Perù
(XXVI, p. 873; App. I, p. 927; II, ii, p. 525; III, ii, p. 392; IV, ii, p. 764; V, iv, p. 108)
Geografia umana ed economica
di Elio Manzi
Popolazione, insediamenti, rete urbana
Il P. si presenta come una delle realtà più contraddittorie dell'America Latina, con forti sperequazioni socio-economiche e un notevole ritardo di sviluppo, a cui fa da stridente contrappunto la ricchezza delle risorse di cui il paese potenzialmente dispone. In media, le condizioni di vita della popolazione sono molto modeste (si stima che circa i due terzi degli abitanti vivano al di sotto della soglia di povertà). Gli indicatori sociali delineano un quadro di notevole arretratezza, in cui il tasso di sottoccupazione riguarda il 75% della popolazione attiva, e solo il 60% della popolazione complessiva ha accesso ai servizi socio-sanitari. Il tenore della popolazione rurale o suburbanizzata è molto lontano da quello di cui gode soltanto una ristretta élite.
La popolazione continua ad aumentare a un ritmo sostenuto e, grazie a una natalità elevata (24,7‰ nel 1997), ha superato i 22 milioni di ab. al censimento del 1993, mentre una stima del 1998 la valuta in circa 24,8 milioni.
La fisionomia dell'organizzazione territoriale porta a riconoscere tre fasce macroregionali, come tripartizione longitudinale nelle unità geomorfologiche della Costa, della Sierra e della Selva. Ricco di contrasti, il quadro ambientale del P. ha avuto un ruolo importante nelle vicende del popolamento: l'opposizione fra centro e periferia, tipica dell'America Meridionale, qui si articola innanzitutto sul contrasto fra la zona occidentale costiera e andina e la zona orientale amazzonica. La prima è popolata e dischiusa sull'oceano, la seconda assai meno popolata e poco accessibile per la presenza della foresta; esiste inoltre una differenza di densità demografica a favore del tratto di costa centro-settentrionale rispetto a quello meridionale e, nel contesto andino, fra le aree pedemontane e vallive e quelle più elevate e impervie. Tuttavia, il contrasto recente più sensibile è fra la colossale e caotica area urbana di Lima e il resto del paese. Infatti, l'insediamento costiero e litoraneo prevale ormai su quello storico dell'altopiano andino. La maggioranza dei Peruviani (60% circa) vive nella 'oasi' dell'arida Costa, giacché negli ultimi decenni si è verificato un processo di litoralizzazione che ha sottratto popolazione alla Sierra (35%). Il versante orientale è l'area a più bassa densità demografica (circa 3 ab./km²) nonostante le spinte colonizzatrici legate per lo più allo sfruttamento petrolifero.
Intenso è il processo di inurbamento, che coinvolge oltre il 70% della popolazione, la quale si è concentrata soprattutto nell'asse insediativo litoraneo. Lima (6.464.700 ab. a una stima del 1998) spicca per velocità di crescita, e ormai la sua area metropolitana, stimata in oltre 8 milioni di ab., ospita quasi un terzo della popolazione dell'intero paese; la capitale ha rapidamente assunto la fisionomia peggiore del fenomeno metropolitano, propria dei paesi in via di sviluppo, con la formazione di gigantesche bidonville (barriadas).
Diverse altre popolose città, di recente sviluppo demografico, con popolazione fra i 250.000 e i 700.000 ab., sono, nella Costa, Callao (650.000 ab.), polo marittimo-portuale e industriale ormai conurbato con Lima, Trujillo (510.000 ab.) e Chiclayo (411.000), che sorgono in un'area ricca di piantagioni; nella regione andina spiccano la capitale storica, Cuzco (255.000 ab.), e Arequipa (620.000), importante crocevia commerciale e di comunicazione. Di rilievo anche la città 'pioniera' di Iquitos (274.000), sorta in Amazzonia, nell'area di produzione del caucciù e rivitalizzata di recente dallo sfruttamento del petrolio.
Condizioni economiche
Nonostante la drastica discesa dell'inflazione (scesa dai valori altissimi dei primi anni Novanta all'8,6% del 1997), la crescita del PIL e l'espansione degli investimenti stranieri, i costi sociali della politica liberista sono stati enormi. Il settore agricolo versa in uno stato di abbandono; sono stati attuati licenziamenti di massa in ordine alle ristrutturazioni e alle privatizzazioni delle aziende statali che hanno ingrossato le file delle classi più povere. Inoltre sono aumentati considerevolmente i fenomeni di corruzione, la produzione e il commercio di droga e, conseguentemente, il peso dei narcodollari nell'economia nazionale. Il PIL per abitante, in crescita, segnala una situazione precaria anche se non ai livelli dei paesi sudamericani più poveri in assoluto.
