MILLIET, Philibert Francois
MILLIET, Philibert François (Filiberto Francesco). – Nacque a Chambéry il 5 apr. 1561 da Louis, barone di Faverges e di Challes, e da Françoise Bay e fu battezzato il 15 novembre dello stesso anno.
Rampollo di un’importante famiglia savoiarda, fra le più impegnate dalla corte nell’amministrazione dello Stato sabaudo, venne avviato alla vita ecclesiastica dallo zio, Pierre de Lambert, vescovo di Maurienne (Moriana) fra il 1567 e il 1591. Studiò teologia a Roma, dove si addottorò alla Sapienza il 5 apr. 1585, ottenendo poi la rettoria della cappella di S. Andrea in Portogallo nel rione Monti.
In quegli anni la Curia era impegnata a ottenere la pubblicazione della bolla In coena Domini negli Stati sabaudi, dove, specialmente nei domini al di là dei monti, assai forti erano le resistenze. In questo senso le attenzioni a lui rivolte da alcune influenti personalità della Curia romana, che agevolarono la sua carriera ecclesiastica, non furono certo estranee all’obiettivo di smussare la rigidità del padre del M., che dal 1580 ricopriva la carica di gran cancelliere nel Ducato sabaudo ed era sospettato di voler «ridurre tutto alla francese» e «produrre in Piemonte lo stile di Savoia, che saria la ruina della religione et dell’autorità e libertà della chiesa» (cit. in Erba, p. 43).
Nel 1583, dopo la commenda del priorato di Contamine-sur-Arve, ottenne quella del priorato di St-Pierre de Lémenc. Promosso decano di Viry, nella diocesi di Ginevra, nel 1590 venne investito della commenda dell’abbazia di St-Jean-d’Aulps, resasi vacante dopo la morte di un altro parente (il cugino Pierre-Jérome de Lambert). Lo stesso anno, il 4 aprile, fu creato vescovo di Ierapoli e nominato coadiutore dello zio Pierre de Lambert, al quale successe sulla cattedra di Saint-Jean-de-Maurienne (San Giovanni di Moriana) il 6 maggio 1591.
La diocesi, che a fine Cinquecento contava un centinaio di parrocchie per lo più dislocate in territori montani, pur avendo conosciuto la pubblicazione del concilio di Trento, continuava a seguire le consuetudini gallicane, al pari degli altri distretti ecclesiastici della Savoia, dove, come si faceva notare a Roma, «li vescovi tutti non voriano né sede apostolica, né canoni, né concili» (ibid., p. 58).
Tra il 1591 e il 1594 il M. visitò la sua diocesi provvedendo a dotarla di «buoni et diligenti curati», affinché gli «homini montanari» potessero continuare a vivere «con molta divotione, tenendo le chiese loro polite et bene ornate» (ibid., p. 308). Lo zelo pastorale del M., che nei primi anni risiedette abitualmente nella sede episcopale, dove fece riparare il palazzo vescovile e la chiesa di St-Pierre de Lémenc, è attestato dalla relazione stilata nel 1595 dal delegato per le diocesi savoiarde del nunzio apostolico Giulio Cesare Riccardi, Thomas Pobel, la cui madre era stata madrina del Milliet.
Nel 1597 il M. fu candidato dal duca Carlo Emanuele I di Savoia (del quale era consigliere dal 1593) a ricoprire il ruolo di visitatore apostolico per le chiese della Savoia, in contrapposizione all’arcivescovo di Vienne, sul quale convergevano i favori della Curia romana ma che, essendo suddito francese, destava forti resistenze da parte ducale. La guerra scoppiata tra il Regno di Francia e il Ducato sabaudo per il controllo del Marchesato di Saluzzo, oltre a far tramontare il progetto di visita della Savoia, costrinse il M. a lasciare la diocesi di Maurienne occupata dalle truppe francesi e a riparare a Torino. Qui, nell’inverno del 1599, prese parte alla solenne processione indetta dal duca per impetrare la liberazione dalla peste che infuriava nei domini sabaudi. Rientrato in Savoia, i legami con il duca divennero sempre più stretti, al punto che il 25 marzo 1608 fu promosso cancelliere dell’Annunziata, il più prestigioso Ordine equestre della dinastia sabauda. Anche i rapporti con i gesuiti si fecero in quegli anni assai solidi.
