PETTINE (κτείς, κτένιον, ξάνιον; pecten)
L'invenzione del p. risale a epoca remotissima. I primi esemplari che conosciamo provengono dalle stazioni scandinave (Ertbølle e Meilgaard) dell'inizio del Neolitico (protoneolitico) o ancora, secondo alcuni, del mesolitico, stazioni formate da ammassi di conchiglie (kjokkenmöddings): sono di piccole dimensioni, in osso, e presentano una forma alta e stretta che ricorda, appunto, nelle proporzioni, la mano umana. Probabilmente in tale epoca il p. non era ancora impiegato per ravviare i capelli ma aveva qualche altro uso tecnico. Del tutto simile è un p., pure neolitico, da Nussdorf (Baviera) con sottili incisioni trasversali sui denti, che fanno escludere che potesse essere adoperato per la cura dei capelli. Antichissimo, infatti, è l'uso del p., o meglio di strumenti pettiniformi, per decorare la ceramica e per cardare i filamenti di piante tessili.
Inoltrandosi nel Neolitico il manico tende ad abbreviarsi e ad assumere una forma arcuata, mentre contemporaneamente si accresce l'estensione della fila dei denti. (P. in osso da Gotland con costola arcuata decorata alle estremità da due appendici l'una a forma di testa umana, l'altra a forma di testa di animale).
Fin dal Neolitico compare in ambiente mediterraneo il p. a due file di denti, formato, cioè, da una lastra quadrangolare con una fila di denti stretta ed una larga contrapposte. Tale tipo, che predomina nell'Asia Anteriore e si estende fino alla zona alpina, manca totalmente in età preistorica nelle regioni del N dell'Europa.
Il materiale più comunemente usato era il legno, con maggiore frequenza di bosso (Ovid., Fasti, vi, 224) ma anche di ebano, tasso, cedro. Molto impiegati anche l'osso, il corno, l'avorio ed eccezionalmente l'oro e l'argento. In genere il p. è ricavato da un sol pezzo, ma non mancano eccezioni anche in epoca molto antica, come il p. dalla palafitta neolitica di Finelz (Svizzera) formato da bastoncini di corno ripiegato e tenuti insieme da una fermatura lignea, o p. del Tardo Elladico III ove i denti sono fissati in un solco della costola e spesso in modo da poter essere sostituiti, oppure il p. trovato in un sepolcro dell'età di La Tène, a Butzow (Germania), con lamelle di ferro incastonate in un supporto di osso.
In Egitto, fin dall'epoca predinastica, nella necropoli di Naqādah (III millennio a. C.) sono stati rinvenuti p. in avorio; in tombe della I dinastia si trovano spesso p. in corno, osso e avorio, probabilmente usati come ornamento del capo o, insieme con spilloni di varie dimensioni e fogge, per appuntare le trecce. Tali p. sono ad una sola fila di denti, con la costola sia priva di decorazioni, sia intagliata con figure animali ed umane; a volte si trova anche il nome del possessore; occasionalmente, compaiono anche due p. per un solo cadavere.
Dalle terremare dell'Italia settentrionale provengono p. in corno e in bronzo. I p. in corno a una sola fila di denti hanno manichetti ad arco, ad appendice anulare, a forbice, ecc. e sono variamente decorati con denti di lupo o fasce spezzate nella prima fase terramaricola (Tm I A, B = prima metà del II millennio a. C.), con cerchietti con rosetta centrale nella seconda fase terramaricola (Tm II A, B = seconda metà del II millennio a. C.). Quelli in bronzo, sempre ad una sola fila di denti, sono classificabili in due tipi: l'uno molto fine a lati incavati, con manico ad arco e sostegno mediano e con decorazione incisa a circoli concentrici e puntini; l'altro, più rozzo, a lati convessi, corpo rudimentale, manico a tre quarti di cerchio con sostegno mediano. Entrambi i tipi fabbricati sul posto, come attesta il rinvenimento di forme di fusione in pietra, appartengono alla fase Tm II (seconda metà del II millennio a. C.).
Dalla Grecia micenea proviene tutta una serie di p. eburnei a un solo ordine di denti, decorati con rosette incise che rivelano nella loro affinità l'unità di cultura a cui appartengono. Tali sono i p. rinvenuti a Prosymna - uno dei quali è parallelo ad un p. trovato a Troia - Micene, Paleocastro (Creta), Spata (quest'ultimo più ricco ed elaborato con la rappresentazione di sfingi, accanto alla rosetta centrale). In alcuni di questi p. i denti sono tagliati in un pezzo separato che poteva essere sostituito in caso di rottura (Paleocastro, Prosymna); in un altro, da Prosymna, appare una riparazione quasi invisibile.
