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Perù
Sede delle più famose civiltà andine (prima fra tutte quella inca), il Perù moderno cerca di riconquistare un posto di primo piano nella regione e parte di quel prestigio internazionale che ebbe nei secoli passati. Bloccato per decenni da una cronica instabilità politica, sottosviluppo economico, profonde disuguaglianze e istituzioni statali deboli, il Perù è stato nell’ultima decade un esempio di successo economico e socio-politico raro nella storia dell’America Latina. Un accorto sfruttamento delle tante risorse naturali (territorio molto vasto, triplice dimensione marittima, andina e amazzonica e sottosuolo ricco di materie prime), condizioni esterne favorevoli e un rinnovato indirizzo politico hanno garantito allo stato una solida crescita economica e fatto registrare tassi di crescita tra i più alti nella regione (crescita che tuttavia ha subito uno stallo negli ultimi due anni). Le ultime amministrazioni hanno cercato di migliorare la posizione internazionale attraverso, soprattutto, la partecipazione a organismi di integrazione regionale come l’Unione delle nazioni sudamericane (UnasUr), la Comunità andina delle nazioni (Can) e il blocco di libero scambio tra Cile, Colombia, e Perù (Mercato integrato latinoamericano, Mila). Il Mila intrattiene accordi commerciali agevolati anche con Unione Europea, Usa e Brasile. Tuttavia, affinché il Perù affermi la propria influenza sulla regione, mancano ancora alcuni elementi: un maggiore consolidamento della stabilità politica e istituzionale, la capacità di integrare nella vita pubblica le ampie frange di popolazione che ne rimangono ancora escluse e la completa riappacificazione con i paesi vicini, con i quali il Perù ha vari contenziosi aperti. Uno fra tutti: la lunga disputa col Cile per le acque territoriali, risolta il 27 gennaio 2014 dalla Corte internazionale di giustizia con una sentenza in favore di Lima per la parte di mare che si trova fra le 80 e 200 miglia marine al largo del subcontinente.
L’eterogeneità etnica rimane un attributo chiave della popolazione e della storia peruviana. Benché i peruviani siano in gran parte meticci (il 45% della popolazione), ossia discendenti della progressiva mescolanza tra i colonizzatori spagnoli e la popolazione autoctona, rimangono forti le connotazioni etniche che distinguono tra amerindi puri (31%), bianchi (15%), neri (2%, comprendente mulatti e zambos) e asiatici (1%). Tale eterogeneità ha rappresentato a lungo un ostacolo quasi insormontabile per il consolidamento dello stato peruviano. La difficile integrazione etnica rimane il problema più complesso, che spiega anche la distribuzione ineguale dei benefici legati allo sviluppo del paese. Le comunità urbane e costiere si sono avvantaggiate molto di più della recente crescita economica rispetto alle comunità rurali. La povertà è comunque diminuita notevolmente nel corso dell’ultimo decennio e, secondo recenti studi, il 39% della popolazione è entrato a far parte della classe media. Ciononostante, il tasso di povertà rimane molto elevato e nelle zone rurali interessa il 55% della popolazione. Statico per circa un decennio, anche il tasso di malnutrizione è diminuito a partire dal 2005, quando il governo ha introdotto una serie di misure per il miglioramento dei servizi igienico-sanitari. La quota di iscrizioni scolastiche è anch’essa migliorata, ma il livello di abbandono è ancora preoccupante: più di un quarto dei bambini peruviani tra i 6 e i 14 anni lasciano la scuola per contribuire a sostenere le famiglie, lavorando nei cantieri, nelle miniere e nei campi di coca. Il commercio di questa pianta ha creato notevoli problemi di sicurezza in Perù, che si aggiungono ai danni procurati dall’alto tasso di corruzione e alla tensione sociale che permane in talune aree andine e amazzoniche, dove talvolta riaffiora lo spettro di Sendero luminoso, l’organizzazione guerrigliera che negli anni Ottanta seminò il terrore in gran parte del paese.