Il M., che già era affiliato alla Compagnia di S. Paolo (un pio sodalizio pervaso di spiritualità ignaziana), il 31 luglio 1610 recitò nella chiesa torinese dei Ss. Martiri (vero cuore della Compagnia di Gesù in città) un sermone in onore di Ignazio di Loyola (Predica dell’illustriss. Monsignore F. M. vescovo di Mauriana …, Torino 1610), con il quale celebrava, fra gli altri, i meriti dei gesuiti nella lotta all’eresia che si stava combattendo nei domini sabaudi. La vicinanza alla Compagnia, insieme con la formazione maturata a Roma durante gli anni giovanili, contribuirono a creare nel M. «una mentalità tridentina di contenimento dello spirito gallicano» (Erba, p. XVIII) che si sarebbe tradotta nell’accoglienza e nell’adozione all’interno della sua diocesi dell’iniziativa riformatrice di Roma.
Il M. rafforzò la sua presenza a corte anche grazie alle simpatie raccolte fra i padri della Compagnia. In quegli anni, infatti, maturò l’idea di affidargli una missione diplomatica in Spagna: alla fine del 1610 il M. fu inviato alla corte di Madrid, dove rimase sino al dicembre del 1611. Alla morte dell’arcivescovo di Torino Carlo Broglia (febbraio 1617), Carlo Emanuele I manifestò apertamente il desiderio di far trasferire il M. alla più prestigiosa sede episcopale del Ducato. Il passaggio non fu semplice, per la riluttanza del M. ad abbandonare la commenda dell’abbazia d’Aulps destinata al cardinale Maurizio di Savoia (il quale, peraltro, era già in possesso delle commende di S. Michele della Chiusa, S. Benigno di Fruttuaria e S. Maria di Casanova). Nominato il 17 dic. 1618, il M. prese possesso dell’arcidiocesi per procura il 21 febbr. 1619: dal novembre dell’anno precedente il M. si trovava a Roma per una delicata missione diplomatica.
Carlo Emanuele I lo aveva inviato a Roma come ambasciatore straordinario con il compito di ringraziare il papa per gli sforzi di mediazione nella guerra del Monferrato, e soprattutto per concludere la pluriennale trattativa finalizzata alla costituzione in Piemonte di una provincia autonoma dei cappuccini. La missione – conclusasi nel maggio del 1619, dopo che il M. era stato esaminato per la nuova dignità arcivescovile dai cardinali e da Paolo V – gli permise di stabilire importanti contatti con la Curia romana. Forse anche per questo nel maggio 1620 il duca di Savoia ritenne possibile chiedere a Paolo V la promozione del M. alla porpora cardinalizia, ma il suo disegno, volto a implementare la presenza sabauda nel Sacro Collegio, non giunse a compimento.
A Torino l’attività pastorale del M. si concretizzò in una serie di provvedimenti ispirati a un rigido disciplinamento del clero e dei fedeli, già avviato dal suo predecessore Carlo Broglia. Dopo aver promulgato decreti restrittivi nei confronti di ebrei, adulteri e concubinari, tra il 1621 e il 1625 emanò diversi editti per ribadire il dovere della comunione pasquale nella parrocchia di appartenenza, la necessità di santificare le feste, di osservare i precetti quaresimali, di vigilare sul «buon ordine» delle confraternite dei secolari, di rispettare i contenuti dei legati pii, oltre ad altri editti sull’abito ecclesiastico. Nel 1619 iniziò la visita pastorale nella vasta diocesi, che peraltro non riuscì a completare.
Le prime parrocchie visitate furono quelle di Torino. Come emerge dalle relationes ad limina (cfr. Erba, p. 340), il M. riscontrò gravi carenze e inadempienze da parte dei canonici e dei titolari delle 22 cappellanie della cattedrale e, più in generale, un forte tasso di conflittualità fra clero secolare, clero regolare (le cui fila in quegli anni erano cresciute per l’arrivo di nuove congregazioni religiose come i trinitari, i carmelitani e le carmelitane scalze) e confraternite. Fuori dal territorio urbano altri problemi venivano dalle abbazie (per lo più rette da commendatari), che non intendevano riconoscere l’autorità dell’ordinario. Rimaneva inoltre aperta la questione delle decime delle parrocchie assegnate alla diocesi di Fossano (eretta nel 1592), il cui vescovo ne rivendicava la titolarità a fronte delle resistenze della curia torinese. Il M. visitò anche le parrocchie della Val Pragelato, dove nel 1623 la presenza riformata risultava così forte e capillarmente diffusa da spingere l’arcivescovo a segnalare tale situazione alla congregazione di Propaganda Fide.
