PESCA.
– Lo sviluppo del settore e i pericoli per l’ecosistema. Bibliografia
Lo sviluppo del settore e i pericoli per l’ecosistema. – Il settore della p. cresce progressivamente di importanza nelle abitudini alimentari di miliardi di persone, principalmente a causa della concentrazione dell’aumento della popolazione globale nelle zone rivierasche. La p. è oggi una componente fondamentale nella dieta di quasi 3 miliardi di persone e copre il 20% dell’apporto proteico quotidiano, con un aumento del consumo di pesce sia nei Paesi in via di sviluppo sia in quelli maggiormente sviluppati. Complessivamente, se nel 1992 i prodotti ittici rappresentavano l’1% del consumo alimentare mondiale, nel 2014 salgono fino all’1,7%. Scomponendo il dato per macroregioni, si evidenzia che l’aumento del consumo è perlopiù attribuibile ai Paesi del Sud-Est asiatico, che nello stesso arco di tempo hanno raddoppiato l’apporto calorico legato al pesce. Il dato si spiega in virtù del forte sviluppo economico di quest’area, che ha permesso l’utilizzo di sistemi di produzione industriale prima sconosciuti. Più stabili i dati delle altre macroregioni, con il primato dell’Oceania, dove si consuma in media, rispetto a tutte le altre, quasi il doppio delle calorie derivate dal pescato. Relativamente ai singoli Paesi, tra i venti principali consumatori di pesce pro capite, tre sono appartenenti al Sud-Est asiatico, preceduti dagli europei, con Islanda, Francia, Spagna, Norvegia, Portogallo e Lituania ben posizionati.
A livello mondiale, la produzione di pesce cresce a un ritmo di due volte superiore rispetto alla popolazione, attestandosi intorno a 160.000.000 di tonnellate di pescato, ossia il 20% in più rispetto al 2005 e ben un terzo in più rispetto al 2000. Alla base di questa poderosa capacità produttiva, ci sono anche ragioni tecniche e industriali. L’acquacoltura, ossia la produzione industriale di pesce in aree dedicate, rappresenta la quasi totalità dell’incremento produttivo tra il 1990 e il 2014 e oltre il 40% della produzione globale. Il Paese che maggiormente contribuisce a questo fortissimo incremento è la Cina, con una crescita annua del proprio pescato dell’ordine del 6%. Anche le aree a maggior crescita della p. per cattura appartengono al Sud-Est asiatico: Oceano Pacifico centro-occidentale, nord-occidentale e Oceano Indiano orientale, con, rispettivamente, 12.078.487, 21.461.956 e 7.395.588 tonnellate di pescato. Tra i Paesi produttori per cattura, la Cina è di gran lunga al primo al mondo (13.869.604 di tonnellate nel 2012), con una produzione più che doppia rispetto all’Indonesia, che occupa il secondo posto. L’area mediterranea segna invece una flessione importante (− 13,3% tra il 2003 e il 2012), insieme all’Oceano Atlantico.
La produzione dei singoli Paesi risente fortemente dei tempi di recupero della fauna marittima, in alcuni casi opportunamente regolata da organizzazioni internazionali specifiche. Nonostante questo, sono in costante aumento le zone in cui la p. avviene a ritmi insostenibili, pari al 20% del totale. L’acquacoltura è particolarmente sviluppata in Asia, dove pesa sul prodotto totale per una percentuale maggiore del pescato per cattura. Nei Paesi con una buona tradizione nell’acquacoltura, come Stati Uniti, Francia, Spagna, Italia e Giappone, la produzione mostra un netto calo a causa della maggiore convenienza a importare dai Paesi che producono a costi inferiori e sono maggiormente orientati alla produzione per esportazione. La parte più consistente dell’intera produzione mondiale ittica per acquacoltura spetta alla Cina, che ne detiene il 61%. Dal punto di vista lavorativo, nel 2012 la p. ha dato impiego a quasi 60.000.000 di persone, in aumento del 30% rispetto al 2000. La quasi totalità degli occupati, ossia i 5/6, si trova nei Paesi asiatici.
In Italia la p. risente del difficile quadro del Mar Mediterraneo, dove la metà della superficie marittima è pienamente sfruttata o sovrasfruttata, da cui scaturisce un costante calo del pescato per cattura (−4,7% nel 2013), mentre l’acquacoltura non riesce a svilupparsi a causa della forte concorrenza con l’estero; ne consegue una bilancia commerciale negativa nel settore per quasi 4 miliardi di euro. Tra il 2002 e il 2012 il pescato per cattura è calato del 30%, mentre l’acquacoltura, nello stesso periodo, ha fatto segnare una flessione del 20%.
Le sfide che il mercato della p. si trova ad affrontare riguardano innanzitutto la rilevanza del comparto per i Paesi in via di sviluppo. Le politiche di importazione dei Paesi più sviluppati si stanno facendo più stringenti, rendendo a volte difficoltosa la certificazione della qualità del prodotto da parte dei Paesi meno sviluppati. A questo si aggiunga che l’aumento del traffico internazionale ittico non corrisponde a benefici economici proporzionali, dato che nella catena del valore i piccoli produttori risultano svantaggiati, così da determinare forti diseguaglianze. Tuttavia, al fine di un uso sostenibile delle risorse e di una crescita equa delle comunità locali, i piccoli produttori sono quelli che offrono maggiori garanzie. Queste esigenze hanno preso forma nel Blue growth, politica fatta propria dalla FAO allo scopo di garantire uno sviluppo sostenibile delle risorse ittiche. Tale politica prevede un approccio organico e integrato che sappia creare uno sviluppo armonioso tenendo in considerazione la p. per cattura, l’acquacoltura, la stabilità dell’ecosistema e l’equità di trattamento economico e commerciale per le comunità che vivono di pesca. L’approccio prevede il coinvolgimento delle istituzioni pubbliche, ma anche delle organizzazioni locali più vicine alle esigenze del territorio. Un primo passo verso questo obiettivo è stato l’adozione delle zone di p. FAO, che pur con i limiti del caso hanno lo scopo di preservare la riproducibilità delle risorse ittiche.
Bibliografia: ISMEA, Il settore ittico in Italia. Check up 2013, Roma 2013; FAO, Food and nutrition in numbers 2014, Roma 2014; FAO, Value chain dynamics and the small scale sector, Roma 2014.