PESARO (lat. Pisaurum e anche Isaurum; A. T., 24-25-26)
Antichissima città delle Marche, capoluogo della provincia più settentrionale tra le quattro della regione e ora seconda nella regione stessa per popolazione, dopo Ancona. Il nucleo urbano (8-11 m. s. m.) è tutto compreso in una vasta piana d'alluvioni, di deltazione e d'arenili quaternarî, recenti e attuali, duplice opera del Foglia (l'antico Pisaurus, alla foce del quale la città fu fondata) e del mare; piana protesa a cuneo verso l'Adriatico e limitata, a levante, dal subitaneo rilievo pliocenico del M. Ardizio e, a ponente, dal Monte Accio (San Bartolo). Questo è l'estremo meridionale del nettamente definito sistema di colline plioceniche litoranee, dette delle "Gabicce" o di "Focara", il quale stabilisce il termine fisico preciso della Pianura "Padana" e dell'Italia settentrionale e l'inizio di quella centrale. Tale piana, bassa e costipata tra quei due rilievi collinosi, periodicamente invasa dalle acque torrentizie del Foglia e dalle salmastre, era alquanto paludosa. Una meravigliosa opera di bonifica, venti volte secolare, riuscì a renderla asciutta e saluberrima. L'opera di conquista e di redenzione fu compiuta sotto il pontificato (1700-1721) di Clemente XI, mercé canali di scolo e un completo piano di bonifica ispirato da Giammaria Lancisi (1654-1720).
Lo sviluppo perimetrale murato della città preromana e romana, sorta sul piano degli arenili salmastri alla destra del fiume, era quadrato, con l'incrocio interno delle due tipiche strade e ad esso si adattarono le mura medievali; sotto la signoria sforzesca, Alessandro fratello di Francesco, a mezzo il Quattrocento fortificò maggiormente la città da N. (porta Riminese) con opera nuova protesa verso il Foglia e il ponte romano; circa un secolo dopo, Francesco Maria Della Rovere, fatta erigere, in cotto, la caratteristica "cinta pentagonale", con baluardi ai vertici, fossati e terrapieni, v'incorporò sul mare, cioè a E., la "Rocca Costanza" iniziata già nel 1475, su disegno del Laurana. È la "Fortezza" quadrilatera, dalle quattro torri circolari angolari, ancora esistente.
I baluardi del "pentagono" erano detti di S. Chiara (SE.), dei Cappuccini (S.), del Carmine (NO.), della Rocchetta (N.); al piede dei due ultimi era il "Porto di Pesaro".
Nel 1614, sotto Francesco Maria II della Rovere, si condusse a termine l'adattamento, con argini, del tratto terminale del Foglia, a "porto e, onde ebbero incremento gli scambî con l'opposta sponda dalmata; prima d'allora l'approdo avveniva in piccoli scali arginati, a N. del fiume, quali quello di Focàra di Soria (da sub riva), interrati e scomparsi affatto per opera dei frangenti. Ma il limo di piena del fiume e la corrente marina, da nord, trasportante il detrito basale delle Colline delle Gabicce, interravano il porto. Nel 1857, con grandiosa opera inaugurata da Pio IX, deviato il tratto ultimo del Foglia, se ne sbarrò l'alveo naturale di foce, che pulito, scavato e arginato, invaso dall'acqua marina, è l'attuale portocanale. Esso ha due moli e un faro, ben protesi nel mare, con scogliera, tra i quali il fondale è di m. 3,50, banchine, un bacino d'espansione, un piccolo cantiere; per tonnellaggio di traffico è primo tra i porti minori della regione. Per il frutto della pesca, già assai copioso, nel 1823 venne costruita una grande pescheria, con portico, su disegno del ferrarese P. Mancini.
Poco prima del compimento del porto, la città aveva acquistato un nuovo aspetto, nel perimetro, per iniziativa e opera del conte Francesco Cassi, gonfaloniere (1778-1846), mercé lo svolgimento di strade sui terrapieni delle mura e con gli "Orti Giulî", aereo giardino impiantato, sopra un baluardo del pentagono, in memoria di Giulio Perticari (1779-1822); al Cassi fu pure dovuto l'ampliamento del manicomio e l'istituzione dell'Accademia agraria.