Alla civiltà cosiddetta orientalizzante va ascritto il p. d'avorio trovato in una tomba del circolo degli avorî (VII sec. a. C.) a Marsiliana d'Albegna, oggetto unico nel suo genere e certamente più di ornamento che di uso comune. Questo p. ha una base a testa arcuata, il dorso ornato di animali a tutto tondo, disposti antiteticamente rispetto a un peduncolo a fiore di melograno, sul cui pistillo è saldata una catenina a treccia di argento che doveva sostenere il p.; lungo le testate laterali, agli angoli, sporgono due protomi di grifo collegate agli animali del dorso. Circa alla stessa epoca (dalla metà dell'VIII al VI sec. a. C.) ed allo stesso clima orientalizzante appartengono i p. in avorio e osso (circa 27 esemplari) trovati negli scavi del santuario di Artemide Orthìa a Sparta e classificabili in tre tipi: a costola tondeggiante, a costola quadrata e a doppio ordine di denti. L'esemplare migliore è quello, in avorio, con la rappresentazione del Giudizio di Paride su un lato, due sfingi coricate sull'altro, datato su basi stilistiche all'ultimo venticinquennio del VII o agli inizî del VI sec. a. C. Sempre al VII sec. appartengono un p. in avorio trovato ad Efeso, negli scavi al di sotto del vecchio Artemision), un gruppo di p. di cui uno proveniente da Alessandria, la maggior parte dalla Siria e alcuni di fattura forse hittita, altri assiro-babilonesi, in avorio e in legno di ebano, conservati ora al Louvre, con doppia fila di denti, l'una più stretta e l'altra più larga, ornati nella parte centrale di una figura incisa o a rilievo ed alcuni p. in avorio, a un solo ordine di denti, di fattura fenicia, con incisi animali, cerchi, rosette, a volte lettere, provenienti dalla Spagna. Uno di questi ultimi, dalla necropoli dei lapidati dell'Acébuchal, presenta i denti appena tracciati sull'avorio e quindi doveva essere stato fabbricato in vista del suo impiego funerario.
All'Età del Ferro villanoviana appartengono esemplari in bronzo da Bologna, uno in avorio a due file di denti da Montefortino. Nelle epoche di Hallstatt e La Tène i p. sono generalmente in legno, ad eccezione dei p. in bronzo da Stradonitz a una o due file di denti e il p. in bronzo fuso trovato in un tumulo celtico di Refranche, con sommità triangolare e foro di sospensione, databile tra la fine dell'epoca di Hallstatt e gli inizî di quella di La Tène (circa VI-V sec. a. C.). Agli inizî dell'Età del Ferro in Germania il manico è ormai diventato una stretta lastra quadrangolare, mentre nell'età di La Tène assume una forma debolmente arcuata o a tetto e nell'Età del Bronzo si irrigidiva in una forma triangolare. All'età di La Tène appartengono i p. trovati a Glastonbury, in osso, muniti di lungo manico spesso ornato da disegni geometrici, che certamente non erano impiegati per la cura dei capelli ma per cardare.
Nella Grecia classica il p. figura nel corredo delle divinità; ad Argo era conservato un p. aureo perché fosse usato da Pallade (Kall., Hymn., v, 31); altri p. erano offerti come ex voto ad Afrodite (Anth. Pal., vi, 211, s). Cominciano a comparire ora anche i p. con astuccio. Certamente cultuale era il p. d'oro trovato in un tumulo scitico a Solocha (Dnepr), con una costola formata da cinque leoncini accovacciati e sormontato dalla rappresentazione a tutto tondo di una battaglia equestre con guerrieri in costume scitico: pregevolissima opera di oreficeria di gusto e composizione greca databile al IV sec. a. C. Sempre dal Bosforo Cimmerio proviene un p. con iscrizione: ἀδελϕῇ δῶρον e altri due p., pure lignei conservati al British Museum.
