una potenza massima di radiazione a lunghezze d’onda più lunghe, possono richiedere più di due fotoni per elettrone, come avviene nel caso della fotosintesi basata sull’ossigeno sulla Terra. L’ipotetica rivelazione di questo tipo di fotosintesi in un lontano futuro sarà basata sulla spettroscopia, tenendo conto che probabilmente i pigmenti fotosintetici associati possono avere proprietà di assorbimento diverse da quelle terrestri.
Bibliografia: J.E. Lovelock, A physical basis for life detection experiments, «Nature», 1965, 207, 4997, pp. 568-70; R.D. Wolstencroft, J.A. Raven, Photosynthesis: likelihood of occurrence and possibility of detection of Earthlike planets, «Icarus», 2002, 157, pp. 535-48; T. Guillot, The interiors of giant planets: models and outstanding questions, «Annual review of Earth and planetary sciences», 2005, 33, pp. 493-530; W.J. Borucki, D. Koch, J. Jenkins et al., Kepler’s optical phase curve of the exoplanet HAT-P-7b, «Science», 2009, 325, p. 709; A.-M. Lagrange, M. Bonnefoy, G. Chauvin et al., A giant planet imaged in the disk of the young star β Pictoris, «Science», 2010, 329, pp. 57-59; J.L. Linsky, H. Yang, K. France et al., Observations of mass loss from the transiting exoplanet HD 209458b, «The astrophysical journal», 2010, 717, pp. 1291-99; G. Tinetti, P. Deroo, M.R. Swain et al., Probing the terminator region atmosphere of the hot-Jupiter XO-1b with transmission spectroscopy, «The astrophysical journal», 2010, 712, pp. L139-L142; A. Cassan, D. Kubas, J.-P. Beaulieu et al., One or more bound planets per Milky Way star from microlensing observations, «Nature», 2012, 481, pp. 167-69; C. Majeau, E. Agol, N.B. Cowan, A two-dimensional infrared map of the extrasolar planet HD 189733b, «The astrophysical journal letters», 2012, 747, p. L20; N.M. Batalha, J.F. Rowe, S.T. Bryson et al., Planetary candidates observed by Kepler. III. Analysis of the first 16 months of data, «The astrophysical journal. Supplemente series», 2013, 204, pp. 24-45 (anche on-line, http:// iopscience.iop.org/0067-0049/204/2/24/pdf/0067-0049_204_2_24.pdf); A.W. Howard, R. Sanchis-Ojeda, G.W. Marcy et al., A rocky composition for an Earth-sized exoplanet, «Nature», 2013, 503, pp. 381-84; Q.M. Konopacky, T.S. Barman, B.A. Macintosh et al., Detection of carbon monoxide and water absorption lines in an exoplanet atmosphere, «Science», 2013, 339, pp. 1398-1401; D. Valencia, T. Guillot, V. Parmentier et al., Bulk composition of GJ 1214b and other sub-Neptune exoplanets, «The astrophysical journal», 2013, 775, pp. 10-21 (anche on-line, http://iopscience.iop.org/0004-637X/775/1/10/pdf/0004-637X_ 775_1_10.pdf); M. Perryman, J. Hartman, G.Á. Bakos et al., Astrometric exoplanet detection with GAIA, «The astrophysical journal», 2014, 797, pp. 14-35; T. Kataria, A.P. Showman, J.J. Fortney et al., The atmospheric circulation of the hot JupiterWASP-43b: comparing three-dimensional models to spectrophotometric data, «The astrophysical journal», 2015, 801, pp. 86-102.