PETROGRAFIA (o Litologia o Petrologia)
È la scienza delle rocce. L'uso ha consacrato il primo nome che ha, etimologicamente, un significato più ristretto. La ragione sta nel fatto che, nel momento in cui fu creato, prevaleva in modo quasi assoluto il metodo di studio fondato sull'osservazione e sulla descrizione delle sezioni sottili di rocce e dei minerali che le costituiscono.
Per il concetto preciso di roccia vedi questa voce: basti ricordare qui che roccia è la giacitura normale di uno o di diversi minerali in masse che costituiscono parte considerevole della porzione superficiale, a noi nota, della litosfera. Evidenti appaiono i legami molto stretti che riconducono questo campo di dottrina, da un lato alla geologia, dall'altro alla mineralogia propriamente detta, e conseguentemente, è chiara anche la ragione dell'affermazione piuttosto recente di una sua autonomia.
Autonomia che è derivata dall'estensione sempre più grande del campo di ricerca, dall'applicazione di metodi sempre più precisi e delicati, i quali, per naturale conseguenza, hanno determinato la necessità di una preparazione più perfetta e maggiormente specializzata; preparazione acquisibile più facilmente dal mineralogista, i cui strumenti di lavoro sono prevalentemente quelli del fisico e del chimico, che non dal geologo, al quale tuttavia rimane sempre riservato il compito ultimo del coordinamento della ricerca petrografica. È con metodi di mineralogista, ma con mentalità di geologo che la petrografia deve essere coltivata.
Storia. - La storia della petrografia data dall'inizio della sua autonomia: anteriormente si confonde con quella della mineralogia e della geologia. Come ramo della geologia le sue origini si fanno rimontare alla seconda metà del sec. XVIII, cioè alla lotta fra nettunisti e plutonisti. Già fin d'allora molti avevano rimarcato l'identità fra basalti e altre rocce di regioni in cui non sono più riconoscibili tracce di apparati vulcanici e le lave di vulcani attuali o spenti di recente: ma la scienza ufficiale di quel tempo, quella di A. G. Werner, non poteva ammettere tale identità per l'esclusiva interpretazione sedimentaria dei fenomeni geologici, che era il suo dogma. Bisognava che il più famoso discepolo di Werner, Leopoldo von Buch, si convertisse al plutonismo, perché s'incominciasse a render ragione al suo più grande avversario J. Hutton, e ad attribuire alle rocce eruttive l'importanza capitale che esse hanno nella costituzione della terra, distinguendole nettamente dalle sedimentarie.
Durante la prima metà del sec. XIX la petrografia rimase ancora in possesso dei geologi che portarono un grande contributo allo studio delle rocce sul terreno e dei loro reciproci rapporti, ma solo imperfettamente poterono giungere a determinarne con precisione la natura e in molti casi anche la genesi per mancanza di mezzi adatti di studio in laboratorio. Tutto si riduceva ad analisi chimiche di rocce in blocco o di minerali da esse estratti, neanche spesso in sufficiente grado di purezza, o ad un esame con la lente, che permette un ingrandimento di non più di 10 diametri, di superficie naturali o levigate, o a una separazione di polveri. Escluse alcune rocce a grana grossa, esclusi i minerali di consolidazione intratellurica dei porfidi e di altre rocce effusive, tutto il resto rimaneva mineralogicamente inesplorato. Chi meglio riuscì, con l'esame delle rocce ridotte in polveri o in frantumi, nel riconoscimento per mezzo del microscopio dei costituenti fondamentali fu P.-L. Cordier nel 1815. Poi W. Nicol, l'inventore del prisma che porta il suo nome, nel 1827 propose di tagliare le rocce in sezioni sottili, tanto da diventare trasparenti, ma il merito di fondatore della petrografia moderna spetta all'inglese Henry Sorby, che applicò il microscopio polarizzatore all'esame ottico delle rocce ridotte in sezioni sottili e diede i risultati dei suoi studî sui marmi e sui graniti con la memoria, d'importanza fondamentale, On the microscopical structure of crystals indicating the origin of minerals and rocks (Londra 1858).
Uno dei primi a seguirlo su questa strada, tanto feconda di risultati, fu, nel 1863, il tedesco F. Zirkel, con i suoi Mikroskopische Gesteinstudien a cui presto si associò H. Rosenbusch. I due si possono considerare i fondatori della scuola petrografica tedesca, mentre un po' più tardi si veniva sviluppando una scuola francese per opera specialmente di F.-A. Fouqué e di Michel-Lévy. Una pleiade di scienziati, sulle orme specialmente dello Zirkel e del Rosenbusch, diffuse i metodi microscopici che, per un certo periodo di tempo, sostituirono quasi interamente i metodi chimici. Apparve più comodo, e soprattutto più rapido, l'esame delle sezioni sottili, che permette in molti casi la conoscenza completa della costituzione mineralogica e, da questa, la conoscenza indiretta della composizione chimica. Si perfezionarono intanto i metodi ottici, in particolare per la necessità di una determinazione più esatta delle molte e varie molecole feldspatiche che, da sole o in miscela, costituiscono elementi essenziali e caratteristici delle varie famiglie di rocce; s'intravidero, con il perfezionato esame ottico, affinità chimiche tali da imprimere carattere fondamentale a varie famiglie di rocce che, forse caoticamente, certo senza classificazione alquanto arbitraria.
