PESTE
(fr. peste; sp. peste, plaga; ted. Peste; ingl. plague; sinonimi: peste bubbonica orientale, tifo pestilenziale, morte nera).
A causa della grande epidemicità e dell'alta mortalità, la peste era nota e temuta in Oriente fino dai più remoti tempi, e anche la Bibbia ne parla accennando alla sua associazione con la morìa dei ratti. L'Europa ebbe peraltro pestilenze di genere diverso (peste antica), come quella di Atene e Roma; fu solo nel 542 che dall'Egitto un'autentica pestis inguinaria o glandularia si sparse per tutto l'Impero bizantino e quindi nell'Europa occidentale, mantenendovisi per circa 200 anni. Un'altra pandemia dilagb nel sec. XI e culminò nel sec. XIV, quando il Boccaccio ne diede la celebre descrizione; e in seguito (1374) il conte Bernabò di Reggio emanò le prime leggi di difesa, e Venezia (1403) iniziò un'attiva profilassi, istituendo il primo lazzaretto, con disinfezioni, ispezioni e regole quarantenarie, compresa la bandiera gialla da inalberare sulle navi infette. Comparse circoscritte di minore importanza si ebbero ancora qua e là in seguito (come, per es., quella descritta dal Manzoni), fino all'epidemia più vasta e distruttiva che scoppiò a Napoli nel 1656 e di là si sparse nel resto d'Italia e d'Europa. Da allora in poi si diffusero le misure profilattiche, di cui Venezia aveva dato l'esempio, e quindi la peste perdette sempre più terreno di fronte ai progressi della civiltà, limitandosi a penetrare in qualche porto o a invadere qualche provincia della Russia per importazione dall'Asia, sede dei principali focolai di endemicità permanente. Questi perdurano tuttora in qualche luogo del Kurdistān e del ‛Irāq, del Himālaya e del Tibet e dello Yün-nan nella Cina; aree di minore importanza permangono nella Siberia (Transbaicalia), in 'Asir (Arabia) e in qualche territorio dell'Africa, come l'Uganda; in Libia i preesistenti focolai sembrano ora estinti. Dallo Yün-nan nel 1894 partì l'odierna pandemia, che invase Hong-Kong e l'India, disseminandosi poi con il traffico marittimo quasi in ogni parte del mondo, benché nei paesi civili ogni sua saltuaria apparizione sia sempre prontamente soffocata. Ciò si deve alle cognizioni ormai perfette della sua eziologia.
Nel 1894 a Hong-Kong A. Yersin e S. Kitasato scoprirono il bacillo della peste, reperibile nella vescicola cutanea iniziale, nei bubboni, nel sangue, nella milza e, nei casi di polmonite, anche nello sputo. Tutti gli animali rosicanti (topi, scoiattoli, marmotte, ecc.) sono molto ricettivi e possibili centri di diffusione, ma soprattutto ogni specie di ratti, in cui il morbo può decorrere in forma acuta (setticemia epizootica) o in forma cronica. L'Epymis norvegicus e l'E. rattus, per le loro abitudini randagie sono i grandi propagatori dell'infezione; questa però avviene per l'intermediario delle loro pulci (Xenopsylla cheopis), che abbandonano i topi morti e pungono volentieri anche l'uomo; ma anche la pulce umana (Pulex irritans) può essere veicolo del morbo.
Sul punto d'inoculazione si sviluppa spesso una vescicola contenente abbondanti bacilli; questi, per le vie linfatiche, arrivano ai ganglî più vicini e moltiplicandosi determinano la formazione di uno o due bubboni (bubbone primario; bubbone secondario). Di qui i germi possono invadere il sangue e produrre una setticemia; con successive localizzazioni, nascono talora bubboni terziarî, mentre anche milza, fegato, reni, polmoni possono essere in vario grado compromessi. La frequenza di queste complicanze e dei casi di setticemia e di polmonite pestosa varia però secondo le epidemie, l'inizio, l'acme e il declinare delle medesime.
