PETTINE
. Secondo l'impiego cui sono destinati, i pettini possono essere distinti in due grandi categorie: pettini da testa, destinati all'acconciatura e all'ornamento della capigliatura femminile e pettini da pettinare, destinati al trattamento e alla pulizia dei capelli e del cuoio capelluto.
I pettini da testa ebbero fino al 1926 larghissimo impiego in tutto il mondo, fino a che cioè la moda dei capelli corti venne a restringerne grandemente l'uso. Si fabbricavano nelle forme più svariate e con le più ricche e costose decorazioni. Per le qualità più fini s'impiegavano la tartaruga, l'avorio o le corna di animali; per le qualità più economiche, la celluloide o altre materie plastiche imitanti la tartaruga, il corno e l'avorio Venivano decorati con applicazione di pietre false, e con applicazioni e incrostazioni anche metalliche. Oggi, l'uso del pettine da ornamentti è ormai limitato quasi esclusivamente alla Spagna, perché il pettine che, oltre a sorreggere le treccie sulla nuca serve di appoggio alla mantilla, fa parte integrante del costume nazionale femminile spagnolo.
I pettini da pettinare, invece, hanno subito ben poche varianti nella loro forma e sono largamente usati in tutto il mondo. Agli inizî del sec. XX si fabbricavano esclusivamente di corno o unghie di animali; attualmente vengono nella maggior parte fabbticati in celluloide, gomma indurita (ebanite) e altre materie plastiche (galalite, polveri da stampaggio, acetato di cellulosa, ecc.).
La celluloide, che è la materia di gran lunga più adoperata, è prodotta in grossi parallelepipedi compatti, che vengono sezionati in fogli di diverso spessore, secondo le richieste; tali fogli, opportunamente stagionati, sono poi tagliati in tavolette di dimensioni e spessore adatti ai tipi di pettini che si vogliono ricavare. Secondo la lavorazione alla quale sono sottoposti, i pettini possono distinguersi in segati, tagliati e stampati.
Pettini segati. - Questo tipo di lavorazione è adottato per i pettini di qualità più fine. Essi vengono dapprima abbozzati, tagliando la tavoletta di celluloide nella forma esterna del pettine, e fresando poi la parte nella quale dovranno essere tagliati i denti, in modo da predisporre il profilo piramidale di questi. I denti vengono, poi, ricavati a uno a uno, segando il materiale con frese circolari di spessore vario secondo la grossezza dei denti e la larghezza degl'intervalli fra un dente e l'altro. Il pettine così preparato viene poi lisciato mediante ruote di panno con pomice in polvere e acqua, indi lavato accuratamente, asciugato in centrifughe e lucidato a specchio con grassi speciali su ruote di tela o di pelle. Infine, viene marcato mediante impressione a caldo con oro falso o colori.
Pettini tagliati. - Sono pettini di qualità più corrente dei precedenti. Vengono ricavati da tavolette di dimensioni e spessore convenienti, mediante una macchina ad avanzamento automatico e a coltelli con azione verticale, i quali, abbassandosi alternativamente sulla tavoletta di celluloide, praticano tagli convergenti alternativamente verso l'alto e verso il basso, in modo che, ultimata l'operazione, da una tavoletta di celluloide si ricavano due pettini. Staccati, lisciati alla ruota ad acqua e pomice, asciugati e lucidati mediante esposizione ai vapori di solventi, questi pettini vengono poi marcati come i precedenti.
Pettini stampati. - La massima produzione di pettini da pettinare viene però ottenuta mediante stampaggio. Le tavolette di celluloide greggia, rammollite su apposite tavole di ghisa con riscaldamento a vapore, vengono collocate in appositi stampi di acciaio composti di due parti opponibili recanti ciascuna l'impronta esatta di due o più pettini.
Ciascuno stampo viene introdotto in una pressa idraulica, sottoposto a elevata pressione, a caldo, indi raffreddato, sempre sotto pressione. Tolto dalla pressa, il pettine, liberato dall'eccesso di materia e raschiato fra i denti, subisce le operazioni di rifinitura come i precedenti.
I pettini da pettinare sono fabbricati in lunghezze variabili fra i 15 e i 22 cm. Sono però entrati nell'uso comune pettini di misura ridotta, fra i 9 e i 12 cm. (tascabili), che sono lavorati più accuratamente e il più delle volte racchiusi in astucci di celluloide, di pelle o di seta, recanti specchietti e decorati secondo motivi di moda; talvolta anche i pettini comuni sono decorati in modo vario o sagomati in forme di fantasia sul dorso.
