PESENTI
– Notizie della famiglia Pesenti risalgono al 1300. Attiva a Gerosa in Val Brembilla (Bergamo), da lì i Pesenti si sparsero nel territorio bergamasco e oltre.
Il primo componente della famiglia che si recò ad Alzano proveniente da Villa d’Ogna, centro di produzione di carta, fu Pierantonio (Villa d’Ogna, 1748-1796), del quale poco si conosce; e tuttavia, dall’attività del figlio Luigi Vincenzo (Alzano Maggiore, 1782-1856) e del nipote Antonio (Alzano Maggiore, 1826-1868) – che gestirono le cartiere – e dalla sua provenienza si può ipotizzare che anche lui fosse impegnato nella stessa attività.
A metà dell’Ottocento Antonio si mise in viaggio a piedi verso la Francia con un suo collaboratore, per prendere visione di una nuova macchina ‘continua’ per la produzione della carta a Grenoble. Tornato ad Alzano, riuscì, dopo molte fatiche, a riprodurne una copia e a installarla, anche nell’obiettivo di far fronte alle entrate della famiglia, diventata nel frattempo molto numerosa (dodici figli, dieci dei quali viventi). Antonio morì però a soli 42 anni, seguito poco dopo dalla moglie Elisabetta Bonometti. A questa data (1868), il primo dei dieci fratelli Pesenti aveva solo quindici anni e l’ultimo diciotto mesi. I fratelli decisero allora di costituire una forma di comunione dei beni, assai nota nel Medioevo, ma in disuso all’epoca, denominata ‘Fraterna’.
La Fraterna Pesenti, che resse per quarantuno anni, dal 1867 al 1908, anche dopo che molti dei fratelli si erano formati una propria famiglia, implicava che i redditi e il patrimonio di ciascuno fossero versati in un fondo comune, amministrato di comune accordo.
Il secondogenito Carlo (1853-1911) – in realtà, il capofamiglia, perché il primo nato, anche lui Carlo, era morto in fasce – costituì presto il nucleo centrale della famiglia e il garante della concordia tra fratelli. Fu colui che diede corpo a nuove iniziative imprenditoriali, permettendo fra l’altro a vari fratelli di laurearsi.
Pietro (1854-1920), laureato in chimica e medicina, fu l’erudito della famiglia, che scoprì, fra l’altro, vari giacimenti marnosi. Luigi (1857-1911), sposato con Amalia Mioni, gestì le cartiere di famiglia e fu per vari anni sindaco di Alzano di Sopra. Cesare (1860-1933) si laureò in ingegneria e condusse una cospicua e svariata attività di progettazione di impianti anche idroelettrici, nonché di gestione di aziende. Daniele (1861-1911) si dedicò al risanamento di aziende della zona in difficoltà e, proprio in ragione del suo successo imprenditoriale, si diffuse la voce che se un’azienda veniva presa in mano dai Pesenti, «diventava oro colato». In particolare, va ricordata la trasformazione della cartiera Pigna (Daniele aveva sposato la nipote del fondatore, Giuseppina Pigna figlia di Giuseppe), destinata a imporsi tra le principali d’Italia. Augusto (1865-1918), diventato ragioniere, si dedicò anche lui con profitto alla gestione di imprese e all’industria dell’edilizia.
L’entrata nel settore cementifero fu propiziata da Pietro che aveva scoperto nel 1876, nel Comune di Nese (frazione di Alzano), un giacimento di calcare marnoso, materia prima per la produzione di cemento. Carlo decise, con il consenso di tutti, di coinvolgere la famiglia in una nuova attività imprenditoriale, aprendo nel 1878 il primo impianto di produzione di cemento dei Pesenti. Per il trasporto del cemento alla stazione ferroviaria di Bergamo occorreva utilizzare carri a trazione animale, organizzati da Daniele anche con abili risvolti pubblicitari. La produzione di cemento aveva già preso piede nella zona, a partire dal 1864, quando era stata fondata a Scanzo, sempre nei dintorni di Bergamo, la prima fabbrica da parte di Giuseppe Andrea Piccinelli. Allorché i Pesenti entrarono nel settore, l’azienda di Piccinelli era ben avviata e più ancora si rafforzò in seguito, per l’ammodernamento tecnologico ottenuto con la produzione di cemento ‘artificiale’ (Portland) e per l’acquisizione di impianti fuori della Bergamasca, motivo per il quale l’azienda fu ribattezzata Italiana Cementi. Inoltre, altri imprenditori che avevano costruito impianti nell’area, dovettero ben presto cederli a Piccinelli.