Per solito predomina la forma bubbonica che descriveremo. L'incubazione, con i relativi prodromi di malessere, ecc., varia da 2 a 10 giorni. L'inizio febbrile è brusco con elevata temperatura e brividi, s'accompagna quindi a sintomi che sono l'esacerbazione dei prodromi, cioè prostrazione, forte cefalea, ottundimento mentale, dolori alla schiena e alle estremità, nonché al punto dove apparirà il bubbone; lingua patinosa, vomito, talora diarrea. Il paziente con gli occhi sbarrati e accesi, i lineamente stirati, presenta ben presto un aspetto atterrito o di tetra rassegnazione o di selvaggia diffidenza, la febbre fa sbalzi irregolari, il cuore si dilata, il polso piccolo molle va da 120 a 180 battiti e più; la milza e spesso anche il fegato s'ingrossano. I bubboni sono già appariscenti nelle prime 24 ore, in due terzi dei casi all'inguine, se non al collo e all'ascella; e in seguito retrocedono o suppurano, il che è spesso sintomo favorevole. Sulla pelle possono comparire vescicole, petecchie e pustole cancrenose (cosiddetti carbonchi) sanguinanti; emorragie sottocutanee e delle varie mucose sono d'infausto pronostico. Le donne incinte sempre abortiscono. Quand0 la forma non è tanto maligna e l'infermo non muore in collasso o per paralisi cardiaca o per complicazioni polmonari, dopo 7-8 giorni la febbre può scendere per lisi e può cominciare la convalescenza. Questa è di solito lunga e non sempre immune da pericoli per suppurazioni, infezioni settiche ed emorragie secondarie.
Vi sono però forme benigne o ambulatorie, forme semplicemente bubboniche più o meno gravi, forme inizialmente bubboniche, ma che diventano specificamente setticemiche, forme subito setticemiche senza bubboni, forme pneumoniche, sia che la polmonite pestosa si manifesti in via secondaria (il che non è frequente), sia che risulti primaria, come in certe epidemie invernali o dei paesi freddi, di cui si ebbe nel 1909-10 un esempio in Manciuria. Le forme setticemiche (30% dei casi) sono quasi sempre fatali, le pneumoniche sempre. La mortalità varia secondo le epidemie, di rado è inferiore al 60-70% e può arrivare al 90% e più.
Un'oculata cura sintomatica arreca qualche vantaggio; la siero- terapia, intesa a uccidere i bacilli e a neutralizzarne le funeste tossine, si deve tentare, benché dia mediocrissimi risultati con tossine, si deve tentare, benché dia mediocrissimi risultati, come l'ablazione precoce dei bubboni che il Terni e altri raccomandano. Il siero antipestoso, ottenuto trattando animali con colture di bacilli uccisi (metodo di W.M. Haffkine, ecc.) o con i nucleoproteidi estratti dalle colture stesse (metodo di A. Lustig e G. Galeotti), viene efficacemente adoperato nella profilassi individuale. In quanto alla profilassi pubblica, essa si basa sullo schema ratto-pulce-uomo che domina l'epidemiogenia. L'ammalato stesso non è pericoloso per i sani (salvo che si tratti dei rari casi di polmonite pestosa, che esigono un rigoroso isolamento personale), sempreché l'ambiente non sia infestato da pulci. È assai più temibile il topo che l'uomo, perché la peste umana non è che un corollario della peste murina, e la circolazione delle epizoozie dei ratti a mezzo della navigazione è la sola causa della pandemia che si svolge da 30 anni in qua. Per difendersi, oggidì si ricorre soprattutto alla caccia ai topi nei porti eventualmente infetti e alla occasionale o periodica derattizzazione dei bastimenti, praticata da personale addestrato nell'uso di gas asfissianti, con o senza apparecchi speciali, come quello del gas Clayton (anidride solforosa sotto pressione).
