ARCUDIO ('Αρκούδιος), Petros
Sacerdote greco, nato in Corfù nel 1562 o 1563, da una famiglia originaria dalla piccola isola di Arcudi ('Αρκοῦδι), fra Itaca e Leucade. Della sua famiglia si sa soltanto che il padre si chiamava Teodoro, e che un suo fratello maggiore, Crisò, ottenne il beneficio di canonico e tesoriere della cattedrale latina di Corfù. Eretto da Gregorio XIII nel 1576 il collegio greco di S. Atanasio in Roma, l'A. vi fu ammesso nel 1578, probabilmente mercé l'intervento dell'arcivescovo latino dell'isola, il veneziano Antonio Cauco, membro della Congregazione per la riforma dei Greci istituita dal pontefice nel 1572. Fu testimone l'A. dei primordî assai difficili del collegio, di cui ci ha trasmesso il pittoresco racconto, e vi ebbe da soffrire per aver tentato di farlo affidare ai gesuiti. Fu il primo che si addottorò in filosofia e teologia (1591) nel collegio, e ricevette il sacerdozio di rito romano, conservando però quello bizantino, dal cardinale Giulio Santoro, uno dei protettori del collegio. Da parecchi anni si lavorava in Polonia per il ritorno dei Ruteni alla comunione della Chiesa cattolica: quando uno dei principali fautori dell'unione Bernardo Maciejowski, vescovo latino di Luck, venuto nell'autunno del 1590 a Roma per prestare ubbidienza a Gregorio XIII in nome del nuovo re Sigismondo III, espresse il desiderio di avere vicino a sé come coadiutore un sacerdote greco alunno del collegio di S. Atanasio. Il Santoro propose l'A., che, sul principio del 1591, partì per Luck con l'ambasciatore polacco. Per mezzo della lingua latina, molto diffusa in Polonia, ebbe frequenti colloquî con il futuro vescovo ruteno di Vladimir Volinsk, Ipazio Pociej, ancora senatore, molto zelante per l'unione, col metropolita di Kiev, Michele Rahoza, e col principe Costantino Ostrožskyj. L'unione con Roma, decisa nel giugno 1590, tardava ancora; e l'A., mandato in Polonia per tre anni, fece ritorno in Roma (settembre 1593), prendendo dimora nel collegio greco, allora affidato ai gesuiti.
Il 27 settembre 1595 i due vescovi ruteni di Vladimir e di Luck, Ipazio Pociej e Cirillo Terleckyj, s'incamminarono alla volta di Roma, e il 23 dicembre 1595 fecero la professione di fede cattolica, in nome del metropolita Rahoza e dei loro colleghi, nell'aula Costantiniana al vaticano, alla presenza di Clemente VIII e di tutta la corte pontificia. Espressero poi anche il desiderio di avere in Polonia un istituto simile al collegio greco. E il papa scelse Pietro Arcudio a rettore del nuovo seminario ruteno, da erigersi in Vilna. Aspettando che l'edifizio fosse pronto, l'A. dava lezioni pubbliche di teologia, si metteva in relazione con i principali promotori del movimento unionista, e polemizzava contro gli avversarî. Il re Sigismondo gli conferì due benefizî, e lo inviò a Mosca con l'ambasceria che andava a ossequiare il nuovo zar Boris Godunov. Si proponeva l'A. di ricercare manoscritti antichi di classici greci e latini che si ritenevano posseduti dagli zar nella loro famosa biblioteca del Kremlino; ma invano. Tornato a Vilna e vedendo che il seminario non si apriva, A. continuò i suoi lavori letterarî pubblicando opuscoli del Bessarione e di Giovanni Vecco in favore della dottrina cattolica. Proposto al re dal nunzio Claudio Rangoni per la sede rutena di Pinsk e Turov, non poté conseguirla, non essendo né polacco né ruteno, ma fu mandato dal metropolita d'allora Ipazio Pociej, per far le sue veci nella Dieta del 1603, e nel medesimo anno a Roma per presentare una relazione sul progresso dell'unione. Tornò in Polonia sullo scorcio del 1604, o sul principio del 1605, e fece un lungo soggiorno a Cracovia presso il vescovo Bernardo Maciejowski. Perduta la speranza di vedere aperto il seminario ruteno di Vilna, tornò a Roma nel 1609. Accettò allora la carica di teologo del cardinale Scipione Caffarelli-Borghese, nipote di Paolo V, passando dal rito bizantino a quello romano. E quivi poté ultimare l'opera cui deve maggiormente la sua fama la Concordia Ecclesiae occidentalis et orientalis in septem Sacramentorum administratione (Parigi 1619; 2ª ed., ivi 1627). Insieme con parecchi ex-alunni del collegio greco, si adoperò con successo per farvi ritornare i gesuiti, e vi si ritirò. Rovesciato in una strada stretta da un carretto da vino, perdette l'uso delle gambe: e si faceva trasportare la mattina nella biblioteca del collegio, rimanendovi fino alla sera. Passò così i tre ultimi anni della sua vita. Più volte fu proposto per l'episcopato, senza che la nomína mai avesse effetto. Morì nel 1633, e fu sepolto, secondo alcuni nella chiesa del collegio, secondo altri in quella del Gesù.
L'A. scrisse inoltre una relazione, non ancora rintracciata (checché ne dica E. Legrand, Bibliographie hellénique... du XVII siècle, III, Parigi 1895, p. 220), intorno all'unione con i Ruteni. Scrisse pure una Relazione de' primi successi del Collegio [greco] pubblicata con molte lacune dal Legrand, op. cit., pp. 481-493, ma conservata in migliore forma in un codice della biblioteca Vallicelliana di Roma. Gli archivî romani contengono alcune sue lettere inedite, e la Nazionale di Parigi un elogio di Gregorio XIII, in greco.
Bibl.: La notizia del Sathas, Νεοελληνικὴ ϕιλολογια, Atene 1868, s. v., è del tutto insufficiente: la migliore biografia dell'Arcudio è ancora quella del Legrand, op. cit., pp. 209-232, ma la cronologia lascia a desiderare. Nella medesima Bibliographie si troverà la descrizione di tutte le opere pubblicate dell'Arcudio, meno quella dell'edizione rutena dell'Antirrhesis (1599).