In definitiva, lo stesso perfezionamento dell'esame microscopico creò il bisogno di un ritorno all'analisi chimica, come elemento integratore dello studio veramente scientifico di una roccia. Furono il Rosenbusch stesso, e con lui W. C. Brögger, A. Osann, A. Loewinson-Lessing, I. P. Iddings, H. S. Washington e P. Niggli, per dir solo dei maggiori, che dedicarono i loro studî al chimismo delle rocce, specialmente eruttive, traendone importanti conseguenze, sia per la classificazione delle rocce stesse (v. eruttive, rocce), sia per i loro caratteri genetici (v. petrogenesi). Tale movimento fu benefico, perché integrò lo studio microscopico con il chimico e dimostrò che né l'uno né l'altro, da soli, potevano condurre alla desiderata perfezione scientifica. Non eliminò invece, anzi raddoppiò, l'inconveniente della nomenclatura arbitraria e molte volte inutile. A tal punto è giunta oggi nel suo sviluppo questa scienza giovane, che trova nell'immensità del materiale di studio una delle condizioni per il suo rigoglioso fiorire, di cui dà testimonianza il numero ognor crescente di pubblicazioni che vengono giornalmente ad arricchirne la letteratura.
Metodi di studio. - Si dividono in studî sul terreno e in studî di laboratorio. Abbiamo già detto come i primi non si differenzino da quelli della geologia propriamente detta e come abbiano, agli albori di questa, preceduto quelli di laboratorio. Rimangono ancora della massima importanza, perché non è giustificabile lo studio a sé di un frammento di una grande massa rocciosa, senza che ne siano conosciute e descritte la giacitura sul terreno, la sua morfologia e le sue relazioni con le masse adiacenti.
Un gruppo di studî sul terreno è quello che riguarda il vulcanismo, o meglio i materiali prodotti dall'attività endogena, quale si svolge sotto i nostri occhi, o quale si è svolta in epoche relativamente recenti, lasciando apparati ancora ben conservati. Da questi, per gradi ci si estende alle rocce il cui carattere effusivo o di espansione alla superficie è ancora riconoscibile e i cui rapporti cronologici con sedimenti di età ben stabilita sono ben chiari.
Maggiori difficoltà presentano gli studî sul terreno di rocce a cui si attribuisce una consolidazione in profondità o intrusive. In questo caso, oltre all'osservazione della morfologia delle masse rocciose (batoliti, laccoliti, filoni; v.), il problema principale, e talora di difficile soluzione, che s'impone nelle ricerche sul terreno, è quello della determinazione dell'età, non così agevole, come lo è sovente nel caso delle rocce effusive.
I metodi di studio petrografici usati in laboratorio sono essenzialmente ottici o chimici, integrati talora da metodi accessorî, che in definitiva si collegano agli altri. Il metodo ottico più comune è lo studio delle sezioni sottili. Si tratta di lamine di rocce a facce perfettamente parallele, dello spessore, generalmente, da 1 a 3 centesimi di millimetro. A tali spessori tutti i minerali delle rocce, tranne quelli a lucentezza metallica, divengono trasparenti e attraverso alla laminetta si può leggere agevolmente una scrittura fina.
Una scheggia di roccia viene levigata sopra una lastra di ghisa con acqua e polvere di smeriglio, usando una poltiglia di smeriglio sempre più fino e infine altri abrasivi, come rosso inglese e ossido di stagno. Ottenuta così la perfetta pulitura di una superficie, la s'incolla sopra una lastrina di vetro grosso, premendola in seguito contro un disco di ghisa sottoposto a un moto di rotazione sul suo piano: si adopra ancora smeriglio di grana sempre più fina in modo da ottenere una superficie perfettamente parallela alla precedente e la sottigliezza voluta. Ciò si constata sottoponendo spesso le laminette, durante la lavorazione, all'esame microscopico. Infine la lamina viene staccata dalla lastra di vetro, pulita e attaccata sopra un vetrino porta-oggetti coperto di un copri-oggetto, come le comuni preparazioni microscopiche.