Bibl.: A. Calmette e A. T. Salimbeni, La peste. Épid. d'Oporto. Sérothérapie, in Ann. de l'Institut Pasteur, Parigi 1899; A. Lustig, Sieroterapia e vaccinazioni preventive contro la peste bub., Torino 1889; P. Vincenti e B. Sorrentino, La peste, voll. 4, Napoli 1905; A. Ilvento, Pestprophylaxe im Hafen von Palermo, in Arch. f. Schiffs- u. Tropenhygiene, Kassel 1913; A. Lustig, Le malattie infettive, Milano 1917; F. Norman White, Twenty years of plague in India, in Indian Journ. of Med. Reserach., Calcutta 1918; A. Castellani e A. J. Chalmers, Manual of tropical Medicine, Londra 1919; T. D'Hérelle, Le bactériophage dans la peste et le bubon, in Comptes rendus de l'Acad. des sciences, Parigi 1920; U. T. Harrison, Plague in California Ground Squirrels, in Bull. of the California State Dep. of Agriculture, 1920; H. Violle, Diagnostic de la peste bubonique, in Comptes rendus de la Soc. de Biol., Parigi 1920; C. L. Williams, The Diagnosis of Human Plague, in Journ. of Americ. Med. Assoc., 1920; L. Zabolotny, Die Pestherde in Südost-Russland und der Mandschurei, in Arch. f. Schiff-s und Trophenhyg., Kassel 1922; id., Les épid. de peste en Russie au cours de ces dernières années, in Bull. de la Soc. de pathol.e exotiq., Parigi 1923; P. C. Flu, Die Pest, in Menses Handb. f. Tropenkrankh., Lipsia 1924.
Peste aviaria.
Malattia infettiva e contagiosa, acuta, a carattere setticemico, a diffusione epizootica, sostenuta da un virus filtrabile, invisibile e incoltivabile. Sono assai recettivi all'infezione il pollo e il tacchino, mentre sono molto resistenti gli uccelli acquatici e specialmente il piccione.
La malattia è stata descritta per la prima volta dal punto di vista clinico e anatomo-patologico da E. Perroncito (1878); Centanni e Savonuzzi (1901) dimostrarono la filtrabilità e la specificità dell'agente che ne è causa. La malattia è diffusa in Italia, in varî stati europei e negli Stati Uniti d'America.
Il virus, eliminato con gli escreti e i secreti, con i liquidi organici e gli organi di animali venuti a morte, può infettare attraverso le vie digerenti e le soluzioni di continuo della cute soggetti recettivi. Per l'azione anergizzante spiegata dal virus filtrabile, l'infezione pestosa subisce spesso la complicanza dell'azione patogena di germi ubiquitarî. Nelle forme iperacute le lesioni anatomo-patologiche possono essere mancanti o limitate a emorragie delle sierose, delle mucose, dei parenchimi. In quelle a decorso più lento si rileva la presenza di essudato siero-fibrinoso nelle cavità sierose, emorragie sulla mucosa dello stomaco ghiandolare e del tratto che sta fra questo stomaco e quello muscolare. La prima sezione del tenue può offrire le note di una profonda infiammazione. I grandi follicoli ovarici possono essere iperemici; per lo scoppio della membrana follicolare, la massa vitellare si versa nel cavo addominale. Il periodo d'incubazione varia da 3 a 7 giorni. Oltre alle manifestazioni cliniche proprie a tutte le gravi malattie (anoressia, spossatezza, ali cadenti, ecc.) di più caratteristico si nota: temperatura elevatissima, fino oltre i 440, che, avvicinandosi la morte, degrada per crisi; cianosi caratteristica della cresta e bargigli, edemi alla testa, alla gola, lieve scolo nasale, emorragie alla mucosa orale e congiuntivale, turbe nervose (atteggiamenti viziati della testa, del collo, degli arti; fatti di paralisi) per l'esistenza di localizzazioni specifiche al cervello, caratterizzate da una encefalite a focolai. Il decorso si protrae da 2 a 4, eccezionalmente a 8 giorni. L'esito in generale è letale. I rilievi clinici e anatomo-patologici, generalmente, possono soltanto deporre per il sospetto di peste; solo l'esame batteriologico (che nei casi di peste puri dovrà risultare negativo) può offrire una sicura diagnosi differenziale. Occorre tenere presente che la peste avaria con facilità si complica con altre malattie batteriche. Tanto la chemioterapia, quanto la sieroterapia e la sieroprofilassi non hanno praticamente corrisposto. Varî vaccini impiegati a scopo profilattico sono allo studio; però nessuno, e per varî motivi, è ancora riuscito a imporsi nella pratica. Si ricorre da alcuni alla profilassi e terapia aspecifica con vaccini improntati ai germi d'irruzione secondaria e con risultati che si vogliono affermare buoni. La peste aviaria è soggetta a provvedimenti sanitarî (art. 72 del reg. di pol. vet. 10 maggio 1914).