La crescita economica peruviana dell’ultimo decennio è stata tra le maggiori dell’intero Sudamerica. I governi di Alejandro Toledo, Alan García Pérez e Ollanta Humala hanno condotto politiche economiche ortodosse che, assicurando la disciplina fiscale, un tasso di cambio stabile e livelli assai contenuti di inflazione, hanno attratto ingenti investimenti internazionali. A ciò si aggiunge l’apertura economica coronata da numerosi accordi commerciali di libero scambio, i più importanti dei quali sono l’accordo con gli Stati Uniti (entrato in vigore nel 2009) e l’Alleanza del Pacifico (Ap), il patto commerciale regionale intrapreso nel 2011 con Cile, Colombia e Messico, su iniziativa dell’allora presidente peruviano Garcia. Attraverso l’Ap, il Perù prevede di beneficiare indirettamente degli elevati standard di crescita che caratterizzano le economie degli altri membri, anche se ci vorrà molto tempo affinché i progressi si traducano in una riduzione della povertà e in un sostanziale miglioramento della competitività del paese. Negli ultimi due anni la crescita si è progressivamente ridotta, toccando proprio nel 2014 il punto più basso dal 2009, con una crescita stimata attorno al 3,6%. L’assenza di un adeguato sviluppo delle infrastrutture, la mancanza di riforme negli ultimi anni, e soprattutto l’eccessivo peso delle risorse naturali (e dei relativi prezzi delle materie prime) sull’economia sembrano essere alla base di questo rallentamento, che tuttavia non mina alla base la tenuta del Perù e la storia di successo che il paese rappresenta nella regione.
Sul piano energetico, il Perù è in larga misura dipendente dal petrolio, nonostante gli sviluppi degli ultimi anni sia nello sfruttamento del gas naturale e dell’energia idroelettrica, sia nel campo delle fonti alternative. Pur essendo cresciuta notevolmente, al momento la produzione interna di petrolio non è in grado di garantire l’autosufficienza nazionale. Il principale fornitore è l’Ecuador, con il quale il Perù ha avuto a lungo un contenzioso territoriale, oggi sanato, e questo rende tale dipendenza ancora più complessa da gestire. Sul piano ambientale, il Perù può vantare un tasso di deforestazione della sua grande porzione di Amazzonia assai più basso di quello del vicino Brasile. Tuttavia, la preservazione delle risorse naturali e della biodiversità sono sottoposti a crescenti rischi legati allo sfruttamento del sottosuolo peruviano e ai cambiamenti climatici. Un esempio lampante in questo senso è lo scioglimento dei ghiacciai della Cordillera Blanca.
Benché i militari abbiano spesso esercitato un’enorme influenza sulla vita politica peruviana e alcune minacce potenziali alla sicurezza nazionale permangano sia all’interno del paese, sia alle sue frontiere, la spesa del Perù per la difesa è contenuta e stabile. Anche la produzione interna di armi è limitata. La ventilata riorganizzazione di gruppi guerriglieri, la latente minaccia rappresentata dal narcotraffico e la vasta modernizzazione militare avvenuta in Cile negli ultimi anni, hanno tuttavia accresciuto la domanda di moderni sistemi d’armi negli ambienti politici e militari. Ciò ha portato anche il Perù a intraprendere la strada della corsa agli armamenti come avvenuto in molti altri paesi del subcontinente americano. La spesa militare, pari soltanto all’1,4% del pil, rimane tuttavia modesta rispetto, per esempio, a quella del Cile che, in termini assoluti, è quasi quattro volte maggiore.
Accanto ai sorprendenti tassi di crescita dell’ultimo decennio, tra i più alti dell’America Latina, il Perù si è recentemente aggiudicato un nuovo ma preoccupante primato. Secondo i dati emessi dall’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (Unodc), è diventato primo produttore mondiale di coca (la pianta da cui si ricava la cocaina), scavalcando la Colombia. Si tratterebbe di coltivazioni estese su 156.250 ettari, maggiori di quelle colombiane, pari a 120.000 ettari. Lo spostamento del territorio di coltivazione rientra tra le controindicazioni della guerra alla droga: l’aumento dei controlli in uno stato, provoca un aumento della produzione nella regione accanto. Il risultato è un sistema in costante movimento, che interessa quasi tutto il continente sudamericano. Sebbene le foglie di coca siano usate in Perù per scopi religiosi e terapeutici sin dai tempi degli inca, solo una piccolissima parte della coca coltivata nel paese è utilizzata per il consumo tradizionale, mentre il resto va a finire nel mercato del narcotraffico, ben stabilito nelle valli fluviali di Ene e Apurímac. Per contrastare il fenomeno, il governo cerca di convincere i contadini a coltivare prodotti alternativi come cacao e caffè: ma la coca è molto più economica e facile da coltivare, e i contadini la preferiscono dato che non devono nemmeno preoccuparsi di come immetterla sul mercato.