Personalismo
di Jean-Marie Domenach
Personalismo
sommario: 1. Origine e significati. 2. Mounier ed ‟Esprit". 3. Una crisi di civiltà. 4. Oltre il marxismo. 5. La rivolta della povertà. 6. Prassi e teoria. 7. La ricerca dell'Uno. 8. La persona. 9. La comunicazione. 10. L'impegno. 11. Ideologia o filosofia? □ Bibliografia.
1. Origine e significati
In Italia e talvolta in Francia il linguaggio corrente intende con ‛personalismo': culto della propria persona, attaccamento eccessivo a una personalità. Assumeremo però il termine non già in questa accezione, ma nel suo senso filosofico: a) in senso lato, personalismo si applica a diverse dottrine filosofiche del XIX e del XX secolo; b) in senso specifico, designa il pensiero di Emmanuel Mounier e di quanti, in particolare attorno alla rivista ‟Esprit", si richiamano a quel pensiero.
Il termine è comparso nel sec. XIX in Germania per designare inizialmente la dottrina di coloro che, contro il panteismo, affermavano l'esistenza di un Dio personale. Il termine si impose anzitutto nel solco kantiano: Ch.-B. Renouvier lo introduceva in Francia con la pubblicazione, nel 1903, di un libro intitolato Le personnalisme con il quale intendeva sottolineare la realtà ontologica e giuridica di un Io ideale, la persona, che si libera dall'Io empirico condizionato dalla natura e dalla società. Anche se, in seguito, si vedranno nascere delle versioni del personalismo assai distanti dal kantismo, il termine ‛personalismo' conserverà, in filosofia, l'impronta di questo appello etico a un'esistenza responsabile, che è la caratteristica dei moralisti kantiani.
All'inizio del sec. XX la corrente del ‛cattolicesimo sociale' e della ‛democrazia cristiana' s'incontra con questa influenza kantiana, e il punto di convergenza sarà costituito proprio dal vocabolo ‛persona'. Derivato dal latino persona, il termine designò inizialmente una maschera e in seguito un ruolo (ruolo teatrale e quindi ruolo sociale); nel XVII secolo il suo ambito semantico si specificò in due direzioni: una giuridica, la persona come soggetto di diritti, e una teologica, la persona come essere autonomo dotato di una virtualità di esistenza eterna (in questa accezione è da sempre tradizionalmente applicato al Dio dei cristiani). Il giuoco reciproco di queste diverse accezioni favori il nascere di un insieme di concetti - colorati in senso ora teologico, ora etico, ora giuridico - che hanno svolto un ruolo importante fino ai nostri giorni. Tutti pongono l'uomo come soggetto e fine della società civile e affermano ‛l'eminente dignità della persona umana' in opposizione ai determinismi naturalistici e alle pretese abusive della collettività e dello Stato. Personalismo si oppone quindi a collettivismo, nazionalismo, statalismo, totalitarismo, razzismo, ecc. Ma d'altro canto si oppone, seppur meno vigorosamente, a individualismo. L'individuo viene considerato come uno stadio elementare dello sviluppo umano; la persona come un essere capace di vivere rapporti, attraverso il diritto e l'amore, e di trovare il suo compimento sia in comunità che in una libera obbedienza alla volontà divina. Il più notevole fra i teorici di questo personalismo cristiano fu padre Laberthonnière, che scrisse all'inizio di questo secolo l'Esquisse de philosophie personnaliste.
Ma il termine ‛personalismo' finirà per assumere un senso più preciso, che eclisserà poco a poco gli altri. Nel 1934 Emmanuel Mounier definisce il suo pensiero ‟personalista e comunitario". A dire il vero in quell'epoca la parola era già nell'aria e filosofi come J. Maritain e M. Blondel l'utilizzano per designare un aspetto comune a parecchi movimenti di pensiero che, negli anni trenta, cercano una strada originale per sfuggire all'opposizione tra liberalismo capitalista e socialismo marxista. ‟Esprit", che Mounier e i suoi amici fondano nel 1930, è uno di questi movimenti, ma ben presto si affermerà come il più consistente e durevole; d'altra parte la vera originalità di Mounier consistette nell'operare la sintesi di una molteplicità di idee che erano per cosi dire nell'aria nel clima intellettuale del suo tempo. Ecco perché, diversamente da quanto Mounier stesso avrebbe desiderato, la parola ‛personalismo' designa oggi di preferenza il corpo delle analisi, dei principi e delle tesi enunciati dal fondatore di ‟Esprit" e dai suoi amici.
2. Mounier ed ‟Esprit"
Nato nel 1905 a Grenoble in una famiglia della piccola borghesia cattolica, Mounier segue i corsi del filosofo bergsoniano J. Chevalier e in seguito si reca a studiare a Parigi, dove subisce l'influenza di J. Maritain, di padre Pouget e del filosofo russo ortodosso N. A. Berdjaev. Trova tuttavia la propria fonte prevalente di ispirazione in Ch. Péguy; sull'esempio di questi, abbandona l'università dopo aver superato l'agrégation di filosofia, e decide di fondare una rivista che sia l'organo di un movimento di pensiero mirante a una rivoluzione insieme spirituale, filosofica, personale e sociale. Un ampio gruppo si raccoglie attorno a lui e alla rivista ‟Esprit", il cui primo numero esce nell'ottobre 1932; a fianco dei cattolici si trovano protestanti, ortodossi, ebrei e un certo numero di agnostici: tutti si mantengono fedeli alla propria convinzione, ma tutti assumono come base di dialogo, di ricerca e d'azione quello che ben presto si chiamerà il ‛personalismo comunitario'.
La storia non lascia a Mounier e al suo gruppo il tempo di approfondire filosoficamente tutte le tesi del personalismo. La minaccia fascista, il Fronte popolare, la guerra di Spagna, poi la Resistenza e le guerre coloniali, costringono il gruppo di ‟Esprit" a entrare in lizza, al punto che le sue posizioni politiche sono spesso più conosciute dei suoi principi basilari. La risposta all'avvenimento, l'‛impegno' (la parola fu lanciata da Mounier) fanno certamente parte integrante del personalismo. Tuttavia per Mounier, ‟il politico può essere urgente, ma e subordinato" (v. Mounier, 1932, p. 10) ed è impossibile separare l'impegno dei personalisti dalla loro dottrina. Mounier sviluppa questo impegno parallelamente alla direzione della rivista e alla propria ricerca teorica, fino alla morte, nel marzo 1950. Il personalismo porta il segno del suo temperamento cordiale, generoso e combattivo, in cui l'ispirazione mistica si combinava col rigore cartesiano e l'apertura al dialogo con una fedeltà intransigente ai suoi principi e alla sua fede cattolica.