Peste bovina.
È una malattia infettiva e contagiosa, epizootica, setticemica, dovuta a un virus filtrabile, invisibile e incoltivabile, caratterizzata da un processo infiammatorio cruposo-difterico delle mucose, specie di quella dell'apparato digerente. L'infezione è diffusa nell'Asia, nell'Africa, e nella regione meridionale della Penisola Balcanica.
La sua trasmissione avviene generalmente solo in modo diretto e perciò in forma lenta negli animali in stabulazione. I principali veicoli di propagazione sono rappresentati dagli animali ammalati o di recente guariti (per mezzo dei loro escreti e secreti), o dai loro prodotti grezzi (carni, pelli, ecc.). La malattia s'origina attraverso l'apparecchio digerente; sono ad essa recettivi, oltre ai bovini, e segnatamente quelli giovani, i bufali, gli zebù, i cammelli, le capre, le pecore, varie specie di ruminanti selvatici, eccezionalmente i suini. Gli animali che hanno superato il morbo, conservano un'immunità duratura, generalmente perenne. Le lesioni più gravi hanno sede nella mucosa dell'apparato digerente. Su quella boccale e faringea si rileva la presenza di membrane crupali o difteriche; la mucosa del quarto stomaco è sede di erosioni e di escare superficiali e d'infiltrazione sierosa. Tutto l'intestino è preda d'intensa infiammazione; le placche del Peyer sono tumide, coperte da essudato crupale o da lamine necrotiche. Nel grosso intestino, e specialmente nel retto, l'infiammazione crupale e ulcerativa, estendendosi spesso in forma di strisce longitudinali e trasversali, conferisce l'aspetto della pelle di coccodrillo. La cistifellea si presenta di norma molto ripiena. Al polmone si reperiscono talora focolai di broncopolmonite e con frequenza edema associato a enfisema interstiziale. La mucosa nasale, laringea, tracheale, quella vaginale, sono sede d'infiammazione catarrale o difterica. Il periodo d'incubazione varia da 3 a 9 giorni. La prima manifestazione della malattia è rappresentata da un'elevazione forte della temperatura seguita da quella serie di turbe di ordine generale, che sogliono caratterizzare tutte le malattie infettive gravi, setticemiche, e dalla formazione di quelle lesioni infiammatorie delle mucose, che sono proprie della peste bovina. Pertanto, allorché la malattia si presenta nel suo aspetto tipico, a lato di un'infiammazione congiuntivale, si rilevano le manifestazioni legate alle lesioni anatomiche descritte. La malattia decorre in 4-7 giorni, nei casi meno tipici in 15-16 giorni. Per la diagnosi differenziale bisogna prendere in considerazione specialmente la febbre catarrale maligna, il croup dei bovini, l'afta epizootica, le stomatiti pseudo-aftose. La mortalità può andare dal 50 all'80% e oltre. L'infezione si presenta con un quadro assai più grave nei bovini di razze selezionate, in quelli allevati in zone indenni, che non in quelli cresciuti nelle zone ove domina l'infezione. Ogni trattamento medicamentoso è inefficace. I metodi d'immunizzazione più diffusi sono quelli basati sull'uso contemporaneo di siero specifico e di virus pestoso ricavato da bovini naturalmente o artificialmente infetti (H. Kolle e A. M. Turner), o sull'impiego di polpa di organi bovini pestosi, con aggiunta di formolo (G. Curasson), o di toluolo (C. Kakisaki), o di acido fenico (W. A. Boynton) o di cloroformio (R. Q. Kelser). Il primo metodo è applicabile dove l'infezione è presente, perché i bovini trattati si fanno eliminatori di virus e perché una parte di essi (1%) muore d'infezione pestosa. La siero-vaccinazione nelle regioni infette va applicata sistematicamente ogni anno, sui vitelli con non meno di 7-8 mesi di età; a essa segue una reazione vaccinale capace di condurre a un'immunità valevole per tutta la durata della vita economica dei bovini. Nelle zone indenni di paesi contagiati, dove gli animali vengono sottoposti a periodici spostamenti, è utile praticare la vaccinazione in massa con polpa di organi, la quale conferisce un'immunità approssimativa di un anno. Nei paesi dove per l'evoluzione degli abitanti è possibile applicare le regole di polizia sanitaria, si può ricorrere, specie nella zona contumaciale, alla sieroprofilassi, la quale conferisce un'immunità di una trentina di giorni. La profilassi più sicura per questi paesi si basa però sul divieto di importazione di animali dalle regioni dove domina l'infezione. Le disposizioni di polizia sanitaria, relative alla peste bovina, per l'Italia sono contemplate dagli articoli 56 e 57 del reg. 10 maggio 1914, i quali sanciscono l'abbattimento degli animali ammalati, di quelli sospetti e di quelli prossimi al focolaio d'infezione.
