PERSONA
. Al pari del corrispondente greco πρόσωπον, il latino persona, indicante in origine la "maschera" che l'attore reca in volto per rappresentare una data parte, passa poi a significare metaforicamente la particolare caratteristica dell'individuo rappresentato, e infine l'individualità umana senz'altro.
Filosofia. - Nel campo speculativo, il concetto di persona assurge a grande importanza fino dai primi secoli del cristianesimo, nelle controversie teologiche circa il dogma trinitario, concluse appunto dalla formula delle tres personae nell'unica sostanza o natura. La concezione cristiana attribuisce con ciò decisamente a Dio, e addirittura moltiplica, il carattere della personalità, nel senso umano dell'individualità consapevole e agente; mentre le concezioni panteistiche, riferendosi al carattere d'individualità particolare proprio di ogni persona in quanto distingue sé medesima da una realtà esterna, lo trovano contraddittorio rispetto all'universalità e totalità di Dio. L'antitesi di panteismo e teismo si specifica quindi anche come antitesi di "impersonalismo" e "personalismo". E il nome di "personalismo" (adottato specialmente dal Renouvier) o di "idealismo personale" è di conseguenza stato spesso usato per designare forme diverse di soggettivismo e d' idealismo, concordi nel trovare in una universale personalità divina il fondamento ultimo di tutte le molteplici personalità pensanti, in cui si risolve il sistema del mondo.
Le critiche al concetto di persona sono d'altronde determinate soprattutto dal carattere d'identità temporale ad essa considerato intrinseco. Già Cristiano Wolff definisce la persona come l'ens, quod memoriam sui conservat, hoc est, meminit, se esse idem illud, quod ante in hoc vel isto fuit statu. Ma la critica humiana, movendo dal concetto che la sostanza pensante si riduce a un semplice fascio di sensazioni interne, nega per ciò stesso la stabilità oggettiva della "persona": e alla stessa negazione giungono più tardi le analisi psicopatologiche della personalità, che fanno vedere come questa (nei casi detti di "sdoppiamento della coscienza" o di "personalità alternanti") possa scindersi in sfere reciprocamente estranee. Il classico concetto di persona, per Hume, cede quindi il campo, per difetto del suo stesso carattere oggettivistico, al nuovo concetto idealistico dell'io trascendentale, avanzato da Kant ed elaborato dai postkantiani. Questo d'altronde, per la sua stessa universalità e unità, non s'identifica con le molteplici soggettività empiriche che esso pur contrappone a sé, nella sua visione del mondo, e che distingue dalle altre molteplici realtà a cui non attribuisce consapevolezza spirituale: Il problema della distinzione oggettiva delle "persone" dalle "cose", di fondamentale importanza per il superamento del solipsismo e per la posizione del problema morale, è quindi il punto in cui, anche da parte dell'idealismo moderno, torna a essere discusso ed elaborato l'antico concetto della "persona".
Diritto. - Nelle fonti romane dell'età classica è termine che indica l'uomo, sia che abbia, sia che non abbia, la capacità giuridica. Per quanto lo schiavo sia giuridicamente in condizione di cosa e sia accomunato da Gaio con le cose suscettibili di proprietà e di possesso, la natura umana dello schiavo importa una differenza tra lo schiavo e le altre res: il primo entra anche nella classificazione delle persone. Gli uomini, cioè le persone, si dividono in liberi e schiavi; si dividono in persone titolari di diritti e persone sottoposte al diritto, cioè alla potestà di altri: e tra queste sono, e più lungamente nel corso del tempo restano, gli schiavi. Persona, pertanto, non è per i Romani l'uomo soggetto di diritti. E neppure è indicato con questo termine un soggetto di diritto diverso dall'uomo. Se Cicerone (De off., I, 34) parla di persona civitatis, o altrove di persona populi romani, se Frontino parla di persona coloniae, ne parlano senza riferimento alcuno alla capacità giuridica della civitas, del populus romanus, della colonia, come tali: cioè come enti astratti, diversi dalla collettività dei membri che li compongono.
Nel diritto moderno, invece, persona è l'uomo che riunisce in sé le condizioni che lo rendono capace di diritto, onde la capacità si dice anche, con termine equivalente, personalità. E, siccome soggetto di diritto non è soltanto l'uomo, ma anche un' associazione di uomini considerata come ente a sé stante, facendo astrazione dalle persone che la compongono, e perfino lo scopo al quale un patrimonio è destinato, così il concetto di persona, come sinonimo di soggetto di diritto, comprende la persona fisica e la persona giuridica. Questa raffigurazione del soggetto di diritto come persona risale alle fonti giustinianee e ha, come sembra, addentellati nell'epoca romano-ellenica e nel linguaggio cristiano.
Bibl.: Per la storia del concetto di persona: A. Trendelenburg, Zur Geschichte des Wortes Person, in Kanstudien, 1908; S. Schlossmann, Person und πρόσωπον im Recht und im christlichem Dogma, Lipsia 1905. Sul "personalismo": C. Renouvier, Le personnalisme, Parigi 1903. Sugli sdoppiamenti della personalità: A. Binet, Les alterations de la personnalité, ivi 1892. Sulla distinzione fra persone e cose: L. W. Sterne, Person und Sache, voll. 3, Lipsia 1906-24. Ulteriore bibliografia in R. Eisler, Wörterbuch der philosophischen Begriffe, II, 4ª ed., Berlino 1929, pagine 393-402.
Persona Fisica. - Sulla persona fisica, sulla capacità giuridica e sulla capacità di agire della persona fisica, sulle condizioni modificatrici della capacità giuridica, v. capacità giuridica.
Per l'identificazione delle persone, v. identificazione.
Persona giuridica. - Diritto romano. - La persona giuridica si configura nettamente nel senso moderno soltanto nel diritto postclassico giustinianeo. Il diritto classico non scorge né nelle associazioni politiche, né nelle associazioni private un subbietto di diritti astratto e unico, ma la collettività concreta dei singoli associati.
Basta considerare la terminologia usata a questo proposito. Lo stato - l'associazione politica più vasta - è detto populus romanus. Se noi diciamo che la legge è emanazione dello stato, i Romani dicono che essa è quod populus iubet atque constituit. Gaio dice che è sacro quod ex auctoritate populi consecratum est; che del fondo provinciale la proprietà spetta al populus romanus. Lo ius dello stato è lo ius dei Quirites, onde si parla di dominium ex iure Quiritium e nella formula della mancipatio l'acquirente afferma sua la cosa ex iure Quiritium. Altrettanto si dica degli organismi minori: civitas, municipium, forum, conciliabulum, castellum, vicus. Le fonti parlano, ad es., di municipes, e così di res communis municipum municipii, di dare pecuniam municipibus municipii, di locare praedia communi nomine municipum municipii.