3. Una crisi di civiltà
Il personalismo di Mounier si è costituito nel solco di una rottura pratica e teorica con la civiltà della sua epoca. Si tratta innanzitutto della reazione di un cristiano rigoroso di fronte a un mondo che rinnega i suoi valori. Mounier non si rassegna alla degradazione dell'uomo in una società dominata dal denaro. Prende il Vangelo sul serio, si rifiuta di scindere in due parti la propria vita; quella della contemplazione del Bene e quella dell'azione empirica. La sua filosofia non è qualcosa di preliminare ma si costituisce a partire da una reazione di tutto il suo essere, indignato dalla degradazione degli uomini nel possesso delle cose e nella banalità quotidiana; a questo oppone l'amore, la creazione e il rischio. All'origine del pensiero di Mounier troviamo insieme la convinzione cristiana che la persona e la comunità sono possibili, purché l'uomo lotti fin d'ora per la propria liberazione, e la rivolta contro le condizioni globali di un'esistenza alienata, ‟la desolazione dell'uomo senza dimensione interiore, incapace di incontri" (v. Mounier, 1935, in Oeuvres, 1961, I; tr. it., p. 95).
In un primo momento questo personalismo spontaneo si definisce in contrapposizione a un nemico: il ‛borghese'. Per borghese Mounier non intende solo il membro della classe dominante, ma il simbolo dell'avarizia e della mediocrità spirituale, ‟l'uomo che ha perso il senso dell'Essere e che si muove solo fra cose, e cose utilizzabili, private del loro mistero" (v. Mounier, 1936, in Oeuvres, 1961, I; tr. it., p. 21). Il borghese è l'uomo dell'‛avere' (G. Marcel aveva appena opposto le due categorie dell'Essere e dell'Avere), al quale si oppone l'uomo che possiede il senso del mistero poiché ha conservato le virtù dell'infanzia: la gioia, la gratuità, la poesia, il contatto immediato con la natura e con gli altri. Da quattro secoli la borghesia ha arruolato a suo vantaggio le forze del lavoro, le ricchezze della natura e della cultura; si è accaparrata perfino la religione, facendo della Chiesa un sostegno del potere costituito; ‟essa ha avvezzato lo spirito a servire". Lo sfruttamento economico è solo un aspetto di uno sfruttamento globale, l'oppressione politica è solo un aspetto di un dominio globale, e questi trovano la loro base non solo nelle strutture sociali, ma in una cultura degeneratasi a partire dalla fine del Medioevo. Il compito primo è dunque di liberare lo spirito, di ‟restituirgli l'iniziativa e il controllo dei suoi scopi" poiché ‟esso guida il mondo anche quando sembra abbandonarlo" (v. Mounier, 1932, p. 15). Mounier, nel suo primo editoriale su ‟Esprit", fa appello non a un nuovo Medioevo ma a un ‟nuovo Rinascimento", cioè a una rivoluzione totale, che esige insieme una ‟conversione" interiore (‟μετανοεῖτε cambiate il cuore del vostro cuore") e nuove strutture, di modo che la società si ricostituisca intorno alla persona e ai suoi bisogni autentici.
Purificare i valori, rimetterli nella loro vera gerarchia e articolare tra loro la vita personale e la costruzione sociale, questo non è un progetto astratto: nasce dalla coscienza e dall'analisi di una situazione. A partire dal 1930, il crollo di Wall Street diffonde in Europa la depressione economica ma, dietro la miseria e i totalitarismi che essa favorisce, Mounier e i suoi amici hanno la percezione di una malattia mortale che conduce l'Europa alla catastrofe. Per essi la crisi, economica e politica, è il sintomo di una crisi di civiltà. Questa crisi radicale esige una risposta radicale.
4. Oltre il marxismo
Il marxismo non può fornire questa risposta perché resta prigioniero dell'economismo che ha contrassegnato l'epoca in cui è nato. Il marxismo sembra a Mounier ‟il figlio ribelle del capitalismo": ‟Un materialismo non può negarne un altro. [...] Contro Marx, noi affermiamo che non può darsi civiltà se non metafisicamente orientata" (v. Mounier, 1934, in Oeuvres, 1961, I, p. 445). Sostituire l'individualismo borghese con il collettivismo marxista significa solo cambiare oppressione, ma non liberare l'uomo. Mounier non cesserà certamente di dialogare con i comunisti, talvolta agirà d'accordo con essi e rifiuterà ogni anticomunismo, perché il Partito, dirà dopo la guerra, ‟porta la speranza dei poveri". Ma, anche se integra progressivamente nel suo pensiero una larga parte del marxismo, non rinuncerà mai a una critica radicale verso una dottrina cui rimprovera di ‟mirare troppo vicino". L'alienazione, per Mounier, non risiede solo nella proprieta privata e nei rapporti di produzione, ma nella paralisi dello spirito e nella mortificazione dei valori; non discende solo dal capitalismo, ma da un produttivismo e un'ipertrofia della tecnica che si manifestano tanto in Unione Sovietica quanto nei paesi capitalistici. Il marxismo trascura l'apporto di Nietzsche, di Freud e delle nuove scienze umane, e ci dà per questo una visione troppo angusta dell'oppressione e della liberazione. ‟Esiste nel mondo una dialettica rivoluzionaria. Ma non è - o per lo meno non è semplicemente - una battaglia orizzontale tra due forze materiali, oppresse e opprimenti; l'oppressione è il tessuto stesso dei nostri cuori" (v. Mounier, 1932, p. 15). Per abolirla non basta lasciare il potere al proletariato, bisogna anche e soprattutto cambiare l'uomo, riconsegnandolo ai valori guida, educandolo in modo che divenga capace della propria libertà. Perché, se alcuni si alienano nelle cose e altri nelle idee, vi è anche chi si aliena nell'azione. Anche in mezzo alla violenza, Mounier ha fornito l'esempio di un modello di comportamento che nasce dalla riflessione ed è sostenuto da una personalità formata e responsabile. Contro ‟la buona coscienza rivoluzionaria", che sprofonda nell'agitazione e nella denuncia, egli esige la condizione preliminare di una vita personale autentica.