I Pesenti non solo resistettero, ma rilanciarono, con la creazione di altri impianti, diventando il vero competitore dell’Italiana Cementi, soprattutto per merito di Cesare, che si prodigò instancabilmente nel miglioramento tecnico dell’azienda. Quando nel 1905 Piccinelli si ritirò dalla direzione dell’Italiana Cementi per problemi di salute, il progetto dei Pesenti si poté finalmente realizzare: l’anno successivo la fusione fra l’Italiana Cementi e la Fratelli Pesenti attribuì a Carlo, Cesare e Daniele il 60% della nuova società.
La prima, più grande, produceva 1.300.000 q di cemento e la seconda 835.000 q, ma la ditta dei Pesenti guadagnava di più (0,85 lire al q contro 0,35), segno di una gestione più efficiente. Inizialmente il nome della nuova azienda fu mantenuto in Italiana Cementi, e nel 1927 fu tramutato in Italcementi. La Fraterna Pesenti aveva ottenuto molto più di quanto i suoi membri avessero mai potuto sperare: possedere e gestire una delle più grandi aziende cementiere italiane, con nove stabilimenti e una quota di mercato pari al 15%.
Ciò che più contò, per sfruttare al meglio la posizione raggiunta, fu la forte coesione della famiglia.
Assai rapidamente si procedette alla riorganizzazione dell’azienda, portando avanti, nel contempo, progetti di apertura di nuove cementerie (Cividale del Friuli, 1908) e di acquisizione di altre già esistenti (Villa d’Almè, 1911).
Nel 1911 la carica di consigliere delegato della Società passò nelle mani di Antonio (1888-1967), figlio del terzogenito Luigi. Antonio, diventato segretario dello zio Carlo nel 1898, all’età di soli 18 anni aveva ereditato da questi non solo l’arte di governo di una grande azienda, ma anche il dinamismo imprenditoriale, a cui si aggiunsero le sue innate capacità relazionali. Quando, a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro, nell’estate del 1911 morirono il padre Luigi e lo zio Carlo (e tre mesi dopo anche lo zio Daniele), Antonio era ormai perfettamente in grado di proseguire senza alcuna interruzione la gestione dell’Italiana Cementi.
Furono soprattutto gli anni della guerra e dell’immediato dopoguerra che, creando problemi ai gestori di tante piccole cementerie, offrirono ad Antonio la possibilità di acquisire altre fette di mercato, arrivando nel 1927 a controllare ben 33 cementerie, che servivano il 40% del mercato italiano.
L’Italcementi inaugurò nel 1928 un laboratorio centralizzato di ricerche, destinato a rivelarsi strategico per promuovere la qualità e l’innovazione. Lo zio Cesare, il più longevo della Fraterna, morto nel 1933, fu sempre pronto a sistemare le nuove acquisizioni dal punto di vista tecnico con una dedizione totale al lavoro, anche fuori dall’azienda di famiglia. Non stupisce pertanto il tempismo mostrato, allorché, nominato presidente dell’Azienda municipalizzata delle Funicolari e Tranvie elettriche di Bergamo (1925), fu in grado di presentarsi – già pochi giorni dopo la nomina – alla prima riunione del Consiglio di amministrazione con un cospicuo faldone di carte nelle quali aveva identificato tutti i problemi dell’azienda e individuato le soluzioni.
Intanto Antonio – sposato con Elena dei conti Agliardi – era diventato una personalità di rilievo nazionale: aveva fondato nel 1918 la Federazione nazionale produttori di cemento (in seguito Federazione nazionale fascista), della quale tenne la presidenza fino al 1942. Da questa posizione, fu al centro dell’organizzazione di tutti i consorzi di vendita dei materiali da costruzione resisi necessari per le travagliate vicende economiche attraversate dalle aziende cementiere soprattutto dopo la rivalutazione della lira a ‘Quota 90’ (1926) e dopo la crisi del 1929.
Tenne anche la carica di presidente della Camera di commercio di Bergamo dal 1919 al 1945; fu nominato cavaliere del lavoro nel 1925 e deputato nel 1929, su designazione della Confindustria; fu consigliere dell’Associazione delle società per azioni (ASSONIME); la nomina a senatore avvenne nel 1943.
