PHILISKOS (Φιλίσκος, Philiscus)
1°. - Scultore rodio di età ellenistica.
Plinio (Nat. hist., XXXVI, 34) cita alcune statue di Ph. da Rodi esistenti a Roma, due statue di Apollo, di cui una nuda, Latona, Artemide e le nove muse, nel tempio di Apollo rinnovato nel 30 a. C., e un'Afrodite nel tempio di Giunone. W. Amelung mise in rapporto questa notizia con il gruppo delle muse rappresentate nel rilievo con l'apoteosi di Omero di Archelaos (v.) di Priene, su un'ara cilindrica di Alicarnasso, ambedue nel British Museum, in un rilievo neoattico di puteale, in sarcofagi, in gemme e in numerose copie statuarie di varia grandezza, dov'è caratteristica la tecnica del mantello trasparente che disegna ogni particolare dell'abito sottostante. Si tratta di una tecnica virtuosistica che trova rispondenza nella preziosità eclettica dei ritmi, talora di un manierismo enfatico, come nella figura di Mnemosyne o nella musa con la lyra, forse Erato, talvolta agitato come nella Tersicore o di una frontalità da rilievo quasi arcaistico, come nella Polimnia. Gli abiti derivano da schemi pergameni, perché nelle composizioni si trovano costantemente rotoli di stoffa trasversali, cascate di pieghe verticali nel centro, che sorreggono la figura mentre l'impressione della ricchezza è fornita dal forte ampliarsi dell'abito alla base; come a Pergamo c'è la ricerca del colorismo, ma nelle Muse esso è contenuto in linee precise, in spigoli sottili; si può dire che lo stile rivela uno stadio di superamento del barocco e il defluire di questo in un verismo che conserva il patetico del barocco, ma insieme aspira a un rendimento minutamente più analitico della realtà, mentre il rinascere del gusto neo-classico affievolisce la sensibilità spaziale propria della prima metà dell'ellenismo; si tratta di un gusto già tardo ellenistico che fu detto "rococò" ma che è preferibile chiamare del "virtuosismo veristico", ch'ebbe il suo fiorire fra il 150 e il 100 a. C., sua zona di concentramento nell'ambiente artistico insulare asiatico, cui appartenne Rodi. L'intuizione dell'Amelung che il gruppo delle Muse del tempio di Apollo fosse di un rodio, ossia di Ph., è dunque confermata dagli studî recenti. Quanto alla datazione dello stile dell'abito trasparente è da ricordare ch'esso era in fiore nel 139 a. C. quando fu innalzata la statua dell'ateniese Cleopatra a Delo.
Secondo altri il trasparente si trova in figure della fine del III sec. (il motivo è già accennato nella Grande Ercolanese, nota l'Adriani) e quindi anche il gruppo delle Muse di Ph. dovrebbe essere di quel tempo; di ciò sarebbe una prova il fatto che nel rilievo di Archelaos di Priene le due divinità incoronanti Omero, ossia Chronos ed Oikoumene, avrebbero le fattezze di Tolomeo IV Filopatore e di Arsinoe. In realtà la prova non esiste, perché il rilievo è stato sì scolpito per onorare Omero, ma molto più per celebrare un poeta di cui si vede riprodotta la statua nel primo ripiano. Basterebbe pensare che egli fu onorato ad Alessandria, per spiegarci l'introduzione di Tolomeo Filopatore che fu il costruttore dell'Homereion di quella città. La celebrazione di questa sua benemerenza avrebbe potuto avvenire in qualunque tempo, non necessariamente mentre era in vita o subito dopo la morte. A dimostrare del resto che la tecnica dell'abito trasparente, ossia della vestis coa non è del III sec., s'intende come essenziale dello stile, ma del II, sta il fatto che il complesso maggiore di statue di grandi dimensioni rese con questa tecnica virtuosistica è stato ritrovato a Coo (v.) ed è di marmo dell'isola, proveniente da cave aperte non prima del 190 a. C. e fors'anche dopo.