Benché il personalismo di ‟Esprit" sia nato da una crisi politica, esso si presenta in primo luogo come un ritorno ai valori in apparenza più lontani dalla politica: quelli del santo piuttosto che dell'eroe. La vita pubblica, in fondo, si va disfacendo a causa della sua inautenticità. Restaurare la città significa innanzitutto rifare gli uomini e i piccoli gruppi, tutto quel ‟tessuto organico" di cui parlava Péguy. Proprio commentando Péguy, Mounier scriveva nel 1930: ‟La città armoniosa è una città di intimità. [...] Il ‛privato' è il tessuto stesso dell'universo, nel quale gli atti pubblici fanno delle apparizioni saltuarie" (v. Mounier, 1931, in Oeuvres, 1961, I, p. 66). A differenza della maggior parte dei rivoluzionari, che vogliono liberare il ‛privato' rendendolo ‛pubblico' e che immaginano che un cambiamento delle strutture cambierà i rapporti umani, il personalismo propugna il sovvertimento del pubblico da parte del privato. La vera azione è quella che mobilita le risorse spirituali. La città socialista è quella che, al di là dei fantasmi ideologici e delle tirannie burocratiche, consacra e sviluppa le relazioni fra le persone e le comunità. L'avvenimento significativo è quello che spezza le cristallizzazioni politiche e rivela a un uomo o a un gruppo la loro vocazione. Il personalismo si concepisce anzitutto come una pedagogia generale dell'uomo e della società. Per questo non può affidare il compito rivoluzionario a nessuna forza e a nessun potere. Se critica l'anarchismo per la concezione idealistica della natura umana, cui oppone la propria nozione di ‟libertà sotto condizione", Mounier si trova tuttavia assai vicino all'anarchismo per la diffidenza nei confronti del potere e per il suo appello alla responsabilità individuale e all'autogestione collettiva. Seguace di Bergson e Péguy, egli sa che ogni gruppo e istituzione tende a chiudersi in se stesso e che la rivoluzione dev'essere ricominciata continuamente, dall'alto e dal basso. Per questo propugna ‟une révolution enveloppée", una rivoluzione nella rivoluzione, - la promozione della persona attraverso il cambiamento delle strutture. Il 18 febbraio 1932, anticipando di trent'anni le lezioni dello stalinismo, in un dibattito organizzato dall'Union pour la verité, dichiarava: ‟Ogni rivoluzione che non si accompagni ad una trasfigurazione morrà di morte propria".
5. La rivolta della povertà
Nulla illustra meglio l'aspetto profetico del personalismo del 1930 della sua posizione radicale nei confronti del progetto comune al capitalismo e al socialismo: aumentare la felicità aumentando la produzione e il consumo. Fin dall'inizio Mounier ha proclamato che ciò che voleva non era la ‛città comoda', ma la ‛città giusta'. Fin dall'inizio la crescita della ‛felicità' materiale, legata alla moltiplicazione delle cose, gli è sembrata una minaccia per la libertà e, da questo punto di vista, ha criticato tanto il capitalismo quanto il socialismo scandinavo o il comunismo marxista. In questo Mounier è il precursore di quella contestazione del mondo borghese che trascinerà un largo settore della gioventù negli anni sessanta. In verità egli oppone al dominio borghese non soltanto un regime economico e sociale, ma una cultura, un tipo di uomo e di rapporti sociali totalmente differenti. Certamente non troviamo in lui, a differenza di altri personalisti, in particolare anglosassoni, nessuna condanna globale della tecnica, nessun elogio della vita ‛naturale'. Per lui - fedele in questo alla tradizione ottimistica del cristianesimo sviluppata dal suo amico Teilhard de Chardin - le macchine sono un prolungamento del corpo e l'uomo deve servirsene per accrescere la sua conoscenza e il suo benessere. Malgrado abbia attinto al tomismo la preoccupazione di gerarchizzare i bisogni e i valori, egli si rifiuta di porre la ‛natura umana' come un dato immutabile, ed è qui il punto di più profondo distacco dalla tradizione del cattolicesimo sociale che per un momento credette di potersi riconoscere in lui. Una volta ebbe a dire concisamente: ‟La natura è l'artificio". L'uomo è un essere che costruisce e a cui spetta di ‛abitare' questa terra. Su questo punto Mounier si discosta dalle utopie del ritorno alla natura e si trova vicino al marxismo.
Si comprende dunque come egli denunci l'arretramento dell'uomo davanti ai propri poteri, quello che nel 1949 chiamerà ‟la piccola paura del XX secolo". E però urgente arrestare il ciclo infernale che asservisce le società alla hybris della tecnica e alla fascinazione degli oggetti; diventa urgente orientare secondo i bisogni la tecnica, che oggi è asservita al denaro. ‟Una delle deviazioni fondamentali del capitalismo è quella di aver sottomesso la vita spirituale al consumo, il consumo alla produzione e la produzione al profitto, mentre la gerarchia naturale è quella inversa" (v. Mounier, 1934, in Oeuvres, 1961, I, p. 453). ‟Un'economia personalista, al contrario, regola il profitto sui servizi resi nella produzione, la produzione sul consumo e il consumo su un'etica dei bisogni umani ricollocati nella prospettiva totale della persona" (v. Mounier, 1936, in Oeuvres, 1961, I; tr. it., p. 172).