Antonio fu inoltre consigliere del Banco di Roma dal 1925 e presidente dal 1935 al 1940 (l’Italcementi e la famiglia Pesenti furono magna pars nella fornitura di capitali all’atto del salvataggio del Banco operato dal governo Mussolini nel 1924-25). Quando il Banco – a seguito della crisi che interessò il sistema finanziario – fu rilevato, assieme alla Banca commerciale italiana e al Credito italiano e alle loro finanziarie, dall’Istituto per la ricostruzione industriale (IRI), i Pesenti restarono per qualche anno nell’azionariato della società con una quota di minoranza, uscendone solo durante la seconda guerra mondiale.
La gestione dell’Italcementi da parte di Antonio portò l’azienda a sfiorare il 50% del mercato alla fine della seconda guerra mondiale, ma gli anni della guerra e dell’immediato dopoguerra furono travagliati. Non solo molte cementerie furono bombardate e messe fuori uso (compresa quella costruita in Etiopia a Dire Daua), ma si dovettero affrontare anche problemi politici. In seguito alla morte, nel 1940, del cugino Mario (figlio di Augusto), nominato direttore generale dopo la morte dello zio Cesare, Antonio fece entrare in Consiglio nel 1942 un altro cugino, l’ingegnere Carlo (1907-1984), fratello di Mario, di ventisette anni più giovane di lui, facendolo nominare direttore generale e poi consigliere delegato, e mantenendo lui la presidenza. Ma nel 1944 – durante la Repubblica sociale italiana di Salò – Antonio si trovò costretto a portare in discussione in Consiglio di amministrazione comportamenti ritenuti ‘discriminatori’ nei confronti di alcuni fascisti locali da parte del cugino Carlo e, prima che la questione potesse essere in qualche modo sistemata, le cose precipitarono. L’Italcementi fu commissariata, ma Antonio riuscì a farsi nominare commissario, mentre Carlo fu arrestato dai fascisti, poi rilasciato ed esiliato fuori Bergamo. Per opera di Antonio, dunque, l’Italcementi fu salva e così pure Carlo.
Il comportamento ambiguo che Antonio tenne durante la guerra portò poi all’apertura di un procedimento di collaborazionismo a suo carico, che implicò il divieto di ricoprire cariche in società per azioni. Fu però possibile, nel ricorso presentato contro tale divieto, dimostrare che con il suo comportamento Antonio non solo era riuscito a salvare gli impianti e le persone (nessuno dei suoi dipendenti era stato deportato in Germania e tutti erano stati aiutati nella sopravvivenza quotidiana), ma aveva anche evitato la confisca di azioni Italcementi intestate a ebrei, facendosi assegnare il ruolo di commissario dell’Italcementi, quando i fascisti vollero estromettere Carlo.
Antonio poté inoltre dimostrare di avere finanziato il Comitato di liberazione nazionale (CLN) di Bergamo e quello di Milano. Nel 1947 venne così riabilitato dalla Commissione che esaminò il ricorso, ma non rientrò più nel Consiglio di amministrazione dell’Italcementi; morì nel 1967.
Il rientro del cugino ingegnere Carlo alla direzione dell’azienda fu tempestoso, costellato da un altro arresto – le cui motivazioni restano a tutt’oggi poco chiare, ma risoltosi nel giro di poco più di un mese – e da problemi relativi alle nomine nel Consiglio di amministrazione. Nel marzo 1946, Carlo fu definitivamente reinserito in azienda e nominato direttore generale. Il suo primo obiettivo fu quello di riorganizzare l’enorme azienda in quattro rami: Italcementi, Sacelit (manufatti in cemento), Cidi (calci) e Italmobiliare (partecipazioni finanziarie). Nel 1948 Carlo divenne in aggiunta consigliere delegato, dando così inizio alla sua lunga gestione.
Anche Carlo, come il cugino Antonio, inaugurò un’era nella quale la famiglia Pesenti continuò a proiettarsi su scala nazionale, sia pur con modalità diverse. Non potendo infatti espandere di molto la presenza nel settore cementiero – anche per le continue minacce di nazionalizzazione che negli anni Cinquanta venivano rivolte alle grandi imprese italiane (alcune delle quali, come quelle elettriche, furono effettivamente nazionalizzate) –, Carlo, pur senza mai trascurare la promozione dell’eccellenza nel suo core business, si rivolse ad altri investimenti, mediante la sua controllata Italmobiliare.