Peste equina.
È una malattia infettiva e contagiosa dei solipedi, acuta o subacuta, a diffusione spesso epizootica, a carattere setticemico, sostenuta da un virus filtrabile, invisibile e incoltivabile. L'infezione domina nell'Africa, specialmente nelle regioni meridionali. Sono sensibili all'infezione sperimentale, oltre ai solipedi (a eccezione del quagga e della zebra), i bovini, le pecore, le capre d'Angora e specialmente il cane.
L'infezione naturale si manifesta, nelle regioni piane e in quelle di media altezza, solo nella stagione calda delle piogge e preferibilmente fra gli equini che passano la notte all'aperto sui pascoli. Nella trasmissione della malattia sono particolarmente responsabili certi ectoparassiti succhiatori di sangue (Anopheles, Stegomya, Stomoxys, Culex, Ixodes): minore importanza hanno i cibi e le bevande inquinate. Gli animali guariti possono albergare il virus nel sangue fino a 90 giorni. Alla necroscopia si possono rinvenire infiltrazioni gelatinose del connettivo sottocutaneo e intermuscolare, emorragie sulle sierose, mucose e parenchimi, gastro-enterite, nefrite, edema polmonare. Queste lesioni possono essere variamente associate a seconda delle forme cliniche. Il periodo d'incubazione è di 6-8 giorni. Nel decorso acuto la malattia può evolvere in forma setticemica semplice o complicata da manifestazioni (e sono questi i casi più frequenti e a esito letale) di edema polmonare e di nefrite. Nel decorso subacuto (a esito spesso favorevole) a un determinato stadio del processo setticemico possono comparire edemi sottocutanei variamente distribuiti. Nell'asino, e molto di rado nel cavallo, l'infezione decorre in forma di lieve malessere, accompagnato da leggiera ipertermia. I soggetti guariti offrono una buona resistenza all'infezione naturale. Per la diagnosi differenziale vanno presi in considerazione il carbonchio ematico e la piroplasmosi. La cura è solo sintomatica. Possono dare buoni risultati tanto le misure di profilassi diretta (isolamento, distruzione dei cadaveri, protezione meccanica e chimica degli animali, emigrazione verso regioni indenni, limitazione del pascolo alle ore diurne, bagni antiparassitarî, ecc.), quanto quelle di profilassi indiretta basate su varî metodi di siero-vaccinazione, aventi per base l'impiego di siero specifico e di sangue virulento. Il metodo oggi più diffuso è quello di A. Theiler. Gli esperimenti intrapresi con milza o sangue formalinizzati di equini pestosi sembrano dare esito soddisfacente.
Peste suina.