I termini adoperati per indicare, in generale, le associazioni hanno una significazione collettiva: collegium, sodalicium, sodalitas, corpus. Si tenga presente che viene detta corpus sia la collettività dei patrizî, sia la collettività dei plebei, e che l'una e l'altra collettività viene chiamata utrumque corpus. Ma ciò che più conta è la limitazione della capacità giuridica delle associazioni, derivante organicamente da questa concezione. Il populus romanus, i municipes sono un corpus incertum, una collettività composta di elementi sempre variabili e mutevoli nel tempo: quindi non possono essere istituiti eredi (Epitome Ulp., 22, 5); quindi non possono possedere (Dig., XLI, 2, de adq. v. am. poss.,1, 22) quia universi consentire non possunt. Si dubita se possano chiedere la bonorum possessio, e si motiva il dubbio scrivendo: movet quod consentire non possunt.
Discende da questa raffigurazione dell'associazione come una collettività di persone la massima, contenuta in Dig., L, 16, de verb. sign., 85: Neratius Priscus tres facere existimat collegium, et hoc magis sequendum est. Questo sostrato materiale, il minimo perché possa si parlare di collettività, deve esserci non soltanto quando l'associazione si costituisce, ma anche quando è già costituita, perché l'associazione non venga meno.
Il soggetto di diritti astratto, fittizio, indipendente dai singoli membri associati, sorge nell'età postclassico-giustinianea. Caratteristici sono alcuni testi, in cui il termine municipes è conservato nella parte genuina e il termine municipium affiora nella parte interpolata. Il termine corpus, adoperato per indicare l'associazione ha mutato significato: quando Agostino parla di unitas del corpus della chiesa o Tertulliano parla dell'ecclesia concepita come corpus trium (cioè del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo), ne parlano evidentemente in senso diverso da quello col quale i Romani adoperavano questo termine per indicare la collettività dei servi, o dei plebei o degli appartenenti all'ordine equestre, ecc. Il termine preferito, per altro, per indicare l'associazione nel diritto giustinianeo è universitas: non l'universitas civium o municipum nel senso classico; ma l'universitas, cioè soggetto astraente dai singoli cives o municipes: soggetto fittizio astratto.
Nel diritto giustinianeo al posto di municipes, corpus incertum e universitas incerta, si colloca il municipium: cioè un certum corpus, una certa universitas. E, pertanto, la capacità giuridica si dilata: il Corpus, l'universitas è soggetto di diritti per sé stante, cioè persona nel significato che frattanto questo termine ha assunto. Per ciò può essere istituito erede; per ciò è capace di possesso; per ciò, anche, non si richiede più l'esistenza di tre persone fisiche per conservare in vita l'associazione, diventata persona giuridica: si universitas ad unum redit... stat nomen universitatis (Dig., III, 4, quod. cuiusc. univ... 7, 2).
La persona giuridica, insomma, chiamata nella dottrina pandettistica e civilistica corporazione, si afferma nettamente nel diritto postclassico giustinianeo. Quella, che modernamente si chiama fondazione, non si afferma ancora, almeno nettamente e generalmente, neppure attraverso il diritto romano cristiano di Giustiniano. Le piae causae (ricoveri, ospedali, brefotrofî, ecc.) sono un portato genuino del cristianesimo, un'emanazione della carità, idea essenzialmente nuova, ed ebbero tal nome perché avevano per scopo la beneficenza e la pietà. Ma la pia causa non è distaccata nettamente dalla corporazione (chiesa) alla quale è fatto il lascito, ed è soltanto assicurata, mediante congruo regolamento, la devoluzione di esso al fine prescritto dal fondatore. Figura analoga nel diritto giustinianeo alla fondazione moderna è l'eredità giacente (hereditas iacens): cioè l'eredità non accettata ancora da chi è chiamato a succedere in qualità di erede. Mentre i giureconsulti romani con un'immagine e una finzione dicevano che in questa fase l'eredità personae defuncti vice fungitur, i giustinianei dicono senz'altro che personae vice fungitur: cioè l'hereditas iacens è persona, domina, soggetto di diritti, essa stessa.
Diritto moderno - La persona giuridica è indicata nel diritto moderno da varie denominazioni: persona giuridica, persona fittizia, ente incorporale, o artificiale, ente o corpo morale, ecc. La denominazione "corpo morale", usata nell'art. 2 cod. civ. (e lo stesso si dica dell'altra "ente morale"), è poco esatta, poiché essa dovrebbe stare in contrapposto con l'espressione "persona fisica" o "ente fisico", mentre non si può fare la contrapposizione tra "morale" e "fisico". Non sono nemmeno esatte le altre espressioni "persona fittizia" o "ente artificiale" perché esse si ricollegano a un concetto speciale, non accolto da tutti, che, cioè, la persona giuridica esista solo in base alla finzione dell'esistenza del soggetto. Nemmeno l'espressione "persona giuridica", comunemente usata, sarebbe a rigore molto precisa, perché anche il singolo individuo, in quanto soggetto di diritti, è persona giuridica, mentre la contrapposizione si dovrebbe avere non nel campo della personalità giuridica, che hanno tanto i singoli individui quanto gli enti di cui si tratta, ma con riguardo alla personalità fisica, che c'è negli uni e manca negli altri. Da tale punto di vista, più esatta sarebbe l'espressione, meno usata, "persona incorporale", che starebbe bene in contrapposizione a "persona fisica".
Il fondamento, o ragione d'essere, delle persone giuridiche si ritrova nell'attuazione degl'interessi o scopi che eccedono la sfera individuale (interessi o scopi collettivi). Trattandosi di tutelare gl'interessi individuali, soggetto di diritti può essere lo stesso individuo; quando si tratta d'interessi collettivi, o non individuali, il singolo individuo più non basta: il soggetto dei diritti deve essere diverso, ed è caratterizzato dall'unicità dell'indirizzo e dalla permanenza dei mezzi in correlazione coll'unità degli scopi, in modo che non siano di ostacolo il mutamento di volontà o la morte dei singoli. La persona giuridica in genere viene definita una unità organica, risultante, prevalentemente, da una pluralità di persone o da un complesso di beni, e alla quale viene riconosciuta dallo stato una capacità di diritti, per il conseguimento di uno scopo collettivo, lecito e determinato". Secondo alcuni, la personificazione degli enti incorporali sarebbe il risultato di una finzione, perché l'uomo soltanto, come persona fisica, sarebbe soggetto di diritti e di doveri, essendo fornito di ragione e di volontà; altri giungono invece a un estremo opposto, concependo la persona giuridica come viva e reale, benché necessariamente di una vita e realtà diverse da quelle della persona fisica. La teoria più accettabile è quella che tiene conto di ciò che è veramente reale e di ciò che è una pura astrazione nella persona giuridica: la realtà è costituita dall'unità degl'interessi, o scopi, e dall'unità dei mezzi destinati ad attuarli. Per un'astrazione, che non è una pura finzione perché poggia sopra un fatto reale, si ammette un'unità più estesa, trattando gl'individui collegati, o il complesso di beni, come unico e vero soggetto di diritti e doveri, cioè come persona: dovendosi far derivare gli effetti giuridici che meglio rispondono alla natura degli interessi tutelati, la detta astrazione non può derivare che dalla legge, e il conferimento della personalità proviene di regola da un atto speciale dello stato (essendo lo stato di per sé persona giuridica).
