perso
Di questo termine, adoperato sia come aggettivo che come sostantivo (per lo più in poesia, e in rima), D. stesso ci dà la definizione semantica in Cv IV XX 2 lo perso dal nero discende... Lo perso è uno colore misto di purpureo e di nero, ma vince lo nero, e da lui si dinomina.
Tale definizione è introdotta a commento di Cv IV Le dolci rime 109 Dunque verrà, come dal nero il perso, / ciascheduna vertute da costei, la nobiltà (ripreso in XIX 2 e XX 1).
Il termine, tuttavia, è solitamente usato nel senso più generico di " scuro ", " cupo ": l'acqua della palude Stige era buia assai più che persa (If VII 103); il secondo scaglion della scala di accesso al Purgatorio era tinto più che perso (Pg IX 97), " piuttosto nero che scuro " (Sapegno); anche in opposizione a ‛ bianco ': Rime CIV 79 se giudizio o forza di destino / vuol pur che il mondo versi / i bianchi fiori in persi, / cader co' buoni è pur di lode degno: " Che possa vedersi qui un'allusione al prevalere dei Neri sui Bianchi, sembra per quel persi da escludere... Si tratterà invece d'un rovesciamento generale del mondo " (Contini). Anche in If V 89 O animal grazïoso e benigno / che visitando vai per l'aere perso / noi che tignemmo il mondo di sanguigno, i commentatori scorgono, per lo più, il senso generico di " oscuro ", " tenebroso " (il Lombardi chiosa addirittura che p. è " adoperato qui a ragione della rima, invece di ‛ nero ' o di ‛ oscuro ' "); ma si può anche ammettere, col Mattalia, che qui l'aggettivo è usato " nel suo più preciso significato (mistura di nero e purpureo), in relazione alla metafora pittorica o professionale ‛ tingere di sanguigno ' ", adoperata da Francesca. In Fiore LVI 12 Allor sì la [la sua donna] vedrà palida e persa, se si accetta l'interpretazione del Petronio, p. è un francesismo con valore di " pallido ", e si ha una dittologia sinonimica; bisogna peraltro rilevare che questo senso di p. resta completamente isolato tanto nella lingua di D. che in quella dei testi coevi: si potrà pensare, pur senza allontanarsi troppo dal senso complessivo del testo, a un valore di " pallido cupo ", " terreo ", che meglio pare accordarsi con le altre attestazioni, dantesche e non, della parola.
Per Pd III 12, v. la voce PERDERE.