Con siffatte sezioni, che in particolari casi possono essere tagliate in diversi piani della roccia, per meglio osservarne la tessitura e i particolari di struttura, si studiano, non solo i caratteri strutturali, ma anche la composizione mineralogica della roccia. L'uso del microscopio polarizzatore con i suoi accessorî, sempre più perfezionati, permette l'osservazione dei caratteri morfologici e specialmente ottici dei minerali delle rocce. È possibile cioè, in molti casi, determinare la forma dal contorno della sezione del poliedro cristallino, la sfaldatura dalle sue tracce sulla sezione, colore e altre proprietà esterne, indici di rifrazione, direzione degli assi dell'indicatrice ottica, valore della birifrazione, segno ottico, eventuale pleocroismo e schema di assorbimento corrispondente, angolo degli assi ottici, figura d'interferenza e molte altre particolati proprietà ottiche (v. cristalli: Fisica dei cristalli; microscopio).
In aggiunta al riconoscimento e allo studio delle proprietà dei componenti la sezione, si può, con speciali planimetri di vario tipo che s'inseriscono sul piano del microscopio, procedere alla determinazione approssimata della loro quantità relativa.
A luce riflessa poi, ordinaria o polarizzata, si studiano i minerali non trasparenti con lucentezza metallica (ossidi, solfuri, solfosali, ecc.) che si trovano nelle rocce ordinarie o nelle masse mineralizzate dei diversi giacimenti minerarî.
A integrazione dell'esame delle sezioni sottili viene adoperato l'esame della roccia ridotta in granuli o in polvere. Con i granuli, classificati con setacci, si costituiscono preparati in olio, in glicerina, in essenza di garofano o in altri liquidi, per mezzo dei quali è agevole il riconoscimento dei caratteri ottici dei minerali che entrano a farne parte.
La polvere della roccia può essere sottoposta mediante l'impiego di liquidi pesanti all'analisi isopicnomerica, allo scopo di ottenere una separazione abbastanza perfetta dei varî minerali che la costituiscono. Questo sistema viene più frequentemente adottato per le sabbie, le arenarie, le argille, le rocce piroclastiche, e, in genere, per le rocce incoerenti o friabili.
Per queste ultime, volendosene ottenere sezioni sottili, è necessaria un'agglomerazione artificiale, che si pratica con la cottura nel balsamo o con cementazione per mezzo di ossido di zinco e acido fosforico.
Infine, per la separazione degli elementi di una roccia dotati di suscettività magnetica da quelli che tale proprietà non possiedono, si può fare uso di una calamita o meglio, per separare i più dai meno magnetici, di una elettrocalamita con resistenza variabile e con distanza pure variabile delle espansioni polari.
I metodi chimici adoperati in petrografia sono la deteminazione qualitativa di taluni minerali che costituiscono le rocce, più spesso con analisi microchimica e l'analisi complessiva.
Le analisi microchimiche si fanno o sulla sezione scoperta (priva cioè di copri-oggetto) o su granuli di minerale. Le reazioni microchímiche più frequentemente usate sono l'attacco con acido e successiva colorazione con fucsina di alcuni silicati gelatinizzabili. Reattivi comuni sono l'acetato di uranile per composti di sodio, acido cloroplatinico per minerali di potassio, cloruro di cesio per l'alluminio. Frequentemente adottato è il metodo di E. Boricky con acido idrofluosilicico, per sodio in confronto di potassio e per altri elementi. L'analisi chimica, che fu uno dei primi metodi di ricerca scientifica adoperati in petrografia e che nel periodo di rapido sviluppo delle osservazioni al microscopio era stata per un momento quasi messa in disparte, è tornata in gran favore, quando si creò la convinzione della necessità di un'integrazione reciproca dei due metodi fondamentali della ricerca petrografica.
Come l'introduzione dello studio microscopico determinò l'inizio della petrografia come scienza autonoma, così il grande impulso dato in successivo tempo allo studio chimico delle rocce, oltre a conferirle piena maturità, pose le basi di un altro ramo della geologia, la geochimica. L'applicazione poi dei risultati e dei metodi della chimico-fisica allo studio delle rocce e dei minerali contribuì a collocare una parte almeno della dottrina geologica sopra basi sperimentali.
L'analisi chimica si applica oggi alle rocce con cura e scrupolosità sempre maggiori: oltre gli 8 elementi geochimici principali si devono oggi determinare quantitativamente i loro vicarianti cioè accanto al Si, il Ti e lo Zr, accanto al Ca, il Ba e inoltre quelli che, pur in piccola quantità, sono la testimonianza della parte volatile del magma H2O, Cl, Fl, SO3, P2O5, CO2.... Dalle analisi chimiche si ricavano quei metodi di rappresentazione sintetica (grafici o simbolici) di cui è detto alla voce eruttive, rocce.
Bibl.: F. Rinne, Gesteinskunde, 11ª ed., Lipsia 1934; E. Artini, Le rocce, 2ª ed., Milano 1929; J. De Lapparent, Leçons de pétrographie, Parigi 1923; A. Johannsen, A descriptive petrography of the igneous rocks, voll. 2, Chicago 1931-32; H. Rosenbusch e E. A. Wülfing, Mikroskopische Physiographie der Mineralien und Gesteine, 6ª ed., Stoccarda 1930.