Etnografia. - La cultura primitiva ignora il pettine; e lo stesso è nella cultura australiana o almeno in Oceania, nelle culture del totem e delle "due classi". Il pettine non appare definitivamente in Oceania che nella cultura dell'arco piatto; è un pettine d'un pezzo solo in cui i denti formano un blocco solo col corpo ed è di forma speciale, dovuto al materiale con cui è fatto; essendo infatti tagliato nel bambù assume una forma convesso-concava. Il dominio principale di questo pettine è la Papuasia (tranne alcuni gruppi d'isole nel NE). Si è pure trovato il pettine di bambù tra gli Aeta delle Filippine e i Semang di Malacca, dove però si crede rappresenti un imprestito.
Il pettine fatto di tanti denti separati, riuniti da una striscia di materiale qualunque, molto meno diffuso, si è constatato nei paesi seguenti dell'America Meridionale: Pampas, Gran Chaco, centro del Brasile (Alto-Xingú: Mehinacú e Auetó), nella bassa Bolivia (Arauna del Río Beni), nella bassa Colombia (Tucano). Questa distribuzione nelle pianure sud-americane potrebbe far credere a un'origine indipendente dalla Polinesia, ma esemplari protostorici trovati ad Ancón nel Perù rappresentano un legame tra le due regioni. In quanto all'Oceania, oltre alla Polinesia, ove è comune, il pettine composto invade alcune isole prossime alla Nuova Guinea come, per esempio, le isole dell'Ammiragliato e San Matteo e le isole di Santa Cruz. Più a O. è frequente in tutta l'Indonesia soprattutto nella parte orientale, e fin tra i Senoi e i Semang di Malacca. In Africa il pettine composto è stato notato tra i Wayao della riva orientale del lago Nyassa (Mozambico). Si può dire dunque che il pettine composto è tipico della cultura malese-polinesiana e che si trova in tre grandi regioni: l'America Meridionale, la Polinesia e l'Indonesia.
Storia. - Antichità classica. - L'uso e, quindi, l'invenzione del pettine (gr. κτείς, κτένιον; lat. pecten) risale a ed remota nella storia del costume. Tale uso è ampiamente documentato in Europa a partire dall'età neolitica.
Come oggetto di toletta il pettine nell'antichità serviva quasi esclusivamente per districare e ravviare i capelli; per fissare l'acconciatura delle chiome ed esserne ornamento venivano usati piuttosto lunghi spilli (acus crinales) di varia materia, anche d'oro, e ornati di perle o pietre preziose. Rarissime infatti e non sicure sono le menzioni del pettine per tale ufficio. Che per le donne greche il pettine (ξάνιον) fosse consueto ornamento dei capelli è affermato da alcuni scrittori (H. Blümner) sulle basi di una tarda testimonianza, negato da altri (E. Guhl e W. Koner); è anche incerto se le donne romane ne portassero, non essendo necessario intendere come allusione al pettine ornamentale l'unica menzione che altri scorge in Ovidio, Ars am., III, v. 147: haec (coma) placet ornari testudine Cyllenea. Il pettine antico era semplice o doppio.
Il pettine viene dapprima fabbricato di legno e d'osso; quindi, con l'inizio dell'età del bronzo, di corno e di metallo. Pettini di avorio e di legno si sono ritrovati in tombe egiziane della prima dinastia, con ornamenti simbolici varî incisi e perfino con il nome del proprietario. Un magnifico campione di pettine d'avorio è quello rinvenuto in una tomba micenea, a Spata, nell'Attica, con unica fila di denti e con doppio fregio di sfingi alate. Da questo momento il pettine si può ritenere diffuso in tutto il mondo greco, dove, a causa delle chiome lunghe in uso anche per gli uomini, il pettine assumeva per un uomo importanza non inferiore a quella che aveva per le donne. Pettini dovevano quindi trovarsene di qualunque natura e di qualunque prezzo: dal modesto pettine di legno al pettine d'argento, e perfino d'oro. Il più bell'esemplare di pettine dell'età classica è infatti quello aureo rinvenuto in una tomba principesca scitica a Solocha nella Russia meridionale: ha un'unica fila di denti e larga impugnatura riccamente figurata a traforo e a pieno tondo: è di arte greca del sec. IV a. C. In paese greco sono ricordati pettini d'oro come offerte a divinità femminili. Nel mondo romano la documentazione figurata del pettine, di legno (bosso), di avorio o di metallo, quasi sempre di forma rettangolare, a doppia fila di denti, più fitti e più radi, ricorre anche in epigrafi sepolcrali, con allusione all'arte di ornator o pectinator e di ornatrix (pettinatrice). Pettini di bronzo si sono rinvenuti a Pompei. Pettini d'avorio si sono trovati nelle catacombe cristiane in Roma, e con frequenza nelle tombe barbariche dell'alto Medioevo.