Nel 1952 acquisì il pacchetto di controllo delle assicurazioni RAS, poi la Franco Tosi meccanica (insieme a Falck), una serie di banche locali, che accorpò nell’Istituto bancario italiano (IBI), e una importante partecipazione nella società per l’aeroporto di Orio al Serio. La vicenda della Lancia, della quale acquisì il controllo tra il 1956 e il 1969 (anno in cui la cedette alla Fiat), fu invece un investimento personale.
La passione del ‘re del cemento’ per il lavoro rimase immutata nel tempo e, proverbiale, il suo attaccamento all’azienda.
Nel 1979, Carlo fu costretto a riorganizzare il gruppo, ribaltando il rapporto tra Italcementi e Italmobiliare: quest’ultima divenne la finanziaria del gruppo e non più una partecipata di Italcementi. Nei suoi ultimi anni, Carlo, complici i problemi di salute, non riuscì a controllare l’indebitamento del gruppo, reso ancora più grave dalla sfortunata acquisizione, nel 1982, di un importante pacchetto del Banco Ambrosiano, poco prima della morte di Roberto Calvi. Fu così che gran parte delle partecipazioni bancarie dovettero essere alienate, mentre nel luglio 1983 il figlio Giampiero (Bergamo, 1931) fu nominato direttore generale dell’Italcementi.
Giampiero, che aveva sposato Franca Natta – dal matrimonio con la quale ebbe tre figli: Giulia, Carlo e Laura –, aveva ricoperto vari ruoli dirigenziali nelle aziende controllate dall’Italcementi. Nominato direttore generale un anno prima della morte di Carlo, avvenuta nel settembre del 1984, studiò una nuova strategia. La rete di alleanze e relazioni costruita da Carlo aveva provocato problemi finanziari e identitari all’azienda, ma nelle mani del suo successore si rivelò utile.
Divenuto anche consigliere delegato, Giampiero, ingegnere come il padre e anche lui ben inserito in una serie di consigli di amministrazione, si pose come primo obiettivo quello di riportare l’azienda a una sua coerenza, ripianando i debiti con una serie mirata di dismissioni: la prima partecipazione a essere alienata fu quella della RAS, venduta ad Allianz nel 1984; poi fu la volta della partecipazione nella finanziaria Bastogi (1985-87), mentre l’operazione di cessione della parte elettromeccanica della Franco Tosi fu più complessa (1990). Il passo cruciale che Giampiero fece compiere all’azienda dopo l’assestamento della sua struttura fu a lungo meditato, ma in seguito realizzato con grande rapidità.
Egli aveva ben compreso che, a una grande azienda come Italcementi, l’Italia stava ormai stretta e aveva cercato, a partire dal 1987, di avviare iniziative all’estero (Stati Uniti, Repubblica Ceca, Cipro). Ma le prospettive non erano troppo rosee, fin quando non si presentò la vera occasione: nel mese di febbraio 1992 venne a conoscenza del fatto che Paribas era disponibile alla cessione di Ciments Français (la seconda azienda francese del cemento, ampiamente multinazionalizzata, caduta sotto il controllo di Paribas all’80% a causa di seri problemi gestionali). Attraverso Mediobanca – della quale erano azionisti e alleati – che era in contatto con Paribas, Giampiero conobbe le condizioni della cessione e, non senza molti dubbi, il 25 aprile si recò a discutere della questione a Parigi. Il 26 aprile Ciments Français era acquisita, dando così vita a un gruppo che all’epoca era il primo in Europa, con il 17% del mercato, e una presenza anche extra continentale.
Le condizioni di acquisizione dovettero essere in seguito rinegoziate, perché non tutte le poste di indebitamento del gruppo francese erano state correttamente rivelate, e la fusione tra i due gruppi si rivelò molto complessa. Ancora una volta, tuttavia, la terza generazione della famiglia Pesenti riuscì ad affrontare le nuove sfide, non più legate alla sola dimensione nazionale, come era stato per Antonio e per Carlo (seconda generazione), ma proiettate a livello internazionale.
Dalla modesta fabbrica di cemento aperta dal Carlo della prima generazione cementiera della famiglia nel 1878 a Nese, la famiglia Pesenti non solo fu capace di scalare un competitore più grande come l’Italiana Cementi, ma di imporsi leader nazionale e poi di proiettarsi sul mondo, acquisendo un competitore molto più grande come Ciments Français sino a diventare una delle più grandi aziende cementiere del mondo.