Nel concetto così esposto sono contenuti gli elementi costitutivi, o condizioni essenziali, per l'esistenza della persona giuridica: vi sono elementi di fatto o materiali, e v'è un elemento strettamente giuridico. Gli elementi di fatto, o materiali, sono quattro: 1. una pluralità di persone che costituisce appunto l'elemento personale, elemento che è assai evidente nelle corporazioni e meno appariscente nelle fondazioni; 2. dei beni, che costituiscono l'elemento patrimoniale e formano precisamente un patrimonio autonomo, il patrimonio dell'ente; 3. uno scopo lecito e determinato, che non dev'essere necessariamente pubblico o perpetuo, ma deve riferirsi a un gruppo più o meno vasto di persone, e può essere vario: di beneficenza, scientifico, artistico, commerciale, ecc.; 4. un'organizzazione di fatto tale da rendere possibile la riduzione della pluralità concreta a un'unità astratta. L'elemento strettamente giuridico, che sarebbe il quinto elemento costitutivo della persona giuridica, è il riconoscimento formale da parte dello stato.
Tale riconoscimento, che è indispensabile perché una persona giuridica esista legalmente, può avvenire in via generale (in quanto determinati enti, come le società commerciali, si formino con l'osservanza di condizioni e formalità stabilite dalla legge), o caso per caso, cioè in modo speciale per ciascun ente. Il riconoscimento speciale si ha per decreto reale, sentito il parere del Consiglio di stato: si tratta nei casi ordinarî di un'attribuzione del potere esecutivo, essendo necessario l'intervento del potere legislativo solo quando gli effetti del riconoscimento importino modificazione di disposizioni di legge o violazione di diritti privati.
Mancando uno degli elementi costitutivi della persona giuridica, manca anche quest'ultima, pur potendosi avere rapporti giuridici apparentemente simili.
Così, per mancanza del primo elemento, cioè della pluralità delle persone (e anche per mancanza dello scopo collettivo), non sono persone giuridiche l'eredità giacente, il fondo dominante, l'azienda commerciale; per mancanza di un patrimonio autonomo (e quindi distinto dal patrimonio dei singoli individui), la famiglia, le amministrazioni dello stato (e, in base a un criterio analogo, le università di stato in generale, prima del decreto 30 settembre 1923, n. 2102, in forza del quale - art. 1 - la personalità giuridica è stata attribuita a tutte le università). Per mancanza dell'organizzazione non sono persone giuridiche la comunione di beni, la società civile, la liberalità in favore del pubblico senza l'intenzione di far sorgere una persona giuridica; e per mancanza del riconoscimento non avevano personalità giuridica molti enti del diritto canonico, ai quali essa è stata però riconosciuta per effetto del concordato tra la Santa Sede e l'Italia, dell'11 febbraio 1929 (art. 29).
Delle persone giuridiche, che restano nondimeno innumerevoli, si fanno varie classificazioni. Una classificazione comune e antica è quella che le distingue in corporazioni e fondazioni: essa non va fatta secondo che ci sia un insieme di persone che mirano a conseguire uno scopo collettivo, o un complesso di beni che siano destinati al conseguimento di tale scopo, ma con riguardo alle funzioni. Nelle corporazioni la pluralità delle persone ha una funzione positiva, perché essa può dettare le regole di condotta dell'ente, non solo col proporre lo scopo e regolarne il raggiungimento, ma anche con la possibilità di modificarlo, o di rinunziarvi, ecc.; nelle fondazioni, la pluralità delle persone ha una funzione negativa, in quanto gode dei vantaggi dell'attività dell'ente, venendo l'ordinamento di esso e l'amministrazione dei beni regolati, ordinariamente, in base alla volontà del fondatore, manifestata nelle tavole di fondazione. Restano distinte le istituzioni, dette anche istituti, che hanno un'origine diversa dalle comuni fondazioni, derivanti da disposizioni di privati. Altra classificazione è quella che distingue persone giuridiche pubbliche e persone giuridiche private, e (riguardo a queste ultime) alcuni distinguono persone giuridiche di utilità privata (come una società commerciale) e persone giuridiche di utilità pubblica (come un'istituzione di beneficenza).
Benché le persone giuridiche, corporazioni o fondazioni che siano, constino degli stessi elementi, la formazione delle une e delle altre procede diversamente. Le corporazioni, dette anche associazioni, si formano mediante l'atto di costituzione, col quale più persone si mettono d'accordo, dichiarando di aggregarsi e conferendo beni per uno scopo collettivo, d'interesse comune o generale, con l'intenzione di dare vita a un'organizzazione distinta dalle loro persone; e dall'atto di costituzione è diverso lo statuto, che serve a fissare le regole da seguire nello svolgimento dell'attività dell'ente, o che riguarda l'attribuzione dei poteri sociali, l'amministrazione dei beni, ecc. (benché l'atto di costituzione e lo statuto possano essere riuniti nello stesso documento). Le fondazioni sorgono invece in base all'atto detto appunto di fondazione, col quale taluno destina il suo patrimonio, o parte di esso, al conseguimento di uno scopo collettivo, con l'intenzione di dare vita a una persona giuridica; e quest'atto, che può anche contenere le regole d'amministrazione dell'ente, può essere un atto tra vivi o una disposizione testamentaria.
Benché la capacità delle persone giuridiche non sia limitata ai soli diritti privati, potendosi avere anche i diritti pubblici (poiché le due capacità non sono che due lati della stessa personalità), la capacità di esse viene presa in considerazione dal punto di vista del diritto privato, o con riguardo ai diritti civili, nel cit. art. 2 cod. civ. La capacità, anche così considerata, va oltre il campo dei diritti patrimoniali, pur riferendosi principalmente a tale campo (nel quale l'attività degli enti si svolge): la capacità si estende a tutti i diritti che non presuppongono l'esistenza di un organismo fisico. Si riconosce che le persone giuridiche hanno la nazionalità e il domicilio, avuto riguardo rispettivamente allo stato al quale appartengono e al luogo dove esse svolgono la loro attività e hanno di conseguenza il centro dei loro rapporti; si escludono, per la stessa natura degli enti, la residenza e la dimora. Pur non potendosi parlare di diritti strettamente personali, si ammettono, riguardo alle persone giuridiche, il diritto al nome, il diritto all'integrità dell'onore, ecc.; si escludono i diritti di famiglia. Nel campo dei diritti patrimoniali, si ammette il diritto d'usufrutto (limitato a trent'anni), mentre si escludono il diritto di uso e di abitazione, il diritto agli alimenti, il diritto di testare e il diritto alla successione legittima (diritto quest'ultimo che presuppone in generale l'esistenza della famiglia, eccettuandosi, per la detta successione, il diritto dello stato, quando non vi siano parenti del de cuius entro il sesto grado).
