PETRACCO dall'Incisa
PETRACCO (Pietro, Petraccolo) dall’Incisa. – Padre del poeta Francesco Petrarca, nacque ad Arezzo da Parenzo di Garzo, all’incirca nel 1266.
Fu notaio, epigono di una famiglia tradizionalmente dedita all’esercizio della professione notarile ad Arezzo e nel Valdarno: il nonno Garzo fu scriba del vescovo di Arezzo, e in quella città lavorò come notaio assieme ai figli Migliore e Parenzo. L’anno di nascita di Petracco lo si ricava da una lettera dove il figlio Francesco ricorda come suo padre fosse di poco più giovane di Dante Alighieri (Familiares, XXI 15). Successivamente, la famiglia si trasferì a Firenze, dove Migliore e Parenzo risultano essere iscritti nel 1291 alla matricola dell’Arte dei giudici e notai (Sznura, 1998, pp. 12, 26, 38). Tuttavia, mentre il primo vi figura ammesso quale notaio «de comitatu», Parenzo venne accluso al consesso quale «notarius de civitate» allibrato nel sestiere di Porta San Pietro.
Terzo figlio maschio avuto dai genitori dopo i maggiori Gherardo e Lapo, anche Petracco fu avviato agli studi giuridici necessari per esercitare la professione di famiglia. L’inizio della sua attività professionale deve essere collocata attorno al 1292, in quanto, pur risultando assente dalla matricola dell’anno precedente, il primo documento superstite da lui rogato data 31 gennaio 1293. I suoi primi passi all’interno della carriera notarile seguirono la scia dei rapporti personali instaurati in precedenza dal padre. In particolare, si nota il sodalizio stretto dalla sua famiglia con i monaci dell’abbazia di S. Salvatore a Settimo, il potente monastero fiorentino attorno al quale gravitavano diversi esponenti di punta della fazione dei Bianchi.
Si conservano nel fondo Diplomatico dell’Archivio di Stato di Firenze otto istrumenti rogati tra il 1293 e il 1295, quattro dei quali riguardano azioni giuridiche concernenti i monaci della Badia di Settimo. I documenti in questione riguardano alcune donazioni effettuate al monastero da Fresco di Lamberto Frescobaldi e Mainetto di Rainaldo Pulci, due tra le più influenti figure del partito dei Bianchi.
L’amicizia di cittadini influenti e la sua adesione partitica gli procurarono rapidamente l’assunzione di importanti uffici pubblici. Tra il 15 dicembre 1300 e il 15 dicembre 1301 fu notaio della Signoria e notaio delle Riformagioni nel 1302 (Marzi, 1910, pp. 52-56). Gli eventi dell’aprile del 1302, che videro la presa del potere in Firenze da parte dei Neri e la cacciata degli avversari politici, lo travolsero nel momento in cui era responsabile di uno degli uffici chiave del governo cittadino. Tuttavia, nonostante il cronista Dino Compagni lo annoveri tra i banditi, il suo nome fu inizialmente escluso dal provvedimento, dal momento che il 2 luglio lo ritroviamo ambasciatore a Pisa assieme agli ufficiali fiorentini incaricati dell’approvvigionamento del grano (Archivio di Stato di Firenze, Capitoli, 44, c. 191r). Al ritorno da questa missione, anche Petracco subì la stessa sorte dei suoi compagni di fazione, vittima di un’accusa strumentale intentata contro di lui da Albizzo Franzesi. Il 20 ottobre, dopo essere stato accusato di aver falsificato un istrumento notarile, fu così condannato al pagamento di 1000 lire e al taglio della mano destra. Costretto all’esilio, Petracco riparò ad Arezzo assieme a molti Bianchi cacciati da Firenze.