La maggiore difficoltà a riconoscere Ph. da Rodi quale autore del gruppo delle muse del tempio di Apollo sta per altro nel fatto che noi conosciamo un'opera di un Ph., figlio di Polycharmos rodio, e precisamente la parte inferiore della statua della sacerdotessa Are nel santuario di Artemide Polo a Thasos, in cui tanto la scultura quanto l'iscrizione (sebbene non sia certa la pertinenza) vanno poste nel I sec. a. C. avanzato e che l'arte classicheggiante e stilizzata della statua di Thasos è molto diversa da quella del gruppo delle muse. La Bieber e l'Adriani propendono alla rinunzia dell'attribuzione del gruppo delle muse a Philiskos. Il Laurenzi invece postula l'esistenza di un altro Ph. rodio ; egli nota che il Ph. autore della statua di Are apparteneva ad una famiglia di artisti perché si sa da Plinio (Nat. hist., xxxvi, 35) che suo padre Polycharmos fece una statua di Afrodite che doveva essere pregevole perché fu posta nel tempio di Giunone dedicato da Metello accanto a quella di Doidalsas (v.). I nomi di Polycharmos e di Ph. ricorrono a Rodi in un'iscrizione (Clara Rhodos, VI-VII, p. 400, n. 28) e quindi, secondo il Laurenzi, non è improbabile l'ipotesi che il Ph. citato da Plinio quale autore delle Muse nel tempio di Apollo sia stato un antenato dell'autore della statua di Are, forse il trisavolo, perché quest'ultimo avrebbe potuto aver lavorato nel 50 a. C. o più tardi e il primo nel 150 a. C.
Bibl.: W. Amelung, Die Basis des Praxiteles aus Mantinea, Monaco 1895; C. Watzinger, Das Relief des Archelaos v. Priene (63. Winckelmanns Programm), Berlino 1903; K. A. Neugebauer, in Milet, I, 9, Berlino 1928, p. 114 ss.; M. Bieber, Antike Plastik (W. Amelung z. 60 Geburstag), Berlino-Lipsia 1928; D. Mustilli, in Bull. Com., LVI, 1928, p. 174 ss.; R. Horn, Stehende Weibl. Gewandstatuen, in Röm. Mitt., II Ergänz., 1931, p. 67 ss.; A. Adriani, in Bull. Com., LIX, 1931, p. 179 ss.; L. Morpurgo, in Boll. d'Arte, 1933, p. 184 ss.; A. Adriani, in Bull. Soc. R. arch. d'Alexandrie, XXIX, 1934, p. 306 ss.; XXXI, 1937, p. 3 ss.; XXXIII, 1939, p. 344; M. Bieber, Entwicklungsgesch. d. gr. Trachts, Berlino 1934, p. 35 ss.; G. Becatti, in Bull. Com., LXIII, 1935, p. 144 ss.; G. Lippold, in Pauly-Wissowa, XIX, 1937, c. 2388, s. v. Philiskos, n. 11; D. Mustilli, Il Museo Mussolini, Roma 1939, p. 78, n. 24, tav. XLVI e p. 165, n. 15; L. Laurenzi, in Clara Rhodos, V, 2, p. 115 ss.; id., in Riv. Ist. St. Arte, VIII, 1940-1941, p. 31 ss.; id., in Arti figurative, I, 1945, p. 23 ss.; id., in Ann. Sc. Arch. It. Atene, N. S., XVII-XVIII, 1955-56, p. 61 e 95 ss.; M. Bieber, The Sculpt. Hellenistic Age, New York 1955, p. 127. Per il Ph. autore della statua della sacerdotessa Are: Th. Macridy Bey, in Jahrb., XVII, 1912, p. 17 ss., n. 7, tav. IV; G. Mendel, Cat. Mus. Ottomanes, I, n. 136; III, n. 1355; M. Schede, in Röm. Mitt., XXXV, 1920, p. 65 ss.