Ma se la persona giuridica ha, nonostante alcune limitazioni, capacità di diritti, non ha capacità di agire: per lo svolgimento dell'attività dell'ente occorre l'opera di persone fisiche, che agiscono in suo nome e luogo e che sono i suoi rappresentanti. Tali sono coloro che operano in nome della persona giuridica e nell'ambito delle funzioni loro assegnate, senza che si possa dire trattarsi di veri organi, poiché l'organo sarebbe parte integrante della persona senza la possibilità dello sdoppiamento che si deve ammettere tra chi agisce per l'ente e l'ente medesimo, com'è dimostrato anche dalla possibilità che la persona giudirica, resa responsabile verso i terzi, possa agire contro i suoi rappresentanti che abbiano compiuto atti illeciti. La responsabilità a carico della persona giuridica esiste, ma con alcune restrizioni. Trattandosi solo di responsabilità civile, essa esiste anche per i fatti illeciti di coloro che agiscono per l'ente, in quanto i fatti dannosi siano compiuti da essi nell'esercizio delle funzioni cui sono stati preposti: il fondamento di tale responsabilità sta nel principio che chi ritrae le conseguenze vantaggiose, partecipando alla vita giuridica, deve sopportare le relative conseguenze dannose. Limitazioni, d'altro canto, sono poste alla capacità delle persone giuridiche, nell'interesse generale e nell'interesse delle medesime, intervenendo lo stato in doppio modo, o per esercitare una vigilanza per motivi di ordine pubblico o per tutelare gli stessi enti. Le limitazioni nell'interesse generale riguardano specialmente gli acquisti a titolo gratuito di beni di qualsiasi natura e gli acquisti a titolo oneroso di beni immobili: le persone giuridiche non possono acquistare né per donazione, né per testamento, senza l'autorizzazione governativa, giusta l'antica legge sarda (tuttora in vigore) del 5 giugno 1850 e gli articoli 932 e 1060 cod. civ., e l'autorizzazione serve a indagare sulle ragioni della liberalità e sull'eventuale lesione dei diritti dei parenti del disponente o dei terzi; in base alla stessa legge ora citata, l'autorizzazione governativa è pure necessaria per gli acquisti d'immobili, anche se a titolo oneroso, allo scopo d'impedire la formazione dei beni cosiddetti di manomorta, cioè di beni, se non sottratti al commercio, difficilmente alienabili per lo scopo cui sarebbero destinati, come beni di enti di durata illimitata. Esistono poi limitazioni nell'interesse delle stesse persone giuridiche, a carico dello stato, dei comuni, delle provincie, delle opere di pubblica beneficenza, i cui beni non possono essere alienati liberamente: nell'art. 434 cod. civ. era prescritta l'autorizzazione del governo per l'alienazione dei beni degl'istituti ecclesiastici; ma con l'art. 30 del concordato 11 febbraio 1929 si è stabilito che la gestione dei beni dei detti istituti (e delle associazioni religiose) abbia luogo sotto la vigilanza e il controllo delle competenti autorità della Chiesa, escluso ogni intervento da parte dello stato italiano.
I modi di estinzione delle persone giuridiche si possono poi distinguere secondo che si tratti di estinzione per così dire naturale, o della soppressione e riforma. L'estinzione naturale si ha per la realizzazione dello scopo, o per la sopravvenuta impossibilità di esso. La persona giuridica non si estingue di regola (meno in certi casi: per esempio, società commerciali) per la sopravvenuta perdita del patrimonio, potendo bastare la potenzialità di averlo e di ricostituirlo. Trattandosi di enti d'interesse privato, limitati nel numero delle persone o a vantaggio di un gruppo d'individui, l'estinzione può aversi per il venir meno dell'elemento personale, cioè per la morte delle persone di cui si tratta, o anche per lo scioglimento volontario. La soppressione si ha quando viene tolto il riconoscimento, e ciò anche in base a una legge generale (di soppressione); e la riforma si ha nei casi in cui venga mutato lo scopo dell'ente, o quest'ultimo sia incorporato in altro ente, avendosi così la trasformazione o la fusione. Quanto infine al patrimonio delle persone giuridiche estinte, non è esatto dire che unico successore di esse sia sempre lo stato (che è l'ultimo successore delle persone fisiche).
Bisogna tenere conto di ciò che può essere stabilito al riguardo nell'atto costitutivo della corporazione o nelle tavole di fondazione: in caso diverso, trattandosi di corporazioni d'interesse privato, avrebbe valore una volontà manifestata posteriormente; ha un valore assoluto la volontà della legge, contenuta in una disposizione generale (come per le società commerciali) o in una disposizione speciale (come può avvenire nei casi di soppressione). In mancanza di disposizione legislativa o volontaria, bisognerebbe distinguere secondo che si tratti di persone giuridiche di utilità pubblica o di utilità privata: trattandosi delle prime, il patrimonio si dovrebbe devolvere a enti aventi uno scopo identico, o nello stesso comune o nella stessa provincia o nello stato; trattandosi delle altre, il patrimonio dovrebbe essere diviso tra i membri della corporazione o i loro eredi, o dovrebbe spettare, secondo i casi, agli eredi del fondatore o a chi sarebbe stato avvantaggiato con l'attività dell'ente (estinto).
Bibl.: Diritto romano: M. Cohn, Zum römischen Vereinsrecht, Berlino 1873; S. Di Marzo, in Studi in onore di V. Scialoja, Milano 1905, II, p. 53 segg.; S. Cugia, Il termine "piae causae", in Studi in onore di C. Fadda, Napoli 1906, V, p. 229 segg.; R. Saleilles, Les piae causae dans le droit de Justinien, in Mélanges Gerardin, 1907, p. 513 segg.; J. Binder, Das Problem der juristischen Personlichkeit, Lipsia 1907 (rec. di H. Krueger, in Zeitschr. d. Sav."St. (Roman. Abteil.), XXIX (1908), p. 518 egg.); E. Albertario, Corpus e universitas nella designazione della persona giuridica, in Studi di dir. rom., Milano 1933, I, p. 9) segg.; L. Schnorr v. Carlosfeld, Gesch. der juristischen Person, I, Monaco 1933 (e bibl. ivi richiamata).
Diritto moderno: C. Fadda e P. E. Bensa, note alla trad. ital. del Diritto delle pandette di B. Windscheid, Torino 1902, I, i, p. 716 segg.; F. Ferrara, Trattato di diritto civile italiano, I, i, Roma 1921, cap. XIII-XVIII, pp. 597-728; N. Coviello, Manuale di dir. civ. it., Parte generale, Milano 1929, cap. VI, par. 61-71; R. De Ruggiero, Istituzioni di diritto civile, 6ª ed., Messina 1933, I, par. 41-43; C. Scuto, Istituzioni di diritto civile, I (ristampa), Napoli 1934, cap. XIII, pp. 163-178.