L'agricoltura peruviana presenta la classica dicotomia fra le colture destinate al mercato internazionale e quelle di sussistenza. Le prime si concentrano nella Costa dove, grazie all'irrigazione, operano moderne piantagioni di canna da zucchero, cotone, frutta, riso e cacao. In tempi recenti anche il versante orientale del paese è stato interessato dall'espansione delle colture agrarie d'esportazione; in queste regioni, comunque, la coltura più diffusa, e in costante aumento, resta quella della coca. Nella regione andina prevalgono l'agricoltura di sussistenza (soprattutto mais, base dell'alimentazione delle popolazioni autoctone, orzo e legumi) e l'allevamento; quest'ultimo si basa soprattutto sugli ovini (13,1 milioni di capi nel 1997), sui caprini e sui lama; i bovini sono circa 4,6 milioni. Notevole il patrimonio forestale, ricco di essenze pregiate, ma sottoposto a un intenso sfruttamento, anche in ordine all'aumento della pressione demografica e della colonizzazione agricola nella regione amazzonica: il processo di deforestazione, secondo stime ONU, aveva interessato, tra il 1970 e il 1990, una superficie pari al 4% dell'intero territorio nazionale, e prosegue con circa 2000 km² di foresta equatoriale abbattuta all'anno; quest'azione sta causando un grave dissesto idrogeologico, con effetti, fra l'altro, sui bacini di riserva e sui sistemi d'irrigazione, che si riempiono rapidamente di detriti. Una notevole importanza riveste la pesca, sebbene negli ultimi anni si sia ridimensionata, soprattutto a causa dell'anomalia climatica chiamata El Niño, una corrente calda al largo delle coste del Pacifico, che influisce negativamente sulla quantità del pescato, per la quale, ancora nel 1996, il P. era al secondo posto nel mondo.
Il P. possiede un sottosuolo ricco di risorse minerarie, fra cui spiccano rame (20% circa del totale delle esportazioni), ferro, zinco, piombo, stagno e minerali preziosi. Importanti anche i minerali utilizzati nelle produzioni tecnologiche (fra cui vanadio, tungsteno, molibdeno e selenio) e il petrolio, con un'estrazione limitata (5,8 milioni di t nel 1998) ma in espansione. Oltre ai settori petrolchimico e di raffinazione, il secondario si articola anche sulle più tradizionali industrie siderurgica, metallurgica, tessile, alimentare, che sono quasi tutte concentrate nella regione metropolitana di Lima e Callao o in prossimità delle zone di estrazione mineraria. Gli Stati Uniti, che hanno grandi interessi industriali e commerciali in P., sono il primo partner commerciale, seguiti da Giappone, Chile, Brasile, Argentina e dai paesi dell'Unione Europea.
Il P. ha dinanzi il difficile compito di attenuare le profonde sperequazioni che hanno effetti perturbanti sulla struttura economico-sociale. I due settori destinati nei prossimi anni a un significativo sviluppo sono principalmente quello idroelettrico e il turismo. Quest'ultimo, seppure manchi ancora di adeguate infrastrutture, può contare su uno straordinario patrimonio archeologico e ambientale (una ventina di aree naturali protette, pari a poco più del 2% del territorio).
bibliografia
UNEP (United Nations Environment Program), Environmental data report 1993-94, Nairobi 1995; ONU, Rapporto sullo sviluppo umano. Il ruolo della crescita economica, Torino 1996; The World Resources Institute, UNEP, UNDP, The World Bank, World resources 1998-99, New York-Oxford 1998.
Storia
di Paola Salvatori
Con la Costituzione del 1979 il P., dopo anni contrassegnati dal succedersi di colpi di Stato e di governi soggetti alla tutela dei militari, dava avvio a un complesso processo di democratizzazione, reso arduo dal perdurare di contraddizioni e problemi irrisolti. La povertà e le forti disuguaglianze sociali, un ingente debito estero, l'incombente presenza dell'esercito, il radicamento di organizzazioni guerrigliere e terroristiche, gli enormi interessi legati al traffico della droga, ostacolavano il cammino delle nuove istituzioni democratiche.
Rafforzato da alcuni successi conseguiti in campo economico (riduzione dell'inflazione, crescita del prodotto interno lordo, stabilità della moneta), dalla riacquistata credibilità nella comunità finanziaria internazionale e dai risultati conseguiti nella lotta al terrorismo, A. Fujimori nelle elezioni generali dell'aprile 1995 fu confermato alla presidenza della Repubblica con il 64,4% dei voti, sconfiggendo un candidato di prestigio come l'ex segretario dell'ONU Javier Pérez de Cuellar. Nelle stesse consultazioni la coalizione di centro-destra, Cambio-90 e Nueva Mayoria, guadagnò la maggioranza assoluta dei seggi (67 su 120) all'Assemblea nazionale. La netta affermazione consentì al presidente di continuare a governare in maniera autocratica e personalistica e di proseguire nel suo progetto di rafforzamento del potere esecutivo. Il continuo ricorso ai decreti legge ridusse di molto i poteri del Parlamento, mentre la magistratura fu di fatto posta sotto il controllo dell'esecutivo.