Sposatosi con la fiorentina Eletta Canigiani, ebbe almeno quattro figli: Francesco, nato ad Arezzo nel 1304 nella casa di Vico dell’Orto dove la famiglia ebbe dimora dopo i fatti del 1302, un infante deceduto poco dopo la nascita, Selvaggia e Gherardo, nato nel 1307. Nel frattempo, prese parte attiva al tentativo operato dal cardinale Niccolò da Prato di arrivare a una pacificazione del conflitto tra Bianchi e Neri. Grazie alla sua mediazione, una delegazione dei Bianchi composta da Petracco e da Lapo Ricoveri ricevette il permesso di entrare a Firenze il 26 aprile 1304 per trattare con Uberto degli Strozzi e ser Bono Da Ugnano la possibilità di una riconciliazione; l’incontro tra le due delegazioni si risolse tuttavia in un nulla di fatto, giacché perdurava la minaccia di un attacco dei Bianchi residenti a Bologna. Nell’impossibilità di tornare a Firenze, spostò quindi i familiari nella casa di Incisa, la quale, essendo ancora intestata al padre, era rimasta immune dalle confische patrimoniali operate ai suoi danni. Subito dopo, lasciò i familiari per trasferirsi a Padova, una delle maggiori sedi della diaspora dei Bianchi fiorentini. Qui compare assieme al fratello Lapo in un rogito del 26 aprile 1306 relativo al pagamento di 76 lire dovute al padre dai monaci di Settimo (Rime, ed. 1815, p. 10).
Nei due anni successivi Petracco si legò alla rete di mercanti fiorentini operanti in esilio tra l’Italia e la Francia, mettendosi al loro servizio in qualità di notaio e procuratore; tra questi mercanti, Baldo Marabottini degli Strinati, del quale rogò il testamento in Padova nel 1307 (Neri degli Strinati, 1753, p. 114). La sua permanenza nel Veneto non gli impedì comunque di tornare saltuariamente ad Arezzo, approfittando della vicinanza con il confine del dominio fiorentino per visitare segretamente la famiglia a Incisa. La situazione precipitò quando, tra il 1308 e il 1309, anche Arezzo mutò il proprio regime, associandosi contro i Bianchi. L’ingiustizia della condanna per falsificazione subita a Firenze gli valse comunque l’inserimento del suo nome nel novero di quegli oppositori politici che il governo fiorentino sperava di recuperare nell’ambito di una distensione dei conflitti interni. Fu così graziato il 10 febbraio 1309 e quindi reintegrato dei beni sequestrati per il pagamento della sanzione comminata (Archivio di Stato di Firenze, Provvisioni, 14, c. 35v). Come riporta il figlio in una delle sue lettere, sarebbe stato sufficiente per lui recarsi nel battistero di S. Giovanni per ottenere la restituzione dei diritti civici; tuttavia, preferì non avvalersi dell’assoluzione (Posteritati, I, 204).
La ragione di questo esilio volontario va certamente letta nei legami e interessi personali che ormai legavano Petracco ai grandi mercanti banditi da Firenze, tra i quali certamente i soci della compagnia Frescobaldi. Nel febbraio 1310, lo ritroviamo ad Avignone al servizio di questa potente famiglia, recentemente incaricata dal pontefice della riscossione delle decime imposte alla Chiesa inglese.
Lo conferma la recente scoperta di due istrumenti rogati per la soluzione dei debiti contratti dall’abate di Westminster con Andrea Sapiti, mercante già vicino ai monaci di Settimo prima della cacciata dei Bianchi e allora socio della compagnia Frescobaldi (The National Archives of the U.K., PR.O., E., 101/367.6).
Il continuo spostamento della corte di papa Clemente V prima del suo trasferimento definitivo ad Avignone nel 1309 fu in larga parte finanziato dai bianchi Frescobaldi e Cerchi con grossi prestiti in denaro. La città provenzale si popolò rapidamente di fuoriusciti fiorentini. Fondamentale per il successivo radicamento di Petracco ad Avignone, fu la presenza in città del cardinale Niccolò da Prato e del suo segretario Simone di Benvenuto da Arezzo, compagno di esilio nella città toscana dopo la cacciata da Firenze; ai due si aggiunse il maestro Convenevole da Prato, figura vicina al cardinale Niccolò e noto precettore del figlio Francesco.
