PHERSU
Maschera dei ludi funebri etruschi. Nella Tomba tarquiniese degli Àuguri (circa 530 a. C.) sono distinte dall'iscrizione Ph. due figure maschili, il cui volto è coperto da una maschera barbata.
Quella sulla parete destra indossa una corta veste frangiata e un giubbetto aderente con una decorazione a macchie irregolari, e porta un altissimo copricapo conico a strisce bianche e nere. Tiene per il guinzaglio un grosso cane aizzandolo contro un uomo incappucciato che tenta di difendersi alla cieca con una rete. L'altra figura indicata come Ph., sulla parete sinistra della tomba, appare, inquadrata fra due alberelli, in un movimento di corsa o di danza. Indossa un costume identico, che si differenzia solo nel colore e nella decorazione, ma, al contrario dell'altra figura, non ha le gambe coperte da alcun panno ed è scalzo. Deve essere senz'altro esclusa l'ipotesi che possa trattarsi dello stesso personaggio e che questa seconda scena rappresenti un momento successivo dello stesso episodio, in cui cioè Ph., sconfitto, fugge inseguito dal suo avversario. È peraltro indubbio che nel termine Ph. non si deve vedere un nome di persona, ma solo un appellativo generico. La qual cosa è inoltre provata dal fatto che figure molto simili, tipologicamente inconfondibili, anche se prive dell'iscrizione del nome, ricorrono nella Tomba del Pulcinella e nella Tomba delle Olimpiadi di recente scoperta. In ognuno di questi casi è chiaramente determinato il carattere di mascheratura. Poiché il termine Ph. può essere avvicinato al latino persona, - sebbene numerose siano le interpretazioni e le discussioni filologiche a questo riguardo - sembra oltremodo verosimile che, nel suo significato base, Ph. equivalga a maschera, uomo mascherato. Da tale originario valore generico, il termine viene poi applicato a contraddistinguere un tipo specifico di maschera, che si presenta in una iconografia sempre costante, variando soltanto i particolari dell'abbigliamento o la decorazione del costume, a seconda delle funzioni che il personaggio viene ad assumere nelle diverse rappresentazioni. Così, come danzatore, nella Tomba del Pulcinella veste un giubbetto a scacchi, e lo stesso nella Tomba delle Olimpiadi; nella Tomba degli Àuguri la veste del Ph. in corsa è rossa, quella del Ph. nella scena di lotta è nera con strani motivi ornamentali bianchi simili ad ossa frammentate o a maculature di una pelle ferina ogni particolare sembra quindi avere un preciso significato.
Figure che abbiano analogie stringenti con i Ph. non si riscontrano in nessun'altra scena figurata etrusca di altro soggetto mitologico, religioso, votivo, decorativo. La presenza del Ph. sembra limitata e peculiare di queste rappresentazioni di ludi funerarî, che possono d'altronde rispecchiare anche usi e costumi di giochi e feste popolari. La lotta selvaggia della Tomba degli Àuguri può forse essere considerata come una specie di lotta gladiatoria, sul tipo di quella dei retiarii in epoca romana; e secondo una tradizione (riferita da Nicola di Damasco e riportata da Ateneo), gli spettacoli gladiatorî romani erano di origine etrusca e da quando Roma li adotta, nel III sec. a. C., mantengono un carattere funerario, fino al I secolo. Ma l'ipotesi dell'Altheim - seguito poi da altri studiosi - che dà al Ph. una interpretazione simbolico-religiosa, riconoscendovi il Caronte mascherato dei giochi gladiatorî, non sembra molto accettabile; anche se si deve ammettere che la corona di finti capelli con la stilizzazione a fiamma conferisce alla figura una certa qual caratterizzazione demoniaca.
Bibl.: L. Malten, Leichenspiel und Totenkult, in Röm. Mitt., XXXV-XXXIX, 1923-4, p. 318; F. Altheim, Persona, in Archiv. Rol. Wiss., XXVII, 1929, p. 35 ss.; H. Fuhrmann, in Mem. Pont. Acc. Arch., IV, 1934, p. 192; E. Vetter, in Pauly-Wissowa, XIX, 2, col. 2057 s., s. v.; J. D. Beazley, Etr. Vase-Paint., pp. 32; 63; G. Becatti-F. Magi, Le tombe degli Auguri e del Pulcinella, in Mon. Pitt. Ant., Sez. I, fasc. 3-4, 1955, pp. 9, 10, 11, 35; R. Bartoccini, C. Lerici, M. Moretti, La tomba delle Olimpiadi, Milano 1959, p. 14, fig. 4, p. 60 ss.
(S. De Marinis)