Vedi PHRADMON dell'anno: 1965 - 1973
PHRADMON (v. vol. vi, p. 139)
Un'iscrizione che ricorda una statua di Ph. è stata scoperta ad Ostia nell'aprile 1969. Il testo è:
ΧΑΡΙΤΗ ΘΕΜΙΣΤΕΥΟΥΣΑ
ΕΝ ΔΕΛΦΟΙΣ
ΦΡΑΔΜΟΝ ΑΡΓΕΙΟΣ ΕΠΟΙΕΙ
Assieme all'iscrizione di Ph. ne sono state rinvenute due altre, l'una, già nel 1965, che ricorda una statua di Platone il commediografo di Lysikles (v.), l'altra un ritratto di Antistene opera di Phyromachos (v.), del pari incise su blocchi di travertino e con identica grafia. I tre blocchi erano stati reimpiegati, a quanto sembra per far da basamento ad un'ara appartenente al tempietto repubblicano detto "dell'ara rotonda"; l'esplorazione archeologica della zona è tuttora in corso (giugno 1969), ma gli strati relativi alla posa in opera dei blocchi contengono ceramica aretina "classica" ed il reimpiego deve essere avvenuto in piena età augustea, in concomitanza con altri lavori di abbellimento dell'edificio templare.
La qualità della pietra, il luogo stesso di rinvenimento rendono certo che le epigrafi sono state incise in Italia, ma da un lapicida che con la lingua greca aveva familiarità, a giudicare dalla sicurezza del ductus e da taluni preziosismi grafici. La paleografia consente una datazione ancora nella prima metà del I sec. a. C., epoca non lontana da quella cui risale la sistemazione dell'area sacra di Ercole; sembra probabile, infatti, che il donario cui le iscrizioni appartenevano sorgesse nella zona stessa dove furono poi reimpiegate.
La redazione delle "didascalie" esplicative, apposte alle statue, risale verosimilmente al momento della loro sistemazione in Ostia. La formulazione ἐποίει in luogo di ἐποίησεν, rara in età classica, è quella normale dal tardo ellenismo in poi; nell'iscrizione di Platone, la specificazione "poeta della commedia antica", non solo presuppone l'esistenza dell'omonimo filosofo, ma soprattutto quella periodizzazione della commedia attica in ἀρχαῖα e νέα, già nota ad Aristotele, ma canonica presso i grammatici ellenistici.
Per quanto il verbo ποιέω indichi colui che materialmente ha fatto la statua, potrebbe avanzarsi il dubbio che le statue ostiensi fossero non gli originali, ma copie. Contro tale ipotesi milita però tutta una serie di argomenti, in primo luogo la singolarità dei soggetti, la scarsa celebrità presso i Romani di alcuni degli artisti, uno dei quali, Lysikles, non ha lasciato ricordo di sé presso alcun autore antico; e, argomento forse ancor più valido, l'assenza dell'etnico proprio nei nomi dei due scultori, Phyromachos e Lysikles che, l'uno con certezza, l'altro con verisimiglianza, sono originarî di Atene. Si osservi invece che l'etnico accompagna il nome di Ph. che, argivo di nascita, esegue la statua di Charite a Delfi, fuori della propria patria. Da tale considerazione si dovrebbe inferire che le statue di Platone e di Antistene vennero originariamente eseguite per Atene, e che le firme siano state trascritte, nelle iscrizioni ostiensi, con relativa fedeltà; inversamente, un copista (o un falsario) non avrebbe mancato di aggiungere il termine ᾿Αϑηναῖος che accresceva il pregio delle opere stesse. Il monumento di Ostia doveva perciò constare di un gruppo di statue greche, quasi certamente originali bronzei, che tutto fa credere consacrate come ex voto o donario nel corso del I sec. a. C. Se il donatore sia stato lo stesso Silla, o un altro dei generali attivi in Oriente tra Silla e Pompeo, non è dato sapere; l'importanza dei culti dell'area sacra di Ercole e la speciale posizione di Ostia, punto di imbarco e approdo per le spedizioni transmarine, giustificano una dedica anche da parte di uno dei grandi personaggi della vita politica contemporanea.
Nessuna fonte menziona, tra le opere di Ph., una statua di Charite, personaggio altrimenti sconosciuto. Il nome è rarissimo, pure è attestato, nella forma dorica, nella Grecia centrale (Beozia); le pizie del santuario delfico erano solitamente scelte tra le fanciulle del luogo. Il ritratto di Charite si aggiunge alle scarsissime testimonianze di ritratti femminili del tardo V sec., non a caso tutti di sacerdotesse: si ricordino la Lysimache di Demetrios, forse già del secolo seguente, e la stele mantineese di "Diotima" secondo la suggestiva interpretazione del Mobius (Jahrbuch, 1934, p. 45 ss.). L'unico ritratto femminile del V sec. di cui ci siano pervenute repliche, è quello, noto dalle due copie del British Museum e del Museo delle Terme, comunemente detto Lysimache, che di recente E. Berger ha tentato di completare con un singolare torso del museo di Basilea. Un'identificazione con la Charite di Ph. - che qui si propone come provvisorio suggerimento in attesa di uno studio più approfondito - restituendoci un'opera fondamentale di un celebre artista del V sec., eviterebbe gli ostacoli cronologici che incontra l'attribuzione a Demetrios e spiegherebbe anche i caratteri non attici della scultura.
Bibl.: F. Zevi, Tre iscrizioni con firme di artisti grci, in Rend. Pont. Acc., XLII, 1965-70, p. 95 ss. Per la ricostruzione della cosiddetta Lysimache, v. E. Berger, in Antike Kunst, XI, I, 1968, p. 67 ss.