Nel primo decennio del sec. XX vennero abbattute le storiche mura dell'antico pentagono urbano, nel mentre andava, e va, estendendosi, esternamente e verso NE., sull'ampio e avanzantesi arenile adriatico, la "Città nuova", con il lieto e arioso carattere di città giardino e balneare, in un reticolato stradale, attraversato dal maggior Viale Trieste, disteso dal piede del Monte Ardizio al porto-canale. Il grande incremento demografico ed edilizio della città è da riferirsi, soprattutto, a partire dal sec. XIX, in rapporto alla ferrovia litoranea, quivi affiancata all'antichissima Flaminia, e alla recente tendenza di scendere e insediarsi lungo le marine.
Le medie meteorologiche sono: temperatura med. an. 13°,4; del gennaio 3°,7, del luglio 24°,4, con estremi assoluti di −7°,4 e 38°,8. Le precipitazioni raggiungono mm. 725, con massimo autunnale e minimo invernale; predominano i venti del IV quadrante (NO.-O.), cui seguono quelli del II (ESE.), frequenza minima S.
L'attività industriale si manifesta in campi diversissimi: già assai fiorenti erano la bachicoltura e la filatura della seta; da ricordare la confezione di tele, nastri, passamani; la fabbricazione di munizioni da caccia; le raffinerie di zolfo e di zucchero; le fonderie; le fabbriche di laterizî e terraglie. Industria antichissima è quella delle ceramiche e maioliche, di fama mondiale.
Le ottime crete usate, plioceniche, quaternarie e anche di recenti colmate fluviali, eccellenti per plasticità, assumono in cottura, a seconda del vario tenore degli ossidi metallici, colorazioni diversissime. Nel 1472, mastro Simone da Siena, introdusse le tecniche nuove di colori, smalti, vetrificazioni secondo l'invenzione dei Della Robbia, e subito, la nobile arte del maiolicaro, favorita da grandi privilegi degli Sforza e dei Della Rovere, prese grande sviluppo. Allo splendore della metà del Cinquecento, ispirato da un puro sentimento d'arte italica, seguirono l'imitazione straniera, la produzione in serie, la decadenza. Dopo secolari alterne vicende, soltanto all'alba del sec. XVIII si ebbe un primo risorgimento per iniziative del cardinale legato Stoppani; un più solido risorgimento si ebbe alla metà del secolo XIX, caratterizzato dal ritorno alle pure forme e figurazioni del Rinascimento e dalla grandiosità degl'impianti e dei fuochi (Molaroni, Mengaroni).
Tra le opere e istituzioni, oltre a quelle pie e ospitaliere, al grandioso manicomio, alle scuole classiche, agrarie e d'ogni grado, si ricordano: il museo Oliveriano (così detto dal nome del fondatore Annibale Olivieri) di antichità etrusche, picene, galliche e romane, l'annessa biblioteca, con 60.000 volumi e 1500 manoscritti; la pinacoteca e l'Ateneo pesarese; il museo municipale Mosca, il quale si trova nel palazzo dello stesso nome; il liceo musicale Rossini, che possiede una ricca biblioteca musicale; il Teatro Rossini; la casa dove nacque il Rossini, che è monumento nazionale.
Il territorio del comune, di kmq. 64,18 prima delle recenti aggregazioni, è ora di kmq. 127,48 (aggregati i comuni di Candelara, Ginestreto, Novilara, Pozzo Alto, Fiorenzuola di Focara). Gli estremi altimetrici sono m. 0 e m. 320 (territorio di Ginestreto). Esso è costituito di sottilissime cimose litoranee, piane deltali e alluvionali, basse e alte colline subappenniniche (Pliocene). Il suolo agrario-forestale è di ha. 11.574; esso è intensivamente coltivato a cereali, viti, gelsi, olivi, orti e frutteti; notevole pure è l'allevamento dei suini e ovini e la produzione di formaggi, miele, cera e legnami.
La popolazione di 21.150 ab. nel 1881, saliva a 25.103 nel 1901, a 27.343 nel 1911, a 29.899 nel 1921; di essi, poco più della metà erano nella città, oltre 1300 nelle 3 frazioni di Fabbrecce, Calibano e Trebbiantico, i restanti sparsi. Al 21 aprile 1931, avvenute le aggregazioni dei 5 comuni suddetti, con un complesso di oltre 6000 persone, la popolazione salì a 42.549 ab. e la densità, che era di 468 abitanti per kmq. nel 1921, discese, per il raddoppiato territorio, a soli 334 abitanti.