Persona giuridica pubblica. - L'argomento della personalità giuridica, già importante nel campo del diritto privato, assume una posizione decisiva in quello del diritto pubblico, soprattutto perché ogni pubblico potere, almeno negli ordinamenti moderni, appartiene esclusivamente a collettività organizzate e riconosciute come enti morali. Ogni persona fisica, che esercita poteri di supremazia e d'impero, che gerisce servizî di utilità generale e sociale, agisce sempre (salvo il caso dell'esercizio privato, di cui diremo) in rappresentanza organica d'una persona giuridica: è soltanto questa a esercitare per suo mezzo quelle varie attività. Persona giuridica è la massima organizzazione sociale, lo stato, e persone giuridiche sono le altre organizzazioni che allo stato si riconducono: le colonie, le provincie, i comuni, le associazioni sindacali. Tali persone hanno una capacità particolare che, mentre comprende quella stessa dei soggetti di diritto privato, sotto parecchi aspetti trascende quest'ultima. Questa speciale capacità, nello stato, essendo originaria e assoluta, prende il nome di sovranità; negli altri enti, derivando dallo stato ed essendo dall'ordinamento di questo variamente condizionata e limitata, assume il nome di autarchia: quest'ultima si può dire la capacità, che hanno tali persone giuridiche, di curare il proseguimento dei proprî fini mediante un'attività, che è amministrazione pubblica al pari di quella dello stato, in quanto ha la stessa efficacia giuridica dell'attività amministrativa di esso. Lo stato e le altre persone, che presentano la capacità di cui parliamo, che sono in altre parole i soggetti attivi della pubblica amministrazione, si dicono enti pubblici, persone giuridiche pubbliche.
Il diritto attribuisce all'appartenenza di un ente a questa categoria importanti conseguenze, oltre quella fondamentale che le caratterizza. Le persone giuridiche pubbliche, a differenza di quelle private, pur potendo, per conseguire i loro fini, compiere atti giuridici privati e anche atti obiettivamente commerciali, non possono essere assoggettate alle leggi che riguardano in modo speciale i commercianti, né per conseguenza alla particolare procedura del fallimento; le persone medesime non possono far parte di associazioni sindacali di datori di lavoro né i loro dipendenti di associazioni di lavoratori; gli atti giuridici di tali enti, a prescindere dall'efficacia che possono avere come atti di sovranità, sono soggetti, in caso di controversia, a una competenza giurisdizionale in parte diversa da quella stabilita per gli atti giuridici dei privati, ossia alla competenza degli organi di giustizia amministrativa.
Queste e altre peculiarità di situazione giuridica hanno reso praticamente interessante il problema del criterio distintivo tra le due categorie di enti morali: problema che ha avuto nella dottrina parecchie soluzioni, nessuna delle quali è riuscita finora a imporsi in modo universale e pacifico.
Ricordiamo le più importanti fra tali soluzioni. Una prima, considerando che la persona giuridica trova nell'elemento del fine la base della sua unità e organizzazione, pone nel medesimo il criterio distintivo: la persona è pubblica o privata, secondo che il fine, per cui è costituita, sia pubblico, cioè proprio dello stato, o privato, cioè per lo stato meramente lecito. Data la difficoltà di stabilire quando il fine di un ente sia pubblico o privato nel senso ora detto, altre dottrine hanno fatto ricorso al criterio della patrimonialità, in quanto il fine patrimoniale, ossia di lucro, caratterizzerebbe tutte le persone giuridiche private, mentre il fine ideale o morale sarebbe proprio, almeno normalmente, delle persone giuridiche pubbliche. Anche questo criterio non risulta sufficiente, per la difficoltà di stabilire quale altro elemento debba concorrere con il fine non patrimoniale a determinare la natura pubblica di un ente. Altre soluzioni hanno tenuto conto del rapporto dell'ente con lo stato: secondo che il primo sia o meno responsabile verso lo stato del conseguimento dei proprî fini, l'ente si potrebbe qualificare pubblico oppure privato. Altre più recenti tendenze, infine, hanno avuto riguardo al genere del controllo, che lo stato esercita sull'ente: se esso sia rivolto a proteggere l'ente stesso e i suoi mezzi economici, in modo da assicurare il conseguimento dei fini che gli sono proprî, l'ente fa parte della pubblica amministrazione e della categoria delle persone giuridiche pubbliche; se invece il controllo è semplicemente estrinseco e ha solo finalità di polizia, l'ente non può essere che privato. Alcune disposizioni del nostro diritto positivo, che designano come pubblici alcuni enti sottoposti alla semplice vigilanza di legittimità, ossia a un controllo certamente estrinseco, hanno fatto riconoscere incompleto il criterio e proporre completamenti e complicazioni non sempre di facile applicazione.
In contrapposto a queste opinioni, che pur nella loro varietà riporrebbero tutte l'elemento distintivo nell'interessamento che lo stato dimostra per il fine dell'ente, una tendenza affatto distinta terrebbe conto della posizione dell'ente stesso rispetto ai suoi organi e ai suoi componenti: secondo che essa sia una posizione di superiorità, di supremazia, talché l'ente appaia investito di poteri d'impero, oppure una posizione di eguaglianza, di parità, di commercio giuridico privato. Quest'ultimo criterio ha avuto e ha tuttora numerosi seguaci: tuttavia, esso incontra anche parecchi contrasti, giustificati dall'esistenza di enti, della cui pubblicità non è lecito dubitare e che tuttavia non esercitano poteri di supremazia (così le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficienza) e di enti, in contrapposto, di natura privata, che si presentano talora investiti di pubbliche funzioni e di poteri di polizia (le compagnie coloniali, le società concessionarie di servizî ferroviari). Per questi ultimi, la difficoltà si potrebbe superare, ed è stata superata, rilevando che l'esistenza delle funzioni in parola non è originaria dell'ente, ma derivata da una concessione dello stato, che può essere revocata senza che l'ente venga meno. Più grave è la prima difficoltà: si deve riconoscere che esistono fini pubblici, per il cui conseguimento non è necessario l'esercizio di poteri di supremazia: e può essere importante rilevare che ciò si può verificare non solo negli enti minori, ma anche nello stato stesso, in quanto alcuni suoi fini vengano raggiunti con una semplice attività di prestazione o con una ripetuta attività contrattuale.
Il carattere pubblico dell'ente si manifesta, però, anche in questi casi, nel controllo dello stato, nell'organizzazione dei servizî, nel carattere del rapporto fra l'ente e gl'impiegati che ad esso sono adibiti e in altri elementi secondarî. Sembra per tutto ciò che il criterio finalistico sia sostanzialmente il più esatto, in quanto esso si connette alla qualità propria degli enti pubblici di rappresentare l'organizzazione indiretta dell'amministrazione statale. La decisione nei singoli casi, circa la natura del fine, si deve risolvere in base a elementi contingenti offerti dal diritto positivo: non sarebbero utili al riguardo criterî astratti.
Il criterio accennato esclude che fra gli enti pubblici e le persone giuridiche private possa trovare posto la categoria intermedia degl'istituti privati di utilità pubblica: categoria largamente ammessa dalla dottrina francese, ma esclusa dalla prevalente dottrina italiana. Il criterio stesso, poi, non trova ostacolo come talora a torto è stato ritenuto, nell'esistenza degli enti pubblici ecclesiastici, i quali certamente non perseguono fini proprî dello stato. Tali enti sono pubblici considerati in rapporto alle finalità della Chiesa, della cui organizzazione fanno parte: non si tratta, perciò, di enti pubblici dello Stato, ma di enti pubblici della Chiesa, dallo Stato semplicemente riconosciuti.
