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PETROVIĆ Njegoš, Petar

di Giovanni Maver - Enciclopedia Italiana (1935)
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PETROVIĆ Njegoš, Petar

Giovanni Maver

Poeta e principe montenegrino, nato il 1° novembre 1812 a Njeguši, morto a Cettigne il 19 ottobre 1851. Trascorse la sua fanciullezza parte a Cettigne presso lo zio "vladika" Pietro I e parte in un monastero delle Bocche di Cattaro. Nel 1827 gli fu dato come precettore il poeta Sima Milutinović (v.). Nel 1830, morto lo zio, fu proclamato capo della chiesa e del popolo montenegrino (le due cariche di capo politico e capo spirituale erano ancora unite nel Montenegro), e nel 1831 archimandrita: in quest'occasione cambiò il suo nome di Rade in quello di Petar. Ottenne poi in Russia i gradi di vescovo (1833) e infine di metropolita (1844). Come principe del Montenegro, pur potendo contare quasi sempre sull'appoggio politico, morale e finanziario della Russia, riuscì solo con molte difficoltà a destreggiarsi tra le rivalità e l'aggressività delle autorità turche confinanti, le inimicizie di parecchi suoi sudditi per la sua severa repressione di ogni tendenza turcofila, le angherie dell'Austria e il suo desiderio di avvicinarsi, anche politicamente, alla Serbia. Specialmente i primi anni del suo governo furono pieni di lotte con i Turchi, dell'Erzegovina e dell'Albania, e con l'Austria. Appena gli fu possibile, introdusse nel suo minuscolo stato parecchie riforme amministrative e finanziarie (v. montenegro: Storia), e con la fondazione di una scuola elementare (1833) e di una stamperia (1834) cercò di sollevare il paese dallo stato patriarcale di cultura in cui ancora si trovava. Ammalato di tisi, venne nel 1850 in Italia, a Napoli, per cercarvi ristoro al male; ma ragioni politiche lo indussero a ritornare, per morirvi poco dopo, nel suo Montenegro.

Saldamente piantato, per le sue origini, per la sua vita e per il suo stesso temperamento, nel primitivismo balcanico-montenegrino, P. Nj. se ne stacca per le elevate aspirazioni del suo ingegno e più ancora per la tagliente consapevolezza con cui vive i problemi che lo agitano. Continuamente egli cerca di sublimare, trasferendoli in sfere spirituali, modi e norme di vita e di pensiero che egli ha ereditati da lunghi secoli di forzata inerzia culturale - la tradizione secolare ha di per sé stessa alcunché di ieratico e maestoso - e che, per e contro la sua volontà, sono ancora in lui vivi e operanti. Il contrasto è manifesto anche nella forma. P., che sin dall'infanzia, si è nutrito di canti popolari, che nel 1845 pubblicò una propria raccolta di tali canti (Ogledalo srpsko, Specchio serbo), scrisse anche alcune poesie nel più ortodosso stile popolare (Kula Gjurišića, La torre di Gj., Čardak Alekšića, La specola di A.), ma più spesso il decasillabo dei canti popolari, dal ritmo pianamente narrativo, diventa, in lui, densamente concettoso; e si ha allora la sensazione di un ribellarsi della forma al contenuto che le è estraneo. La dizione ne acquista una suggestiva robustezza, ma risulta talvolta annebbiata e tormentata. Ciò si osserva soprattutto nel capolavoro del P. Gorski Vijenac (Serto della montagna, Vienna 1847), che racconta, in forma drammaticamente dialogata, lo sterminio dei Montenegrini apostati avvenuto, secondo una tradizione poco fondata, tra la fine del sec. XVII e il principio del sec. XVIII. Questo avvenimento assurse per P. a un significato simbolico, e il dramma-poema, che ne racconta soprattutto la preparazione morale, se ne stacca di tanto in tanto per approfondire le più recondite ragioni della necessità della fede e del patriottismo e per scandagliare l'essenza dell'uomo e dell'umanità. Molto più in basso di questo capolavoro stanno le altre due grandi opere del P.: il poema filosofico Luča Mikrokozma (Il raggio del microcosmo, Belgrado 1845), ove, seguendo le orme di Milton, il poeta cerca di darsi ragione della sorte dell'uomo; e il dramma storico - ma anche qui la forma drammatica è puramente esteriore - Lažni Car Šćepan Mali (Trieste 1851), ove, con documenti alla mano (P. aveva studiato i documenti sul fatto storico conservati a Venezia), sono raccontati gli avvenimenti che hanno avuto luogo durante il governo del "falso zar Stefano il Piccolo" che, spacciandosi per lo zar Pietro III, tenne in suo potere il Montenegro dal 1767 al 1773.

Ediz.: Celokupna dela Petra Petrovića Njegoša (Opere complete di P. P. Nj.) a cura di M. Rešetar, finora due voll., Belgrado 1926 e 1927, contenenti le opere letterarie; altri due voll. conterranno la corrispondenza.

Il "Serto della montagna" è stato tradotto in una dozzina di lingue; in italiano da S. Chiudina in Canti del popolo slavo (Firenze 1878, frammenti) e I. Nikolić (Fabriano 1903).

Bibl.: P. Popović, O Gorskom Vijencu, Mostar 1901; 2ª ed., Belgrado 1923; B. Petronijević, O filosofiji u Gorskom Vijencu (Sulla filosofia del Serto della montagna), Belgrado 1920; N. Velimirović, Religija Niegoša (La religione di Nj.), Novi Sad, 1921; M. Rešetar, Život i rad P. P. Nj. (Vita e opere di P. P. Nj.), pref. all'ediz. commentata del Gorski Vijenac (in tutto 9 ediz., dal 1890 al 1928); G. Machanovitch-Tougnsky, Pierre II Petrovitch Niegoch, poète et philosophe, Parigi 1931.

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