Monumenti. - Restano dell'antica Pesaro alcuni avanzi di un edificio del foro, forse la basilica, con pavimento figurato a musaico, sotto l'odierna cattedrale, ed elementi del ponte sul Foglia su cui passava la via Flaminia. Dell'epoca medievale si conservano un sarcofago di tipo ravennate (sec. VII) e un affresco del sec. X nella rammodernata chiesa di S. Decenzio, un ninfeo del sec. XII nel vescovado e un vasto e rimaneggiato musaico, interrato sotto l'attuale pavimento del duomo. Di un notevole gruppo di chiese romanico-gotiche rimangono numerosi elementi: in S. Francesco finestre e avanzi di decorazioni romaniche, ricco portale ogivale ornato di sculture, nell'interno il sarcofago della B. Michelina (1356), e quello di Paola Orsini (1371); nel duomo, facciata e portale con leoni romanici; in S. Domenico, di cui resta la bella facciata con portale datato 1395, mentre il fianco verso la piazza fu trasformato da L. Poletti (1848) per il prospetto del Palazzo delle poste ricavato nel corpo della chiesa; in S. Agostino, che si adorna di un fastoso portale d'impronta gotica, datato 1413, ricco di sculture e d'ornati.
Insigne edificio del Rinascimento è il palazzo ducale che si ricollega alla eletta tradizione urbinate; costruito per volere di Alessandro Sforza dopo la metà del sec. XV, fu restaurato nel XVI da Girolamo e Bartolomeo Genga, e a quest'epoca risalgono le pregevoli decorazioni di alcune sale.
In queste è allogato ora il Museo civico, comprendente notevoli opere pittoriche di scuola veneta e bolognese del sec. XIV, di Marco Zoppo, di Giov. Francesco da Rimini, di Iacopo del Sellaio, di Giovanni Bellini, del Beccafumi, di S. Cantarini, di G. M. Crespi, ecc., oltreché avorî del sec. XII, vetri dorati e sculture. Ma la collezione di più cospicuo interesse è quella delle ceramiche, rara per qualità e quantità di saggi delle fabbriche di Faenza, di Castelli, di Gubbio e specialmente di quelle pesaresi e urbinati dei Fontana, dei Patanazzi, di Xanto Avelli, ecc., che rappresentano una delle più belle e gloriose fioriture d'arte della regione.
Altri importanti monumenti del Rinascimento sono: la Rocca, incominciata nel 1474 da Luciano Laurana per Costanzo Sforza, compiuta da Giovanni Sforza nel 1505; l'Imperiale, grandiosa villa iniziata da Alessandro Sforza e compiuta da Eleonora Gonzaga ad opera di G. Genga, con ricche decorazioni pittoriche dello stesso Genga, di Raffaellino del Colle, Perin del Vaga, Bronzino, Menzocchi da Forlì, ecc:; infine la villa di Miralfiore, costruita per Guidubaldo II da F. Terzi e B. Genga, che s'adorna d'affreschi nella maniera degli Zuccari e d'un mirabile giardino all'italiana delineato dal pesarese Minguzzi. Nella città vanno ricordati alcuni nobili palazzi dei secoli XVI-XVIII; la chiesa di S. Giovanni, iniziata nel 1543 da G. e B. Genga, incompiuta all'esterno; e del periodo barocco alcune chiese di vario pregio: l'Annunziata, il Nome di Dio, S. Antonio (con organica decorazione di tele del Cignani, del Passeri, del Venanzi, ecc.), la Maddalena (originariamente del secolo XIII, rimaneggiata su disegno del Vanvitelli), la Purificazione, ecc. La fontana di piazza è opera di Lorenzo Ottoni, scolaro del Borromini. (V. tavv. CCXXVII-CCXXX).
Storia. - La città attuale nasce come colonia romana nel 184 a. C., e prende il nome dal fiume Pisaurus. Ma è probabile che se non nel sito stesso, almeno nelle adiacenze, esistesse già un centro piceno, con il quale debbono essere messe in relazione le tombe e le stele iscritte e decorate scavate a Novilara, a circa sette km. dalla città. Quando Roma vi mandò i suoi coloni, ai quali assegnò sei iugeri di terreno per ciascuno e concesse i pieni diritti di cittadinanza, il territorio era stato già invaso e dominato dai Galli. Dieci anni dopo la fondazione, i censori provvedevano alla costruzione di un tempio di Giove e ad altre opere di pubblica utilità. Nel 170 vi nasceva il poeta tragico L. Accio; un T. Accio Pisaurense è ricordato più tardi da Cicerone. All'inizio della guerra civile Cesare occupò per pochi giorni la città: la quale sembra che allora fosse in stato di decadenza e non godesse buona fama per la salubrità dell'aria. Ottaviano e Antonio, durante il secondo triumvirato, ne assegnarono le terre ai veterani: fu questa considerata come una seconda fondazione della città, che prese il nome di Colonia Iulia Felix Pisaurum. Pesaro era iscritta alla tribù Camillia; le epigrafi, numerose, ricordano come magistrati i duumviri, gli edili, i questori, varî sacerdozî e molti collegi. La città aveva una fiorente industria figulina. Di essa non si fa alcuna menzione durante l'Impero, tranne che nei testi geografici: nel 539 fu distrutta dai Goti, nel 545 restaurata da Belisario.