È una malattia infettiva e contagiosa, sostenuta da un virus filtrabile, invisibile e incoltivabile, a carattere setticemico, a diffusione enzootica o epizootica, nel decorso della quale si stabiliscono con molta frequenza processi infiammatorî e necrotici secondarî a carico dell'intestino e del polmone. La malattia venne eziologicamente definita e contraddistinta dalle altre infezioni dei suini nel 1904 da Schweinitz e Dorset. Essa è diffusa in quasi tutti i paesi del globo, ove arreca, specie negli allevamenti bradi, danni ingentissimi, più che per l'azione del virus filtrabile, per quella degli agenti d'irruzione secondaria. Nelle regioni settentrionali e centrali dell'Italia, in certe annate, rappresenta l'infezione dominante dei suini. Sono sensibili all'infezione artificiale solo i suini.
Nelle condizioni naturali ammalano a preferenza e più gravemente i suini giovani di razze selezionate; i soggetti che hanno superato l'infezione naturale o artificiale conservano un'immunità duratura. La malattia si trasmette in modo diretto o indiretto; comunemente essa però insorge per l'introduzione in porcilaie sane di suini infetti o guariti da poco tempo e conservatisi durevoli portatori di contagio. Il virus diffuso con i secreti ed escreti di suini infetti o dai cadaveri di quelli morti o uccisi, invade l'organismo attraverso l'apparecchio digerente; di rado per il tramite delle vie respiratorie o per soluzioni di continuo della cute. Esso promuove allora un processo setticemico accompagnato da catarro delle mucose. Quando la morte non avviene subito, si manifestano infiammazioni secondarie a carico dello stomaco, intestino e polmone. Le une sono sostenute da germi del gruppo coli-tifo, e più comunemente dal suipestifer (paratifo B), le altre dal suisepticus. Questi germi in condizioni normali sono ubiquitarî degli organismi e dell'ambiente; ma, per l'azione anergizzante spiegata dal virus pestoso, possono trovare nell'organismo un terreno adatto per svolgere attività patogena. Considerando le lesioni pettorali e intestinali alla stregua di manifestazioni secondarie, si possono distinguere una forma di peste pura o setticemica, una pettorale, una intestinale e una mista. All'inizio dell'infezione si osservano generalmente soltanto le manifestazioni della forma setticemica; nell'ulteriore decorso, in generale, vi si sovrappongono quelle pleuro-polmonari e da ultimo quelle intestinali. Le lesioni necroscopiche della peste suina pura riproducono il quadro delle forme setticemiche in generale e pertanto sono rappresentate da emorragie sulle sierose, mucose e parenchimi. Caratteristica è la colorazione rosso-scura della sostanza spugnosa delle ossa, la tumefazione e il colore rosso paonazzo di tutti i ganglî linfatici, la presenza di essudato siero-fibrinoso, che può essere limitato a esili filamenti, sulle sierose peritoneale, pleurica e pericardica. Al polmone si possono rinvenire focolai pneumonico-emorragici. Nei casi a decorso non troppo rapido, la mucosa gastrica (sezione pilorica), quella del cieco e del colon, si mostrano infiltrate, arrossate, ricoperte di membrane fibrinose o incrostate da un sedimento di aspetto cruscoso. Nelle forme miste le lesioni della forma setticemica possono essere in parte mascherate dall'azione svolta dai germi d'intervento secondario. Nel tubo digerente per opera di germi del gruppo coli-tifo, del suipestifer di frequente, si possono reperire le più gravi e complesse lesioni. Nella cavità orale e faringea, oltre a un processo infiammatorio di varia gravità, con formazione di essudato crupale, si possono rilevare ulceri o necrosi più o meno profonde, interessanti anche le tonsille. La mucosa gastrica può essere coperta da pseudo-membrane crupaili. Nell'intestino le lesioni risiedono nel cieco e nel colon. La mucosa di queste sezioni intestinali è disseminata di escare secche, gialle o giallo-verdi o brune, rotondeggianti e piatte nei casi acuti, sporgenti, a strati concentrici e infossate al centro (cosiddetti bottoni) nei casi a decorso più lungo. Queste lesioni si organizzano a carico dell'apparecchio follicolare o di altre parti della mucosa. I follicoli linfatici possono anche ulcerarsi; tali ulceri sono profonde, rotondeggianti, ricoperte da escare, a margini ispessiti e sollevati. In altri casi la mucosa di un tratto più o meno esteso d'intestino può essere uniformemente necrosata in tutto lo spessore o solo in parte. La sezione d'intestino interessata, e qualunque sia il carattere della lesione, s'ispessisce trasformandosi in un tubo rigido. I ganglî linfatici, oltre alle lesioni della forma pura, possono trovarsi in preda a fatti necrotici. Al polmone, per opera del suisepticus e talvolta del piogenes suis, si istituiscono processi crupali o necrotici. Nei varî organi interni, oltre a fatti infiammatorî e degenerativi, possono essere presenti focolai caseosi. Di notevole importanza, specie agli scopi diagnostici, sono le lesioni istologiche dei vasi pre- e postcapillari e del sistema nervoso centrale, rappresentate le prime da infiltrazione cellulare delle pareti vasali o da fenomeni di degenerazione ialina, trombosi e necrosi delle pareti, e le seconde da un'encefalomielite diffusa, non purulenta.