Esemplare fu la vicenda relativa alla possibilità, non prevista dalla carta costituzionale, per il presidente di candidarsi per un terzo mandato. Fujimori riuscì infatti a far approvare in questo senso nell'agosto 1996 una legge dal Parlamento, dopo che una commissione appositamente nominata aveva legittimato una discutibile interpretazione della Costituzione: quando, nel corso del 1997, alcuni membri della Corte Costituzionale contestarono la correttezza del provvedimento, Fujimori li fece arrestare e modificò la composizione della Corte stessa. I margini di manovra delle opposizioni vennero intanto ulteriormente ristretti dall'impossibilità di ricorrere allo strumento del referendum, il cui svolgimento fu soggetto dall'ottobre 1996 all'approvazione dell'Assemblea nazionale. Proprio in base a questa normativa venne infatti respinta, nell'agosto 1998, la richiesta avanzata dalle stesse opposizioni, riunite sotto il cartello Foro democratico, di sottoporre a consultazione popolare la legge dell'agosto 1996.
Sul piano economico Fujimori proseguì la sua politica di liberalizzazione e, grazie alla mediazione del Fondo monetario internazionale, nel luglio 1996 il governo raggiunse un accordo con i suoi creditori internazionali, impegnandosi a tagliare gli investimenti pubblici e a comprimere ulteriormente le spese nel settore previdenziale in cambio della rinegoziazione del suo ingente debito estero, che aveva superato nel 1995 i 30 miliardi di dollari.
I costi sociali di questa politica economica, in un paese che sopportava un alto tasso di disoccupazione e ancora gravi livelli di arretratezza e di miseria, sembrarono minare la popolarità del presidente, per altro già incrinata dagli scandali che avevano coinvolto alti funzionari governativi. Solo apparentemente debellato, il fenomeno del terrorismo tornò poi clamorosamente al centro dell'attenzione interna e internazionale quando, il 17 dicembre 1996, un gruppo di guerriglieri del Movimiento Revolucionario Túpac Amaru (MRTA) fece irruzione nell'ambasciata giapponese a Lima durante un ricevimento, prendendo in ostaggio circa 600 persone. L'azione mirava a ottenere il rilascio di 400 prigionieri appartenenti al MRTA ma voleva anche attirare, con un'azione spettacolare, l'attenzione dell'opinione pubblica mondiale sull'aumento delle disuguaglianze sociali provocate dalla politica liberista del governo e sulle politiche repressive messe in atto da Fujimori nei confronti delle opposizioni. I guerriglieri rilasciarono nel giro di pochi giorni molti degli ostaggi e rimasero asserragliati nell'ambasciata, assediata dall'esercito e dalle forze di polizia, fino al 22 aprile, quando il presidente Fujimori, che aveva rifiutato le proposte di mediazione avanzate dalla Chiesa, dalla Croce Rossa e da vari paesi, ordinò l'attacco armato in seguito al quale tutti i guerriglieri e un ostaggio rimasero uccisi.
Nel maggio 1998, incurante delle sempre più numerose denunce per la violazione dei diritti umani avanzate da molte organizzazioni internazionali, Fujimori ottenne dal Parlamento la delega a emanare contro la criminalità draconiane misure che estendevano le leggi antiterrorismo a una numerosa serie di altri reati, ma soprattutto limitavano il potere dei tribunali civili ampliando quello dei tribunali militari. Il carattere sempre più autoritario della presidenza, ma anche la fragilità di funzionamento di tutti i meccanismi istituzionali, trovavano espressione in continui rimpasti di governo.
Sul piano internazionale il P. dovette fronteggiare tra gennaio e marzo 1995 nuovi incidenti di frontiera con le truppe dell'Ecuador, nella contesa zona della Cordigliera del Condor. Grazie alla mediazione di Argentina, Brasile, Chile e Stati Uniti, i due paesi avviarono colloqui diretti per delimitare in via definitiva il tratto di confine conteso, giungendo nell'ottobre 1998 alla firma della pace che metteva fine a una disputa durata più di cinquant'anni. In base all'accordo raggiunto la frontiera fu fissata secondo le linee decise dal protocollo di Rio del 1942, mentre la postazione di Tiwintza in territorio peruviano - principale obiettivo degli scontri del 1995 -, pur rimanendo sotto la sovranità del P., diventò proprietà intrasferibile dell'Ecuador; fu inoltre stabilito che essa non potesse ospitare forze militari e dovesse essere fornita di una via di collegamento con l'Ecuador.
L'insofferenza verso la politica economica di Fujimori trovò nel corso del 1999 espressione in varie forme di mobilitazione sociale e nella massiccia adesione allo sciopero generale proclamato in aprile dai sindacati. Contemporaneamente, le opposizioni sembravano aver ritrovato le basi politiche per un'intesa in vista delle elezioni generali previste per l'aprile del 2000.
bibliografia
P. Mauceri, State under siege. Development and policy making in Peru, Boulder (Co.) 1996; Fujimori's Peru. The political economy, ed. J. Crabtree, J. Thomas, London 1998.