Alla fine della riorganizzazione dell’Italcementi come multinazionale, nel 2004 la carica di consigliere delegato è passata al figlio di Giampiero, Carlo (1963; quarta generazione), che nel 2014, anno del centocinquantesimo anniversario dell’azienda, si è trovato ad amministrare una società diventata oramai il quinto gruppo cementiero del mondo, con 53 cementerie in ventidue Paesi e quattro continenti, oltre a molte altre attività connesse. Anche per quanto riguarda la famiglia, il Carlo che rappresenta la quarta generazione si è allineato con la tradizione, in controtendenza rispetto ai giovani del suo tempo, potendo contare su una numerosa nidiata di figli.
Si nota nella letteratura che riguarda le imprese dominate da famiglie che il passaggio generazionale non è sempre facile, a motivo o di divergenze di vedute sulle strategie da seguire, o di carenza di capacità imprenditoriali nelle generazioni successive alla prima o di litigi sull’asse ereditario.
La famiglia Pesenti è invece rimasta refrattaria a questi problemi grazie a due fattori di solidità su cui ha potuto contare: l’abbondanza e la qualità delle personalità imprenditoriali coinvolte e la coesione interna.
L’essere partiti in dieci fratelli costituendo una Fraterna rivela la predisposizione alla collaborazione, sostenuta dalla comune fede cristiana, ma il modo in cui tale collaborazione fu realizzata lasciò un’impronta indelebile: ciascuno fu lanciato in quello che poteva fare e dare, e ci fu spazio per diverse personalità e diverse iniziative che non infrequentemente si sostennero a vicenda. Questo atteggiamento di valorizzazione dei talenti disponibili venne applicato anche con gli amministratori delle aziende acquisite, che talora sedevano nel Consiglio di amministrazione dell’Italcementi oppure continuavano a svolgere ruoli importanti all’interno delle fabbriche, e con i collaboratori, molti dei quali vennero così fidelizzati e passarono tutta la loro vita in azienda, finendo qualche volta anche nel Consiglio di amministrazione.
D’altra parte, l’azienda dei Fratelli Pesenti dovette da subito eccellere per capacità organizzative e avanzamento tecnico perché si misurava con quella di Piccinelli, più grande e sperimentata, e dunque non poteva inserire persone che non avessero dimostrato superiori capacità gestionali e tecniche. Divenuta la più grande azienda italiana del cemento, tale attenzione alla qualità dei suoi dirigenti non diminuì, orientando i membri della famiglia alla qualificazione adeguata e alla pratica, anche molto lunga, nelle aziende del gruppo, prima di vedersi affidate responsabilità di vertice, sempre condivise con una schiera di collaboratori di prim’ordine.
Il radicamento bergamasco dell’azienda non compromise la capacità di essere presenti sul piano nazionale, anche perché portò con sé quella ‘responsabilità sociale dell’impresa’, tipica delle aziende ben organizzate almeno fino alla metà del Novecento. Cassa pensioni, cassa di previdenza, cassa premi scolastici per i figli dei dipendenti, assunzioni di membri delle famiglie dei dipendenti, case popolari sponsorizzate quando non direttamente costruite dall’azienda, colonie per i figli dei dipendenti (anni Trenta), asilo a Sotto il Monte in onore di papa Giovanni XXIII (1961), piscina coperta a Bergamo (1966) sono solo alcune delle attività sociali che i Pesenti hanno finanziato a favore del territorio e dei loro dipendenti. In seguito queste attività si sono moltiplicate nei vari luoghi di insediamento delle fabbriche, insieme alla partecipazione dell’azienda al finanziamento di importanti realtà come il Politecnico di Milano, il parco tecnologico Kilometro rosso, o la costruzione della chiesa Dives in Misericordia a Roma in occasione del giubileo del 2000. Non è inusuale per grandi imprese realizzare iniziative del genere, ma nel caso dei Pesenti la prassi fu inaugurata fin da subito, per naturale propensione a favorire la coesione sociale, e non per importazione di modelli esterni all’azienda.
Fonti e Bibl.: C. Pesenti, Memorie di famiglia. Lotte, travagli e fortune nella vita, Bergamo 1931; C. Fumagalli, La Italcementi. Origini e vicende storiche, Milano 1964 (per il centenario della società); V. Zamagni, Italcementi. Dalla leadership nazionale all’internazionalizzazione, Bologna 2006.