- Pseudonimo del writer statunitense Michael Lawrence Marrow, noto anche come Lonny Wood (New York 1955 - ivi 2021). Esponente della prima generazione del writing newyorkese, tra i massimi interpreti della ricerca stilistica sul lettering, la sua figura è decisiva nel processo di formazione della fase pioneristica del subway writing. Dal primo pezzo o masterpiece di Super Kool 223 (1972) si compiono molte delle innovazioni in chiave di stile che vedono P. protagonista, a partire delle cosiddette softies o bubble letters, lettere dilatate e morbide che costituiranno dalla loro introduzione, alla fine del 1972, una delle più importanti fonti formali. Il corpus di novità si allarga ad altre tendenze ed elementi: frecce, barre, loop articolano le lettere e complicano la veste dei pezzi preludendo a quello che successivamente verrà definito wild style; negli anni seguenti la ricerca di P. si fa più complessa, sino a raggiungere il frazionamento formale della lettera, atomizzata in un ammasso di segmenti dal profilo metallico e acuminato nella cui fitta rete accade siano intrappolati inserti figurativi quali occhi e altre tracce biomorfe. In alcuni lavori più recenti (Miami, Wynwood Walls, 2010; Bologna, Frontier, 2012) la figurazione, che risente della passione dell’artista per le culture orientali e le arti marziali, conquista uno spazio più ampio. I molteplici viaggi internazionali compiuti da P. consentono la conoscenza diretta del suo lavoro, divenuto un prototipo di riferimento: le esperienze di Merda in Australia e di Flycat in Italia, ad esempio, tradiscono debiti nei confronti del maestro statunitense. Sul suolo italiano P. è più volte presente tra anni Ottanta e Novanta, lasciando un saggio della propria ricerca in diverse città, a partire da Bologna, dove nel 1984 partecipa alla mostra Arte di Frontiera: New York graffiti. L’aspetto istituzionale è presente nella sua parabola artistica dagli esordi, sebbene egli abbia più volte rivendicato l’autonomia del movimento del writing dal tentativo di ingerenza della cultura dominante, rifiutando lo stesso termine “graffiti”, come esposto in Style: Writing from the Underground (1996) di cui è coautore.