Delle persone giuridiche pubbliche si possono fare varie classificazioni. 1. Una di queste non è che l'applicazione della distinzione, che vale per le persone giuridiche in genere fra corporazioni e fondazioni: circa il suo contenuto, rinviamo a quanto è stato detto nella parte precedente. 2. Fra le corporazioni pubbliche, si dicono territoriali quelle che risultano formate dall'intera popolazione residente sopra un territorio: sono tali, oltre lo stato, le colonie, i comuni e le provincie. Gli enti non territoriali, detti anche istituzionali, possono essere o corporazioni formate solo da una parte limitata della popolazione, come le associazioni sindacali e i consorzî amministrativi, oppure fondazioni pubbliche, come le istituzioni di beneficienza, quelle a scopo culturale, ecc. 3. Si distinguono, poi, gli enti pubblici locali, la cui azione è limitata a una sola parte del territorio dello stato, e gli enti pubblici nazionali, la cui azione si estende a tutto quanto questo territorio. I primi sono quasi sempre di formazione storica e naturale, i secondi risultano costituiti dallo stato allo scopo di attribuire parziale autonomia, specialmente finanziaria, a una qualche parte della sua amministrazione centrale: questi ultimi, nella legislazione più recente, vengono talora designati come enti parastatali (v. parastatali, enti); si possono citare come esempî dei medesimi l'Opera nazionale dei combattenti, l'Opera nazionale per la protezione della maternità e infanzia, l'Istituto delle assicurazioni sociali, ecc.
Bibl.: Dell'argomento trattano le principali opere generali sulle persone giuridiche, che sono state citate sopra. Cfr. inoltre: H. Rosin, Die öffentliche Genossenschaft, Friburgo 1886; H. Preuss, Gemeinde, Staat, Reich als Gebietskörperschaften, Berlino 1889; P. Avril, L'origine de la distinction des établissements publics et établissements d'utilité publique, Parigi 1900; G. Jellinek, System der sub. öff. Rechte, Lipsia 1906, p. 265 segg.; O. Mayer, Die juristische Person und ihre Verwetbarkeit im öff. Rechte, in Festgabe für Laband, I, Tubinga 1908; S. Romano, Il comune, in V. E. Orlando, Trattato di dir. amm., II, Milano 1908, pp. 23, 58, 79 segg.; F. Ferrara, La classificazione delle persone giuridiche, in Riv. di dir. pubbl., 1912; C. Ferraris, La classificazione delle persone di dir. pubblico, in Riv. di dir. pubbl., 1919; O. Ranelletti, Concetto delle persone giuridiche pubbliche, ibid., 1916; U. Forti, Sui caratteri distintivi delle persone giuridiche pubbliche, in Corte di Cass., 1925; C. Vitta, Le persone giuridiche pubbliche in Francia e in Italia, Modena 1928; id., Note sul concetto di persona giuridica pubblica, in Riv. di dir. pubbl., 1933.
Persona interposta. - L'interposizione di persona è un concetto importante, dal punto di vista teorico e da quello pratico, e rappresenta il mezzo posto in essere dai contraenti di un negozio giuridico allo scopo di occultare ai terzi le proprie persone; una terza persona estranea si interpone, fungendo da intermediaria fra coloro che vogliono realizzare gli effetti del negozio giuridico, compiendolo o fingendo di compierlo. Quindi, come osserva F. Ferrara, i caratteri giuridici che, essenzialmente, definiscono l'interposizione di persona sono: il porsi in mezzo ai due veri contraenti del negozio e la funzione di occultamento del vero padrone dell'affare. La persona che adempie a questa duplice funzione si chiama persona interposta (fr. remplaçant; ted. Zwischenperson, Ersatzmann).
Si è già detto che la persona interposta compie o finge di compiere il negozio che interessa ad altri; la dottrina distingue infatti, sull'osservazione della varietà dei casi pratici, due specie d'interposizione di persone: reale (lecita o fraudolenta) e simulata. Nella prima, la persona interposta compie effettivamente un negozio, ma ha l'obbligo fiduciario di trasmetterne gli effetti giuridici ad altre persone; a quelle, cioè, cui il negozio in realtà interessa.
Poiché l'interposizione di persona non cela l'inesistenza di un negozio, ma un negozio nella realtà dei fatti si conchiude, la legge interviene a sancire la nullità dell'interposizione reale di persona solo quando essa nasconda lo scopo di compiere un atto in frode alla legge (ad es., una donazione vietata fra determinate persone).
Nell'interposizione di persona simulata si ha, invece, una forma di espressione della simulazione dei negozî giuridici; qui, la persona interposta è figura fittizia in testa alla quale, in realtà, non si è compiuto alcun negozio giuridico, di guisa che, scopertasi e provata la simulazione, al posto dell'interposta persona si sostituisce il vero soggetto del negozio. Così decidono anche numerosi luoghi delle fonti romano-giustinianee (Cod. VIII, 27 (28), de distr. pign., I 10; V, 16, de don., 20; IV, 50, si quis alt., 1 e 5; IV, 22, plus val., 2). Infatti, la persona interposta, quando l'interposizione è simulata, non essendo stata il vero soggetto del negozio giuridico, non potrebbe essere considerata validamente come tale, sotto alcun aspetto; al contrario, nell'interposizione di persona reale, i rapporti interni fra la persona interposta e il contraente celato conducono al risultato che gli effetti giuridici ed economici del negozio vadano a ricadere sulla persona realmente interessata, senza che questi rapporti incidano sulla normalità di struttura del negozio compiuto: appunto perché la persona fiduciariamente interposta vuole compiere il negozio per un'altra, la sua volontà è seriamente diretta a quella conclusione. Ciò spiega il motivo per cui l'interposizione di persona reale e lecita non è assoggettata ad alcuna sanzione di nullità né si potrebbe dichiarare annullabile a istanza di terzi.
Bibl.: G. Rotondi, Gli atti in frode alla legge, Torino 1911; F. Ferrara, Della simulazione dei negozi giuridici, 5ª ed., Roma 1922, p. 123 segg.; G. Longo, Sulla simulazione dei negozi giuridici, pubblicato negli Studi in onore di Salvatore Riccobono, III, p. 113 segg., Palermo 1933; L. Cariota-Ferrara, I negozi fiduciari, Padova 1933.
Diritti sulla propria persona. - Con l'espressione "diritti sulla propria persona" vengono da alcuni scrittori designati quei diritti della persona che sono, per così dire, inerenti ad essa, quali, per es., il diritto alla vita e all'integrità corporale, alla libertà, all'onore, ecc.; quei diritti, cioè, che da altri scrittori sono denominati diritti essenziali e fondamentali della persona, o diritti personalissimi, o diritti di personalità, o diritti individuali, e che dai seguaci della scuola del diritto naturale venivano designati come diritti originari, naturali, o innati. È però controverso se questi cosiddetti diritti siano realmente veri e proprî diritti soggettivi; e tra coloro poi che ammettono questa categoria di diritti soggettivi, è anche controverso quali siano i diritti che in essa rientrano e come debbano venire concepiti.