Contro il denaro, ‟miseria del povero e miseria del ricco", Mounier predica la rivolta della povertà. Ma precisiamola: seguendo Péguy, egli distingue la ‛miseria', stato dell'uomo degradato dal bisogno dei beni essenziali, e la ‛povertà', virtù dell'uomo che rinuncia alle seduzioni del possesso per partecipare pienamente alla comunione gioiosa degli esseri viventi e della natura. La povertà, così come la vede Mounier, è innanzitutto di essenza mistica: è lo spossessamento dell'anima, bruciata da un amore più grande. È anche, in qualche modo, una condizione ontologica della rinascita: lo spirito, ‟questo grande disarmato", sarà il fermento della rinascita solo se non si lascerà invischiare nelle certezze e nelle abitudini. La persona è anzitutto difettività, aspirazione all'essere e alla comunicazione, bisogno di società - ‛vocazione', come dice spesso Mounier -, cioè risposta a una chiamata che viene intesa solo da quanti sono disponibili. Ma la povertà è anche alla base di ogni azione rivoluzionaria, principio di un'economia dei bisogni e di una società libera. ‟Contro la ricchezza e contro la miseria ad un tempo, noi conduciamo la rivolta della Povertà, di una povertà dalle forme indubbiamente imprevedibili che, senza volger le spalle al mondo nuovo, si servirà dell'abbondanza per rendersi sempre più feconda nel distacco dai beni materiali" (v. Mounier, 1935, in Oeuvres, 1961, I; tr. it., p. 410). Mounier applicherà questa regola innanzitutto alla propria vita e a quella del collettivo di cui sarà l'animatore lungo vent'anni e in condizioni precarie.
6. Prassi e teoria
È incontrovertibile che all'origine del personalismo di Mounier si trovi l'esigenza di un cristianesimo mistico e intransigente: ‟Ciò che è necessario è che alcuni eleggano domicilio nell'Assoluto, formulino le condanne che nessuno osa formulare, proclamino l'impossibile quando non sono in grado di realizzarlo e, se sono cristiani, non si lascino, ancora una volta, distanziare dalla storia con le loro soluzioni di stampo piccolo borghese" (v. Mounier, 1932). Tuttavia - e questo è il punto decisivo - Mounier non si rassegna a lasciare le esigenze spirituali nel cielo dei principi: i valori hanno pregio solo se incarnati. ‟Non esiste una tecnica dei bisogni e, al di sopra, inoperanti, delle mistiche della città. Non esiste una tecnica di governo e, al di sopra, inoperante, una religione invisibile dello spirito. Lo spirituale domina il politico e l'economico" (ibid., p. 11). ‟Andare all'uomo, al di sopra dell'uomo, e non al benessere" (ibid.): questo è il grido di guerra del personalismo al suo nascere. Esso richiede una prassi che preceda la teoria. Per Mounier il filosofo non è in primo luogo un uomo che pensa, ma un uomo che cura e che guarisce, der Arzt der Zivilisation - secondo le parole di Nietzsche cui Mounier spesso si ispira. Il personalismo è innanzitutto un metodo globale di rivoluzione e un progetto di civiltà. Ma, dato che al di là delle strutture oppressive si ritrova un cedimento dello spirito, dato che la cultura determina in gran parte la struttura, è necessario rettificare la nostra visione del mondo e operare ‟la raccolta di tutti i dati di una civiltà", gigantesca sintesi filosofica alla quale Mounier chiama i pensatori, gli artisti e gli scienziati. Non si tratta, a essere esatti, di una nuova elaborazione concettuale, ma piuttosto di un compito critico e insieme sintetico, simile a quello che intrapresero il Rinascimento e, in seguito, il XVIII secolo. Il personalismo non si presenta dunque solo come un appello mistico o un'esigenza morale: si presenta anche come un'iniziativa eminentemente razionale. Dal momento che sono alcuni ‟errori sull'uomo" a generare la nostra infelicità, lo spirito che li ha commessi deve correggerli. Nel personalismo di Mounier troviamo, a fianco dello slancio evangelico, una ‟fede razionale" (v. Lacroix, 1972), che è caratteristica di un filosofo francese, nutrito di Descartes e di Malebranche; siffatto ottimismo della ragione lo opporrà sempre al personalismo escatologico di Berdjaev o al personalismo tragico di certi pensatori di origine protestante. Tuttavia, quando Mounier parla dello ‛spirito' o dello ‛spirituale', egli pensa a un'intelligenza orientata verso i valori vissuti, e al più alto fra essi: l'amore. ‟La funzione suprema dell'intelligenza è la comunione". Mounier deplora l'inaridimento dello spirito occidentale nel razionalismo e vorrebbe far partecipare al nuovo Rinascimento le potenze sopite dello spirito orientale. Il suo tentativo, paragonabile sotto questo aspetto a quello di Nietzsche, poggia sulla visione di un uomo a venire, che raccoglie e moltiplica i suoi poteri in vista della riconciliazione, non del dominio.
7. La ricerca dell'Uno
Questa ricerca della totalità ispira la costruzione filosofica di Mounier. Mentre rifiuta l'esistenza dissociata, con lo stesso atto ricusa le opposizioni astratte che si stabiliscono tra individualismo e collettivismo, tra materialismo e idealismo. Il personalismo viene talvolta inteso come una ‛terza via' che passa a eguale distanza dagli estremi. Mounier, in filosofia come in politica, detesta più di ogni altra cosa le posizioni di centro, lo spirito di neutralità e di accomodamento. La sintesi che intraprende esige basi radicalmente nuove o altrimenti - ne è ben consapevole - si ridurrà a un vago eclettismo. Per questo, invece di cercare la conciliazione tra categorie pietrificate, egli le attraversa per trovare la radice di una ristrutturazione dell'Essere: l'esistente concreto, in tutte le sue dimensioni, che supera gli astratti umanesimi che si affrontano. Mounier non procede per successive confutazioni, ma mostra che ognuna delle coppie antitetiche esprime un'insufficienza, una malattia della verità, e che la loro opposizione viene meno non appena ci si ponga dal punto di vista della persona. Così il materialismo esprime la situazione di un uomo che si separa dalla natura assumendola come un concetto, come un'essenza materiale; esso, in fondo, è una mistica astratta del concreto, mentre lo spiritualismo esprime la reificazione dello spirituale e nasconde un materialismo pratico. Ne nasce un compito duplice e convergente: liberare la materia dal materialismo e lo spirito dallo spiritualismo. Ciò che Mounier traduce ben presto nei termini di una pedagogia dell'azione con lo slogan che definisce le due direttrici essenziali della sua iniziativa: ‟rendere rivoluzionari gli spirituali, rendere spirituali i rivoluzionari".