Medioevo ed età moderna. - Nel Medioevo i pettini, per vario tempo, conservano la forma e gli usi già accennati. Un celebre esempio di pettine, probabilmente da acconciatura, è quello, conservato nella Basilica di Monza, della regina Teodolinda (sec. VI): misura cm. 23 × 7, è d'osso, con una lunga fila di denti disposti assai irregolarmente; la guarnizione è d'argento e reca 5 gemme preziose; la decorazione è assai semplice, e consta di piccole spire alternate. L'ornamentazione dei pettini, in questo primo periodo, è conforme allo stile bizantino, e tale si conserva sin verso il sec. XIV; la materia è quasi sempre l'avorio, il corno o l'osso, spesso anche il legno, che si prestava talora a una complicata lavorazione. Un altro pettine assai noto di questo primo periodo è quello di Enrico I, adorno di pietre preziose, conservato nel duomo di Quedlinburg.
Col Trecento, pur mantenendosi più o meno invariate le materie prime, si osserva un mutamento nell'ornamentazione dei pettini: le figure scolpite nella parte centrale e sulle costole laterali dei graziosi pettini d'avorio - molti dei quali giunti sino a noi - non si ispirano più esclusivamente alla storia sacra, e vi compaiono immagini e motivi profani. Nel sec. XVI, poi, mentre sussiste ancora il pettine liturgico, già in uso nell'alto Medioevo con il quale i preti solevano ravviarsi la capigliatura prima di recarsi all'altare (un importante esemplare del sec. X è al museo di Nancy), l'ornamentazione dei pettini d'uso abituale s'ispira spesso a motivi pagani, come amorini, scene di caccia, ecc.; la forma, in tutto questo periodo, resta press'a poco la stessa, i pettini sono per lo più doppî, con una fila più rada, l'altra più fitta di denti appuntiti. Nello stesso secolo troviamo anche pettini d'ebano e persino, del tutto eccezionalmente, pettini di piombo, che taluno consiglia per far annerire le chiome. Nel sec. XVII e nel successivo l'uso prolungato del pettine si estende anche agli uomini, reso necessario dalle variazioni della pettinatura (v.) e dalle fogge delle parrucche. Già nel '600 si fabbricano pettini di tartaruga, tra cui va menzionato quello famoso di Cristina di Svezia, che reca la data del 1630. Con l'introduzione delle moderne tecniche di lavorazione, i pettini acquistano la diffusione più larga e si estendono altresì le materie di fabbricazione (le più comuni restando però sempre l'osso, il corno, la tartaruga, cui si aggiungono composti speciali, come la celluloide o la galalite); e si distinguono nel modo più netto i pettini da pettinare, che conservano più o meno la forma tradizionale, da quelli da testa, di solito assai più alti e più stretti, con denti di minor numero e di maggiori dimensioni e con un margine più alto e talora riccamente ornato, quali troviamo ancora, p. es., in acconciature tradizionali spagnole o, in forma più dimessa, in quelle paesane di varie regioni d'Italia.
Bibl.: A. Götze (ed altri), in M. Ebert, Reallexikon d. Vorgeschichte, VI (1926), s. v. Kamm; G. Lafaye, in Daremberg e Saglio, Dictionnaire, IV, pp. 363 segg.; H. Blümner, Technologie u. Terminologie der Gewerbe u. Künste, II, Lipsia 1879, p. 360; E. Guhl e W. Koner, La vita dei Greci e dei Romani, trad. it., I, Torino 1889, p. 248; Becker-Göll, Gallus, III, Berlino 1882, p. 273; I. Müller, Die Griechischen Privataltertümer, Monaco 1893, p. 110; H. Blümner, Römische Privataltertümer, Monaco 1911, p. 263.