Secondo un'opinione largamente diffusa tanto nella dottrina italiana quanto in quella di altri paesi (Germania, Austria, ecc.), questi diritti sono veri e proprî diritti soggettivi. L'uomo - si è detto - in quanto è persona, ha diritto alla tutela giuridica dei beni essenziali e fondamentali della persona; tutela che non potrebbe non essergli concessa, senza che gli fosse disconosciuta la qualità di persona. Ora questa tutela è dall'ordinamento giuridico stabilita, oltre che mediante norme di diritto pubblico, anche con norme di diritto privato, e in particolare con il riconoscimento appunto dei diritti soggettivi privati di personalità. Così l'uomo ha un diritto soggettivo alla vita, e quindi diritto al rispetto della sua vita e della sua integrità corporale; ha un diritto di disposizione sul proprio corpo e sul proprio cadavere; ha un diritto al libero svolgimento delle sue facoltà, e quindi un diritto di libertà; ha un diritto alla pubblica stima, ossia all'onore; e da alcuni si aggiunge anche un diritto sulla propria immagine, e un diritto al nome; e da altri perfino il cosiddetto diritto d'inedito, e quello sulle opere dell'ingegno, il diritto al segreto epistolare, e altri ancora. Non mancano però scrittori, i quali, anziché ammettere tanti diritti di personalità quanti sono i beni essenziali e fondamentali della persona, ammettono invece un unico diritto di personalità che si riferisce a tutti quanti questi beni e dal quale appunto emanano varie facoltà. Ma, ammessa questa categoria di diritti sulla propria persona, è sorta la necessità di determinare l'oggetto di questi diritti. Alcuni hanno detto che questi diritti sono diritti verso sé stessi, aventi per oggetto la propria persona. Ma contro questa concezione si è osservato in particolare che, se la persona è il soggetto di questi diritti, essa non può nello stesso tempo esserne l'oggetto. Appunto perciò altri autori hanno concepito questi diritti come diritti di signoria su determinate parti della sfera della personalità. Ma anche quest'opinione è andata incontro a gravi obiezioni, specialmente a quella che la personalità non si può scindere in varie parti, ciascuna delle quali possa divenire oggetto d'un particolare diritto. Altri allora hanno detto che l'oggetto di questi diritti non è né la persona né una sfera della personalità, ma che esso è costituito invece da tutti quanti i membri della comunanza sociale, che sono tenuti a rispettare questi diritti; questi diritti infatti sono diritti assoluti, di esclusione. E non è mancato infine chi ha sostenuto che questi diritti sono diritti senza oggetto. Ma un'altra opinione, anch'essa fortemente sostenuta in Italia e altrove, specialmente in Germania, nega che questi cosiddetti diritti sulla propria persona siano, salvo alcuni, veri e proprî diritti soggettivi. E questa sembra l'opinione preferibile anche sotto l'impero del diritto italiano vigente. Anzitutto è bene notare che propriamente la questione sull'esistenza di diritti sulla propria persona può riguardare solamente quelli che hanno per oggetto i beni veramente essenziali e fondamentali della persona, quali il corpo, la vita, l'integrità o inviolabilità corporale, il libero svolgimento delle proprie facoltà, l'onore, e tutt'al più i segni di distinzione personale, quali specialmente il nome e il titolo nobiliare, quantunque il nome e il titolo nobiliare non abbiano certamente la stessa importanza degli altri beni precedentemente enumerati. Ciò posto, e messi per ora da parte il diritto al nome e quello al titolo nobiliare, di cui discorreremo poi, per quanto si riferisce agli altri cosiddetti diritti, è da osservare in generale che, se un bene individuale della persona è protetto dal diritto, e se la lesione di esso dà luogo anche al risarcimento dei danni, non perciò si è autorizzati ad ammettere senz'altro che un tal bene formi oggetto di un diritto soggettivo. La tutela giuridica di un bene, infatti, può essere garantita mediante norme di diritto pubblico e anche mediante norme di diritto privato, da cui però non derivi alcun diritto soggettivo per la persona; e l'obbligo del risarcimento del danno, sancito per la lesione di un bene, non implica senz'altro necessariamente l'esistenza di un diritto soggettivo a quel bene. Perché si possa ammettere l'esistenza di un diritto soggettivo a favore di una data persona, è indispensabile che ad essa sia dall'ordinamento giuridico attribuito un potere giuridico verso una o più altre persone, posto a sua libera disposizione e difeso da un'azione in giudizio: questa è invero la caratteristica essenziale del diritto soggettivo. Ora nei cosiddetti diritti sulla propria persona, di cui noi ora ci occupiamo, manca appunto l'attribuzione di un tale potere. I beni essenziali della persona sono senza dubbio giuridicamente protetti, e la loro protezione è assicurata dalle norme contenute nel codice penale, nelle leggi di polizia e di sicurezza pubblica, nelle leggi sanitarie, in altre leggi amministrative, e più in generale da norme di diritto pubblico, e anche dalla norma generale contenuta nell'art. 1151 del codice civile, riguardante l'obbligo del risarcimento del danno cagionato da atti illeciti; ma, in realtà, né da quelle norme di diritto pubblico e neppure dalla norma dell'art. 1151 cod. civ. si può dedurre l'attribuzione alla persona di un potere giuridico su quei beni, posto a sua libera disposizione e garantito mediante azione. In secondo luogo poi, ad ammettere l'esistenza di questi diritti essenziali della persona osta anche la difficoltà, già precedentemente accennata, di dover considerare come oggetto del diritto la persona stessa o una parte della sfera della personalità. Né d'altro lato è possibile considerare come oggetto di questi pretesi diritti i membri della comunanza sociale verso cui essi sarebbero rivolti, giacché questi membri si potrebbero, se mai, considerare come i soggetti passivi del rapporto giuridico personale che sarebbe implicito in questi diritti, e non già come l'oggetto di essi. E così pure non è possibile ammettere che questi pretesi diritti siano diritti senza oggetto, perché l'oggetto è elemento essenziale del diritto soggettivo.
Quanto si è ora detto in generale, risulta anche dal rapido e sommario esame di ciascuno di questi cosiddetti diritti personali.
Un diritto personale sarebbe anzitutto il diritto della persona sul proprio corpo e sul proprio cadavere. Non è certamente possibile negare che la persona abbia, entro certi limiti stabiliti dal diritto, una facoltà di disposizione del proprio corpo e del proprio cadavere; ma questa facoltà di disposizione non è già un vero e proprio diritto soggettivo, bensì una semplice facoltà giuridica. Non si può considerare come un vero e proprio diritto soggettivo, perché l'oggetto di questo diritto non potrebbe essere che il corpo stesso e, ammettendosi l'esistenza di un tale diritto si verrebbe ad ammettere la possibilità di un diritto della persona su sé stessa, il che è impossibile. Invece si può ammettere un vero e proprio diritto soggettivo della persona, e in particolare un vero e proprio diritto di proprietà, e non già un diritto personale, su parti distaccate dal corpo (per es., capelli tagliati, dente caduto o estratto), non più ostando qui l'impossibilità anzidetta.