È in realtà per un singolare paradosso che molti proletari e oppressi ripongono la loro speranza nel materialismo mentre troppi cristiani hanno fatto dello spirituale lo strumento di una negazione materialistica della materia. Così, a un cristianesimo impantanato nel materialismo borghese si oppone la mistica marxista della rivoluzione. In un mondo in cui ogni dottrina si degrada a ideologia, lo spirito si afferma solo per meglio incatenarsi al denaro e alla macchina, e il materialismo gli si oppone solo per negare i valori che fondano una storia umana. Doppia alienazione complementare: ‟l'uomo che evade dalla materia è simile all'uomo che vi si perde" (v. Mounier, 1932, p. 31). Dietro ognuna di queste due alienazioni che si contrappongono, Mounier scopre la mancanza d'essere che le accomuna. Contrariamente agli spiritualismi, la ‛rivoluzione spirituale' di Mounier si propone di riabilitare ‟il mondo solido"; la natura, che l'imperialismo tecnico dell'Occidente ha trasformato in un campo di sfruttamento, la materia ‟schiava e indefinitamente estensibile secondo il desiderio degli uomini" (ibid., p. 29) deve ritrovare la propria consistenza e il proprio mistero perchè l'uomo riannodi con essa il suo dialogo di poesia. Il personalismo, come ha scritto J. Lacroix, è ‟presenza di spirito", cioè non solo lucidità intellettuale, riflessione filosofica, ma anche presenza dello spirito al mondo, agli altri e a Dio. Certo, permane in Mounier una nota pascaliana, il senso di una discontinuità tra l'uomo e l'universo, la coscienza di un male irriducibile; per forte che sia il desiderio di riconciliazione e di comunione, Mounier ha qualificato la propria visione del mondo come ‟ottimismo tragico", nè si spinge tanto oltre come Teilhard de Chardin, che immerge l'uomo nella creazione e ne fa la punta avanzata dell'evoluzione. Tuttavia, verso la fine della propria vita, egli scorgerà nel teilhardismo una delle due vie di accesso al personalismo (l'altra sarà quella dell'esperienza vissuta della vita personale): ‟Si può partire dallo studio dell'universo oggettivo, e porre in luce come il modo personale di esistere sia la più alta manifestazione dell'esistenza, e come l'evoluzione della natura preumana converga nel momento creatore in cui sorge questa suprema realizzazione dell'universo. Si potrà dire che la realtà centrale dell'universo è un progredire verso la personalizzazione [...]" (v. Mounier, Le personnalisme, 1949, in Oeuvres, 1962, III; tr. it., p. 9). Pur senza aderire completamente a questa visione cosmica, Mounier non la respinge. Ad ogni modo il suo pensiero, a differenza di altri personalismi più o meno coloriti di esistenzialismo, non procede per opposizione al mondo esterno, ma resta in dialogo con esso stabilendo a tutti i livelli una dialettica dell'interno e dell'esterno, accettando, non solo come una costrizione, ma come una necessità e una grazia, le condizioni materiali e biologiche di quello che il primo capitolo del suo breve scritto Le personnalisme - in cui riassume la sua dottrina - definisce ‟l'esistenza incorporata".
Mounier fa risalire la rottura fra lo spirito e il mondo al Rinascimento, ma ne attribuisce la responsabilità in particolare a Descartes, cui è tuttavia largamente debitore. Lo spirito ‟abbandonato inerme alla potenza delle matematiche" (v. Mounier, 1932, p. 26) si è ormai consacrato a dominare la terra, razionalizzando la vita fino a soffocarla. Di qui la contrapposizione: da un lato un universali smo astratto che separa gli uomini dalla natura e dagli altri uomini, e dall'altro le forze della terra e dell'istinto di cui la nostra epoca conosce la delirante esplosione; o per dirla in termini politici: da un lato la democrazia liberale e dall'altro i totalitarismi popolari. Bisogna dunque risalire al punto di rottura, ‟rifare il Rinascimento", cioè riprendere il suo progetto novatore e unificante. ‟Lo spirito si definisce attraverso l'unione" (ibid., p. 44). Questo compito primordiale dell'unità - ambizione filosofica per eccellenza - orienta dall'inizio alla fine la riflessione di Mounier. ‛Riunire', ‛collegare', ‛raccogliere', ‛congiungere'... Questo lessico traduce l'ansia dell'‛Uno'. Questo ‛uno' egli lo sente come un appello insieme mistico e razionale, ma non ne possiede ancora la chiave, che troverà nella sua concezione della persona. La persona è per lui in primo luogo un'energia, una passione di esistere e di far esistere gli altri, una potenza d'amore. Egli la designerà come il punto fermo in cui si ancora la sua costruzione filosofica, il punto da cui emana e parte l'azione nel mondo, l'impegno. Solo questa realtà permette allo stesso tempo di porre l'Essere come unità e di porlo in ciascuno, di definire un esistente e di riferirlo agli altri, di gerarchizzare i livelli dell'esistenza individuale e collettiva pur evitando le fusioni autoritarie e passionali.
8. La persona
Fino ad allora, il pensiero aveva avuto un'inclinazione naturale a porre delle essenze filosofiche. A dire il vero non è un'essenza quella che Mounier pone, ma piuttosto una relazione essenziale. ‟La persona - egli scrive - non è l'essere, ma movimento dell'essere verso l'essere" (ibid.). Un assoluto, se si vuole, ma che si concepisce solo in una relazione. Sarebbe sbagliato ritenere che Mounier giunga alla persona a conclusione di un'indagine filosofica; in realtà egli la trova e tenta di organizzare la sua filosofia in funzione di questo cogito preliminare. ‟La persona non è un oggetto, sia pure il più meraviglioso oggetto del mondo, che noi conosceremmo come gli altri oggetti, dal di fuori: essa è l'unica realtà che ci sia dato di conoscere e, in pari tempo, di costruire dall'interno. [...] È un'attività vissuta come autocreazione, comunicazione e adesione, che si coglie e si conosce nel suo atto, come movimento di personalizzazione" (v. Mounier, Le personnalisme, 1949, in Oeuvres, 1962, III; tr. it., p. 8). Tutte queste definizioni hanno una medesima caratteristica: fanno della persona non un'entità, un ideale, ma una fonte di energia e di creazione, un'esistenza articolata sul mondo attraverso il bisogno, l'amore e l'azione: ‟un movimento incrociato di interiorizzazione e di dono" (ibid.). Il personalismo rifiuta la rottura idealistica: la persona non è un tesoro nascosto che bisogna preservare, ma ‟il centro di riorientamento dell'universo oggettivo" (ibid.; tr. it., p. 17), la prima delle realtà date e il principio di realizzazione del mondo.