Il periodo d'incubazione va da 8 a 20 giorni e oltre. Dal punto di vista clinico nella forma pura, oltre alle manifestazioni legate al processo setticemico, si rilevano congiuntivite acuta, spandimenti emorragici puntiformi o di maggiori dimensioni sulla cute, talora vomito, defecazione dapprima ritardata, diarroica poi, con feci talora emorragiche. Nelle forme miste ai precedenti rilievi si associa il quadro della polmonite o della pleuro-polmonite e quello della gastro-enterite secondaria. Si possono ancora reperire pustole o necrosi cutanee, paralisi muscolari, accessi epilettici, artriti falangee. Il decorso può essere assai vario, perché dalle forme iperacute si può arrivare a quelle croniche. La prognosi è subordinata specialmente alla gravità della forma setticemica e pettorale. La mortalità va dal 10 al 90%; essa è alta nei territorî in precedenza indenni. I dati epizoologici, necroscopici e clinici, possono in generale condurre a una sicura diagnosi, specie nei focolai d'infezione che datino da alcuni giorni. Nei casi dubbî si può ricorrere all'inoculazione di suini sani.
Allo stato presente delle nostre conoscenze non si è in possesso di validi mezzi di cura, perché tanto la terapia chimica quanto quella specifica (siero immune) non corrispondono agli scopi pratici. Soltanto nelle forme a decorso non rapido la siero-vaccinazione aspecifica (improntata ai germi d'irruzione secondaria) può condurre a benefici effetti (G. Finzi). Meglio si addicono i mezzi profilattici. Essi devono essere rivolti a evitare l'introduzione di suini infetti o di recente guariti in porcilaie indenni ai suini di nuovo acquisto si deve pertanto far subire un periodo di quarantena di 3-4 settimane. Quando l'infezione ha già invaso un allevamento, oltre che ai mezzi di profilassi diretta, si può ricorrere all'immunizzazione con siero specifico dei suini ancora sani; questo intervento deve essere eseguito alle prime avvisaglie dell'infezione. Il metodo nella pratica non sempre corrisponde, perché spesso avviene che, cessando l'immunità conferita dal siero (dopo 14-15 giorni), i suini si mostrino di nuovo sensibili al virus ancora diffuso nell'ambiente. Per questo da molti si ricorre oggidì alla siero-vaccinazione specifica simultanea dei suini che non presentano sintomi di malattia. Il vaccino è costituito da sangue virulento, filtrato attraverso candela; il siero proviene da suini trattati con dosi salienti di virus pestoso; si scelgono come suini sieroproduttori animali che abbiano superato la malattia. Il metodo ha il vantaggio di conferire una solida immunità; presenta però inconvenienti di vario genere, perché non è possibile dosare il virus inoculato, giacché una parte dei suini ammala con sintomi clinici evidenti e talora mortalmente, eliminando il virus nell'ambiente. Pertanto il metodo si può impiegare con vantaggio soltanto nelle porcilaie già infette. Sempre a scopo profilattico, molti autori, e in Italia specialmente G. Finzi, ricorrono alla siero-vaccinazione aspecifica, con risultati soddisfacenti, specie dove è controindicata la siero-vaccinazione specifica. La peste suina è soggetta a speciali misure sanitarie (art. 68 e 69 del reg. di pol. vet. 10 maggio 1914).