Tra l’estate del 1310 e quella del 1311 Petracco si mise nuovamente in viaggio, spinto dalla crisi finanziaria dei Frescobaldi e dalla speranza di un sovvertimento del regime fiorentino per opera dell’imperatore Enrico VII. La disillusione che portò con sé il ritardo della discesa dell’imperatore in Toscana lo spinse a tornare sui propri passi e a recarsi di nuovo in Provenza, questa volta insieme con la sua famiglia. La prima tappa fu Genova, da dove dovettero ripartire già prima dell’ottobre 1311, quando Enrico VII fece finalmente il suo ingresso in quella città; da qui salparono alla volta di Marsiglia, dove approdarono dopo essere rimasti vittime di un naufragio (Familiares, XIV 5). Infine, dopo un breve soggiorno ad Avignone, si stabilirono nella vicina Carpentras, città di residenza di papa Clemente V tra il 1313 e il 1314. Nelle due città provenzali Petracco riallacciò rapidamente i rapporti personali intessuti in precedenza; la rapidità del suo ritorno alla pratica notarile è confermata dal fatto che lo troviamo sottoscrivere un rogito ad Avignone già nell’ottobre del 1312. Assieme agli affari, si preoccupò di garantire un’adeguata istruzione ai suoi figli, indirizzando nel 1316 il primogenito Francesco a Montpellier per proseguire la sua formazione scolastica; infine, nel 1320, inviò entrambi i figli in Italia per studiare diritto presso l’Università di Bologna.
Il gruppo di notai e giuristi raccoltisi attorno al cardinale Niccolò da Prato era accomunato dalla passione verso i classici e la filologia (Billanovich, 1965, p. 20). Il merito del padre nella cura della formazione umanistica del celebre poeta gli venne riconosciuto da quest’ultimo in alcune lettere del suo epistolario, come, ad esempio, in occasione del dono al figlio di un manoscritto di testi virgiliani e di una Rhetorica di Cicerone (Seniles, XVI 1).
Rimasto vedovo della moglie e privato dell’appoggio del cardinale Niccolò da Prato in seguito alla morte di quest’ultimo nel 1321, si sposò una seconda volta con Niccolosa di Vanni Sigoli, il cui padre, anch’esso dei Bianchi, era stato eletto priore di Firenze nel 1301. Negli ultimi anni di vita fece saltuariamente ritorno in Italia, certamente nel 1324, in occasione del contratto di dote relativo al matrimonio della figlia Selvaggia con Giovanni di Tano da Semifonte. Morì ad Avignone nel 1326, poco dopo il ritorno in Provenza del figlio Francesco.
Fonti e Bibl.: Neri degli Strinati, Cronichetta, Firenze 1753; Rime di Francesco Petrarca, a cura di L.A. Muratori, Livorno 1815; G.O. Corazzini, La madre di Francesco Petrarca; lettura fatta nell’adunanza della Società colombaria del di 29 novembre 1901, Firenze 1903; D. Marzi, La Cancelleria della Repubblica fiorentina, Firenze 1910; A. Sapori, La compagnia dei Frescobaldi in Inghilterra, Firenze 1946; E.H. Wilkins, Vita del Petrarca, Milano 1964, nuova ed. 2003; G. Billanovich, Tra Dante e Petrarca, in Italia medioevale e umanistica, VIII (1965), pp. 1-44; R. Davidsohn, Storia di Firenze, IV, I primordi della civiltà fiorentina, Firenze 1965; P.Viti, Ser Petracco, padre del Petrarca, notaio dell’età di Dante, Padova 1985; F. Sznura, Per la storia del notariato fiorentino: i più antichi elenchi superstiti dei giudici e dei notai fiorentini (anni 1291 e 1338), in Tra libri e carte. Studi in onore di Luciana Mosiici, a cura di T. de Robertis - G. Savino, Firenze 1998, pp. 437-515 (anche in formato digitale cui si riferiscono le pagine citate nel testo); B. Bombi,The Babylonian captivity of Petracco di ser Parenzo dell’Incisa, father of Francesco Petrarca, in Historical research, LXXXIII (2010), pp. 431-443.