Allo stesso tempo il personalismo non si lascia rinchiudere nell'opposizione fra l'Io e gli altri. Partito, come abbiamo visto, da uno slancio verso gli altri, Mounier oggettiva questa disposizione naturale in un'analisi psicologica che egli oppone a quella di J.-P. Sartre. Mentre per quest'ultimo lo sguardo altrui paralizza e violenta, per Mounier questo sguardo è, fin dall'infanzia, un appello all'esistenza e ‟il più sicuro rivelatore di me stesso". All'origine del pensiero di Mounier si trova, come abbiamo detto, questa scommessa: che il Vangelo conduce nel cuore della realtà. L'amore non è un sentimento che si aggiunge alla vita, ma è costitutivo della vita umana (anche su questo punto il pensiero di Mounier si congiunge a quello di Teilhard). ‟L'atto d'amore è la più forte certezza dell'uomo, il cogito esistenziale irrefutabile: amo, dunque l'essere è e la vita vale la pena di essere vissuta" (ibid.; tr. it., p. 37). Il paradosso evangelico: colui che si perde si troverà, illumina l'essenziale dello sviluppo della persona così come Mounier lo concepisce. La persona si distingue dall'individuo in questo: che è capace di legarsi liberamente ad altri attraverso valori che contano più della vita. Il conflitto è solo uno stadio elementare del riconoscimento; la persona si pone e pone le altre persone con un solo movimento, che si iscrive nella dimensione di un appello, di una vocazione, di una trascendenza. Il personalismo si oppone in questo all'esistenzialismo, per il quale ogni adesione allo spirituale è mistificazione. Mounier denuncia, certamente, la seduzione degli ‛pseudovalori' e l'annientamento delle libertà da parte del fascismo e dei totalitari smi di Stato; ma per lui l'uomo si supera solo dandosi agli altri e aderendo a valori trascendenti. Per questo, a differenza dell'‛emancipazione', che è la rivolta dell'individuo contro le costrizioni e le istituzioni, la ‛liberazione' implica sempre un riconoscimento dei limiti e una sorta di ‛alienazione' consentita, agli altri e ai valori.
Mounier ha sempre ripreso queste affermazioni servendosi della comoda antitesi fra persona e individuo e rovesciandola per mostrare come, diversamente da quanto sembra indicare il linguaggio corrente, l'individuo tenda verso l'astrazione indistinta e verso la dissoluzione nel mondo anonimo del ‛si', che in quello stesso momento Heidegger e Jaspers analizzavano in modo così penetrante. ‟L'individuo è la dissoluzione della persona nella materia. (...] Dispersione, avarizia, ecco i due tratti dell'individualità. La persona è padronanza e scelta, è generosità. Essa presenta dunque, nel suo intimo orientamento, una polarizzazione esattamente inversa a quella dell'individuo. [...] Al limite l'individualità è la morte" (v. Mounier, 1936, in Oeuvres, 1961, I; tr. it., p. 68). Inversamente, la persona, partendo dal mondo dell'impersonale, incorporandosi i suoi legami concreti, tende a collegarsi agli altri attraverso gruppi o istituzioni che si possono gerarchizzare, stabilisce dei bisogni concreti fino alla comunione, di modo che ‟al limite, essere è amare" (v. Mounier, Le personnalisme, 1949, in Oeuvres, III, 1962; tr. it., p. 35).
9. La comunicazione
Una tale prospettiva può sembrare a prima vista idealistica o moralistica. Ma essa poggia su analisi assolutamente concrete: quelle che svolgerà Mounier stesso quando descriverà le tappe della formazione del carattere, processo in cui si vedono gli elementi di base raggrupparsi e superarsi in uno ‟slancio di personalizzazione", e ancora quando distinguerà i gradi dell'esistenza collettiva: ‟le società vitali", che tendono all'egoismo collettivo; le ‟società contrattuali ragionevoli", e infine le comunità superiori, ‟persone di persone".
Queste analisi sono state sviluppate da vari filosofi della cerchia di Mounier, in particolare da P. Ricoeur e J. Lacroix. Quest'ultimo ha mostrato chiaramente come quello strumento primordiale dell'umanità che è la parola verificasse la tesi di Mounier sulla ‛comunicazione', fondamento dell'esistenza personale, e sul ‛dialogo', pratica dell'esistenza collettiva. ‟Invece di caratterizzare la persona tramite l'incomunicabilità, bisogna fare l'inverso. [...] Il soggettivo è l'intersoggettivo. La parola non ha il suo punto di partenza nel monologo ma nel dialogo. [...] Il linguaggio per sua essenza non è di uno ma di molti, esso è ‛fra'" (v. Lacroix, 1972, p. 59). Per parte sua, Ricoeur, fronteggiando l'ondata strutturalista, ha mostrato come, al di là dell'apparato linguistico di una collettività, ogni atto verbale segni l'avvento di un senso ed esiga un soggetto responsabile. In realtà la negazione del senso non è conseguenza della reazione contro l'imperialismo del soggetto? Situando la persona in relazione, facendo del dialogo lo strumento della ricerca del vero e della convivenza, il personalismo di Mounier si era assegnato il compito profetico di lottare contro il nichilismo contemporaneo, segnato ieri dal rifiuto della libertà e oggi dal rifiuto del significato. Molti altri personalisti, come l'ebreo M. Buber e i cristiani O. Madinier e M. Nèdoncelle, hanno, a modo loro, sviluppato questa affermazione centrale di Mounier: ‟la persona esiste solo verso l'altro. [...] La prima esperienza della persona è l'esperienza della seconda persona. Il Tu e quindi il Noi, precedono l'Io o per lo meno l'accompagnano" (v. Mounier, Le personnalisme, 1949, in Oeuvres, 1962, III; tr. it., p. 34). Un'analisi simile ci mostra la persona nell'ambito di quella comunità primordiale che è la famiglia. Qui l'uomo fa, sin dalla nascita, l'apprendistato della società. Comunità ‛vitale', la famiglia si sviluppa in comunità personalista attraverso un mutuo riconoscimento. ‟L'uomo libero è quello che può promettere e che può tradire", scriveva Mounier nel 1949. Lacroix ha sviluppato questa analisi insistendo sul ruolo della ‛confessione', ‟atto umano che assume pienamente il carattere di intimità e il carattere di socialità che unisce e sintetizza i membri di una famiglia" (v. Lacroix, 1972, p. 61).