I tempi lunghi della visita pastorale fecero tardare l’indizione del sinodo. Tale circostanza fu giudicata negativamente dalla Curia romana, dove era diffusa la sensazione che il M., oltre ad alimentare un nepotismo ritenuto eccessivo (due suoi nipoti – i figli del fratello François-Amédée – Paul e Philibert seguirono la carriera ecclesiastica: il primo divenne vescovo di Maurienne, il secondo vescovo di Aosta e poi di Ivrea), non attendesse adeguatamente alla cura pastorale. A sfavore dell’arcivescovo giocava anche la preoccupante condizione del seminario dove nel 1621 i seminaristi non erano che sette, un numero ritenuto assolutamente inadeguato per le esigenze della vasta diocesi. Da qui l’invito rivolto da Roma al nunzio apostolico Lorenzo Campeggi nel 1624 perché l’arcivescovo fosse risvegliato «col mezzo di quelle persone che possono moverlo a fare il debito suo» (cfr. Erba, p. 340). Le sollecitazioni provenienti da Roma dovettero avere qualche effetto se nel marzo 1625 il M. si decise a indire il sinodo, celebrato il 23 aprile, di cui furono pubblicati gli atti lo stesso anno a Torino (Constitutioni della prima sinodo diocesana di Torino …).
Il M. morì il 4 sett. 1625 a Torino dove, secondo le sue volontà, fu tumulato nella chiesa dei Ss. Martiri.
Fonti e Bibl.: Torino, Archivio arcivescovile, Visite pastorali, 7.1.11, 12, 14; Provvisioni semplici e beneficiarie (anni 1618-25); Archivio di Stato di Torino, Materie politiche per rapporto all’estero, Lettere ministri, Roma, mm. 29, f. 3; 33; Ibid., Spagna, m. 14; Materie politiche per rapporto all’Interno, Lettere di particolari, M, m. 50; Ibid., Lettere diverse real casa, Lettere vescovi, m. 64; Torino, Biblioteca Reale, Miscellanea patria, Mss., 30/43: Histoire généalogique de la maison Millet de Chambéry (1400-1740), cc. 17-18; J.-A. Besson, Memoires pour l’histoire ecclésiastique des diocèses de Genève, Tarantaise, Aoste et Maurienne et du décanat de Savoye, Nancy 1759, pp. 305 s.; G.B. Semeria, Storia della Chiesa metropolitana di Torino, Torino 1840, pp. 503-507; G.F. Meyranesio (A. Bosio), Pedemontium sacrum …, Augustae Taurinorum 1863, II, pp. 333-359, 598-600; E.A. De Foras, Armorial et nobiliaire de l’ancien Duché de Savoie, IV, Grenoble 1900, pp. 19 s.; Notices sur les nobles Milliet (ou Millet) marquis de Faverges, de Challes et d’Arvillars ayant rempli des charges d’État, de cour et d’Eglise, ou s’étant distingués dans les armes, in Bollettino dell’Associazione oriundi savoiardi e nizzardi italiani, II (1912), pp. 36 s.; E. Passamonti, Le «Instruttioni» di Carlo Emanuele I agli inviati sabaudi in Roma con lettere e brevi al duca dei pontefici suoi contemporanei, in Carlo Emanuele I, I, Torino 1930, pp. 287-289; B. Pazé Beda - P. Pazé, Riforma e cattolicesimo in Val Pragelato: 1555-1685, Pinerolo 1975, p. 159; A. Erba, La Chiesa sabauda tra Cinque e Seicento. Ortodossia tridentina, gallicanesimo savoiardo e assolutismo ducale (1580-1630), Roma 1979, pp. XVIII, 44, 65 s., 93 s., 137-139, 195, 218 s., 323, 340 s., 344, 356; T.J. Lovie, Les diocèses de Chambéry, Tarentaise, Maurienne, Paris 1979, p. 87; P.G. Longo, Città e diocesi di Torino nella Controriforma, in Storia di Torino, III, Dalla dominazione francese alla ricomposizione dello Stato (1536-1630), Torino 1998, pp. 460, 462 s., 497, 506; Id., «Un antemurale contra questi confini». Duca e città alle origini dei gesuiti a Torino, in I Santi Martiri: una chiesa nella storia di Torino, a cura di B. Signorelli, Torino 2000, p. 67; G. Tuninetti - G. D’Antino, Il cardinal Domenico Della Rovere, costruttore della cattedrale, e gli arcivescovi di Torino dal 1515 al 2000. Stemmi, alberi genealogici e profili biografici, Cantalupa 2000, pp. 79-83; T. Mörschel, Buona amicitia? Die römisch-savoyischen Beziehungen unter Paul V. (1605-1621). Studien zur frühneuzeitlichen Mikropolitik in Italien, Mainz 2002, pp. 92, 95, 100, 125 s., 148, 199, 202, 233, 301, 304, 311, 384; P. Cozzo, La geografia celeste dei duchi di Savoia. Religione, devozioni e sacralità in uno Stato di Età moderna (secoli XVI-XVII), Bologna 2006, pp. 191, 237 s.; Hierarchia catholica, III, pp. 210, 238; IV, p. 329.
P. Cozzo