Del Monte, Peter
Regista cinematografico statunitense, naturalizzato italiano, nato a San Francisco il 29 luglio 1943. Il suo cinema compone atmosfere sospese tra lirismo e sottile analisi psicologica, mediante intense indagini sulle 'ragioni del cuore' irriducibili alla razionalità e spesso misteriose, una delicata attenzione all'infanzia e all'adolescenza, ma anche all'anima femminile e alla solitudine della vecchiaia.
Con la famiglia, di origine italiana, si trasferì in Italia a dieci anni. Intraprese studi umanistici e si laureò in lettere con una tesi di estetica sul cinema italiano. Si dedicò quindi alla critica cinematografica e si diplomò in regia al Centro sperimentale di cinematografia a Roma, dove realizzò nel 1969 Fuori campo, presentato al Festival di Cannes nello stesso anno, un film che, sulla scorta dei suoi interessi critici, rifletteva in termini personali sul linguaggio cinematografico. Lavorò nei primi anni Settanta per la RAI, realizzando Le parole a venire (1970), dal racconto Les muets di A. Camus e Le ultime lettere di Jacopo Ortis (1973), tratto da U. Foscolo, anticipando con entrambi l'intimismo introspettivo e il gusto poetico-letterario che hanno poi caratterizzato, nei film successivi, l'andamento narrativo e la scelta dei personaggi. Il vero e proprio esordio nel cinema avvenne nel 1975 con Irene, Irene, sommesso e assorto ritratto di un anziano magistrato che, all'indomani dell'enigmatica scomparsa della moglie, si abbandona a una lenta deriva esistenziale che si intreccia con il bilancio di una vita. Già qui risulta delineato il carattere di un cinema elegantemente 'appartato', sussurrato, che predilige i mezzi toni e i labirinti delle psicologie, cui D. M. rimarrà fedele anche a costo dell'emarginazione dal mercato. Attese infatti cinque anni per realizzare il secondo film, L'altra donna (1980, menzione Speciale della giuria al Festival di Venezia dello stesso anno), che non trovò distribuzione, e che, in anticipo sui tempi, affrontava il tema scomodo del confronto tra una borghesia nevrotizzata e la 'diversità' perturbante dell'immigrazione extracomunitaria, attraverso il microcosmo costituito da una doppia identità femminile: una colf di colore e la sua padrona in crisi.
La figura del doppio connessa all'identità femminile ritornerà sia nella storia di scissione della personalità in Giulia e Giulia (1987), esperimento di 'cinema elettronico' ad alta definizione, sia in Étoile (1989), nel quale però la vicenda della reincarnazione di una ballerina in una cupa Budapest non riesce a creare la tensione e l'atmosfera gotica cercata. Più interessante in questo senso la coproduzione francese L'invitation au voyage (1983; Invito al viaggio), nella quale D. M. mette in scena l'amore morboso e funebre di un giovane per la propria gemella. L'ambiguità del connubio innocenza-perversione ha trovato il giusto tono nel clima da 'fiaba inquieta' di Piccoli fuochi (1985, Nastro d'argento nel 1986 a D. M. per il miglior soggetto originale), nel quale le suggestioni della psicoanalisi infantile si concretizzano nella sottigliezza con cui è osservato l'affetto possessivo di un bambino per la sua baby-sitter, che sfocia in un delirio criminale. Un inedito sguardo sull'infanzia era stato anche quello offerto da Piso Pisello (1981), dove il vagabondare, in linea con uno stile zavattiniano, segna la paradossale e picaresca vicenda (scritta con Bernardino Zapponi) di un ragazzino che diventa padre a tredici anni e viene al contempo abbandonato a sé stesso dai genitori. Il trascorrere dei sentimenti, dall'adolescenza alla vecchiaia, l'esplorazione delle 'intermittenze del cuore' e delle solitudini interiori, sono stati i nuclei ispirativi sia di un film-mosaico come Tracce di vita amorosa (1990), sia dell'opera più riuscita del regista, Compagna di viaggio (1996), in cui si narra l'emozionante incontro tra un anziano e smemorato professore (Michel Piccoli) e una ragazzina fragile e torva (Asia Argento). Con La ballata dei lavavetri (1998), dal romanzo di E. Albinati Il polacco lavatore di vetri, D. M. ha accettato la sfida del film corale e dell'attualità più dolorosa, quella della condizione lacerata dell'immigrazione dai Paesi dell'Est, rilanciandola in arrischiate accensioni visionarie. In Controvento (2000) ha ritrovato, pur se con un andamento cupamente enfatico, il suo gusto per l'introspezione, in luce e in ombra, nelle sfumature e nelle pieghe nascoste della psicologia femminile.
A. Cappabianca, Figure da un treno, E. Bruno, B. Roberti, Conversazione con Peter Del Monte, e P. Marocco, La strana coppia, in "Filmcritica", 1996, 465, pp. 265-66, 276-82 e 269-71.