Mounier fonda dunque il suo ‛personalismo comunitario' al di fuori della fittizia opposizione fra individuo e collettività, opposizione che si esaspera nell'epoca del fascismo. Ed è su una concezione dinamica dell'esistenza incorporata, su una dialettica del soggetto e del mondo, del ‛per sè' e dell'‛in sé' che Mounier fonda la sua visione di una società pluralistica, in cui comunità libere e responsabili si articolano a più livelli in un insieme dove privato e pubblico reciprocamente si fecondano: città della comunicazione, preservata ugualmente dall'individualismo e dal totalitarismo, questi sintomi antagonistici di una sola e medesima malattia. Certamente il progetto sociale ed economico che Mounier descrive nel 1934 sembra, nei suoi dettagli, un po' desueto, ma il suo principio rimane attuale: ‟un regime personalista è un regime che assicura ad ogni persona [...] il suo posto autonomo ed efficace nell'organismo collettivo e non rifiuta a nessuno, anche se avverso al regime, il più piccolo dei diritti della persona" (v. Mounier, 1934, in Oeuvres, 1961, I, p. 129).
10. L'impegno
La stessa dialettica che fonda la relazione della persona con la società ispira la storia. Per Mounier vi è storia umana solo perché esistono valori trascendenti la storia. Altrimenti l'idea stessa di progresso sarebbe assurda. L'uomo può indagare la storia solo perché non è solamente storico, allo stesso modo che può essere economista in quanto non è solamente economico... Non è la storia che giudica la liberazione o la giustizia, ma la libertà e la giustizia che giudicano la storia. La persona, abbiamo visto, è impegnata in virtù della sua situazione originaria. Ma dipende dalla persona innalzarsi al livello in cui si manifesta ‛il senso degli insiemi' e in cui la storia assume un significato. In principio Mounier afferma il personalismo come esigenza radicale di rinnovamento spirituale, come progetto di civiltà che è importante non compromettere con un'azione prematura. Ma ben presto l'urgenza dell'attualità e anche l'influenza del filosofo tedesco P. L. Landsberg, sfuggito alla persecuzione nazista, lo convincono della necessità di impegnare ‟Esprit" nelle battaglie del tempo. Tuttavia Mounier non smette di ricercare e praticare un modo di azione particolare che riveli la tensione com'egli diceva - tra il ‟polo politico" e il ‟polo profetico". Nessun impegno giustifica ai suoi occhi l'abbandono dei valori personali, per cui si arriverà a conciliare le esigenze della persona e quelle dell'azione attraverso l'esercizio della ‟intelligenza impegnata-disimpegnata".
La storia ha, certamente, un senso: esso è indicato dalla crescita della personalizzazione; c'è di più: in ogni epoca dei gruppi particolari ne sono i portatori privilegiati. Ma nessun soggetto collettivo detiene la verità e il segreto dell'avvenire. Se la storia contemporanea trova il suo senso dominante nella crescita delle forze del lavoro, non ne segue che il proletariato abbia sempre ragione. Resta sempre necessario interrogarsi a ogni incrocio: ‟Vi è dramma, come vi è storia, solo per una coscienza singola, e l'esito, per ciascuno di noi, è radicalmente incerto, mentre la lettura del movimento collettivo al quale le nostre decisioni sono strettamente legate avviene solo nell'oscurità e nella lacerazione" (v. Mounier, 1950, in Oeuvres, 1962, III, p. 600). Talvolta è addirittura necessario ostacolare le pretese fatalità. ‟Certo è necessario riconoscere il senso della storia, per potervisi inserire, ma se si aderisce troppo alla storia qual è, si finisce per non costruire più la storia quale deve essere" (v. Mounier, Le personnalisme, 1949, in Oeuvres, 1962, III; tr. it., p. 75). Per questo il dialogo e talvolta la collaborazione di Mounier con i comunisti furono punteggiati da rifiuti e precauzioni. Per Mounier nessuna forza e nessun regime racchiudono la verità e concludono la storia. Unico principio rivoluzionario è lo spirito ‟che reinventa, al suo livello, ogni civiltà". Nessuna politica, nessuna società possono soddisfare l'uomo perché il loro fine dev'essere non tanto quello di colmare gli uomini di beni, quanto di renderli capaci di creazione. La ‛rivoluzione spirituale' deve, per definizione, essere incessantemente ricominciata.
11. Ideologia o filosofia?
Al personalismo è stato rimproverato di non essepe una filosofia originale ma solo una forma di eclettismo. È vero che il pensiero di Mounier si presenta piuttosto come una sintesi provvisoria destinata, secondo la sua stessa opinione, a essere superata, e sarebbe facile enumerare tutti gli elementi che ha integrato: dal razionalismo francese fino all'esistenzialismo tedesco, dal bergsonismo di Péguy fino al neotomismo di Maritain. Piuttosto che come una filosofia particolare, il personalismo di Mounier appare come una ricapitolazione degli elementi personalisti dispersi in dottrine diverse, ma una ricapitolazione operata in modo tale da aprire la strada a un modo nuovo di riflettere e di agire. Esser la ‛matrice' di filosofie personaliste dagli accenti diversi: questa è, a parere di Ricoeur, la funzione propria del pensiero di Mounier. In questo senso gli si può accordare il nome di filosofia, nella misura in cui questo termine designa non tanto una dottrina particolare, quanto piuttosto, nella scia della tradizione socratica, un modo di riaccentrare il pensiero attorno al soggetto pensante, un richiamo, più pedagogico che teorico, alla riflessione responsabile. Mounier stesso definiva il ruolo storico del personalismo come ‟una reazione della filosofia dell'uomo contro l'eccesso della filosofia delle idee e l'eccesso della filosofia delle cose".