Per quanto riguarda poi il cosiddetto diritto alla vita, ossia all'esistenza fisica e all'integrità o inviolabilità corporale, è da notare che la vita e l'integrità corporale sono certamente beni giuridici, inquantoché esse sono giuridicamente protette. Ma dal fatto che la vita e l'integrità corporale sono beni tutelati dal diritto, non si può senz'altro desumere che esista un vero e proprio diritto soggettivo alla vita e all'integrità corporale. La protezione di questi beni non è lasciata alla persona: a questa non è dato un potere di cui essa possa liberamente fare uso, o non, a sua volontà. La protezione è esercitata direttamente dallo stato, e questa protezione è esercitata nel modo più energico, inquantoché la lesione di tali beni è, sotto certi presupposti, considerata e punita come un reato. E poco importa che in qualche caso (così in specie per talune lesioni personali) non si possa procedere che a querela di parte, perché la querela non serve che a eccitare l'esercizio dell'azione penale dȧ parte dello stato, e non è quindi in tal caso che una condizione di tale esercizio. D'altro lato, è da osservare che, se è vero che dal reato contro la persona sorge non soltanto l'azione penale ma anche l'azione civile per il risarcimento del danno, è vero altresì che neanche quest'azione civile presuppone l'esistenza di un diritto soggettivo, giacché essa ha senz'altro origine dall'atto illecito, che è il reato, e l'atto illecito non implica necessariamente, né da un punto di vista logico e astratto né dal punto di vista del diritto positivo, la lesione di un diritto soggettivo.
In quanto al diritto di libertà, è da notare che esso viene inteso, da quegli scrittori che ne ammettono l'esistenza, in vario modo. Alcuni lo intendono in senso amplissimo, comprendendo in esso il diritto di conservazione della propria esistenza fisica, e quindi anche della legittima difesa, il diritto del lavoro, il diritto di religione il diritto di educazione artistica e scientifica, il diritto di associazione, ecc. Altri invece parlano soltanto delle cosiddette libertà civili, come il diritto di associazione, di libertà di stampa, di coscienza e simili. E altri ancora parlano soltanto del diritto di libertà nel senso ristretto di libertà della persona, come diritto di esigere rispetto dai terzi nel godimento della libertà individuale, e fanno richiamo a quelle norme del codice penale che puniscono appunto la privazione della libertà personale, e a quelle norme del diritto privato che dichiarano nulle le obbligazioni che importano un sacrificio della libertà della persona. Ora, che si possa ammettere un vero e proprio diritto soggettivo di libertà, inteso nel primo o nel secondo dei sensi anzidetti, secondo l'opinione che a noi sembra preferibile (quantunque essa sia fortemente controversa, specialmente per quanto si riferisce alle cosiddette libertà civili) si deve escludere, perché la libertà della persona è certamente protetta da norme di diritto pubblico, ma non si ha perciò attribuzione alla persona di un potere giuridico posto a sua libera disposizione. E lo stesso si deve dire del cosiddetto diritto di libertà, inteso nel terzo senso più ristretto, perché, se k vero che la libertà individuale è protetta da norme del diritto pubblico (penale) e da norme del diritto privato, da queste norme non si può fondȧtamente dedurre l'attribuzione alla persona di un potere giuridico, del quale essa possa liberamente disporre.
Un ragionamento analogo a quello che si è fatto per negare l'esistenza di un diritto alla vita e all'integrità corporale, si può fare per negare l'esistenza di un vero e proprio diritto soggettivo all'onore. Così pure non si può dire che esista un vero e proprio diritto soggettivo della persona sulla propria immagine, solo perché sono vietate, di regola, l'esposizione e la pubblicazione di essa senza il consenso espresso o tacito della persona interessata, e, dopo la sua morte, di altre persone che erano ad essa legate da vincoli di matrimonio o di parentela (v. articoli 11 e 13, legge 7 novembre 1925, n. 1950, sul diritto di autore).
In conclusione pertanto i cosiddetti diritti sulla propria persona, di cui si è finora parlato, non sono, come si è visto, veri e proprî diritti soggettivi.
Diversamente invece si deve dire del diritto al nome e del diritto al titolo nobiliare, che possono rientrare nella categoria dei cosiddetti diritti sui beni essenziali della persona, o diritti sulla propria persona: tanto l'uno quanto l'altro sono veri e proprî diritti soggettivi, e diritti soggettivi privati. Per ciò che si riferisce al diritto al nome, non soltanto vi sono norme che regolano l'acquisto del nome e il mutamento di esso, ma vi sono anche azioni che stanno a difesa dell'uso esclusivo di esso da parte di colui al quale esso spetta: l'azione di reclamo del nome, e l'azione di contestazione del nome. Nessun dubbio, quindi, che qui si tratti di un vero e proprio diritto soggettivo privato, di natura personale (non già di un diritto di proprietà, come da alcuni si è sostenuto), il cui oggetto è appunto il nome, che è un segno di distinzione personale. Analogamente si dica del diritto al titolo nobiliare, di cui l'acquisto, la trasmissione e l'estinzione sono regolati dal diritto con azioni analoghe a quelle che stanno a difesa del diritto al nome, ossia le azioni di reclamo di contestazione del titolo: anche qui si tratta di un diritto soggettivo privato, di natura personale, avente per oggetto il titolo nobiliare, un segno anch'esso di distinzione personale.
Bibl.: A. Ravá, I diritti sulla propria persona, in Rivista ital. per le scienze giurid., 1901, p. 289 segg., e 1902, p. i segg.; C. Fadda e P.E. Bensa, in nota alla trad. ital. delle pandette di B. Windscheid, I, Torino 1902, p. 601 segg.; Perreau, Des droits de la personnalité, in Revue trim. de dr. civ., 1909, p. 501 segg.; F. Filomusi Guelfi, in Enciclopedia giuridica, Napoli 1910, par. 45, p. 189 segg.; A. v. Tuhr, Der allgem. Teil des deutsch. bürg. Rechts, I, Lipsia 1910, p. 148 segg.; F. Ferrara, Trattato di diritto civ. ital., I, Roma 1921, p. 388 segg.; G. Del Vecchio, Sui principi generali del diritto, Modena 1921; N. Coviello, Manuale di diritto civ. ital., Milano 1929, p. 24 segg.; Dusi, Istituz. di dir. civ., I, Torino 1930, p. 76; L. Ennecererus, Lehrbuch des bürg. Rechts, I, Marburgo 1931, par. 781, p. 214; R. De Ruggiero, Istituzioni di dir. civ., 6ª ed., Messina 1933, p. 201 segg.