In epoca romana il p., oggetto indispensabile dell'arte dell'acconciatore, viene riprodotto in rilievi di monumenti funerarî di parrucchieri (ornator, pectinator) e parrucchiere (pectinatrix); le pettinature divengono, specie nell'Impero, sempre più elaborate e si diffonde l'uso, precedentemente pressoché sconosciuto, del p. come ornamento del capo, come sembrano attestare un passo di Ovidio (Ars am., iii, 147: haec [coma] placet ornari testudine Cyllenea) e uno di Polluce, v, 96 (τὸ ξάνιον ἦν καὶ ἀυτὸ χρυσοῦν, κεϕαλῇ κόμος). Continuano le forme precedenti, ma predominano i p. doppi con una fila di denti più serrata da una parte ed una più larga dall'altra, come il p. del British Museum con intagliato a giorno nella parte centrale il nome della proprietaria: "Modestina V(irgo) H(onesta) E(t) E(gregia)". Una serie di p. in bronzo a un solo ordine di denti, decorati per lo più con punti e ornati geometrici, proviene da Pompei.
Ad età tardo-romana appartengono i p. triangolari in osso da Treviri, forniti di astucci, di cui uno ornato di protomi animali.
Dell'uso cultuale del p. restò qualche eco durante la prima età cristiana nella consuetudine del sacerdote di ravviarsi prima di iniziare i riti sacri. Tale destinazione poté avere ad esempio il p. eburneo detto di S. Ildegardo, già nel convento di Ruppersberg (Bingen), a doppia fila di denti, esibente nella zona centrale da un lato tre guerrieri, dall'altro una corsa di due quadrighe.
Ma l'arte paleocristiana arricchì la decorazione dei p. con motivi ispirati dal suo patrimonio religioso. Fra gli esemplari più pregevoli di questo periodo, generalmente in avorio, è il p. di Daniele del museo di Algeri a doppia fila di denti, con la rappresentazione di Daniele nella fossa dei leoni (V sec. d. C.).
Monumenti considerati. - P. da Gotland: M. Ebert, Reallex., iv, 2, tav. 185. P. del Tardo Elladico: C. Blegen, Prosymna, Cambridge 1937, pp. 281-83. P. da Troia: W. Dörpfeld, Troja und Ilion, Atene 1908, i, p. 399, fig. 389. P. da Marsiliana d'Albegna: A. Minto, Marsiliana d'Albegna, Firenze 1921, pp. 226-28. P. dal santuario di Artemide Orthìa: R. M. Dawkins, Arthemis Orthia, Londra 1929, pp. 222-24, tav. cxxvi-cxxxi; R. Hampe, Das Parisurteil auf dem Elfrnbeinkamm aus Sparta, in Neue Beiträge Klass. Altertumswissensch., 1954, pp. 77-86. P. da Efeso: Excavation at Ephesus, Londra 1908, tav. xxvii, 10. P. del VII sec., al Louvre: F. Poulsen, Der Orient u. die frühgriechische Kunst, Lipsia-Berlino 1912, pp. 54-55. P. dalla necropoli dell'Acébuchal: C. Bonsor, in Rev. Arch., xxxv, 1899, II, pp. 280-83; 289-91. P. da Montefortino: O. Montelius, La civilisation prim. en Italie depuis l'introduction des métaux, i, Stoccolma 1895, tav. 155, n. 11. P. dal Bosforo: con iscrizione: S. Reinach, Antiq. Bosph. Cimm., Parigi 1892, 136; al British Museum: Jahrbuch, xxvii, 1912, 602. P. tardoromani da Treviri: M. Bersu, in Germania Romana2, v, 1930, tav. xvii, 4; xviii, 5. P. paleocristiano al museo di Algeri: K. Wessel, in Jahrbuch, lxiii-lxiv, 1948-49, p. 129, fig. 10.
Bibl.: In generale: Perrot-Chipiez, Histoire de l'art dans l'antiquité, II, Parigi 1884, pp. 758-60; G. Lafaye, in Dict. Ant., IV, p. 363, s. v. Pecten; Götze, Rank, Meisner, in M. Ebert, Reallex. der Vorgesch., 1925, p. 198-202, s. v. Kamm; Herzog-Heuser, in Pauly-Wissowa, XIX, 1937, c. 7-9, s. v. Pecten. In part.: F. Petrie, Naqada and Ballas, Londra 1896, tav. LXIII; J. Dechelette, Manuel d'Arch. prehist. céltique et gallo-rom., Parigi 1908-14, passim; F. Poulsen, Der Orient und die frühgriechische Kunst, Lipsia-Berlino 1912, pp. 51, 54 ss.; 76; 100; R. Cagnat-T. Chapot, Manuel d'Arch. Romaine, II, Parigi 1916, pp. 395-396; G. Säflund, Le terremare delle province di Modena, Reggio Emilia, Parma, Piacenza, Lund-Lipsia 1939, pp. 181; 186; 191; A. Ramos Folques, Peines cartagineses de la Alcudia, in Zephyrus, IX, 1958, n. 2, pp. 220-224.