Il personalismo è stato anche accusato di essere solo un calco ideologico del cristianesimo. A prima vista questo rimprovero sembra giustificato; del resto, abbiamo sottolineato come Mounier avesse attinto dal Vangelo la sua prima ispirazione, ed è incontestabile che essa si è sviluppata più largamente negli ambienti cristiani. Tuttavia Mounier aveva costituito il suo personalismo come un discorso filosofico, scientifico e politico cui potessero aderire tanto i credenti di diverse confessioni, quanto gli agnostici. In realtà il personalismo, pur mantenendo l'impronta della sua origine cristiana, ha giocato un ruolo ecumenico; intorno a Mounier, e dopo di lui, sono emerse differenti versioni del personalismo cristiano ortodosso (N. Berdjaev), ebreo (M. Buber, E. Lévinas) e musulmano (M. A. Lahbabi). Per comprendere esattamente questo fenomeno bisogna intendere il personalismo come un qualcosa affatto diverso da una ideologia, anche se alcuni gli hanno fatto svolgere questo ruolo. Esso non trae la sua pretesa alla totalità dalle condizioni di una società o di una classe, ma dal rapporto che stabilisce con l'umanità nel suo movimento di autocreazione. ‟La meta del personalismo è l'universale nell'uomo e nell'umanità - il che non appartiene a nessuna ideologia" (v. Lacroix, 1972, p. 39). In questo senso non esiste contraddizione tra l'origine cristiana e occidentale del personalismo e la sua vocazione a costituire un discorso comune a culture e religioni differenti, ove si accetti che il movimento di personalizzazione è ciò che conferisce senso allo sforzo storico dell'umanità per sviluppare la propria conoscenza e la propria civiltà verso uno sbocco unitario. In questo modo si conferisce certamente all'Occidente un ruolo privilegiato, ma bisogna anche riconoscere che alla preminenza filosofica si accompagna attualmente il declino della preminenza politica ed economica. Se è vero che la persona è l'unico ente universalizzabile, la diffusione dei temi personalisti deve comportare il risveglio e la promozione delle civiltà fino ad allora oppresse, indebolite o infingarde. Simultaneamente, con la diffusione mondiale della tecnica, si osserva una tensione dell'umanità verso mete cosmiche, la nascita di una storia unica della quale il personalismo pretende di indicare il senso. Mentre fa appello alla liberazione di tutti i soggetti personali e collettivi, il personalismo si oppone nello stesso tempo a tutte le sintesi premature in cui le ideologie, legate alla sociologia di un'epoca o di un luogo, pretendono di racchiudere l'avvenire delle libertà. Mentre la tecnica stende un velo uniforme sul mondo, ogni cultura è chiamata a vivere in dialogo con le altre. Il personalismo si è trovato naturalmente in armonia con tutti i tentativi di liberazione che segnano da cinquant'anni la storia dell'umanità. Esso si presenta in qualche modo come il principio di una decolonizzazione permanente, e di un ordine in cui possano armonizzarsi i nuovi destini liberati.
Già fin d'ora si può osservare, nella pratica e nella teoria, una crescente penetrazione delle tesi personaliste. E il caso del cattolicesimo, come testimoniano i documenti del Concilio Vaticano Il, che riprendono il linguaggio di teologi o economisti personalisti quali padre Chenu e padre Lebret e il professor F. Perroux. E il caso di un certo marxismo, illustrato dal polacco A. Schaff, dallo iugoslavo S. Stojanović e dal francese R. Garaudy, un marxismo che l'esperienza dello stalinismo costringe a ritornare a un ‛socialismo dal volto umano' rispettoso dei diritti e delle libertà personali, più vicino a quel socialismo francese ottocentesco di cui Mounier ha mostrato l'ispirazione fondamentalmente personalista. È anche il caso dell'esistenzialismo sartriano, a giudicare dagli scritti di S. de Beauvoir e di J.-P. Sartre, il quale nel 1970 dichiarava che l'alternativa rivoluzionaria poteva essere fondata solo ‟sulla ricostruzione della persona e della libertà".
In Francia il personalismo, largamente diffuso al di fuori della cerchia originaria, ispira la maggiore parte dei tentativi di rinnovamento del socialismo che si manifestano negli ambienti del sindacalismo operaio e contadino, come pure fra i gruppi che si volgono verso il Terzo Mondo, quale Économie et Humanisme. Tuttavia esso si trova fortemente contestato dal successo delle diverse teorie raccolte sotto l'etichetta di strutturalismo, per le quali il personalismo è solo un'espressione dell'illusorio primato del soggetto. Negli ultimi quarant'anni la dialettica intellettuale si è spostata: non si nega tanto la libertà quanto il significato del discorso personale. All'assurdo esistenziale (un soggetto che si cerca al di fuori del senso) succede un nuovo positivismo per il quale il senso si cerca al di fuori del soggetto. Ma può esservi un senso che non sia ‛attraverso' e ‛per' il soggetto? Questa è l'obiezione che il personalismo muove allo strutturalismo. Il suo compito attuale, come lo definisce Ricoeur, consiste nel recuperare il ‛dire' che interroga l'uomo e lo lega a una storia. Nato dal rifiuto del nichilismo totalitario degli anni trenta, il personalismo affronta oggi un nuovo nichilismo, meno violento ma più radicale, poiché non mette in discussione solo la libertà dell'uomo, ma la stessa possibilità di esprimersi. Mentre ogni filosofia viene denunciata come la pretesa umanistica di universalizzare il discorso ideologico di un'epoca, il personalismo appare come un supremo atto di fede nella possibilità di filosofare - cioè come un rifiuto di ridurre l'uomo a una sola determinazione, come la volontà di sottoporre alla riflessione tutti i dati della conoscenza scientifica e dell'esperienza storica, per trarne una coscienza più ampia, più libera e più creativa.
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