Alla caduta dell'Impero, Pesaro fu occupata dagli Eruli e poi dagli Ostrogoti (493-538); ripresa dai Greci mentre Vitige era ad assediare Roma, ebbe a subire la vendetta di questo con lo smantellamento delle mura e l'incendio. Di lì a poco (540) Belisario sconfisse Vitige; ma Pesaro ricadde in potere di Totila (542) e poi ancora di Belisario (544) che diede opera a ricostruirla; rimase così, con una breve interruzione da parte dei Goti (545-53), in potere dell'Impero d'Oriente fino al 568 facendo parte della Pentapoli. Invasa questa dai Longobardi appartenne ad essi, non senza vicende alterne coi Greci, fino alla totale loro sconfitta per opera di Pipino e di Carlo Magno che la compresero insieme con la Pentapoli nelle terre donate alla Chiesa (774). Da questo momento comincia un'altra alternativa di dominazione tra il papato, l'Impero d'Oriente e quello nuovo d'Occidente, a seconda del prevalere dei partiti locali e dei rappresentanti delle varie autorità. Si veniva intanto formando il comune, prima sotto un duca poi sotto un conte che rappresentavano l'autorità imperiale, poi con i consoli (987) e i podestà (1200). Infeudata con la Marca a Marquardo (1198-1200) marchese per l'impero, Pesaro viene poi compresa nell'infeudazione agli Estensi per opera del papa (confermata anche dall'imperatore). È avversa all'impero (1241-1259), ma poi soggiace a Manfredi (1259-1266) a cui viene tolta dal papa per opera di Malatesta Guastafamiglia. Questi divenutone podestà se ne fece signore quasi assoluto, dando origine a una non breve dominazione malatestiana, interrotta bensì dall'intervento dei legati pontifici che poi finirono col sanzionarla creando i Malatesta vicarî della Chiesa. Il dominio malatestiano non fu senza gloria, grazie a Pandolfo il Senatore; ma finì ingloriosamente perché l'ultimo rimasto, Galeazzo, non sapendo difendere i proprî dominî, finì per vendere la città ad Alessandro Sforza (1445) che a sua volta diede origine a un'altra dinastia la quale ebbe Pesaro in dominio per circa 70 anni con la qualifica di vicarî del papa. Questo dominio fu interrotto dal 1500 al 1503 da Cesare Borgia che, per concessione del padre Alessandro VI, unì Pesaro al grande principato che si veniva costruendo sulle rovine di molte piccole signorie. Più fiero colpo recò agli Sforza Giulio II che non volle consentire a riconoscere la successione di Galeazzo alla morte di Costanzo II e concesse invece la signoria di Pesaro al proprio nipote Francesco Maria della Rovere (1512) signore di Senigallia e duca di Urbino. Questi alla sua volta fu spogliato di ogni signoria da Leone X che ne diede l'investitura al nipote Lorenzo de' Medici (1516); morto questo nel 1519, Pesaro rimase per due anni sotto il dominio diretto della Chiesa finché, venuto a morte Leone X, Francesco Maria rientrò nei suoi stati e diede origine alla nuova dinastia roveresca (v. della rovere) che durò fino al 1631. Durante questo periodo Pesaro divenne la residenza preferita dei duchi che l'arricchirono di nobili edifizî e ne curarono la prosperità. Alla morte dell'ultimo duca, Francesco Maria II, il ducato ritornò alla Chiesa che ne fece una legazione cardinalizia con residenza alternata a Pesaro e a Urbino e la storia di Pesaro non ha più carattere particolare confondendosi con le vicende dello stato pontificio. Nel 1796 nella prima invasione francese delle Marche ebbe un governo provvisorio: successivamente appartenne alla repubblica romana, a quella Cisalpina, allo stato della Chiesa restaurato dagli Austro-russi nel 1799-1801, al primo regno d'Italia e a Gioacchino Murat fino al 1815, anno in cui tornò alla Chiesa, sotto la quale restò fino all'11 settembre 1860 quando, nonostante la difesa organizzata da monsignor Bella, venne presa dalle truppe italiane comandate dal generale Cialdini. Entrò a far parte del regno d'Italia col plebiscito del novembre.
La provincia di Pesaro. - La più settentrionale provincia marchigiana si estende dalla Romagna e da San Marino alla sponda sinistra del Cesano, comprendendo, così, gli alti bacini del Marecchia e del Conca, i bacini del Foglia e del Metauro, il bacino sinistro del Cesano. Il suo saldo scheletro è formato dalle rughe normali appenniniche secondarie, tosco-marchigiane e umbro-marchigiane, distese da NO. a SE.; da esse, a nord, si snoda la aberrante ruga eocenica, che dà l'aspro, impervio, boscoso Montefeltro e il "sasso" Titano della millenaria repubblica di S. Marino. Allineate normalmente e affatto interne si susseguono le tre caratteristiche cime del Carpegna (m. 1415), del Nerone (m. 1526), del Catria (m. 1702). Allo scheletro calcareo s'addossano, verso l'Adriatico, in alte e medie colline, le degradanti e movimentate sedimentazioni mioceniche, con grande estensione della cimosa gessifera, e le plioceniche, che s'affacciano sul mare. Infine, da sud, s'avanza, per ivi terminare, la calcarea catena secondaria del S. Vicino, con i suoi ultimi rilievi del Paganuccio (m. 977) e del Pietralata (m. 888), separati dalla profonda storica gola del Furlo; tra detta catena e il Catria e il Nerone s'avanza pure il tratto terminale della sinclinale Camertina, con i bacini di Pergola, Cagli, Acqualagna e Urbania. Completano la morfologia della provincia le interne, alte, solitarie colline, a levante di Urbino, dette Monti della Cesana e le note, caratteristiche collinette litoranee delle "Gabicce". L'angolo estremo NO., miocenico-solfifero (alto Marecchia e Perticara) rientra nella nota zona franosa dell'Almagià.
La superficie della provincia è di 2895 kmq. di cui quella agraria e forestale è di ha. 267.360 (il 92,3% della totale), e per la sua elevata altitudine media (l'85% del suolo è montuoso) e per la massima estensione regionale del bosco (16,7%) cui si contrappone la minima dei vigneti, uliveti e frutteti (0,4%), si ha un minimo regionale di densità della popolazione. I prodotti principali del suolo e del sottosuolo sono il legname (quercia), il carbone vegetale (Massa Trabaria-Montefeltro), i cerali, le patate, le uve, lo zolfo, la lignite; si allevano bovini, ovini e suini e si produce formaggio (urbinate).
Il quantitativo medio annuo della produzione agricola è: frumento 878.000 q.; mais 200.000 q.; patate 125.000 q.; uve 800.000 q. Il suo valore commerciale, calcolato a L. 72.700.000 nell'immediato anteguerra (1910-14), era, nell'immediato dopoguerra (1921-24), di L. 375.500.000, per diminuire nel 1934 a un po' meno di L. 250.000.000.
La popolazione, di ab. 228.842 nel 1881 (dens. 79), saliva a 234.526 nel 1892, a 253.982 nel 1901, a 261.576 nel 1911, a 280.718 nel 1921 in 74 comuni; infine, a 294.360 nel 1931, in soli comuni 58 (densità 104 ab. per kmq.). Dopo tali aggregazioni la popolazione media del comune risulta di 8517 ab.; oltre il capoluogo vi sono 3 comuni con più di diecimila ab. (Fossombrone, Pergola, Cagli), 1 con più di ventimila (Urbino) e 1 con più di trentamila (Fano); grande è il numero delle frazioni.
Etnicamente e antropometricamente la popolazione dà la più alta percentuale regionale di tipo biondo e il più alto indice cefalico medio (85,6).
Le antichissime strade, di eccezionale importanza storica, economica, militare, sono: la Flaminia, prima transappenninica e trasversale, dal bacino umbro dell'alto Tevere (passo della Scheggia, m. 591) per il bacino sud del Metauro e il Furlo a Fano, poi, litoraneo-adriatica, da Fano alla Romagna, per Pesaro, Cattolica e Rimini; più a N., la strada del Foglia e alto Metauro, da Pesaro a Urbino e, per la Bocca Trabaria (m. 1044), al bacino sorgivo tiberino e a Città di Castello, raggiunti anche dall'altra strada di Bocca Serriola (m. 730).
Le ferrovie comprendono: il tratto della litoranea Adriatica dal Cesano a Cattolica; la trasversale Metaurense da Fano, per Fossombrone, a Urbino; il tratto della longitudinale marchigiana interna (Fabriano-Urbino), da Bellisio a Urbino.
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